DI CHRIS HEDGES
Karl Marx ha spiegato le peculiari dinamiche del capitalismo, o quello che lui chiamava “il modo di produzione borghese“. Aveva previsto che il capitalismo conteneva al suo interno gli stessi germi che ne avrebbero provocato la fine. Sapeva che il pensiero dominante – vedi: neoliberalismo – era stato concepito per servire gli interessi delle élite e, in particolare, le élite economiche, dal momento che “la classe che dispone dei mezzi materiali di produzione, ha allo stesso tempo il controllo dei mezzi mentali di produzione” e che “ le ideologie dominanti non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti … quei rapporti che rendono una classe dominante rispetto ad altre”.
Aveva previsto che sarebbe venuto il giorno in cui il capitalismo avrebbe esaurito il suo potenziale e sarebbe crollato. Non sapeva quando sarebbe arrivato quel giorno. Marx, come ha scritto Meghnad Desai, è stato “un astronomo, non un astrologo della storia”. Marx era profondamente consapevole della capacità di innovazione e di adattamento del capitalismo. Ma sapeva anche che l’espansione capitalista non sarebbe stata sostenibile in eterno. E mentre oggi viviamo l’epilogo del capitalismo e la disgregazione del globalismo, Karl Marx si conferma come il critico più preveggente e importante del capitalismo.
In una prefazione a “Il Contributo alla critica dell’economia politica” Marx scriveva:
Nessun ordine sociale scompare finché non si sono sviluppate tutte le forze produttive per le quali in esso vi è spazio; e nuovi rapporti più elevati di produzione non appaiono mai finchè non siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza.
Pertanto, l’uomo pone a se stesso solo quei problemi che può risolvere; guardando la questione più da vicino, scopriamo sempre che il compito da assolvere nasce solo quando esistono già – o per lo meno siano in via di formazione – le condizioni materiali necessarie per la sua soluzione.
Il socialismo, in altre parole, non sarà possibile fino a quando il capitalismo non avrà esaurito il suo potenziale per un ulteriore sviluppo. Che la fine stia arrivando è difficile oggi contestarlo, anche se sarebbe sciocco stabilire con precisione quando. Per essere pronti, siamo chiamati a studiare Marx.
Le fasi finali del capitalismo, scrisse Marx, sarebbero state contrassegnate da sviluppi che alla maggior parte di noi oggi suonano molto familiari. Nell’impossibilità di espandere e generare profitti ai livelli del passato, il sistema capitalista avrebbe iniziato a consumare le strutture che lo sostenevano. Ovvero, depredare, in nome dell’austerità, la classe operaia e le fasce più povere, facendole affondare sempre di più nel debito e nella povertà, e diminuendo la capacità dello Stato di soddisfare i bisogni dei cittadini. Avrebbe, come ha poi fatto, iniziato a rilocare e trasferire posti di lavoro nel settore manifatturiero e per alcune categorie professionali, in paesi con manovalanza a basso costo. Le industrie avrebbero sempre più meccanizzato i luoghi di lavoro. Tutto questo avrebbe dato il via a un attacco non solo alla classe operaia ma anche a quella media – il baluardo del sistema capitalistico – camuffato dietro l’imposizione di grossi debiti personali, a causa della riduzione o della stagnazione dei salari. La politica, nelle ultime fasi del capitalismo, sarebbe diventata subordinata all’economia, con partiti completamente svuotati da ogni reale contenuto politico e vergognosamente asserviti ai dettami e al denaro del capitalismo globale.
Ma come Marx avvertì, ci sono dei limiti ad un’economia costruita su impalcature fatte di espansione del debito. Marx sapeva che sarebbe arrivato il momento in cui non ci sarebbero stati più nuovi mercati disponibili e nuove persone disposte ad assumersi altri debiti. Questo è ciò che è successo con la crisi dei mutui subprime. Una volta che le banche non hanno potuto trovare nuovi mutuatari, il sistema è andato in pezzi.
