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La Redazione

 

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ITALIA OTTOMANA. MA MOLTO PEGGIO

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A cura di Davide
Il 7 Ottobre 2012
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DI MAURIZIO BLONDET
rischiocalcolato.it

Si resta evidentemente sopraffatti, soverchiati, dalle ondate di porcate che il «personale pubblico» ci versa addosso. Come per le onde oceaniche alle Havaii amate dai surfisti, lo spettacolo ha una sua paurosa grandiosità, se non ci fossimo in mezzo. Troppo frequenti le ondate, troppo alte e mostruose anche per gli assuefatti di surf italico: ti sommergono e, appena riesci ad emergere dalla lurida massa per respirare, ecco l’altra ondata.

Per questo non si ha tempo per porsi certe domande: noi siamo senza respiro, affoghiamo. Ma il fatto è che non se le pone il governo Monti. Non se le pongono i grandi media. Zitti zitti, naturalmente, i partiti. E la benemerita magistratura, contabile ed ordinaria. Per esempio:

Chi ha messo Antonio Piazza all’Aler? Piazza è quel tizio, presidente dell’Aler (Azienda Lombarda Edilizia Residenziale) di Lecco, il quale, multato perché con la sua Jaguar aveva parcheggiato in un posto riservato ai disabili, si è vendicato tagliando le gomme all’auto del disabile stesso, il quale aveva segnalato ai vigili la sua infrazione. Ma questo, in fondo, è il meno.

Il fatto agghiacciante è che, avvicinato da giornalisti e telecamere, il Piazza ha rivelato accento dialettale da mafioso siculo-calabro, sguardo furbo-sfuggente da pregiudicato, mente da subnormale ed inarticolatezza di linguaggio da analfabeta rurale. Si intuisce che l’invalido ha avuto fortuna, a subire solo il taglio delle gomme; in una zona più isolata, il Piazza avrebbe potuto anche incaprettarlo e mettergli il sasso in bocca.

Come è stato in grado un figuro di così evidente insufficienza mentale, di dirigere un ente pubblico? Chi l’ha scelto per la carica? Meglio: «in quota di chi» il maturo teppista analfabeta è stato messo ad una poltrona che sicuramente rende un sacco di soldi, ma che dovrebbe anche comportare l’esercizio di qualche responsabilità, o almeno la lettura di qualche documento?

Non basta dire che Piazza è stato messo lì dal Pdl. Bisogna anche domandarsi «chi», dei caporioni del Pdl, un bel giorno, in uno dei consessi per la distribuzione dei posti fra la coalizione di governo regionale, ha detto: «Per l’Aler ho l’uomo giusto: Piazza»? Magari un La Russa, come può apparire da certe inflessioni dialettali del compare? O chi altro? E a proposito, altra domanda:

A che serve lAler? Ogni provincia ne ha uno. Che cosa fa un Aler? Riprendo: dal sito. È un «ente pubblico di natura economica, dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale, organizzativa, patrimoniale e contabile e sottoposto, per taluni atti, alla vigilanza e al controllo della Regione Lombardia». Non sfugga l’accento sulla «autonomia»: l’Aler può far quel che vuole coi soldi pubblici. La Regione (buona, quella) lo controlla solo «per taluni atti». Taluni.

Continuo la lettura ufficiale: «Compito principale dell’Aler è quello di soddisfare il fabbisogno di edilizia residenziale pubblica, ossia di dare risposta alla domanda di abitazione soprattutto delle persone meno abbienti».

Per realizzare un programma così indiscutibilmente meritorio, benefico e sociale, l’Aler di ogni provincia ha il potere di:

attuare interventi di edilizia residenziale mediante lacquisto, la costruzione e il recupero di abitazioni e di immobili di pertinenza anche attraverso programmi urbanistici attuativi;

• acquistare, nellambito dei fini istituzionali, terreni fabbricabili;

progettare programmi integrati, programmi di recupero urbano, programmi di edilizia residenziale, e/o eseguire opere di edilizia e di urbanizzazione propri o per conto di enti pubblici o privati
;


