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La Redazione

 

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JULIAN ASSANGE COME IL CARDINALE MINDSZENTY

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A cura di Davide
Il 17 Agosto 2012
97 Views

DI PIER LUIGI TOLARDO
zeusnews.it

Julian Assange ha ottenuto l’asilo politico nell’ambasciata dell’Ecuador di Londra, dove vive da due settimane per sfuggire all’arresto da parte di Scotland Yard, che lo vorrebbe estradare in Svezia dove verrebbe processato per violenza carnale ma soprattutto dove potrebbe essere estradato, a sua volta, negli USA che lo accusano perfino di terrorismo e di attentato alla sicurezza nazionale.

Prima che Assange, fondatore di Wikileaks, ottenesse questo status da parte di un Paese come l’Ecuador, ostile agli Usa come il Venezuela di Chavez, l’Inghilterra aveva preteso la sua consegna, minacciando addirittura di invadere l’ambasciata per arrestarlo, violando così l’immunità diplomatica che impedisce perfino di multare un diplomatico per eccesso di velocità.

A seguito, “Julian Assange, o la bancarotta morale dei mass media” (Lode Vanoost,michelcollon.info);La tensione tra Regno Unito, Svezia ed Ecuador è alle stelle e l’Inghilterra non acconsentirà mai a concedere un salvacondotto che permetta ad Assange di raggiungere l’aeroporto di Londra per raggiungere in volo l’Ecuador, anche se non invaderà il territorio diplomatico perché significherebbe una rottura diplomatica con quasi tutti i Paesi latino-americani.

Per Assange si profila però così il destino del cardinale Mindszenty, arcivescovo di
Budapest e primate di Ungheria, che nel 1956 aveva guidato la rivolta contro l’invasione sovietica del suo Paese.

Pier Luigi Tolardo
Fonte: www.zeusnews.it
Link: http://www.zeusnews.it/index.php3?ar=stampa&cod=18120
17.08.2012

JULIAN ASSANGE, O LA BACA ROTTA MORALE DEI MASS MEDIA

DI LODE VANOOST
De wereld morgen

La disinformazione di parte sulla presunta nuova fornitura di elicotteri russi alla Siria e le eulogie, le benedizioni, impartite al feretro del principe ereditario del regno dell’Arabia Saudita (nondimeno un fondamentalista rabbioso) sono appena tramontate, che ci si ritrova davanti ad un altro campione di informazione nutrita da pregiudizi.
Assange avrebbe fatto una scelta “bizzarra”, chiedendo asilo politico all’Ecuador. Ah, sicuro? Una volta di più la verità viene un po’ più sfumata.
Julian Assange domanda asilo politico all’Ecuador, una scelta “ironica” secondo i grandi media che lo criticano violentemente, ma certamente una scelta molto logica per coloro che cercano di informarsi in maniera autonoma.

La radio a colazione

Il mattino del 20 giugno 2012, verso le ore 8.15, durante la colazione ho avuto un moto di sorpresa quando ho inteso il giornalista della radio fiamminga VRT Geert Spillebeen discutere con il suo collega Bert Rymen la notizia che Julien Assange, il creatore di Wikileaks – in attesa al momento a Londra della sua estradizione verso la Svezia – si sarebbe trovato all’interno dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, dove avrebbe fatto richiesta di asilo politico.
Verosimilmente, la VRT aveva cercato invano di contattare un esperto giurista per avere delucidazioni sul diritto d’asilo. Non era stato possibile. Dunque, si era fatto ricorso alla formula classica della “conversazione improvvisata” fra colleghi, in cui uno dei due aveva il compito di fornire l’impressione di saperne un po’ di più sull’argomento.
La conversazione che ne seguiva incatenava un’esposizione densa di inesattezze ad una riproduzione distorta dei fatti, intramezzate da mezze-verità e da commenti suggestivi travestiti da “fatti di scarsa rilevanza”, per dare l’impressione di una analisi obiettiva.
Ma di cosa si trattava?
L’inizio della loro conversazione era decisamente neutro. Subito, Rymen e Spillebeen riassumevano gli elementi dell’“affaire” Assange.
Tuttavia si imbarcavano in errori terminologici dal punto di vista giuridico.
Infatti, Assange non è “incolpato” per vicende contro il buon costume; né in Svezia né in Gran Bretagna. Contro di lui non è depositata alcuna denuncia. Assange è solamente “ricercato” dalla Svezia per essere interrogato nel quadro di eventuali vicende che riguardano il buon costume, e a seguito di ciò si deciderà se processarlo, oppure no.
Questo non è un dettaglio trascurabile, questo significa che Assange è perseguito dalla giustizia dopo più di un anno senza un’ufficiale imputazione, una delle principali argomentazioni dei suoi difensori, elemento apparentemente superfluo per i giornalisti della VRT.