Gli oligarchi capitalisti, nel frattempo, accumulano ingenti ricchezze – 18,000 miliardi di dollari nascosti nei vari paradisi fiscali – ottenendole come tributo da coloro che loro stessi dominano, indebitano e impoveriscono. Il capitalismo, alla fine, diceva Marx, avrebbe tradito il mercato libero, insieme ai valori e alle tradizioni che sosteneva di difendere. Nelle sue fasi finali avrebbe saccheggiato i sistemi e le strutture che lo avevano reso possibile. Sarebbe ricorso a forme ancora più dure di repressione. Si sarebbe cimentato in un’ultimo frenetico ed estremo tentativo di conservare i suoi profitti saccheggiando le istituzioni pubbliche, contraddicendo la sua dichiarata natura.
Marx aveva previsto che nelle fasi successive del capitalismo, le grandi imprese avrebbero esercitato un monopolio nei mercati globali. “La necessità di un mercato in continua espansione per i suoi prodotti inseguirà la borghesia su tutta la superficie del globo” scriveva. “Si anniderà ovunque, si insedierà ovunque e ovunque stabilirà connessioni.” Queste società, siano esse del settore bancario, agro-alimentare, armamenti o comunicazioni, avrebbero usato il loro potere, utilizzando regolarmente i meccanismi statali, per impedire a chiunque di sfidare il loro monopolio. Avrebbero fissato i prezzi per massimizzare i profitti. Avrebbero, come hanno fatto, concluso accordi commerciali, come il TPP e il CAFTA per indebolire ulteriormente la capacità dello Stato-nazione di impedire lo sfruttamento delle risorse imponendo normative ambientali o di controllo delle condizioni lavorative. E alla fine questi monopoli corporativi avrebbero distrutto la concorrenza del libero mercato.
Un editoriale del 22 Maggio scorso del New York Times ci ha proposto una finestra su quello che secondo Marx avrebbe caratterizzato l’ultima fase di vita del capitalismo.
A partire da questa settimana, Citicorp, JPMorgan Chase, Barclays e Royal Bank of Scotland sono ufficialmente dei criminali, dopo che hanno confessato mercoledì scorso di aver cospirato per manipolare il valore delle valute di tutto il mondo. Secondo il Dipartimento di Giustizia, questa lunga e redditizia attività illecita, ha consentito a queste banche ingenti profitti, senza il rispetto delle norme di equità, giustizia e bene pubblico.
Il Times continua:
Le banche dovranno pagare una multa complessiva di 9 miliardi di dollari, somma stabilita dal Dipartimento di Giustizia USA e da regolatori statali, federali e stranieri. Non sembra poi un gran danno, considerando che la cosa è andata avanti per almeno cinque anni, dalla fine del 2007 all’inizio del 2013, periodo nel quale le operazioni di cambi esteri hanno lucrato a queste banche 85 miliardi di dollari.
Le fasi finali di ciò che chiamiamo capitalismo, come comprese Marx, non è più capitalismo. Le aziende mandano giù enormi bocconi di spesa pubblica, in sostanza il denaro dei contribuenti, come maiali intorno a un trogolo. L’industria degli armamenti, con i suoi $ 612.000.000.000 di autorizzazioni di spesa per la difesa nazionale, senza contare altre spese militari nascoste qua e là nei vari bilanci, facendo lievitare la spesa reale di sicurezza nazionale fino a oltre $ 1 trilione l’ anno, quest’anno è riuscita ad ottenere un impegno di spesa da parte del governo di 348 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni per ammodernare le nostre armi nucleari e costruire 12 nuovi sottomarini nucleari classe Ohio, per una spesa stimata di 8,000 milioni di dollari l’uno. Ora, come questi programmi di armamenti di massa potranno affrontare la più grande minaccia dei nostri tempi – il terrorismo – resta un mistero. Dopo tutto, per quanto ne sappia io, l’ ISIS non possiede una barca a remi. Spendiamo circa 100 miliardi di dollari all’anno in sorveglianza e intelligence; e il 70% di quel denaro va a imprese private come Booz Allen Hamilton, le cui entrate provengono per il 99% da fondi del governo degli Stati Uniti. E oltre a tutto questo, siamo i maggiori esportatori di armi al mondo.
