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Di Alceste, alcesteilblog 

Roma, 30 gennaio 2023

Come può la sinistra sostenere un comico ebreo appoggiato da milizie e gruppi apertamente nazionalsocialisti? I vaccinatori sono fascisti? Come è possibile che il comunismo, morto nel 1989, risorga e venga recato avanti da turbocapitalisti? Se la Prima Repubblica fu anticomunista, e sostenuta da ambienti NATO, perché tali ambienti procedettero alla distruzione dei partiti anticomunisti e insediarono sul trono, dal 1992, i comunisti? Perché la fascista Meloni è concettualmente solidale con Enrico Letta in politica estera?
Come può accadere tutto questo, si domanda disperato il micco online. Non ha senso! L’avrebbe se si smettesse di giudicare per categorie e secondo il tifo. Ogni cosa, allora, tornerebbe a una terrificante ragionevolezza. Il nazismo, il fascismo, il comunismo, il liberalismo … non esistono … o, se son esistiti, in una fugace contingenza, hanno goduto il rilievo della moda delle borsette arancio mattone presso le borghesotte col tacco 12 … Ma non è possibile! Non è possibile! Tutto è possibile, se è logico … i protagonisti della storia novecentesca, apparentemente conflittuali, obbedivano evidentemente a Qualcosa d’Altro … qualcosa di radicato e definitivo che li inchiodava a certi comportamenti e non ad altri … ciò non toglie che i milioni si scannarono in buona fede, come in buona fede sembra l’omuncolo online …
L’Uomo calpesta la Terra da milioni di anni: volete che siano cambiate le sue losche attitudini da quando roteava ossa di bufalo? Per tacere di categorie da ier l’altro, fascisti socialisti liberali dirigisti antidirigisti … pallide carnevalate dell’Usura …

Pian piano, come ratto dalla fessura d’un impiantito prossimo alla marcescenza, fece capolino l’Economista, maschera da commedia dapprima relegata negli stambugi dei dipartimenti tecnici. Novelle inaudite. L’Italia – Egli affermò – ha troppe piccole imprese. Molte agnatizie; o addirittura strettamente familiari: papà mamma e figli. Come possiamo, dunque, reggere l’urto delle multinazionali in una prossima era globale? Occorre aprirci. A favorire le grandi concentrazioni. I giganteschi flussi monetari. Lubrificando l’orifizio d’entrata nei riguardi dei mercati internazionali e transnazionali e sovrannazionali et cetera. Solo così sopravviveremo. Insomma, poppolo mio, mi rivolgo a Te direttamente: dobbiamo aprirci. Come? L’ho già detto? E allora lo ribadisco. E così sia.
Dai giornali, dalle televisioni, dalle radio, da Bolzano a Capo Maluk s’iniziò lentamente a martellare: siamo troppo piccoli, provinciali, sparsi sul territorio, si deve privatizzare, crescere, inglobare, concentrare, ingrandire … e aprire … Gli squittii, da cacofonia assordante, si composero finalmente in un coro angelico d’entusiastica asseverazione. I primi supermercati, ipermercati, centri commerciali … i primi trust, svendite, fusioni … gli approcci, dapprima timidi, poi via via più spinti, in pochi lustri ci trasformarono, a forza d’aperture, nella baldracca d’Europa. Trent’anni riassunti in step motion: la multinazionale induce il povero bottegaio all’elusione fiscale. La multinazionale rilancia, tagliando spese, costi ed esseri umani. Il bottegaio contrasta come può, riducendo qualità e fregando il prossimo ovvero il cliente. La multinazionale, che tiene il banco, getta sul piatto offerte dumping da capogiro. Il bottegaio sconta, si restringe, licenzia garzoni e commesse, vende peltro per argento, lucra meschinamente negli angoli del microcapitalismo bottegaio, erige trincee fiscali, bara sul resto a nonno Gianni che da mezzo secolo va da lui a prendersi il caffè. Muore nonno Gianni. Il digitale esentasse cala la ghigliottina finale. Il negozio chiude. Gl’Italiani erompono: “Era ora! Il futuro è veloce, sicuro, economico! Ho ordinato le ciabatte da mare, le mutande di Armani, il libro della Littizzetto e mi è arrivato in giornata! C’era un difetto e mi hanno rimborsato subito! Una mail di scuse gentilissima! I cuscini da piscina li ho presi su Lady Godiva a 2,99 … meno male … da Marisa lo sai a quanto stavano? A 4.00 … sembra poco, ma …”. Intanto l’Economista, che assomiglia un poco a nonno Gianni, si gode i milioni delle multinazionali, sistema la famiglia nell’Apparatčik nazionale e va in pensione ammonendo i nipoti su quanto siano insensibili gli Italiani. Altri e nuovi economisti, pagati con ciabatte da mare e mutande di Armani a prezzo scontato, certificheranno il fenomeno della sparizione delle microimprese quale “inevitabile conseguenza di un inevitabile sviluppo storico-economico”.