Insomma, senza alcun controllo, mani in pasta nell’edilizia, nella compravendita di terreni e di case. Uno dei campi preferiti della mafia e criminalità organizzata calabro-sicula, al Sud ma specialmente al Nord, dove ci sono i soldi. Cominciamo ad intuire perché a presiedere l’Aler della nordica Lecco ci sia un semi-analfabeta, capace di basse vendette da picciotto (il taglio delle gomme all’invalido) però con l’accento fra quello di Totò Riina e di La Russa o Ligresti da Paternò: è l’accento che qualifica al posto? Oltretutto, le «persone meno abbienti» continuano a vedere insoddisfatta la loro «domanda di abitazione». L’Aler, a loro, sicuramente non serve; il loro presidente taglia le gomme ad alcuni di loro. L’abolizione degli Aler di tutta Italia dovrebbe entrare nei programmi di un governo tecnico come quello di Monti. E i suoi presidenti dovrebbero essere costretti ad esibire il certificato anti-mafia: dopotutto, lo si chiede agli imprenditori con macchine di movimento-terra, perché non a quelli che pagano gli sterratori e scelgono le aziende sterratrici?

Ma non c’è tempo per chiedere, arriva la seconda, immane ondata.

Tributitalia. Agenzia privata di esazione, riscuoteva le tasse per 400 Comuni, anche grandi come Bologna (e piccoli come Aprilia). Il suo fondatore, inventore e gestore Giuseppe Saggese, (di Taranto) riscuoteva i soldi e se li teneva per fare la bella vita: yacht, aerei privati, prelievi da 10 mila euro al giorno. Non dava niente ai Comuni. Il buco a danno degli enti locali – o più precisamente dei contribuenti – è valutato in 100 milioni. Ma c’è chi sospetta che l’ammanco ammonti a 500: milioni. Qui le domande che s’affollano alle labbra sono milioni:

Per diventare un esattore privato di tributi pubblici bisogna dare garanzie, occorrono autorizzazioni, bisogna disporre in proprio di notevoli capitali perché gli esattori privati «anticipano» i soldi agli enti.

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Chi ha dato a Saggese licenza e capitali da grande esattore? Chi ha garantito per lui? Politici, banche o qualche altra entità meno visibile e interessata al gran business della riscossione?

Qualche sospetto viene quando si sa che la ditta di Saggese, tanti anni fa, si chiamava Publiconsult ed era una piccola concessionaria di pubblicità a Taranto; poi è diventata leader degli esattori privati. E che l’avvocato difensore della ditta quando ha ricevuto le prime denunce per frode, nel 1999, fu il ben noto Nicolò Ghedini.

Ma questa è solo una domanda preliminare. L’altra:

Com’è che 400 Comuni hanno avuto tanta fiducia in Saggese, da affidargli la riscossione di Ici, Tarsu, Tosap? Da dove veniva tutta questa così malriposta fiducia? Saggese proponeva – e i Comuni per lo più accettavano – una «società mista» dove il Comune manteneva il 51%, ma in realtà era lui, Saggese, a gestirla totalmente. L’aggio a favore della «società mista pubblico-privato» era, per la riscossione di imposte presuntamente arretrate, del 30% a favore della società-mista; in certi casi, pare, alcuni Comuni hanno accettato che l’aggio a Saggese salisse a un assurdo 70%.

Di più. Dal Corriere: «Saggese chiedeva al contribuente più del dovuto per avere a sua volta una cifra più alta per sé. Dovevi 100 euro? Lui ne chiedeva 120: così intascava dal Comune la provvigione (30%) sui 100 euro e dallignaro di turno quei 20 euro che lui chiedeva in più».

L’arbitrio più vergognoso, e più passivamente subìto dalle pecore-sudditi, perché l’esattore – chiunque sia – ha per sé il potere dello Stato, il suddito niente.

Non sarà che Saggese spartiva coi dirigenti comunali? Si apprende che «dal 2008 le entrate non sono quasi più versate alle casse comunali» Cinque anni senza ricevere l’introito tributario, e i Comuni non se ne accorgono? Non si muovono immediatamente ad esigere il dovuto dall’esattore tarantino? Ad Aprilia non sono arrivati (si dice) 90 milioni; il Comune si indebita con le banche invece di reclamare il suo a Saggese: perché? Comuni ridotti in dissesto. Comuni che non si sono accorti per tempo di quel che succedeva. Eppure, dice Sergio Rizzo sul Corriere, l’andazzo era cominciato addirittura nel 1999: ossia andava avanti da 13 anni.