Secondo il Fondo Monetario Internazionale l’industria dei combustibili fossili inghiotte in tutto il mondo 5.300 miliardi dollari l’anno in costi nascosti per poter continuare a bruciare combustibili fossili. Questo denaro, osserva il FMI va ad aggiungersi ai 492 miliardi di dollari in sussidi diretti stanziati dai governi di tutto il mondo attraverso detrazioni, concessioni e scappatoie varie per l’uso del suolo. In un mondo ‘sano di mente’ queste sovvenzioni dovrebbero essere investite per liberare l’uomo dagli effetti letali delle emissioni di anidride carbonica causate dai combustibili fossili: ma quello in cui viviamo non è un mondo sano di mente.
In questo articolo del 2013 di Bloomberg News intitolato: “Perché i contribuenti devono continuare a dare alle grandi banche ogni anno 83 miliardi di dollari?” si leggeva secondo il calcolo di alcuni economisti, le sovvenzioni pubbliche avrebbero dovuto ridurre gli oneri finanziari praticati dalle grandi banche di circa lo 0,8%.
“Moltiplicato per tutte le passività delle 10 maggiori banche statunitensi, equivale a sussidi da parte dei contribuenti per un totale di 83 miliardi di dollari l’anno”.
“Le prime cinque banche – JPMorgan, Bank of America Corp., Citigroup Inc., Wells Fargo & Co. e Goldman Sachs Group Inc. – rappresentano secondo il rapporto di Bloomberg 64 miliardi dollari della sovvenzione totale, una somma più o meno equivalente ai loro tipici profitti annuali. In altre parole, le maggiori banche dell’ industria finanziaria americana – con un patrimonio complessivo di circa 9 trilioni di dollari, praticamente la metà di tutta l’economia degli Stati Uniti – sarebbero appena in pareggio senza le sovvenzioni. Per la maggior parte, gli utili che dichiarano non sono che trasferimenti dai contribuenti agli azionisti.”
La spesa pubblica rappresenta circa il 41 per cento del PIL. Le società capitalistiche vogliono assicurarsi questo denaro: ecco spiegata la privatizzazione di gran parte delle forze armate, la spinta a privatizzare la sicurezza sociale, l’utilizzo di società per la ricerca di personale specializzato per le nostre 16 agenzie di intelligence, per non parlare della privatizzazione del sistema carcerario, scolastico e sanità pubblica. E nessuna di queste privatizzazioni dei servizi di base li hanno resi più efficienti o più economici. Non è questo il punto. Si tratta di un furto di quel che resta dei beni dello stato e allo stesso tempo della disintegrazione di quelle strutture su cui si basa lo stesso capitalismo. Marx aveva visto tutto questo.
Marx mise in chiara luce queste contraddizioni all’interno del capitalismo. Capì che le idee di un mercato capitalistico, di un mercato libero, di individualismo, d’innovazione e di sviluppo autonomo, funzionano solo nella mente utopica di un vero ‘credente’ come Alan Greenspan, ma non nella realtà. L’accaparramento di ricchezze da parte di un élite capitalista ristretta, come sapeva Marx, insieme allo sfruttamento dei lavoratori, hanno fatto sì che le masse non abbiano più potuto acquistare quei prodotti che hanno fatto crescere lo stesso capitalismo. La ricchezza si concentra nelle mani di un gruppo ristretto, quell’1% della popolazione mondiale che entro il prossimo anno possiederà più della metà di tutta la ricchezza mondiale.
Già da diversi anni è in corso il saccheggio della classe operaia. A partire dagli anni ’70 gli stipendi sono fermi o inferiori che in passato. La produzione è stata trasferita in modo massiccio all’estero, dove i lavoratori di paesi come Cina o Bangladesh sono pagati meno di 22 centesimi di dollaro l’ora. In tutto il territorio americano, i lavoratori impoveriti, costretti a competere con simili lavoratori che, più che tali, sono a livello di ‘servi della gleba’, oggi vivono di sussistenza. Settori come l’edilizia, che un tempo ha fornito moltissimi e ben remunerati posti di lavoro ‘sindacalizzati’, ormai sono sotto il dominio di lavoratori ‘non-sindacalizzati’ e spesso privi di documenti in regola. Le aziende importano ingegneri e specialisti informatici dall’estero, pagandoli un terzo dello stipendio normale con i vari H-1B, L-1 e altri visti di lavoro. Tutti questi lavoratori sono privi dei normali diritti dei cittadini americani.