Il piccolo patriziato impiegatizio, gendarmi infermieri passacarte e mezzemaniche, involontario carnefice del Paese, nemmeno si rende conto del processo innescato: lo svuotamento di senso dello Stato. Lo Stato nazionale aveva già usurpato il ruolo spirituale dell’Italia; ora residua, a pochi decenni dalla creazione, a puro guscio di un’entità aliena che ne sfrutta esclusivamente i tentacoli repressivi. Polizia e fisco ovvero gendarmi e burocrazia … verboten verboten verboten … Usura e Repressione … ovvero, in neolingua, Democrazia e Libertà, a questo è ridotto il cosiddetto libero cittadino nel libero Stato … che, già nella formulazione massonica, il cittadino veniva implicitamente considerato un non-italiano poiché cittadini possono diventarlo tutti, a differenza dell’Italiano … un espatriato, quindi, un esule in casa propria, un abusivo. E pensare che c’è chi invoca più Stato … dov’è lo Stato … ci serve lo Stato … i terremotati son ancora sotto la neve: lo Stato che fa … citrulli über alles … non s’accorgono che è proprio questo lo Stato … cioè lo stato delle cose attuali … è lo Stato a far saltare in aria i magistrati veri, a crivellare gli ultimi statisti, a lasciare col culo al freddo i propri con-cittadini … e ci gode pure.

A mio avviso, a grattare la questione sin ai fondamenti, l’evasione fiscale nemmeno esiste … intendo: una volta che hai abolito le eterne pietre miliari come l’oro e i metalli preziosi … la moneta ritorna sempre al banco … in qualsiasi forma vogliate … allo Stato, forse … se non peggio …”. Così, una volta, osai … durante un sonnacchioso incontro sulla letteratura inglese dell’Ottocento … Una menade ivi presente, di cui manco rammento il nome (Mariaelena Fagiolini Dell’Orto?), abbandonato momentaneamente il territorio d’elezione (genere: “La Fregna Martire ovvero il femminismo come reazione all’ingiustizia patriarcale connaturata alla nascita dell’uomo: dall’ameba a Trump”) aprì da subito i fanali mascarati dell’indignazione: ma come! ma cooomeee! … lanciandosi, poi, la giugulare debitamente rigonfia, lungo i prestabiliti sentieri dell’evasione del fabbro, del dentista e del leguleio. Lasciai perdere. Le vie dell’economia non mi va di trattarle convenientemente poiché le ritengo secondarie. Posso annotare questo: presto non vi saranno né avvocati né commercialisti; e nemmeno dentisti: almeno non nell’accezione data dall’isterica. Fabbri e falegnami? Già spariti. Andiamo verso l’evasione 0 … e, poiché il denaro non controllato, almeno negli ultimi trent’anni, pareva l’unico in grado di smuovere l’economia interna, si avrà, inevitabile, la morte d’essa. In un mondo gestito come un alveare automatizzato a cosa potrebbero servire commerci, spostamenti, proprietà, soldi e transazioni se non a infastidire la Monarchia Universalis?

La signora Liliana Segre si lamenta: “Una come me ritiene che tra qualche anno sulla Shoah ci sarà una riga tra i libri di storia e poi più neanche quella”. Sì, inevitabile. Si tratta dello Spirito dei Tempi, quello vero e subdolo, che gonfia le rane e le ranocchie della storia a proprio piacimento. L’Ebreo Addolorato servì, ora non serve più. I bugigattoli del Potere sono pieni di tali cianfrusaglie. Ne accennai in L’Olocausto in soffitta (segnali dal Mondo Nuovo), ma, evidentemente, i piagnistei alla Spielberg erano ancora troppo cocenti: si aveva paura persino a nominarlo, l’Olocausto. Il Mondo Nuovo, però, non sa che farsene né dei piagnistei né della storia né degli Ebrei Addolorati né, presto, degli Ebrei tout court: sono serviti, alcuni di loro serviranno ancora, visto il loro genio nell’invertire le frittate psicologiche, presto non serviranno più. Il cappottino rosso di Schindler’s list farà la fine del cane impagliato de Il Gattopardo. Nei decisivi trapassi storici ciò che fu utilizzato strumentalmente si butta via: “Battista, mi liberi di questo ciarpame!”.