Come tengono la contabilità gli uffici comunali di 400 Comuni? Come mai un Comune grosso come Bologna non ha tra il suo personale abbastanza competenze e capacità da riscuotere le tasse comunali in proprio? A che servono tanti dipendenti comunali, allora?

I Comuni nascono per gestire servizi ai loro cittadini, acqua, luce, energia, trasporti, nettezza urbana, magari edilizia convenzionata, centrale del latte, eccetera. L’hanno fatto per decenni dal dopoguerra. Oggi, hanno scoperto la (falsa) «privatizzazione»: i Comuni creano società private (loro dicono «partecipate») per far loro gestire i servizi che devono fornire loro. È un trucco immondo perché i Comuni sono per lo più azionisti di maggioranza di queste «private»: serve solo a scavalcare i controlli che incombono sulle gestioni pubbliche. Ma comunque, adesso i municipi – e il loro personale – non fanno più i servizi che avevano l’obbligo di rendere; li hanno appaltati. Apprendiamo adesso che il loro personale non si occupa nemmeno di riscuotere le tasse, avendo dato la bisogna in appalto.

Per cosa i dipendenti comunali vanno a «lavorare» in Comune? Prendere lo stipendio, firmare il cartellino e poi? Molti se ne vanno a fare shopping, com’è stato documentato da certe inchieste con telecamere della GdF. Comunque, non vengono adibiti a controllare che Saggese, di giorno in giorno, mandi almeno i soldi. Non sono in grado di farlo? Sono inadatti al lavoro e incompetenti, oppure complici?

O per essere più chiari:

Quanti e quali dirigenti comunali Saggese faceva partecipare alla «scrematura»? Il termine è stato reso di nozione comune dal celebre film «Casinò» di Scorsese, con De Niro nella parte del gestore ebreo di uno scintillante casinò di Las Vegas per conto di Cosa Nostra, e Joe Pesci nei panni del criminale mandato dai padrini, certi vecchietti siculi che stanno nel retrobottega di una pizzera a New York, come uomo di panza a controllare che De Niro e il personale addetto al conteggio del denaro sonante non eccedesse nella «scrematura». I vecchietti nel retrobottega tolleravano una certa scrematura, gli operatori sul posto avevano «spese extra», lo capivano ed erano comprensivi; ma Pesci esagera, e allora, sono esecuzioni a catena, anche con mazze da baseball. È inutile che vi racconti la trama. Tributitalia ne fornisce probabilmente, se si vorrà indagare, una ancor più pepata.

Anche qui, sembra di capire, le denunce di alcuni Comuni sul fatto che Saggese si teneva i soldi sono partite con grande ritardo, forse quando la«scrematura» è diventata eccessiva e non si poteva più tener nascosta?

La nostra valorosa magistratura, che è un lampo quando si tratta di arrestare Lele Mora, e incarcerare preventivamente avversari politici, ci ha messo anni ed anni a mettere insieme le denunce dei Comuni, ed infine a far confluire i faldoni a Chiavari, dove Saggese abita. La nostra Guardia di Finanza, occhiuta e spietata verso il barista che si fa un caffè per berselo e non si rilascia lo scontrino, così fulminea nel piombare dentro un bottega da barbiere esigendo di vedere a sorpresa i libri contabili, avrà mai fatto una simile irruzione a sorpresa per vedere i libri di Tributitalia? Saggese esibiva panfili, aerei privati, vacanze di stralusso: e il redditometro non segnalava nulla?

Finalmente, il dissesto di Tributitalia emerge qualche anno fa, per la gestione corrotta del Saggese e dei suoi compari: eppure ci vogliono sforzi titanici per riuscire a far cancellare la ditta criminale dall’Albo dei riscossori autorizzati, impedendole almeno di continuare a nuocere. Il Comitato responsabile dell’Albo, insediato presso il ministero dell’Economia, faceva finta di nulla.