Al crollo delle loro economie nazionali, di cui essi sono responsabili, i capitalisti rispondono diventando usurai e speculatori globali. Prestano denaro alla classe operaia e ai poveri a tassi di interesse esorbitanti, pur sapendo che quel denaro non sarà mai ripagato, per poi vendere questi titoli di debito, swap, obbligazioni e azioni a fondi di previdenza, municipalità, società d’investimenti e istituzioni. Questa forma di ‘tardo’ capitalismo si fonda su quello che Marx definiva “capitali fittizi”, che comportano, come Marx sapeva, la “vaporizzazione” del denaro.
Quando i mutuatari dei subprime hanno iniziato a venir meno alle loro obbligazioni, cosa che le grandi banche e le società d’investimento sapevano bene sarebbe avvenuto, ci fu il crollo globale del 2008. Il governo ha salvato le banche, in gran parte stampando denaro, ma ha lasciato in povertà gli studenti e la classe operaia, per non parlare di quelli appena usciti dai college, con un debito paralizzante sulle spalle. La politica è diventata austerità. Le vittime delle frodi finanziarie sono state costrette a pagare per quelle stesse frodi. E cosa avrebbe salvato il paese da una vera profonda depressione cosa è stato (Marx lo avrebbe trovato ironico)? Un massiccio intervento dello stato nell’economia, oltre alla nazionalizzazione di grandi aziende come l’AIG e la General Motors.
Quello che abbiamo vissuto nel 2008 non è stato che l’emanazione di un welfare state per ricchi, una sorta di socialismo di Stato per le élite finanziarie, cosa che Marx aveva predetto. Ma insieme a questo, ha preso il via anche un ciclo alternato di espansioni e di frenate economiche, che ha portato il sistema ancora più vicino alla disintegrazione e al crollo. Solo nel primo decennio del 21° secolo abbiamo vissuto due grandi crolli del mercato azionario e l’implosione dei prezzi immobiliari.
Le società che possiedono i mezzi di comunicazione hanno fatto gli straordinari per vendere a un pubblico sconcertato l’idea falsa che stiamo assistendo finalmente ad una ripresa. I dati sull’occupazione, attraverso una serie di espedienti, tra cui la cancellazione dalle liste di disoccupazione di quelli che sono disoccupati da oltre un anno, sono una menzogna, come lo è quasi ogni altro indicatore finanziario sfornato al pubblico. Invece, stiamo vivendo la fase crepuscolare del capitalismo globale, una fase che può dimostrarsi sorprendentemente più resistente di quanto potessimo aspettarci; tuttavia, è decisamente una fase terminale. Marx sapeva che una volta che il meccanismo di mercato fosse diventato l’unico fattore determinante per le sorti dello Stato-nazione, così come del mondo naturale, entrambi sarebbero crollati. Nessuno sa quando ciò avverrà. Ma appare certo che accadrà nell’arco della nostra vita.
“Il vecchio sta morendo, devono nascere nuove battaglie, e l’interregno presenta molti sintomi morbosi”, scriveva Antonio Gramsci.
Quello che seguirà, dipende da noi.
Chris Hedges è da circa vent’anni corrispondente estero in America Centrale, Medio Oriente, Africa e Balcani. Ha fatto servizi in più di 50 paesi diversi e ha lavorato per The Christian Science Monitor, National Public Radio, The Dallas Morning News e The New York Times, dove è corrispondente dall’estero da 15 anni.
Fonte: www.truthdig.com
Link: http://www.truthdig.com/report/item/karl_marx_was_right_20150531
31.05.2015
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SKONCERTATA63
NB
Questo articolo raccoglie le osservazioni di Hedges di sabato scorso al Forum della Sinistra di New York City in un dibattito on i professori Richard Wolff e Gail Dines. Tutti e tre hanno convenuto sull’importanza oggi della figura di Karl Marx, in un momento in cui il capitalismo globale sta crollando.