Le pagine finali de Il gattopardo sono il grumo concettuale del capolavoro di Tomasi di Lampedusa. Il potere si riorganizza sotto altre spoglie; ciò che prima lo rappresentava viene, perciò, liquidato. Gli antichi simboli, i lares, i capisaldi: tutto al macero.
Il prelato anziano che la mattina del 14 maggio si recò a villa Salina era quindi un uomo buono ma disilluso che aveva finito con l’assumere verso i propri diocesani una attitudine di sprezzante misericordia … fu cortese ma freddo e con troppa sapiente mistura seppe mostrare il proprio rispetto per casa Salina e le virtù individuali delle signorine unito al proprio disprezzo per la loro inettitudine e formalistica devozione”.
Qui si ritrova l’altrettale disprezzo di Jorge Bergoglio, oramai lanciato verso la religione del Mondo Nuovo, ecumenica e insulsa, contro gli antichi fedeli in Cristo. Per lui quell’Ebreo che rovesciava i tavoli nel Tempio ha un che di fastidioso: tanto da apparirgli un Cristo per caso: ben altri Unti, oggi, gli premono …
Il prelato anziano non sa che farsene della fede delle tre sorelle Salina. Le rispetta, come oggi il CEO di Pfizer può rispettare Liliana Segre, ma il Potere ha cambiato casa: sono arrivati Garibaldi, l’Unità d’Italia, the new world. Egli procede, quindi, coerentemente, alla messa in liquidazione dell’armamentario simbolico di quel mondo in dissipazione: “A mio parere l’immagine della Madonna di Pompei occuperà degnamente il posto del quadro che è al disopra dell’altare, il quale, del resto, potrà unirsi alle belle opere d’arte che ho ammirato traversando i vostri salotti. In quanto alle reliquie lascio qui don Pacchiotti, mio segretario e sacerdote competentissimo … e quando deciderà sarà come se lo avessi deciso io stesso … [Don Pacchiotti] era stato allievo della Scuola di Paleografia Vaticana, inoltre era piemontese … Dopo tre ore ricomparve … con un’espressione di serenità sul volto occhialuto … ‘Sono lieto di dire che ho trovato cinque reliquie perfettamente autentiche … le altre sono lì’ disse mostrando il cestino … ‘E di quel che c’è nel cestino cosa dobbiamo fare?’ ‘Assolutamente quel che vogliono … conservarle o buttarle nell’immondizia; non hanno valore alcuno”.
Don Pacchiotti, già nel nome un sazio rappresentante dello scetticismo massonico montante, avvia la liquidazione. L’Antico Mondo della famiglia Salina non ha più senso: al pari di credenze ritenute fin lì indiscutibili: persino uno degli amati Lari di famiglia – Bendicò – è sentito come inservibile; il futuro preme, e il passato, che più non protegge coll’esangue sua apotropaica, non fa che suscitare sensazioni di sconfitte inguaribili: “[Concetta] continuò a non sentire niente: il vuoto interiore era completo … financo il povero Bendicò insinuava ricordi amari. Suonò il campanello. ‘Annetta’ disse ‘questo cane è diventato veramente troppo tarlato e polveroso. Portatelo via, buttatelo’. Mentre la carcassa veniva trascinata via, gli occhi di vetro la fissarono con l’umile rimprovero delle cose che si scartano, che si vogliono annullare  … quel che rimaneva di Bendicò venne buttato in un angolo del cortile che l’immondezzaio visitava ogni giorno: durante il volo giù dalla finestra la sua forma si ricompose in un istante: si sarebbe potuto vedere danzare nell’aria un quadrupede dai lunghi baffi e l‘anteriore destro alzato sembrava imprecare. Poi tutto trovò pace in un mucchietto di polvere livida”.

Quante strida, quanti clamori … ora, però, la Shoah se ne va nell’inghiottitoio della dimenticanza. Si avvertano cineasti, storici, turiferari e sguatteri fabbricanti di lacrimatoi. Sarà uno spettacolo incredibile, silenzioso e colossale. La sparizione dell’Olocausto avverrà sotto gli occhi di tutti senza che tutti – a eccezione di una manciata di eletti, mi si perdoni il calembour – se ne accorgano. La senatrice Segre annusa l’aria e si fa pessimista. Per sua sfortuna – è una mia illazione, però – attribuisce il fenomeno, impossibile persino a concepirsi sino a qualche anno fa, alla causa sbagliata. Non vorrei che se la prendesse con l’indifferenza degli Italiani (Gramsci), col fascismo innato degli Italiani (Eco) o addirittura con l’antisemitismo degli Italiani che mai è esistito per un semplice fatto: che gli Ebrei sono fra noi da prima di Cristo e, dopo un par di millenni di persecuzioni, ancora sono fra noi, spesso in luoghi eminenti del Paese, a concionare da par loro sulle fanfaluche a (loro) congeniali. L’antisemitismo è l’ombra portata degli Ebrei stessi, se ne rendano conto fuor del delirio vittimistico hollywodiano che li pervade: a meno di non voler concepire un complotto mondiale di popoli e nazioni che li hanno sulle scatole da millenni: un po’ difficile da dimostrare, però. Complotto che, a sua volta, ha indotto qualcuno a pensare che vi sia un complotto speculare di rabbini con le pulci nelle barbe … per fortuna tutto questo vociare si sta lentamente spegnendo. L’Illuminismo Nero volge alla fine, ora siamo nel Totalitarismo Casual che non sa che farsene di tali accensioni. Anche Israele prima o poi dovrà capitolare. Una presidente alla Knesset è l’ideale per lo scurdammoce ‘o passato … anche la partecipazione della Palestina ai Giochi Panasiatici, con un bel bronzo simbolico, sarebbe un bell’acchiappo … il tifo spiana le montagne … certo, ora son macigni, ma con la buona volontà diverranno sassetti.