Quando la cancellazione arriva, Tributitalia… fa ricorso al Tar. Quando il Tar conferma la sospensione, è addirittura il Consiglio di Stato a venirle in soccorso: sospende la cancellazione, il 3 luglio scorso. Ci vorrà un’altra sentenza per annullare questo favore.

Infine la sorella del Saggese (nominata da lui amministratore delegato: lui restava nel retrobottega, come nel film di Scorsese) porta i libri in tribunale. Fallimento? Bancarotta? Ma no: nel Decreto Incentivi allo Sviluppo, varato dal governo Monti e stilato dal ministro Passera quest’estate, un codicillo scritto in piccolo (articolo 3, comma 3) estende alla ditta esattrice-criminale la legge Marzano per le procedure di ristrutturazione previste per grandi aziende, come Alitalia. Infatti, il codicillo su misura dispone «la persistenza delle convenzioni vigenti con gli enti locali immediatamente prima della data di cancellazione dallalbo».

Capito? Non solo Tributitalia poteva evitare la bancarotta e Saggese dirigerla dal retrobottega, ma può anche continuare a riscuotere i tributi per i contratti già in essere – e intascarseli. Fra l’altro, molti dei dirigenti di Tributitalia, sicuramente complici, sono stati assunti da altre società del settore, o fanno i consulenti per i Comuni (che hanno truffato). Consulenze molto ben pagate: sono dei veri esperti, dopotutto (Così il governo Berlusconi salvò Tributi Italia nel 2010).

Insomma: un annoso tira-e-molla in parlamento e nei tribunali per salvare la ghirba del nostro, e delle sue vaste complicità. Adesso il fallimento è avviato e i Comuni che avevano affidato a Tributitalia i compiti che spettavano a loro, si sono messi in fila nel passivo, sperando di recuperare qualcosa. Campa cavallo. Ma non sono preoccupati: se non recuperano, pagheranno i contribuenti. Due volte – già succede in certi Comuni. E pensare che le tasse pagate sono state «caricate» dalla sovrattassa del 15-30% che serviva per compensare l’esattore.

Anche Saggese, dalle foto, ha qualche somiglianza antropologica col Piazza, col Fiorito ed altri simili aggreppiati alla pubblica mammella. Rubava così a man bassa, rubava per concedersi lussi così scandalosi, senza nemmeno un progetto criminale: godersela ancora un giorno fino al tracollo, ecco tutto. C’è in questo, oltre alla delinquenza, una misura di enorme stupidità, che lascia interdetti.

O sono così sicuri di poter continuare a fare quel che vogliono, perché non c’è controllo?

I procuratori di Palermo inseguono la fantomatica trattativa Stato-mafia, teorema per il quale hanno assunto come testimone-chiave e collaboratore di giustizia Massimo Ciancimino; di cui adesso si scopre che nascondeva il bottino di suo padre, Vito, frutto dei rapporti con la mafia, in Romania: almeno 100 milioni. Nella bisogna, la procura di Palermo intercetta il capo dello Stato, e si rifiuta di consegnare e distruggere le intercettazioni: a quale scopo, secondo voi? «Ricatto» è una parola che non si deve usare. Averlo in pugno, diciamo? Così, tanto per domandare.

A Milano, la procura sta dando la caccia a Formigoni ormai da decenni, arrestando il suo entourage, e bracca Berlusconi con il caso Ruby. È tutto un fervere di attività spontanea; però, sull’enorme scandalo Tributitalia non si apre un’inchiesta – non spontaneamente, almeno. Fiorito ha dovuto prestarsi lui, come un maialino arrosto con la mela in bocca, altrimenti la valorosa magistratura non si accorgeva di come era l’andazzo nelle Regioni. Adesso, solo adesso, mandano in giro i finanzieri a spulciare carte, con le telecamere al seguito.

E la Corte dei Conti? Il suo presidente, Giampaolino, nella sua ultima audizione alla camera ha avvertito il governo Monti: «Troppe tasse e troppo rigore, una terapia costosa e inefficace». Il giorno dopo, s’è scagliato contro l’Evasione Fiscale, «siamo ai primi posti nel mondo», dando una mano alla propaganda di Monti e Befera, che vogliono scatenare la caccia all’evasore come diversivo delle loro incapacità.