Strani tipi, questi ammiratori di Assange

Secondo i giornalisti in questione, tutto questo chiaramente non è troppo grave, visto che per di più Assange è sostenuto soprattutto da “ambienti artistici”, di “tendenza di sinistra”, che trovano la sua “ribellione” decisamente… simpatica.
A questo proposito, Spillebeen confonde Mick Jagger con Bianca Jagger, e fa riferimento alla somma di 100.000 sterline di cauzione, quando si tratta invece di 240.000 sterline.
Beh, doveva fare in fretta, ed essere stringato, e non sono questi dettagli la cosa essenziale.
In tutti i casi, per me l’idea che il multimiliardario Mick Jagger abbia simpatie di sinistra è una rivelazione. “The Guardian”, la fonte al di sopra di ogni sospetto!
Si può ben afferrare che il giornalista Spillebeen si è quasi unicamente basato su un articolo del sito web del giornale britannico “The Guardian”.
A riguardo, questo giornale è una fonte molto sospetta, dato che da tanti anni conduce una campagna astiosa contro Assange e Wikileaks.
Ma gli stessi giornalisti della VRT non sono proprio esenti da un qualche partito preso. Il clima felpato della loro conversazione diffondeva una disapprovazione su Assange a mala pena dissimulata.
Effettivamente, Assange fa parte di quelli che puntualmente spezzano il mito dei mezzi di comunicazione critici ed obiettivi. Il lavoro di indagine di Wikileaks ha messo a nudo la bancarotta morale del giornalismo di inchiesta.
Dunque, non sono pochi i giornalisti che hanno delle ragioni per non apprezzare Assange, soprattutto in quanto costui non risparmia critiche all’indirizzo di quei medesimi mezzi di informazione.

Partito preso selettivo

Fra l’altro, la disapprovazione di Spillebeen e Rymen appariva nella scelta dei termini e degli esempi.
Come sostenitori di Assange i due giornalisti citano Mick – invece si tratta di Bianca – Jagger, ma mai John Pilger, forse il giornalista d’inchiesta più famoso nel mondo, nemmeno Michael Moore, che hanno fatto della questione di Assange un caso personale.
Inoltre, Bianca Jagger può essere benissimo l’ereditiera di una famiglia milionaria del Nicaragua, il cui padre è stato a fianco del dittatore Somoza, ma ella difende da tanti anni le cause progressiste in tutto il mondo, e quindi non è certamente l’ultima arrivata in questo “affaire”.
Per giunta, Bianca Jagger ha solamente espresso nient’altro che della simpatia, e non ha partecipato al versamento della cauzione, mentre Pilger e Moore sì, e per questo la logica avrebbe voluto che fossero loro ad essere citati!
Sì, i “fatti” meritano senza dubbio un’inchiesta.
Il modo di presentare le cose in questa intervista di VRT suggerisce come la simpatia per Assange metta in secondo piano, faccia tenere in scarsa considerazione la gravità delle accuse.
Al contrario, qualche esame delle fonti dimostra che tutti coloro che sostengono Assange ritengono che i fatti siano assai gravi, tanto da esigere un’inchiesta rigorosa.
Nelle loro espressioni di sostegno, sempre aggiungono e sottolineano che, dopo le prime accuse rivoltegli all’inizio della vicenda, Assange è rimasto diverse settimane in Svezia, si è tenuto apertamente a disposizione della polizia, e che durante il suo soggiorno il giudice istruttore non aveva emesso alcuna disposizione relativa ad un suo interrogatorio.
Dopo che finalmente aveva lasciato il paese, il caso stesso veniva archiviato, e poi riaperto.

