DI UGO ABELZI
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Che cosa accade quando ci vacciniamo contro qualche malattia?
Mettiamo a contatto il nostro organismo con un virus inattivato, un agente prima nocivo che è stato svuotato della possibilità di fare ammalare, ma che, avendo ancora intatto il suo involucro, sembra al nostro organismo il virus completo. Così il nostro sistema immunitario, credendosi sotto attacco, comincia a produrre anticorpi. Risultato? Quando noi dovessimo entrare in contatto con la vera malattia la nostra reazione immunitaria sarebbe più pronta – non dovremmo «costruire» molti anticorpi, perché ne avremmo una certa quantità già attivi, e capaci di contrastare la malattia in maniera più efficace.
Per questa ragione può essere opportuno vaccinarsi in previsione di entrare in contatto con qualche malattia. A questa buona regola vi è però una eccezione: non bisogna vaccinarsi contro l’influenza.
Perché?
Perché l’influenza è – fra le malattie – un’eccezione.
In una delle ultime edizioni del «Manuale medico di diagnostica e terapia Roversi», la bibbia che ha accompagnato generazioni di medici italiani, è possibile trovare una elegante ed inusitata definizione dell’Influenza: «è una reazione allergico-iperergica all’infezione di un virus». Non sarebbe perciò una malattia, ma una reazione allergica.
Questo che cosa comporta?
Se è una reazione allergica, a differenza che nelle altre malattie, bisognerà evitare di incoraggiare un aumento delle difese dell’organismo, perché ciò aggraverebbe la malattia. Nel 1918-19 la grande pandemia detta della «Spagnola», che uccise almeno 50 milioni di persone, predilesse ed uccise più giovani sani e robusti che vecchi e bambini, come invece si sarebbe dovuto prevedere. I giovani robusti, con difese immunitarie potenti, subirono la reazione, cioè la malattia, in forma più grave, spesso mortale. Vecchi e bambini, spesso con livelli più bassi di reazioni immunitarie, fecero l’influenza in maniera più lieve. Sì, ne morirono tanti anche di essi, ma soprattutto per le complicanze a carico dell’apparato respiratorio, specialmente bronchiti e polmoniti. Se a quei tempi fossero esistiti gli antibiotici, milioni di persone avrebbero avuta salva la vita.
L’influenza di quest’anno sembra avere le stesse caratteristiche, con minore virulenza. Ma oggi è assurdo avere paura. È un’influenza, come quelle che ogni anno si presentano verso il 15 di gennaio, dopo che il virus viene portato in Europa – probabilmente dalla Cina – dal monsone di terra. L’influenza si annuncia solamente più persistente: il virus si esaurisce più lentamente, colpisce più persone, ma nient’altro.
Che cosa fare perciò?
1. Niente vaccinazione anti-influenzale. Essa aumenterebbe le difese dell’organismo, peggiorando la reazione allergico-iperergica al virus, l’ultima cosa di cui vi sarebbe bisogno.
2. Le terapie da attuare sono invece quelle di sostegno, e quelle volte a curare le complicanze. Di influenza non si muore, come non si moriva di Spagnola; si moriva e si muore delle complicanze. Che oggi possiamo fronteggiare in tutta tranquillità con pochi euro di antibiotici.
3. Ricordare che le categorie in pericolo non sono vecchi e bambini – se non presentano altre importanti patologie preesistenti. Essi hanno infatti di solito un livello immunologico medio-basso. A rischio sono i giovani più robusti e più reattivi. Particolare eccezione rappresentano i neonati fino ai sei mesi poiché le loro difese immunologiche sono molto alte, le stesse della madre.
4. Prepararsi a combattere eventuali complicanze, vaccinando contro le broncopneumopatie.
5. Inoltre sarà utile ogni terapia antiallergica sistemica. Non alzare il livello immunologico dell’organismo. Ridurre in tutti i modi le reazioni allergiche.
Non si deve quindi temere l’influenza: essa va trattata come un normale raffreddore stagionale. Sono assurde le raccomandazioni di lavarsi spesso le mani (più si insiste a lavarsi le mani con detergenti sgrassanti e più si alterano le difese sebacee della pelle rendendola permeabile). Quella attuale è un’influenza che colpirà inevitabilmente milioni e milioni di persone, ma, con l’aiuto delle semplici terapie antibiotiche rispetto alle eventuali complicanze, essa finirà con i pochi danni che le normali influenze annuali si portano dietro. La vaccinazione anti-influenzale a tappeto si è già rivelata alcuni decenni fa inutile nella città di Washington, dove sul 60 per cento degli abitanti contagiati diede risultati esattamente sovrapponibili alle previsioni degli effetti che ci sarebbero stati senza di essa. È per tale ragione che a Washington da allora non si è più parlato di vaccinazione su larga scala.
La vaccinazione anti-influenzale rappresenta un business enorme e chi se ne avvantaggia è disposto a sostenere qualsiasi stupidaggine per accreditare l’idea che questa vaccinazione produrrebbe un miglioramento della salute. Giornali, televisione e radio hanno messo in giro quanto sostenuto dal ministero della salute e dalle industrie farmaceutiche dopo lo scandalo delle forniture di vaccini alterati nella prospettiva di un ritardo nella consegna di nuovi vaccini.
Ripetiamo che l’influenza giunge in Europa con il monsone di terra tra ottobre e marzo. Se il vaccino anti-influenzale impiega almeno quindici giorni per sensibilizzare l’organismo e quindi produrre effetti benefici (ammesso che ve ne siano), perché le autorità e i mezzi di comunicazione si stanno facendo in quattro per convincere la popolazione che eventuali ritardi nell’approvvigionamento del vaccino non avrebbero importanza perché l’influenza dura fino a marzo? La domanda alla quale rispondere è: a marzo, quale importanza avrebbe vaccinarsi ?
Ugo Abelzi
Medico Chirurgo
Specialista Neurofisiopatologo
4.11.2012
P.S.
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