Un discorso alto, alla Draghi. Solo che Giampaolino e la Corte dei Conti non hanno il compito di studiare i riflessi che la politica delle tasse e del rigore hanno sull’economia; né hanno il compito di perseguire l’evasione fiscale. Il compito della Corte dei Conti è controllare i conti di Stato, regioni, provincie e Comuni. E punire chi li trucca.

Ebbene: mentre giornali e TG rombavano di notizie sulle malversazioni di Fiorito e sui «rimborsi» fasulli e giganteschi dei gruppi consiliari delle Regioni, delle vacanze che i politici locali si sono fatti pagare come «in missione», i soldi ai «gruppi» costituiti da una sola persona, le feste e i festini e i regali, dal Piemonte alla Emilia alla Liguria, il presidente della Corte dei Conti non ha aperto bocca su tutto ciò. Non ha nemmeno annunciato, che so, un esamino dei libri dell’Aler di Lecco, o di qualunque altra provincia. Nemmeno un inciso a proposito dei 400 Comuni che si dicono truffati da Tributitalia… Nulla.

Dal 2001, le spese regionali sono cresciute del 75%. Non se n’erano accorti alla esimia Corte?

Eppure c’era materiale. Niente da dire, per esempio, sulla Regione Lazio che ha comprato 1.213 iPad (dicesi milleduecentotredici) per i suoi fortunati dipendenti e politicanti, pagandoli 1.790 euro l’uno, quando un iPad costa meno di 800 euro? Nessuna nota sul fatto che, data la quantità, si sarebbe potuto chiedere almeno uno sconticino? Per questi iPad, la Regione ha pagato 1,2 milioni di euro più del necessario: se questo non interessa alla Corte dei Conti, che cosa le interessa? Ah sì, la caccia all’evasione: pagate più tasse, pagate più iPad.

L’Inpdap, ente di previdenza degli statali, è stato fuso con l’Inps per fare risparmi di scala (risparmi di 140 milioni l’anno, hanno detto), per poi scoprire – lo sapete – che l’Inps viene aggravato di un buco di 7 miliardi, perché le amministrazioni pubbliche non hanno pagato i contributi dovuti all’Inpdap: possibile che questo non interessi la Corte dei Conti? Gli imprenditori privati che non pagano i contributi ai dipendenti sono perseguiti, braccati; gli vengono sequestrati i beni; subiscono multe colossali, e persino sono sbattuti in galera. Non sarebbe una bella occasione per sequestrare i beni, multare e mettere in galera gli amministratori pubblici dirigenti degli ultimi 20 anni, liberandoci così del loro costo inutile o dannoso? Macché. L’idea non è stata nemmeno ventilata. Il capo supremo dell’Inps dichiara ai media: niente allarme, il governo ha sempre ripianato… Certo, coi soldi dei contribuenti.

Notoriamente, le pubbliche amministrazioni devono 70 miliardi di arretrati ai loro fornitori (privati). Di questi, 40 miliardi sono da imputare alle Asl. LA Asl numero 1 di Napoli centro paga con 1.676 giorni di ritardo: ossia dopo quasi cinque anni. Un record, ma insidiato dalla Asl «San Sebastiano» di Caserta che paga a 1.414 giorni, quella di Crotone che paga a 1.335, e via via – come per caso le Asl che pagano a mille giorni ed oltre sono tutte meridionali. Le Asl della Lombardia sono praticamente le sole a pagare i fornitori tra i 60 e gli 80 giorni, e per questo come milanese mi preoccupo che la valorosa Procura milanese stia cercando di braccare Formigoni. Non mi è simpatico, e il «sistema CL» in Regione è un giro d’affari ben noto. Ma la sanità lombarda dimostra che si può rubare eppure gestire bene, pagare rapidamente, dare servizi di qualità che non hanno eguale in Italia. Eliminato Formigoni e il sistema CL, poi, chi lo sostituirà?