Non vorrei, però, che mi si prendesse per nemico di Liliana Segre. Per mia costituzione – è indizio di salute morale – odio la vana petulanza quanto amo le vittime; come lei, Liliana.
L’avventuroso nostos da Ravensbrück di Liliana avvenne, infatti, in compagnia di un’amica, Graziella. Liliana Segre, di alto lignaggio e censo, e Graziella Coen, una semplice ragazza di borgata, anche lei appena adolescente. Le due rimasero in contatto per anni, condividendo ricordi e parte della vita adulta durante la pace dolcissima; poi, forse, il divario di classe si fece sentire. E il tempo sgretolatore prese a lavorare animi e vicende. Graziella si trasferì fuori d’Italia, in Sudafrica. Il papà, la mamma e tre fratelli s’erano spenti nei campi tedeschi. In borgata, a Roma, i Coen avevano abitato in una casetta minima, accanto alla locale Casa del Fascio. La famiglia subì le discriminazioni delle leggi del 1938, peraltro abbastanza lasche in periferia, ma nessuno si sognò di torcergli un capello. Andò peggio agli Americani di origine giapponese dopo Pearl Harbour. Solo l’armistizio e l’occupazione germanica della città dal 10 settembre 1943 originarono la persecuzione mortale.
Con tale episodio non voglio significare nulla.
E nemmeno spiegare l’Olocausto in quella piccola porzione d’Italia che è Roma; solo dire qualcosa sul corpo secolare degli Italiani nonostante gl’inevitabili delatori, i sicari nell’ombra, i sicofanti e gli assassini.
Oggi sei pietre d’inciampo ricordano la famiglia Coen. Dopo 78 anni chi avrà dato l’impulso ad apporle? Forse un Giusto?
Ho sempre amato risiedere nell’inattuale. E fare il contrario del contrario.

Anche la mafia s’acconcia alla fine di Bendicò. Prima serviva, ora non serve più. Evidentemente la sua posizione, come quella d’una colf cingalese, si sta lentamente regolarizzando. L’arresto di Matteo Messina Denaro, uomo integerrimo e latore di bancomat, greenpass e identità digitale, sta lì a dimostrarlo. Dopo una latitanza dorata, la dolce consegna ai gendarmi: un po’ dimessa, in verità, rispetto a quella, assordata da tricche-tracche e putipù, del vecchio Totò Riina.  Allora si era in fase di spettacolarizzazione, oggi la recita è sotto gli occhi di tutti e va avanti con la pura forza dell’incanto. Un mondo si chiude, se ne apre un altro. I furori, i libri, le accuse, i morti: ogni massacro dimenticato, quale sogno fuggevole. I simboli antimafia, poi … vedrete che risate. Li avvieranno, come rifiuti cimiteriali, al debito compostaggio della storia. I cortei, le lacrime, i filmini, il giudice ragazzino … gli Occupanti hanno spedito l’Anziano Prelato e i Don Pacchiotti d’ordinanza … presto anche i pasdaran si acconceranno al nuovo corso, in fondo fanno parte della medesima risma solo che, fedeli alla consegna, aspettano diligenti le indicazioni per l’uso.

