KURSK

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DI ANNA ZAFESOVA

Centodiciotto ragazzi sono morti là sotto, centodiciotto famiglie aspettano una verità che non verrà mai e che potrebbe essere stata l’ultimo atto di una guerra più gelida che fredda. Un frammento di questa verità è forse nascosto dentro una piccola notizia, dieci righe appena, comparsa il 22 agosto 2000 sul sito web della Pravda. Una notizia che non è mai stata stampata sulla versione in carta del giornale e che nel mondo virtuale del web ha vissuto appena qualche ora. Un errore, un messaggio lanciato in bottiglia che più o meno diceva: «Sabato 12 agosto un incidente accaduto nel mar di Barents ha rischiato di dare il via alla terza guerra mondiale. Per alcuni giorni la pace è stata appesa a un filo e un passo falso politico avrebbe potuto dare il via a uno scambio di tiri nucleari… Fortunatamente l’incidente è stato risolto per via diplomatica…». Erano i giorni del Kursk, il sottomarino nucleare russo paralizzato su un fondale ad appena cento metri di profondità con il suo carico di uomini e di misteri da un incidente che non s’è mai chiarito. Secondo la fugace notizia pubblicata online dalla Pravda, quel 22 agosto «il presidente della Federazione russa Vladimir Vladimirovic Putin e il presidente degli Stati Uniti d’America William Jefferson Clinton, dopo numerose e confidenziali conversazioni telefoniche, sono riusciti a negoziare una conclusione pacifica dell’affaire». Ma qual era esattamente questo «affaire» che dopo due anni di indagini la procura russa ha chiuso con un ipocrita «non luogo»? Era che il Kursk non fu danneggiato dall’esplosione accidentale di uno dei suoi ordigni convenzionali, ma fu colpito da un siluro MK48 del sottomarino americano Memphis, che si trovava sul teatro delle esercitazioni organizzate dai russi anche per mostrare ai cinesi l’efficienza di uno dei loro ultimi gioielli: il siluro «Schkval» capace di viaggiare sott’acqua alla velocità fenomenale di 500 chilometri all’ora. Un’arma che gli americani, tuttora, non hanno. Ed è una delle terribili «meraviglie» di cui Putin si è vantato un mese fa di fronte al mondo. Questa versione della vicenda del Kursk è il frutto di tre anni di indagini francesi, nate da quella notizia della Pravda e ora diventate un film inchiesta firmato dal regista Jean-Michel Carré, un veterano del genere. Il film sarà trasmesso da France Tv nei primi giorni dell’anno. L’abbiamo visto in anteprima e va detto che non c’è la prova definitiva di nulla (quale film può cambiare il corso della storia?) ma la ricostruzione di quegli incredibili e terribili dieci giorni in cui il mondo ha assistito dagli schermi delle tv all’agonia dei marinai russi è molto suggestiva. Vero o no che sia, c’è finalmente una spiegazione dell’incredibile comportamento di Vladimir Putin che non sia soltanto l’ottusa e secolare indifferenza del potere russo rispetto alla vita dei sudditi. Putin era stata eletto da meno di sei mesi presidente della Russia, dopo la folgorante ascesa costruita sul sangue della seconda guerra contro la Cecenia. Era in vacanza a Soci, sul Mar Nero, quel giorno d’agosto, quando il ministro della Difesa Igor Sergheev lo avvertì che nel corso di un’esercitazione nel mare di Barents, al largo di Murmansk, il più sofisticato dei sottomarini nucleari russi, il Kursk, era affondato in avaria. Contro ogni aspettativa Putin decise di rimanere nella sua dacia. Di lì rifiutò ogni aiuto occidentale per tentare di salvare l’equipaggio.

Sostanzialmente niente si mosse per una settimana. Sulle banchine di Murmansk le mamme dei ragazzi sepolti vivi sotto il mare piangevano e imploravano inutilmente gli ufficiali russi. Da Gran Bretagna e Norvegia arrivarono al Cremlino offerte di intervento con batiscafi e mezzi di recupero che i russi non avevano. Pallido e implacabile, Vladimir Vladimirovic non si spostò di un millimetro. La vera scoperta di questa indagine francese è che alle manovre militari erano presenti i cinesi. Nessuno l’aveva mai detto. Nel film si vede un gruppetto di generali di Pechino che assistono alle esercitazioni assieme ai colleghi russi. Secondo la tesi del film, la presenza dei cinesi inquietava moltissimo gli americani che volevano impedire la ripresa di forniture militari di qualità da parte dei russi. E al centro di queste manovre c’era appunto il formidabile siluro «Schkval». Pochi mesi prima, e cioè non appena Putin si era insediato al Cremlino, gli agenti del Fsb (ex Kgb, cioè la casa madre del neopresidente) avevano arrestato a Mosca l’uomo d’affari americano Edmond Pope, un ex dei servizi segreti dell’US Navy. Pope stava trattando i piani dello «Schkval» con il suo inventore, Anatoli Babkin. Una vicenda di cui si è parlato pochissimo e che nessuno ha mai collegato con il Kursk. La realtà è che Pope, condannato a vari anni di galera, è stato rimandato negli Stati Uniti poco dopo la conclusione dell’affaire del sottomarino. Perché tanta generosità da parte di una équipe di comando russa che, a cominciare dal suo presidente, aveva in programma innanzitutto di superare l’anarchia e l’arrendevolezza degli anni di Eltsin nei confronti dell’ex nemico americano? Perché tutto faceva parte del «pacchetto Kursk». Che cosa sarebbe accaduto, dunque, là sotto?