In ogni caso, anche questi ritardi dovrebbero suscitare l’esame della Corte dei Conti. Non fosse che, per il solo fatto di tenere in banca – anziché versare ai fornitori – 40 miliardi per un anno o più, significa lucrare enormi interessi, illegalmente. Chi li percepisce? Se l’è mai chiesto, Giampaolino coi suoi togati super-ragionieri?

No. La magistratura contabile, i cui membri percepiscono se non vado errato sui 400 mila euro l’anno, non fa il suo lavoro tanto bene. È uno dei tanti organi superiori dello Stato tanto più insindacabile quanto più aumenta la sua incompetenza o incapacità.

Perché qui, anche ad un «tecnico» bocconiano dovrebbe ormai essere chiaro che il problema dell’Italia non sono i tassisti da liberalizzare. Il problema primario dell’Italia è lo sgretolamento dello Stato Amministrativo, ossia di tutti gli apparati che provvedono al governo reale del Paese, giorno dopo giorno e nelle strategie di lungo termine. Diretti da alti funzionari di carriera vicinissimi al potere politico, ma sostanzialmente inamovibili perché assunti per concorso, essi trasmettono le decisioni politiche verso il basso, calandole nella realtà – che devono conoscere assai bene – della società nazionale.

La potenza economica del Giappone, la sua prodigiosa ricostruzione dopo la devastazione bellica, è dovuta all’alta qualità dei dirigenti del suo Stato Amministrativo; usciti dalle università migliori, sono loro che eseguono (o frenano quando stravaganti) le iniziative dei politici. I politici vanno e vengono, e in Giappone sono mediocri come i nostri; il direttore generale del leggendario Miti, ministero del Commercio e degli altri, restano; vedono passare molti ministri a cui prestano la loro esperienza e competenza, che i politici non hanno. Lo Stato Amministrativo degli Stati Uniti, fatto di persone molto dedicate e competenti, che non guardano all’orario di lavoro e con stipendi modesti, m’è capitato di vederlo alla prova, restandone ammirato. In Francia, notoriamente, questo personale dirigenziale pubblico è preparato nell’università più esigente e selettiva d’Europa, l’alta Scuola di Amministrazione Nazionale, ENA: ne escono conoscitori profondi degli aspetti giuridici, economici, sociali, demografici, del Paese e sono inoltre preparati non solo a obbedire alle «procedure», ma a prendere iniziative «strategiche» nel solco della storia politica di Francia, che non a caso diventano presidenti della repubblica più presidenziale a noi vicina.

Da noi in Italia, lo Stato Amministrativo è stato sempre debole. Quello piemontese, che i Savoia estesero al resto del Paese, era retrivo, di corte vedute, militaresco, meschinamente burocratico, attento solo a coprirsi il didietro, sprezzante della realtà sociale complicatissima delle parti conquistate della penisola. Migliorò alquanto durante il fascismo, per la necessità di gestire parti dell’economia reale nell’IRI, e l’esperienza accumulata in quella gestione; perché animata da una «dottrina dello Stato» esplicitamente appresa, dal patriottismo dinamico inteso come onore dell’Italia nel mondo da salvaguardare, e dal metodo autoritario, che comportava decisioni efficaci. È noto che la bonifica pontina, affidata all’Opera Nazionale Combattenti, fu realizzata spendendo meno dei fondi stanziati. È il caso di rievocare la prodigiosa bravura del ministro delle Finanze di Salò, il «tecnico» Pellegrini Giampietro, nella difesa della lira in quei mesi tragici (significativamente Pellegrini Giampietro, giurista-economista di formazione, aveva scritto nel ’41 un saggio dal titolo: «Aspetti spirituali del fascismo»).

La democrazia pluri-partitica ha progressivamente corrotto questa classe dirigenziale: esigendo dai grand commis che si facessero distributori di tangenti, rendendo sempre più dipendente la loro carriera dai favori del politico di turno, fino alla necessità di avere «la tessera in tasca» di un partito per poter giungere ai vertici; rendendoli complici della loro corruzione, per cui la necessaria e inevitabile vicinanza tra questi direttori e i governanti politici si è tramutata nell’italicissima «pappa e ciccia». E infine sostituendo di fatto – e sempre più svergognatamente – i vincitori di concorso pubblico con «nominati» dalla politica.

