Apparentemente si è trattato di una generale debacle dei partiti socialisti- e il desolante risultato elettorale del PS di Hollande sembra eloquente in tal senso. Eppure, ad un occhio più attento, queste giornate di fine maggio potrebbero rivelarsi una grande vittoria della socialdemocrazia europea e del suo programma politico.
È abbastanza evidente che, in questi mesi, si sia creato un asse tra la socialdemocrazia tedesca e il nuovo PD renziano. Il 27 febbraio di quest’anno, cinque giorni dopo la nomina a Palazzo Chigi, Matteo Renzi ricevette in visita ufficiale il Presidente del Parlamento Europeo, nonché leader de facto della SPD, Martin Schulz. I due si sarebbero reincontrati il primo marzo, in occasione del Congresso del PSE, celebratosi a Roma. Per quanto possa apparire paradossale, si deve a Renzi, un democristiano, l’ingresso del PD nella compagine dei socialisti europei.
Entrambi i soggetti avevano e hanno una reciproca convenienza a collaborare. Martin Schulz contava molto sul successo elettorale del PD per ottenere un buon risultato del PSE all’Europarlamento; a Renzi serviva un alleato a Berlino per assicurarsi che la Germania avrebbe dato il proprio consenso ad un allentamento dei parametri europei. Tutti e due condividevano il medesimo progetto politico: salvare l’euro e l’Unione Europea mediante un progressivo smantellamento dell’austerità sul piano continentale, e proseguire lungo il percorso dell’accentramento di poteri e competenze presso le istituzioni europee (essenzialmente Commissione e BCE).
E ora hanno vinto.
Lo scenario complessivo è già stato descritto
qui,
qui e anche
qui.
Già nel corso del 2011-2012 il ceto politico-tecnocratico italiano, con Draghi e Monti, riuscì nell’impresa di salvare l’eurozona dalla dissoluzione. Facendo
sudare sangue agli italiani, questo ceto riuscì a imporre una propria
leadership nello scenario europeo. L’esito delle elezioni del 2013 mandò all’aria molti piani, e per circa un anno l’Italia non ha preso iniziative importanti in ambito UE. Dopo le elezioni europee, considerando che Londra ha già un piede fuori dall’Unione, e Hollande li ha entrambi nell’immondezzaio della storia, il timone europeo torna nelle mani degli italiani, ovviamente col consenso tedesco: c’è già chi parla di
nuovo asse Roma-Berlino. Il presidente della BCE già
promette una svolta monetaria espansiva e anti-deflazione. Il rilancio dell’Unione e della moneta unica sarà suggellato, e non solo a livello simbolico, dal semestre di presidenza italiano.
Il ceto politico italiano è intimamente convinto di non poter esercitare alcuna influenza, a livello globale, al di fuori del perimetro del progetto europeista. Questa è la grande differenza con gli establishment degli altri paesi dell’Europa Occidentale. Questa convinzione è condivisa dalla maggioranza (sia pur relativa) degli italiani, che hanno votato di conseguenza. Del resto le idee dominanti sono quelle della classe dominante. (C.M.)
Appendice
Il 15 maggio, chiedendoci perché, secondo alcuni sondaggi, il consenso degli italiani alla UE fosse crollato, scrivevamo:
è molto probabile il disgusto per la classe politica, che in Italia ha raggiunto picchi inusitati, abbia trascinato con sé anche l’atteggiamento nei confronti dell’Europa. (…)
Negli altri paesi il discredito per la classe politica non ha ancora superato i livelli di guardia: il sistema ancora “tiene”. Conseguentemente, “tengono”, presso l’opinione pubblica, tutte le componenti del blocco dominante, istituzioni europee incluse.
Va da sé che si tratta di mere ipotesi. Tuttavia, se si dimostrassero veritiere, lo scenario che si aprirebbe davanti a noi sarebbe molto interessante; vorrebbe dire che, attualmente, il vero punto debole dell’Unione Europea è il ceto politico italiano, che esso è l’unica autentica falla che sembra essersi aperta in quella che altrimenti appare come una fortissima corazzata.
Le ipotesi sono formulate per l’eventualità che vengano smentite dai fatti. I fatti ci dicono che la corazzata europea trova in Italia il proprio bacino di carenaggio.
Tuttavia, ritengo che l’analisi appena richiamata avesse un suo fondo di ragionevolezza: in nessun paese europeo il ceto politico nel suo complesso soffre di una particolare condizione di debolezza che invece registriamo in Italia, ossia la dipendenza strutturale di quel ceto dalle sorti di una sola persona: Matteo Renzi. Se Renzi fosse risultato sconfitto alle urne il ceto politico sarebbe rimasto decapitato, diffondendo il caos nelle file della classe politica, minando alle fondamenta il complesso dell’euro. Fino a poche ore fa era aperta, in Italia, una finestra d’opportunità per sbarazzarsi del ceto politico; ora questa finestra si è bruscamente chiusa.
L’Europa si trovava dunque ad un bivio, il 25 maggio: in Italia avrebbe trovato il proprio rilancio o la propria crisi. Sappiamo come è andata.
Claudio Martini
27.05.2014