DI HS
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In attesa di conoscere i risultati definitivi della tornata elettorale delle amministrative e l’esito del referendum val la pena spendere qualche parola per un’analisi sui risultati delle ultime europee dentro e fuori dall’Italia. Una disamina che, pur essendo inevitabilmente di “parte”, cercherà di essere il più obiettiva possibile nella valutazione dello stato delle cose…
Per valutare il quadro delle “europee” in Italia non si può prescindere da come tali elezioni sono percepite dall’elettorato del nostro paese tenendo conto di una peculiarità: a un anno di distanza dalla tornata elettorale delle politiche che hanno visto trionfare la coalizione del Cavaliere era diffusa la curiosità circa la tenuta del suo consenso. Come vedremo il risultato di questo ennesimo plebiscito sulla linea politica del premier non si può certo definire una vittoria per la sua compagine ma neanche una netta e sonora sconfitta. Chi ha cominciato a parlare di ennesima “crisi irreversibile” di Berlusconi (e del berlusconismo) ha fatto i conti senza l’oste…
Il dato più rilevante e da tenere in debita considerazione anche per gli sviluppi futuri, escludendo il marcato astensionismo causato da una politica che ha raggiunto i minimi storici per quel che riguarda decenza e rigore, è la sconfitta definitiva del bipolarismo e di ogni prospettiva che intenda fissare la politica istituzionale italiana su due cardini fissi ed insostituibili. La PDL arretra e la PD anche ed insieme fanno una percentuale che è poco più del 60 per cento. Avendo ben presente la percentuale (record) di comprensibile astensionismo, bisogna ammettere che è veramente pochino. L’Italia si avvicinava molto di più al “bipolarismo” o, addirittura, al “bipartitismo” in tempi in cui non a caso un noto politologo aveva coniato il concetto di “bipartitismo imperfetto” quando la DC e il PCI insieme facevano il 70 per cento in un contesto politico di bassissimo astensionismo. Fra l’altro i due partiti di recente formazione già sono scaturiti da processi di fusione (PDL da Forza Italia e AN e PD da DS e Margherita) e difficilmente possono essere assimilati alla stregua di genuini “partiti di massa”. Per converso i veri vincitori risultano quelli che sono insieme potenziali competitori o alleati delle due principali formazioni, vale a dire quella Lega ormai radicata al Nord e l’Italia dei Valori di Di Pietro che in un anno ha quasi raddoppiato la sua quota di consenso elettorale. Se la Lega è già un alleato nello schieramento governativo guidato dalla PDL al contempo vuole mantenere la sua autonomia e le “mani libere” rispetto alla leadership berlusconiana mentre in quest’ultimo anno Di Pietro & c. hanno cercato di rimarcare le distanze rispetto al PD troppo tiepido o “collaborativo” nei confronti di Berlusconi e i risultati gli hanno dato ragione. Se proprio “bipolarismo” ha da essere la PDL dovrebbe cercare di inglobare i leghisti mentre il PD dovrebbe ricercare al fusione con l’Italia dei Valori e al momento queste operazioni non sono certo possibili. Al di fuori di accordi e compromessi più o meno elettorali o programmatici le alternative sono veramente scarse. E poi ci sarebbe l’incognita dell’UDC di Casini… Autonomia al “centro”, ritorno a “destra” o strizzatine d’occhio a “sinistra” ? Al momento la carta che il suo leader vuole mettere sul tavolo è la prima.
Insomma, a tirare le somme e se si ritengono rispettosi della scelta elettorale i leader dei due maggiori partiti dovrebbero prendere atto che l’Italia è e rimarrà pluripartitica traendone le dovute conseguenze anche per quel che riguarda la modifica della legge elettorale. Che vengano colti da tale ravvedimento ho però molti dubbi e ho idea che non si vorrà rinunciare alla rendita “bipolare”. Senza contare che il Cavaliere mira addirittura a ridimensionare il ruolo di Parlamento e partiti unicamente per rafforzare il proprio potere…
Nonostante il progressivo declino del “bipolarismo” forzoso e forzato, nonostante le mire accentratrici del Cavaliere siano rimaste frustrate la PDL si conferma il primo partito italiano, il più votato dagli elettori (votanti). Se il berlusconismo inteso come fenomeno (sub) e (in)culturale permane nella sua sostanziale egemonia grazie soprattutto all’apporto delle televisioni e di rivistucole che non sono solo del Nostro, alla bellezza di 73 anni da compiere Berlusconi può ancora sperare di giungere al massimo scranno di un’Italia “riformata” in senso “presidenziale” o autoritario. Gli avversari del Cavaliere farebbero bene a non crogiolarsi e a prepararsi per il futuro perché se Atene piange (piagnucola, và…) Sparta non ride. E’ intuibile come la PDL abbia perso qualche voto vuoi per ragioni strettamente legate alla Crisi vuoi per le vicende “private” del Cavaliere che hanno turbato qualche anima devota e dedita alla Fede e a opere di Carità. Il Papa e la Curia hanno duramente rimbeccato il premier per il suo “stile di vita” e nel nostro paese in cui magari si alzano le spalle di fronte alle nefandezze della mafia e della corruzione politica ma ipocritamente si grida allo scandalo sulle questioni che richiamano la sessualità la voce del Vaticano conta assai… Insomma si è disposti a glissare sul berlusconismo per ragioni di bassa bottega e macelleria mediatica – vedi il caso Englaro – ma si agita la bandiera della morale su fatti che poi sono presunti e, al limite, presumibili. Ben altro bolle nella pentola del Cavaliere…