Gli apparati operativi dello Stato sono stati così infarciti da gente «in quota PCI», oggi persino «in quota AN», per lo più trombati alle elezioni locali e nazionali: ossia politici del più infimo livello, incapaci di tutto e tecnicamente incompetenti del settore che sono chiamati a governare; e contemporaneamente irresponsabili verso la nazione, leali solo alla parte. E per giunta, strapagati senza alcun merito, né controllo, né obbligo di risultati.

Da questo processo viene il Piazza presidente dell’Aler con l’ignoranza e la delinquenza del mafioso, ma anche i magistrati della Corte dei Conti inadempienti, e un ordine giudiziario truce e d’intollerabile incompetenza, che pesa sulla società doppiamente con lentezze criminali e decisioni arbitrarie, comminando carcerazioni preventive e pene a capocchia, instaurando l’incertezza assoluta del diritto.

L’inefficienza regna in tutto lo Stato Amministrativo. La «efficienza di Equitalia» di cui si vanta il suo strapagato direttore, Befera, è il tipico equivoco del burocrate incapace e che non studia più, che scambia per efficacia la ferocia persecutoria «legale», lo strapotere di cui la potenza dello Stato l’ha fornito: l’efficienza di Equitalia estrae imposte e sovrattasse in modi tali, da far sparire i contribuenti ridotti in miseria, che chiudono l’impresa o si suicidano. L’anno prossimo, da costoro non si potrà estrarre più niente. L’economia produttiva, e persino la base fiscale, vengono desertificate dalla «efficienza» di Befera.

Il governo di Monti illustra in modo quasi caricaturale l’incompetenza assoluta di questi «tecnici», e il livello rivelatore delle università da cui sono stati prelevati per governarci. Il governo Monti ha fatto calare il PIL più del governo Berlusconi (meno 2 rispetto alla media UE, contro il meno 1 del governo Pdl). Ha fatto crescere la disoccupazione: nei precedenti 15 anni, governi di centro-destra e di centro-sinistra l’avevano contenuta addirittura meglio degli altri Paesi europei (- 0,1%), Monti l’ha fatta aumentare dello 1,5 nei primi otto mesi del suo governo. Nonostante abbia aumentato le imposte, ha fatto crescere il debito pubblico, che ormai veleggia al 130%, laddove per merito di Tremonti, nel 2008-2010, esso era stato notevolmente più contenuto. Ha scatenato l’inflazione, tenuta a bada nei 15 anni precedenti, ad un ritmo superiore a quello europeo. Ha fatto crollare la produzione industriale: dal -1,7% rispetto alla UE annuo dei 15 anni precedenti, Monti è passato a -5,3 (1).

Conclusione: un governo di incapaci. Da simili tecnici ci guardi Iddio. Ma sono il prodotto anche loro dello sgretolamento generale dello Stato Amministrativo. Tanto sgretolato, che le disposizioni del livello politico non vengono nemmeno più trasmesse, condannano anche il migliore dei governi politici possibili all’inefficacia. Infatti l’azione di governo dei tecnici consiste in annunci («Monti: così trasformiamo l’Italia»), che poi restano per lo più inattuati. E intanto, Monti ha regalato altri 900 milioni alla Sicilia, o meglio alla sua mafia di governo bancarottiera, facendo uno strappo al «patto di stabilità» a cui ha incatenato i comuni virtuosi del Nord, a cui è vietato spendere i soldi che hanno in cassa.