9 maggio 1978: in una Renault è rinvenuto il cadavere crivellato del presidente del Consiglio della Repubblica Italiana Aldo Moro, sequestrato il precedente 16 marzo. Le Brigate Rosse, autrici dell’assassinio, sono all’apice della potenza.
28 marzo 1980: i Carabinieri coordinati da Carlo Alberto Dalla Chiesa fanno irruzione nel covo genovese dell’organizzazione. Lo scontro a fuoco lascia per terra Dura, Panciarelli, Betassa e Annamaria Ludmann. L’inizio della rapidissima fine, al netto di qualche anarchico colpo di coda. Le Brigate Rosse servirono, ora non servono più.
3 settembre 1982: Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto antimafia di Palermo, è massacrato assieme alla moglie. Servì, ora non serve più. Di qui la macabra locuzione: servitore dello Stato. A quel tempo il PCI è già defunto, così come la DC. Il PSI è temporaneo partitino casual.
1992: viene liquidato l’intero corpo amministrativo-economico d’Italia. Servì, ora non serve più.
2023: l’Italia stessa è posta all’incanto, i cartelli del prezzo scontato appiccicato sulle vetrine. Nei social ci si indigna per gli antisemiti, l’omotransfobia e gli evasori fiscali.

La legge recita, spietata: più facile trovare un cumulo di merda che una colonna corinzia. I due stati della materia, nettamente evidenti a chiunque, non vengono, però, ben compresi dalle moltitudini nella loro intima natura. Il primo è talmente facile da osservare che, a qualsiasi livello d’esistenza, sia fisica che spirituale, non facciamo che ritrovare merda; tanto che gran parte del creato è in sospetto d’esser così costituito. Poi vi è il miracolo della colonna corinzia (è un esempio banale, da liceali; mi si perdoni). La distillazione di tale forma ha richiesto centinaia di migliaia di anni, millenni di prove e selezioni, la nascita di un genio e di un gusto e poi quella, decisiva, di una bottega che non lasciasse sfiorire tale orchidea. Prove, selezioni, millenni: combinazioni che hanno una probabilità minima di inverarsi, al limite dell’infinitesimo. E tuttavia noi possiamo vederlo, di fronte a noi: il toro, la rastrematura, le foglie d’acanto … Siamo degli eletti posti di fronte a uno spettacolo formidabile. Per questo le colonne corinzie furono un tempo custodite nei musei e la merda relegata in fondo alle turche. Ma la merda dilaga. La si trova dappertutto, anche nei musei, per la nota legge dell’inversione postmoderna. L’Arcinemico ci si rivoltola dentro come un cinghiale negli acquitrini delle fogne comunali: “Palazzo Strozzi torna al contemporaneo con Ólafur Elíasson … uno dei più originali e visionari artisti contemporanei … che nei suoi progetti coniuga fotografia, pittura, scultura e media digitali … Ólafur Elíasson vuole mostrarci l’invisibile. Vuole farci sapere che esistono arcobaleni nell’oscurità, che l’orizzonte muta continuamente. Non gli basta farci capire la crisi climatica, ma – più pragmaticamente – ci spinge ad avvertirne l’urgenza”. Elíasson, ovviamente danese, cioè una nullità, propone installazioni immersive e altre trovate mirabolanti: un pezzo di ferro di cantiere in Val Senales (land art) che nessuno visiterà e di cui nessun assessore alla paesaggistica gli renderà conto, un poliedro colorato che nemmeno il peggior Swarovski oserebbe proporre al pubblico, una palla riflettente, bande di luce colorata traverso una nebbia da fumogeno Champions League, una cascata artificiale, dodici pezzi di ghiaccio in circolo. Opere costosissime, insulse, pronte per l’immediata dimenticanza. Eppure i mecenati fanno la fila. Lui, ex breakdancer,  è costretto ad accettare solo l’1% delle commissioni. Un divo dell’arte postmoderna.
Ma da chi è ammirato? Da nessuno, ovvio, a chi potrebbero piacere questi accrocchi? E allora perché il successo? Perché deve averlo, è un paladino del climate change. E i critici entusiasti? Non ve ne sono. Certo, esistono alcuni enigmisti abili a girare in tondo alcune insensatezze come questa: “Trascendendo i confini e i limiti fisici dello spazio, le opere di Olafur Eliasson consentono di mettere in discussione la distinzione tra realtà, percezione e rappresentazione. Palazzo Strozzi diventa così un luogo di incontro tra l’architettura e la sua storia, le opere e le persone, lo spazio e il tempo”. E che significa? Niente. Potremmo divertirci a commutare parole e brani della frase a caso (Es. “Trascendendo la realtà e la percezione dell’architettura, le opere a Palazzo Strozzi di Elíasson consentono alle persone di aprirsi alla realtà storico-temporale oltre i confini e i limiti fisici”) e nulla cambierebbe. Voi direte: ma sarà un fiasco! Evidentemente non avete capito nulla. I soldi non contano. Sola la distruzione conta. Può darsi che questo tizio si senta davvero un artista. Di allocchi è pieno il mondo. I mecenati, le mostre, il successo, gli articoli, le recensioni entusiaste … nulla esiste, è tutto fittizio, ogni cosa costruita. Il risultato, però, la distruzione dell’apprezzamento della colonna corinzia, ripagherà di tanta commedia.