Una commissione rogatoria

Assange e i suoi sostenitori hanno sempre ritenuto che le autorità svedesi hanno il diritto e il dovere di interrogarlo. Questo potrebbe farsi molto semplicemente applicando una procedura già esistente, spesso seguita e di prassi corrente per indagini su reati che vanno ben oltre le imputazioni ad Assange. Si tratta di quella che viene definita come “commissione rogatoria”.
La Svezia può sempre inviare a Londra un gruppo di giudici istruttori per interrogarlo. I portavoce di Assange non hanno cessato di ripeterlo.
Il paese può farlo ancora adesso, sottoscrivendo un accordo giuridico specifico con l’Ecuador. Ma questo, le autorità svedesi si sono sempre rifiutate di farlo.
Innocente o no, non è questa la questione.
“Last but not least”, ultimo ma non meno importante, i suoi portavoce non affermano che Assange è innocente, ma sottolineano che a tutt’oggi ufficialmente non è stata sporta alcuna querela contro di lui, e malgrado questo, dopo quasi due anni, Assange è ancora sotto istruttoria.
Viene aggiunto che certi fatti lasciano supporre che un’altra agenda si nasconda dietro le procedure attuali per incontrarlo. La supposizione che per le autorità svedesi si tratti solamente di averlo in Svezia è confortata da tanti elementi.
In ogni caso, è tutta un’altra storia quella che ci hanno raccontato i giornalisti della VRT.
Nel momento in cui i loro discorsi sono caduti sull’Ecuador, è risultato evidente che la loro presa di posizione è analoga a quella del “The Guardian”.

Un pretesto per un’azione illegale di sequestro (extraordinary rendition)?
Assange ha di recente intervistato il presidente dell’Ecuador Rafael Correa durante il suo programma “The World Tomorrow – Il mondo di domani” per la rete “Russia Today”.
Spillebeen ha citato questa emittente solamente come “una stazione russa in lingua inglese”. Non posso immaginare che Spillebeen avrebbe fatto riferimento ad un programma di… una stazione “inglese”, se si fosse trattato della BBC!
Nel suo programma, Assange aveva presentato Correa come un “populista di sinistra”, che avrebbe cambiato l’immagine del suo paese dandogli una svolta positiva.
Per Spillebeen, è chiaro che Assange doveva aspettarsi qualche cosa di ritorno. Naturalmente, si tratta di pura speculazione, che però lancia l’impressione di un accordo cospirativo sotto banco. Speculare non è fare informazione!
D’altro canto, possiamo anche argomentare che sia avvenuto il contrario. Già da due anni l’Ecuador aveva dichiarato che Assange sarebbe stato il benvenuto se avesse deciso di emigrare da loro, ma il paese aveva rinunciato a questa proposta dal momento che a quel punto non era del tutto chiaro se Assange e Wikileaks avessero contravvenuto ad un certo numero di norme internazionali.
È più che probabile che siano seguiti altri contatti. Quindi sarebbe del tutto possibile che si sia verificato il contrario, vale a dire che sia stato Assange a “dare qualche cosa in cambio” a Correa attraverso la sua intervista su “Russia Today”, e non l’inverso.
Per certo, anche tutto ciò è pura supposizione. E comunque, io non voglio spacciare questo per altra cosa.
L’Ecuador appare una scelta logica, ma, secondo Spillebeen, la scelta dell’Ecuador sarebbe “densa di ironia”. Senza dubbio, su questo egli fa riferimento a José Miguel Vivanco, il direttore di Human Rights Watch, che aveva dichiarato che “nella regione, l’Ecuador, dopo Cuba, possiede la reputazione più cattiva in materia di libertà di espressione, a causa della pratica di perseguire i giornalisti locali che con le loro dichiarazioni e le loro inchieste danno fastidio…”

L’Ambasciata degli Stati Uniti sempre sulla breccia per la democrazia

“The Guardian” risultava ancora più chiaramente come la sola fonte di informazione, quando Spillebeen aggiungeva che nell’aprile 2011 il presidente Correa aveva fatto espellere l’ambasciatrice degli Stati Uniti Heather Hodger, dato che costei era presente nelle rivelazioni di Wikileaks, avendo affermato essere l’Ecuador “un paese assolutamente corrotto”.
Quindi, secondo il ragionamento della VRT, la Hodger avrebbe pestato i piedi sensibili del presidente.
Una volta di più, la verità assumeva contorni diversi.
In un famoso telegramma del 10 giugno 2009, l’ambasciatrice non aveva proprio dichiarato che l’Ecuador era un paese corrotto, ma molto più nello specifico aveva affermato che il capo della polizia dell’Ecuador Jaime Aquilino Hurtado non avrebbe dovuto ottenere il visto per gli Stati Uniti, dato che aveva sfruttato il suo ruolo per “estorcere denaro e proprietà, fare un uso scorretto dei fondi pubblici, favorire il traffico di esseri umani, impedire inchieste e provvedimenti riguardanti i suoi collaboratori corrotti”. Inoltre sarebbe stato protagonista della “sistematica corruzione nella politica ecuadoriana a partire dagli anni ‘90”.
Il presidente Correa era sicuramente informato della repressione in Ecuador. Dunque, secondo la VRT, Correa era irritato perché il telegramma dell’ambasciatrice suggeriva come egli fosse al corrente e non volesse fare nulla. Questo, quando egli aveva fatto della lotta contro la corruzione nella polizia e nel marcio apparato giudiziario una delle sue priorità dopo anni di governo dei suoi predecessori, e aveva introdotto già all’inizio del suo mandato la modifica della costituzione, come aveva promesso!
Questa nuova legge fondamentale era stata presentata dai mezzi di informazione esclusivamente come un tentativo di acquisire più potere personale. Per questo, Correa se ne era altamente irritato, e a ragione, dal momento che la polizia e l’esercito, che per tanti anni erano stati alle dipendenze degli Stati Uniti, avevano chiuso un occhio (anche tutti e due!) sui legami di loro membri con i trafficanti di droga, e tutto ciò perché costoro erano loro alleati nel mantenere governi repressivi, che avevano retto il paese con pugno di ferro, fino all’arrivo di Correa.