Tutto considerato, la deliquescenza dello Stato Amministrativo ci avvicina singolarmente all’Impero Ottomano, il Malato d’Europa. Anche là la burocrazia era presuntuosa, indolente e bustarellara, piena di «effendi» (titolo che indicava chi aveva una istruzione in qualche modo superiore, tipo liceo) che non facevano il loro lavoro. Anche là vigevano autonomie eccessive: bey e pascià sgovernavano dalla Libia alla Siria come pareva a loro, e Costantinopoli – la Sublime Porta – non sapeva, o lasciava fare. Anche là arricchimenti indebiti. Anche là soprusi pubblici facevano parte della vita quotidiana della gente qualunque ed onesta. Anche là la giustizia era arbitraria, imprevedibile, ferocissima a caso, debolissima davanti ai potenti veri. Anche là, naturalmente, il PIL calava, e il debito pubblico aumentava senza freni…

Grazie, pascià Monti. Ci inchiniamo, bey Befera. Baciamo umilmente le mani, effendi Giampaolino. E ci prostriamo alla Sublime Porta, al diwan su cui siede, regale, Napolitano, il Gran Turco.

1) Per questi dati faccio riferimento alle eccezionali analisi del blogger che si firma «GPG Imperatrice» su Rischio Calcolato: è persona di cui conosco personalmente le notevoli capacità tecniche e la stimabile imparzialità di giudizio. Riprendo, ringraziandolo, le sue conclusioni:

«PIL: coi governi di Centro Destra e Centro Sinistra perdevamo l’1,0% di PIL all’anno (equivalenti a 250 euro di ricchezza in meno all’anno per ogni italiano), con Monti il 2,0% (circa 500 euro all’anno a persona, neonati inclusi)

DISOCCUPAZIONE: coi governo di Centro Destra e Centro Sinistra il Tasso annuo di Disoccupazione ha avuto uno scostamento medio annuo dello 0,1% migliore della media UE (equivalente a 20.000 disoccupati in meno), con una performance media leggermente migliore negli anni dei governi di Centro Destra. Con Monti la disoccupazione ha avuto un aumento di ben l’1,5% in più della media Europea. Come dire, dei circa 500.000 disoccupati in più registrati in Italia nella media dei primi 8 mesi del 2012 rispetto al 2011, ben 380.000 sono responsabilità del governo Monti (il dato a fine anno sarà assai peggiore, visto che in estate siamo a variazioni annue di circa 750.000 disoccupati in più).

DEBITO PUBBLICO: coi governo di Centro Destra e Centro Sinistra l’Italia ha ridotto dal 53% al 38% il differenziale di rapporto tra Debito e PIL rispetto alla media europea (dello 0,9% all’anno medio). Con Monti la forbice riprenderà a riaprirsi, seppur leggermente (0,2%) interrompendo una tendenza alla riduzione che durava da 5 anni ininterrotti. Monti fa il quarto peggior risultato degli ultimi 15 anni (solo i governo pre-elettorali del 2001, 2005 e 2006 fecero peggio)

INFLAZIONE: coi governi di Centro Destra e Centro Sinistra abbiamo avuto un differenziale di inflazione con la UE allo 0,3% nella media annua, ma tra il 2006 ed il 2011 avevamo azzerato il gap, ed anzi iniziavamo ad avere un tasso di inflazione inferiore. Con l’arrivo di Monti riparte l’inflazione e torniamo 10-15 anni indietro, interrompendo una dinamica tutto sommato positiva. Ovviamente ciò è legato all’incremento di tassazione indiretta scriteriata di Monti, specie l’aumento dell’IVA e delle accise sui carburanti.

PRODUZIONE INDUSTRIALE: nei 15 anni precedenti perdevamo un 1,7% annuo di produzione rispetto alla media Europea (risultato pessimo, con un -1,3% durante i governi di Centro Sinistra e -2,1% sotto i governi di Centro Destra). Con Monti arriviamo al -5,3% che è un risultato assolutamente impareggiabile in negativo.

Riassumendo le performance sui primi 5 indicatori, il governo Monti è il peggiore assoluto in 3 indicatori (PIL, disoccupazione, produzione industriale) ed in altri 2 è tra i governi peggiori degli ultimi 15 anni (debito ed inflazione). Immaginavo fosse messo male Monti a risultati, ma non un disastro tale da far rimpiangere Berlusconi e Prodi (inetti, ma perlomeno pare fecero meno danni, dati alla mano)».

Maurizio Blondet
Fonte: www.rischiocalcolato.it
Link: http://www.rischiocalcolato.it/2012/10/italia-ottomana-ma-molto-peggio-di-maurizio-blondet.html
7.10.2012

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