Oggi mi son seduto all’interno d’una hamburgeria mondialista; in attesa del caffè. Il caffè, infatti, è quasi bevibile, migliore di alcuni bar. Mi son posto in osservazione dei dannati buttati lungo i banchi incrostati dal crassume delle passate orge. C’era nell’aria un che di malsano che permeava uomini e cose, a mezzo fra una nostalgia senza oggetto, d’amara indeterminazione, e l’afflizione di chi sconta una pena. Una Malebolge senza dolore fisico, ma di devastante orrore spirituale come chi osservasse allo specchio una propria allucinata parodia. Le bocche s’allargano, smisurate, stravolgendo l’intera fisionomia facciale: occhi strabuzzati, naso da aborigeno australiano, il capo chino, la schiena ingobbita onde avvicinare la dentiera stralunata a quel boccone flaccido che conviene spingere dentro come a un tritacarne psicopatico: a impedire che il poltiglioso ripieno coli in brani, di macinato insalate e melassose misture, su vassoi di plastica, tovagliolini, tavolinetti. E poi lo strappo del boccone, cogli incisivi a tranciare beati quella conquista: la famelica masticazione, le gote enfie, ripiene di quel pastellato indefinibile; e gli occhi furtivi, a saettare qua e là, come palline da flipper, da pazzi … a constatare cosa? Che non vi siano ladri di cibo nei dintorni? Hanno davvero fame questi poveretti? Arriva il caffè, un marocchino col fondo alla nocciola. Euri 1,70. La ragazzetta che me lo serve, un mucchietto d’ossa di vent’anni con l’apparecchio ortodontico, prima mi sorride pietrificata, come d’ordinanza, poi, allontanandosi, si rabbuia scorata. La badessa del posto, intanto, anch’ella minuta come uno scricciolo, dirige l’orchestra a mezzo fra tavoli e cucine, forse credendosi una top manager del bisunto: un cappellino blu, da cui sbuca la coda di cavallo, le movenze esagitate, gli sguardi fulminei, da kapò della piastra elettrica, la man destra a posizionare microfono e blue tooth, ella governa uno stanco drappello di condannati intenti a cucinare e servire ad altri condannati piatti colanti grascia postatomica; a spillare dagli alambicchi qualche intruglio di micidiale effervescenza zuccherosa; donut, ciambelline, big snack, medium e magnum menu, offerte family. E sia! Un due tre! Alla vista di quel fordismo esasperato quanto futile, ecco la vertigine. Son pochi secondi in cui ogni suono e parola vien meno … una bolla racchiude l’umanità di fronte a me, rallentata come in una pantomima spettrale: “No. Non può essere vero. Forse non sono nemmeno qui. O magari sono qui e mi è preso finalmente un infarto liberatore. Impossibile, questa è una recita. Ricavi, guadagni, forniture, personale, pane, carne, cibo, pubblicità, imposte, tasse, partita doppia. Pura mascheratura. Ciò che importa è solo la distruzione, non altro. La distruzione delle abitudini … del gusto … persino del galateo a tavola. Impossibile che tale baraccone abbia trentamila punti vendita nel mondo … impossibile che vi sia un’economia che funziona in tutto questo … forse … forse all’inizio fu così, ma non dopo … solve et coagula … la merda. Il capitalismo è una serie di atti mimetici, vuoti … non c’è capitalismo oramai, né padroni o dipendenti o sindacati … merce, valore, prezzo, son tutte fanfaluche … queste sono industrie del Nulla, a tal fine finanziate. E basta. Servono per questo, come Elíasson. Presto non serviranno più“.

Pure il calcio è finito. Dopo la sentenza Bosman, che liquidò le ciabattate d’antan, quelle che l’Italianuzzo ascoltava alla radio ogni domenica alle 15.00 in punto, si provvede alla dismissione di quello turbo capitalista delle pay tv e compagnia. Il servizio, peraltro, sempre più scadente, lascerà progressivamente luogo a un calcio mimato, digitale, da attori. Lo spettacolo conta, non la competizione. Finché, un bel giorno, senza che nessuno se ne accorga, arriverà il calcio digitale cioè la finzione pura. I tifosi, che, appunto, tifano, senza amare lo sport, si acconceranno presso olovisori postmoderni a seguire le vicende di ipertrofici quanto anonimi gladiatori: in attesa degli automi che li sostituiranno definitivamente.