Corruzione, sì, ma perché solo adesso?

L’accusa mossa dall’ambasciatrice degli Stati Uniti contro il capo della polizia Hurtado era particolarmente ipocrita, perché prima dell’elezione di un presidente di sinistra l’ambasciata usamericana non si era mai accorta del problema della flagrante corruzione dei predecessori di Hurtado.
Inoltre, quella di non più accordare il visto risultava una decisione molto ipocrita, dal momento che durante tutti gli anni precedenti all’arrivo al potere di Correa l’ambasciata usamericana ne aveva accordato uno a tutti i suoi predecessori, pur sapendo della loro corruzione.
Che il presidente Correa abbia fatto chiudere la base militare usamericana in Ecuador è una ragione di più per assegnare una cattiva reputazione al suo regime. Bene, egli consentiva agli Statunitensi di rimanere, se avessero pagato un affitto ( occupavano la base a titolo gratuito) e …se avessero consentito all’Ecuador di installare una sua base in Florida!
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Avere sette vite come il gatto, vale a dire come la CIA

L’Ecuador può contare su una pesante esperienza di ingerenze del Grande Fratello del Nord.
Nel libro “La CIA: Diario dell’ex-agente Philip Agee”, si può leggere come l’ambasciata degli Stati Uniti in Ecuador ha funzionato per tanti anni come centro di coordinamento per infiltrare i partiti di sinistra, i sindacati e le organizzazioni popolari, per finanziare transfughi e traditori, per seminare discordia e commettere assassini.
Inoltre, in questo libro veniva messa in luce la collaborazione degli Stati Uniti con i mass media dell’Ecuador di maggior diffusione, specialmente per discreditare qualsiasi opposizione con informazioni tendenziose. Questi stessi mezzi di comunicazione sono ancora e sempre attivi, mantenendosi al servizio dell’opposizione a Correa.
Anche i documenti di Wikileaks sull’Ecuador mostrano che la polizia e l’esercito, che l’ambasciatrice ora accusa di corruzione, erano stati finanziati per decenni dalla stessa ambasciata statunitense.
Una delle prime decisioni del presidente Correa è stata precisamente quella di mettere fine a questi finanziamenti della polizia da parte dell’ambasciata degli Stati Uniti.
In conclusione: i documenti di Wikileaks rivelano che gli Stati Uniti sono decisamente contrariati dal fatto che Correa “è il presidente più popolare nella storia dell’Ecuador”.
Naturalmente, tutto questo è di nessun interesse per la VRT per capire i comportamenti del presidente Correa rispetto all’ambasciatrice degli Stati Uniti e di Wikileaks.