Conseguentemente qualche voto dei devoti in libera uscita e delusi da quello che credevano un “buon padre di famiglia” è sicuramente approdato alle comode e rassicuranti coste dell’UDC di Casini. Ora, se non è trascurabile il momento poco felice del Cavaliere siamo comunque ben lungi dal constatare una crisi irreversibile e bisognerebbe ricordare che fino ad oggi il Cavaliere è caduto in piedi attraversando momenti peggiori. Ad esempio nel biennio 2004-2005 eravamo in molti, in troppi ad attendere la fine di un’era forse più lunga di quel che avevamo potuto concepire nelle nostre menti e nei nostri cuori. Ricordate i risultati delle amministrative del 2004 e delle Regionali del 2005 che portarono in seno al centrosinistra la quasi totalità delle regioni (escluse ovviamente le roccaforti lombarda e siciliana) ? Eppure il centrosinistra, questa bizzarra congerie che evidentemente ogni volta si congiunge per sdoppiarsi indecisa se convivere beatamente in una grande Casa delle Libertà o accennare un briciolo di opposizione dentro le istituzioni, non fu capace e pronta a cogliere al volo l’occasione e premere sul Capo dello Stato – allora Ciampi – per lo scioglimento delle Camere. Il resto è storia e rispetto ad allora il Cavaliere, il berlusconismo e i suoi alleati non hanno perso punti. Al contrario…
Sicuramente rimangono le questioni irrisolte e che magari non fanno dormire il nostro Cavaliere e non sono solo Mills e Letizia. Da un lato, all’interno della PDL, verrà prima o poi il momento del passaggio di consegne a Gianfranco Fini che in questi anni ha assiduamente studiato per diventare un leader certo più presentabile di Berlusconi anche sul piano internazionale. Da postfascista a conservatore e “neocon”. In questa legislatura è stato relegato ad un ruolo istituzionale che se da un lato è prestigioso gli tarpa anche le ali impedendogli di manifestare a pieno la propria vis politica. Un modo per arginare le pretese di un alleato – concorrente ? Ora però i problemi per quel che concerne gli equilibri nel centrodestra si pongono fuori dalla PDL investendo direttamente il rapporto con la Lega, la vera vincitrice della contesa “europea” come vedremo più avanti.
Sull’altro fronte, quello piddino, se non c’è ragione di essere soddisfatti non si può neanche dire che si sia verificato il crollo che non pochi avevano previsto. Alla fine si può tranquillamente ringraziare Veltroni per le sue dimissioni perché proseguendo su quella strada vagamente – ma neanche tanto – collaborativi nei confronti di un governo che fa sfracelli del rispetto dovuto alle istituzioni ci sarebbe sì stato motivo di versare lacrime amare. Alla gestione “buonista” e “collaborativi” di Veltroni è subentrata quella un pelo più grintosa e comunque competitiva di Franceschini il quale è ben conscio di rappresentare una soluzione di ripiego per la crisi di un partito non ancora nato e in fase di gestazione. Dietro al giovane dirigente di estrazione cattolica sono altri a scalpitare… I problemi sul tappeto del PD però sono ben altri tanto che si ha la sensazione netta che il PD non sia nient’altro che una grande scatola vuota, qualcosa che solo con molto sforzo si potrebbe definire un’opposizione. Alcuni rimproverano il partito e suoi leader di essere troppo ancorati ad un passato cattocomunista, di essere la risultante di istanze ormai logore provenienti dalla sinistra DC e dal vecchio PCI, ma è vero piuttosto il contrario. Non può essere negato che il DC e soprattutto il PCI furono due grandi partiti di massa, ciascuno con una base elettorale e di militanza molto solida. Il PD non ha certo raccolto tutto questo e, anzi, come “partito pigliatutto” si è mangiato le proprie radici ideologiche ma anche strutturali ed organizzative e questo discorso vale tanto di più per la componente di ex PCI – PDS –DS. Si potrebbe obiettare che tale mutazione da partito di massa a partito pigliatutto molto all’”americana” è inevitabile in quanto la società italiana di oggi è radicalmente diversa da quella così strutturata e divisa in classi e caratterizzata da realtà particolari e locali più marcate. La società italiana postmoderna sarebbe più “fluida” e “liquida”, in definitiva più omologata. In tale realtà si adattano bene proprio i “partiti pigliatutto” generalmente tesi alla ricerca di voti naturalmente in libera uscita in un contesto sociale che parrebbe costituito solo da individui e senza istanze genuinamente sociali – idea tipicamente americana -. Ovviamente che quei partiti di massa così ancorati alle ideologie dovessero sottoporsi a cambiamenti profondi non si può discutere tanto più che quel processo era