Mi fanno notare un tizio sui social che così si presenta: “Chemist, science writer, comics lover, scientific amateur cook. Non rispondo a quelli sdraiati sulla coda sbagliata della gaussiana”. L’autopresentazione è precisa: fumetti e tecnoscienza, amatorialità e sedicente superiorità intellettuale: la consueta mescola degli eredi del ’68. Il tale irride chi non si apre ai nuovi cibi ricordando che nel Sei-Settecento patate e pomodori furono visti con sospetto dai medioevali mangiatori di rape. Egli, ovviamente, dimentica il feroce processo di selezione di cui furono vittime i pomi-doro, piccola e succosa bacca giallastra strappata in terra azteca da Hernán Cortés. Usata come pianta ornamentale, la pianta del pomodoro subì incroci ed esperimenti sino a rendersi commestibile ai piani bassi della società. Le cavallette e i grilli, invece, sono con noi ab immemorabili e mai ci venne in testa di ingoiarli in luogo di lepri e fagiani. Ma queste sono argomentazioni a latere. Quella principale, che nessuno vuole considerare, è che l’ecologismo e l’economicismo son solo recenti e artificiosi strumenti congegnati per la nostra dissoluzione. Non vi è ragione pratica o morale per mangiare l’immondo, solo antispirituale. La spiritualità, come l’aspirazione naturale alla bellezza, non è vaga idea fluttuante nella regione del relativismo: è una concrezione precisa, storica, ottenuta per stillicidio a prezzo di sacrifici e sangue, la sola in grado di mantenerci nella benigna regione solare dell’esistenza.
La convinzione che Bellezza e Spiritualità siano fumosi argomenti da verginelle pronte a entrare nella Congregazione delle Suorine della Carità di Santa Giovanna in Cosmedin … questo è ciò che vogliono farvi credere … al pari dell’altro fanatismo indotto: che la sciocchezza qualunque d’uno scientific writer nel 2023 sia superiore alle considerazioni della casalinga di Efeso nel 321 a.C. … è la convinzione del progresso che dovete estirpare dalla mente e che, purtroppo, ancora domina tutti noi …

I crucchi, questi ragazzoni intemperanti e massimalisti che cominciarono a scribacchiare nel Quattrocento … ne hanno combinati di guai … e pensare che l’Olocausto fu reso possibile da Cassio e Bruto … vedete voi come la storia possa esser birichina. Giulio Cesare aveva già preparato il piattino … un giornalista di Dagospia, Gaio Svetonio Tranquillo, riferisce, infatti, come Cesare, questore nella Spagna Ulteriore, fosse inviato a ispezionare le sedi dei tribunali locali: “In una di quelle occasioni, a Cadice, vide presso il tempio di Ercole una statua di Alessandro Magno, e ne fu molto rattristato. Si accorse di non avere compiuto, alla sua età, nulla di importante: alla stessa età, Alessandro aveva già conquistato tutto il  mondo. Si sentì disgustato dallo spettacolo della propria inerzia e poco dopo chiese un congedo, per potere trovare a Roma, il più presto possibile, le occasioni di segnalarsi”. L’imitatio Alexandri dominò la sua intera esistenza. Così agisce l’utopia. Vercingetorige, Crasso, Ariovisto, Farnace … sotto il lucido e spietato imperio della volontà tali uomini si trasformarono in comparse di un appressamento alla divinità. Il riflesso di un sogno. Era forse tutto pronto a Roma? Legioni, testudines, masserizie, costruttori di burgi, fabbri, mignotte, tibicines ac cornicines … verso l’Oriente magico … ecco il sogno: dalla Grecia arrivare nella terra dei Parti, distruggerli, annettere Persia e Mesopotamia, Babilonia … e l’Asia sin all’India! E poi ritornare, come una risacca oramai invincibile, lungo il Caspio e il Caucaso, piombare alle spalle delle tribù germaniche e definitivamente annientarle … e quindi i trionfi, le rime, il vociare mitico che si sarebbe ripercosso nei millenni: e quel nome, Cesare, echeggiato nelle lingue remote e barbare dell’ecumene, e ancora più lontano, nei dialetti e negli impasti balbuzienti e timorosi delle genti: timore di quel nome, plasmato e rimodellato come il flatus della divinità perché “il dio è giorno notte, inverno estate, guerra pace, sazietà fame, e muta come il fuoco quando si mescola ai profumi e prende nome dall’aroma di ognuno di essi”. Ci saremmo evitati i Sassoni, Enrico VIII, Lutero, Metternich, Churchill, l’idealismo trascendentale, Hitler, Marx, Alberto da Giussano, la Scuola di Francoforte, la Segre Piangente e pure Goethe colle sue nostalgiche manfrine romane … poiché non ne avrebbe avuto bisogno, già lui romano … e magari, ma son dettagli, avrebbe ereditato per altro sangue l’impulso tutto nostro a sciacquarsi più spesso id est a una toilette più curata di piedi e ascelle invece d’incipriarsi come Platinette.