Sarebbe accaduto questo: che mentre la Russia provava ed esibiva ai cinesi armi illegittime secondo i trattati, due sottomarini americani spiavano illegittimamente da vicino. Un incidente, o forse una reazione di difesa, ha fatto partire un siluro MK48 dotato di armamento convenzionale ma con la punta di uranio impoverito (che consente un’alta penetrazione nel metallo). Il Kursk s’è rivelato più vulnerabile del previsto, il siluro ha innescato due esplosioni interne e il più sofisticato dei sottomarini russi si è adagiato inerte sul fondo. Una prova di tutto ciò è il buco tondo e con le lamiere ripiegate verso l’interno che il film mostra sul relitto del Kursk. Inoltre, di resti dell’MK48 aveva parlato anche il giornale russo «Versija», subito perquisito e tacitato dal Fsb. Il Memphis è rimasto anch’esso danneggiato in questo duello negli abissi e tra i due c’è stata pure una collisione. Il sottomarino americano fu poi fotografato qualche giorno dopo, in riparazione nella base norvegese più vicina al luogo dell’incidente.

L’altro sottomarino, il «Toledo», è rientrato negli Stati Uniti anch’esso danneggiato e il New York Times, mesi dopo, ne ha raccontato la misteriosa avventura. Insomma, sia Mosca che Washington avevano qualcosa da nascondere, Putin e Clinton hanno arrangiato le cose, nessuna traccia materiale di ciò sarà mai più reperibile perché il Kursk è stato ripescato, ma solo dopo essere stato svuotato dai preziosissimi «Schkval» e amputato della parte su cui era avvenuto l’incidente, che è stata fatta esplodere sul fondo del mare. Amen, per la ferraglia e per i centodiciotto ragazzi russi la cui agonia ha commosso il mondo. Un «samizdat» elettronico sulla Pravda online, erede di quelli che in tempi sovietici facevano arrivare in Occidente le denunce del dissidenti, ha forse svelato un po’ di verità.

Due esplosioni ravvicinate e sparì dai radar

Quando, mesi dopo la tragedia, Larry King, il famoso intervistatore della Cnn, chiese a Vladimir Putin che cosa fosse successo al Kursk, il presidente russo con uno strano sorrisetto rispose: «Il sottomarino? E’ affondato». Una battuta fuori luogo che però forse rimane l’unico fatto accertato riguardo alla più misteriosa delle numerose tragedie della nuova Russia. Quasi cinque anni dopo, nessuno ancora sa con certezza perché il migliore sottomarino della flotta russa affondò con 118 uomini a bordo, quale fu la causa della violenta esplosione che ne devastò lo scafo e lo seppellì nel mare di Barents durante una apparentemente banale esercitazione. La mattina del 12 agosto 2000 il Kursk scomparve dai radar e le apparecchiature della Marina registrarono due esplosioni a distanza di pochi secondi l’una dall’altra, la prima più debole, la seconda potentissima. L’allarme che fece scattare le ricerche del vascello venne dato solo diverse ore dopo, e la notizia dell’incidente uscì due giorni dopo, mentre si diceva che a 108 metri di profondità ci fossero ancora dei sopravvissuti che mandavano Sos.

Le operazioni di soccorso cominciarono nei giorni successivi e furono fallimentari, mentre un groviglio di bugie dei militari su quello che stava accadendo fece esplodere d’indignazione l’opinione pubblica. Che rimase sconcertata anche dal comportamento di Vladimir Putin: il presidente, allora in carica da poco più di sei mesi, si stava godendo la sua prima vacanza da capo di Stato sul Mar Nero e si mostrava abbronzato e spensierato tra le palme di Soci mentre il Paese viveva attaccato ai televisori nell’angoscia per la tragedia. Diverse voci avevano chiesto a Putin di interrompere le ferie, di dirigere i soccorsi e accettare l’aiuto norvegese e britannico, ma lui rimase indifferente e si mostrò fiducioso verso i suoi ammiragli che stavano combinando un disastro umano e politico. Fu secondo molti il primo grande errore di Putin che sembrò capirlo volando poi nella base militare di Vidajevo per promettere in un drammatico faccia a faccia con la folla dei parenti delle vittime di tirare fuori il Kursk e dare alle famiglie la verità sulla tragedia e i corpi dei loro cari da seppellire. Un impegno morale che sembrava l’ammissione di una colpa e che venne rispettato: nel luglio del 2001 partì l’operazione senza precedenti e pochi mesi dopo il sottomarino affondato riemerse alla luce del sole. I cadaveri dei marinai vennero riesumati, il relitto del vascello ispezionato millimetro per millimetro. La ricostruzione dell’incidente ha accusato di tutto un siluro, probabilmente difettoso, che è esploso facendo detonare il resto dell’arsenale e uccidendo in pochi secondi la maggior parte dell’equipaggio.

I 27 sopravvissuti morirono di asfissia 30 ore dopo quando l’acqua allagò anche la poppa della nave. Nessuna possibilità di salvezza, nessun colpevole, inchiesta archiviata. Ma i dubbi sono rimasti. Gli ammiragli russi parlarono di una collisione con un sottomarino Nato. Si disse anche che il Kursk era stato affondato da un siluro partito accidentalmente da un altro incrociatore. Quanto alla spesa di 80 milioni di dollari per riportarlo in superficie, molti sono convinti che sia stato fatto perché il Kursk aveva nella sua pancia un segreto che non si poteva lasciare in mare.

Anna Zafasova
Fonte:www.lastampa.it
21.12.04

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