Appariva che le “reazioni” potevano essere fatte risalire a due anni fa
Secondo il giornalista Spillebeen, molte organizzazioni di difesa dei diritti umani sono state sorprese dalla recente decisione di Assange.
Egli cita il “Comitato per la Protezione dei Giornalisti”, “Amnesty International” e “Reporters Sans Frontières”, come è possibile leggere nell’articolo di Esther Adley e Beatrice Woolf su “The Guardian”.
Tuttavia, appariva che nessuna di queste organizzazioni aveva reagito ai recenti avvenimenti, ma che le loro dichiarazioni sull’Ecuador potevano essere fatte risalire a due anni fa.
Eppure una reazione immediata c’è stata, quella del direttore di “Human Rights Watch”!
Questa organizzazione piazza l’Ecuador in seconda posizione, dopo Cuba, per quel che concerne l’assenza di libertà di espressione “nella regione”.
Il carattere tendenzioso dei rapporti di “Human Rights Watch” è ben noto, e rende necessario almeno un raffronto con altri rapporti; in ogni caso, tutto ciò risulta particolarmente “ironico”, visto che questi rapporti prendevano in considerazione giornalisti che erano stati perseguiti in Ecuador per avere criticato la repressione, però sotto i regimi dei predecessori di Correa.
Per riassumere: una organizzazione statunitense dei diritti dell’uomo critica la repressione dei mezzi di informazione in un paese in cui questa repressione colpisce i media che avevano preso posizione contro i regimi sostenuti dal governo degli Stati Uniti!
Tuttavia, questa organizzazione di difesa dei diritti dell’uomo utilizza questa critica per attaccare il primo presidente del paese che agisce contro questa repressione, di cui per altro è stato personalmente vittima. Ci si dovrebbe indignare per molto meno!
Allora, possiamo stimare piuttosto come la scelta dell’Ecuador sia una decisione razionale, ponderatamente riflessiva.

È sorprendente come per la VRT la cosiddetta concitazione sui tempi di trasmissione e altri fattori sempre agiscono in senso contrario a quello desiderato. Questo non è che un esempio.
Sicuramente i giornalisti in oggetto non sono dei peggiori. E a volte anche la VRT si permette delle leggere differenze di tono. Non sarebbe corretto puntare il dito solamente contro questi due giornalisti. Spesso, è la mancanza di tempo a costituire un effettivo problema,… e non è possibile essere sempre perfettamente al corrente su tutto.
L’intervista radiofonica in questione, però, è sintomatica di ciò che non funziona nei media importanti di questo paese e in tutto il mondo.
Il giornalismo di inchiesta è morto già da qualche tempo, e dichiarato fuori moda. Prevalgono gli interessi commerciali e ideologici.

Il filtro principale è ideologico.

I mezzi di informazione di massa (a primeggiare, i giornali) sono sempre stati partigiani. Hanno sempre presentato una versione dei fatti colorata ideologicamente. Non era tutto perfetto, ma i media, un tempo, avevano un vantaggio: il lettore era a conoscenza degli interessi che rappresentavano.
Ora questa struttura di informazioni chiaramente e apertamente ideologiche è stata rimpiazzata da strutture mediaticamente commerciali.
Per di più, i mezzi di informazione di un tempo esistevano in un contesto di una società che presentava progressi sociali. Attualmente ci troviamo di fronte solo ad uno “sfascio sociale” (la terminologia del giorno è “austerità”).
“Commerciale” corrisponde a “neoliberista”.
Quelli che abbiamo a disposizione sono media che alimentano l’illusione della loro neutralità e della loro obiettività, ma sono ben lontani da tutto questo. Esiste, sottesa, un’agenda ideologica nascosta. Se veramente ci fosse la pressione temporale di una comunicazione immediata e di analoghi fattori, ci si potrebbe attendere che il risultato della distorsione dei fatti incidesse un po’ in tutte le direzioni. Non è questo il caso! Le tendenze vanno sempre nel medesimo senso
E questo è uno dei casi. Le informazioni che riguardano Assange sono costantemente negative, svalutanti, e/o per nulla interessate. Non esiste contesto, sfondo, non esistono antecedenti, e quindi con tutta evidenza nemmeno un tentativo di analisi.
Assange è colui che ha rivelato i crimini di guerra degli USA e della NATO in Afghanistan e nell’Iraq, corredando le informazioni con le immagini di massacri. Gli stessi media, che esibiscono senza esitare foto orribili di massacri in Siria ( che nessuno nega!), rifiutano sistematicamente di pubblicare dopo anni foto, ben più numerose, dei massacri in Afghanistan ed in Iraq.
Il risultato è quello che ci si può attendere. Tutte le inchieste dimostrano che la credibilità dei grandi mezzi di informazione mai è stata tanto debole. Questa situazione non tende a migliorare. Allora, la questione è solo una: dobbiamo noi continuare ad accettare questa situazione?

Lode Vanoost

Fonte: www.michelcollon.info
Link: http://www.michelcollon.info/Julien-Assange-ou-la-faillite.html?lang=fr
12.08.2012

(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)

Fonte originale: De wereld morgen

Tradotto dall’olandese da Annette Pagnoulle per Investig’Action

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