Virgin Radio tappezza di manifesti le città. Le solite sciocchezzuole. Un modello a torso nudo, le ali d’angelo, che tira fuori la lingua; una bella suora con le cuffie dallo sguardo smegmatico. Tralasciamo il simbolismo della lingua di Kali (morte, purificazione e cambiamento), accantoniamo la stanca volgarità della dissacrazione ai danni del Cristianesimo: nemmeno i pubblicitari si rendono più conto di cosa combinano maneggiando certa nitroglicerina del profondo. Tali patetiche effervescenze ci dicono, tuttavia, di più. Svelano una decadenza e un inevitabile e tragico fallimento. Questo: che gli iconoclasti si nutrono esclusivamente di ciò che dissacrano. I baffi alla Gioconda, l’informale polimaterico, il cubismo, gli scherzi dadaisti, l’espressionismo, l’astrattismo più bieco … si è stati indotti, più o meno in malafede, a credere che avessero un rilievo e, invece, sono cenere. La cenere dei roghi. La fiamma generata dall’atto di distruzione fu equivocata come nuovo fenomeno artistico; si nutriva, invece, solo della dissoluzione della forma antica. L’intera epoca postmoderna, in tutte le sue diramazioni, dalla letteratura alla tecnica, dall’arte al culto, ha dato l’impressione di costituirsi quale libertà: i suoi bagliori, però, vivevano solo di profanazione. Consunti dal fuoco gli ultimi ceppi della tradizione ci si muove nelle tenebre. Cosa ci è rimasto da bruciare?, tale l’invocazione degli assassini. Dateci una tavola di Vladimir, un pancale da chiesa, un sonetto caudato, un trattato di retorica – abbiamo fame! Vogliamo annientare, deglutire, defecare quell’ordine che ci è odioso! Ma non è rimasto più nulla! Come faremo?

 

Anche a Roma non è rimasto più nulla. Come disse Pirandello: “Roma fu un’acquasantiera, l’hanno ridotta a un portacenere”. Nicchie con statue che hanno resistito quattro secoli sono state polverizzate. Il reggente di una casa generalizia una volta mi disse, en passant, come a rivelare una verità che ognuno dovrebbe possedere: “A Porta Pia sono entrati i massoni. Ci hanno resi schiavi e spianato tutto. Il loro sogno è parcheggiare sotto l’obelisco del Vaticano”.

Per un cambio di residenza sono costretto a recarmi presso un ufficio comunale. Alle 09.12 una giovane sovrappeso, pantacollant e scarpe da ginnastica del LIDL, mi porge un ticket con su scritto: “Sportello 1. 12.20”. Appena tre ore. La digitalizzazione, qui, celebra il suo trionfo. Nell’attesa sfrutto la macchina del caffè. Mi concedo persino uno snack da centesimi 70 presso il parallelo marchingegno automatico. Appoggio le scartoffie su una sedia; rimesto il liquame nel bicchiere di cartone ecologico con un bastoncino di legno, altrettanto green; scarto la brioche apocalittica in cui la lingua indovina una melma alla nocciola. Pare cartone; e forse lo è, spero biodegradabile. Faccio buon viso, però, come sempre che la compunzione non l’abbandono mai, come Chaplin ne La febbre dell’oro che s’acconcia ridente a masticare la scarpa. L’orgia di prodotti thunberghiani lascia sul campo un paio d’etti d’immondizia. Intanto, siamo alle 10.40, i visori annunciano il prossimo fortunato allo sportello 1.

A che serviva il telefilm Netflix La regina degli scacchi. A educare i deboli di mente, legione fra noi, oltre a rendere comprensibile agli stessi questa suggestione antipersiana: “Sono due le scacchiste iraniane che hanno partecipato al Campionato mondiale 2022 in Kazakistan senza indossare l’hijab obbligatorio. Oltre a Sara Khadem, la cui vicenda è divenuta nota, anche Atousa Pourkashiyan ha gareggiato a capo scoperto, come riferisce il sito web di informazione antiregime IranWire”. A suo tempo diffidai; mi si rispose che era solo il volgarizzamento d’un racconto di Walter Tevis … ma non esiste spontaneità, è tutto falso e preordinato a quel Fine. Ogni evento è esclusivamente puro e sistematico sabotaggio dell’Immaginario Profondo. Come i panini e la land art.

Ci aggiriamo nel castello dell’isola d’Alcina. Miraggi e finzioni ingannano gli stanchi occhi nostri, tenebrosi. Quando finalmente vedremo, faccia a faccia?

Di Alceste, alcesteilblog

30.01.2023

Fonte: https://alcesteilblog.blogspot.com/2023/01/kali-yuga.html

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