già in atto nella Prima Repubblica, tuttavia l’approdo a grandi organizzazioni puramente elettorali senza una precisa identità né collocazione politica non è un processo necessario né auspicabile. Non è necessariamente detto poi che la società postmoderna italiana sia così “fluida” come si vorrebbe far credere… I leader del PD in definitiva non sembrano aver capito che un partito ha bisogno di innervare linfa che non può che provenire dalla militanza e dalla costruzione di un minimo di identità definita, invece si è proceduto a (finte) primarie peraltro fallimentari dato che ci si è accorti abbastanza presto che si stava percorrendo una china disastrosa. Il caso del PD poi non è neanche paragonabile a quello dei partiti socialisti e socialdemocratici degli altri paesi europei che da anni si pongono il problema rimasto irrisolto e senza sbocchi di edificare qualcosa che rientri nella tradizione della socialdemocrazia europea in un contesto dominato dal neocapitalismo e dal pensiero unico del Mercato. In effetti il PD non si può neanche definire socialdemocratico ed ancora non sembra aver trovato un a collocazione consona nel Parlamento Europea, caso unico per una formazione europea che dovrebbe attestarsi su posizioni di centrosinistra. Si sostiene che sia in corso una contesa a riguardo fra l’anima “popolare” e quella “socialista”, ma il sospetto che non sarà mai abbastanza ribadito è che si voglia in realtà celare il grande Nulla e per questo ci si appoggia alle rispettive radici cultural – politico – ideologiche. Un richiamo e nulla più… Fa specie come invece in questi due anni scarsi sia stata quella minoranza ora vaticana ora rutelliana ora “teodemocratica” (vedi Binetti) a mostrare i muscoli e a presentarsi come la portatrice dei valori sani della Fede tradotti in politica. Si tratta sempre di quelle fazioni che hanno impedito al governo Prodi di affrontare decisamente questioni come la ricerca scientifica sulle cellule e come il testamento biologico. Un’altra peculiarità non invidiabile della cosiddetta “sinistra” italiana.
Ma quale può essere la credibilità di un partito che pur definendosi laico e di centrosinistra lascia in realtà spazio e tempo a disposizione di coloro che si impegnano spesso e volentieri in battaglie di “retroguardia” ? Finchè non si farà avanti una classe dirigente nuova e rinnovata all’interno del PD, più consapevole e meno frenata da complessi “cattocomunisti” si faranno pochi passi avanti per una strada lunga e tortuosa con tutto il rispetto per Franceschini…
Per quel che riguarda la Lega val la pena cercare di analizzare nella maniera più lucida possibile quello che si impone come un fenomeno ancora in ascesa. Rispetto alle ultime Europee il partito – movimento di Bossi e Maroni ha raddoppiato i voti e dopo il successo clamoroso nelle ultime Politiche ha ancora aumentato il proprio consenso… Come mai ? Le ragioni sono tante ma facilmente intuibili… Prendiamo un attimo ad esempio i due principali partiti che per un’ignota mano del destino avrebbero dovuto imporsi come cardini del preteso “bipolarismo” – che ancora si pretende di far digerire agli italiani – ovverosia PDL e PD. Macchine elettorali, virtuali, esibizioni veltronian hollywoodiane, candidature di veline, letterine e partecipanti di reality. E’ stata data l’immagine (e la sostanza) di una politica fatta di fiction e spettacolo completamente disancorata da una realtà dominata dalla più grave delle crisi dal dopoguerra ad oggi dal punto di vista morale, civile, politico, culturale oltre che da quello economico. Una politica che si consuma in facezie o al chiuso di istituzioni sempre più a pezzi senza cercare un minimo di contatto che si rispetti con l’elettorato e la militanza. Le piazze sono andate a farsi benedire e i politici li ritrovi ormai ovunque tranne dove dovrebbero essere. Personalmente appoggerei un’iniziativa che impedisse ai politici di qualsiasi colore di partecipare agli spettacoli televisivi – compresi i talk show dove ormai sono insopportabili e si parlano uno sull’altro giocando allo scontro specialmente gli onorevoli della PDL che fanno sfoggio volentieri di maleducazioni, supponenza, arroganza e becera volgarità – escludendo conferenze, tribune elettorali ed interviste. Si badi poi che questo discorso riguarda anche gli altri partiti che non si discostano da quegli stili così squisiti.
In tutto questo cosa c’entra la Lega ? Nella sua aspra rozzezza il partito – movimento padano è l’unico che fa un vero lavoro di militanza conquistando quartiere su quartiere nelle grandi città del Nord ed estendendo un dominio sempre più incontrastato nei piccoli centri. Semplicemente la Lega è l’unico partito a radicarsi sul territorio senza affidarsi all’apporto di costosi e – per alcuni remunerativi – congegni virtuali attivati da circuiti massmediatici e dello spettacolo. Questa attività parte anche dal basso, dall’impegno di aderenti e militanti sempre più convinti. Sono semplici fatti che una persona a me cara mi ha fatto notare e che non posso far altro che registrare senza la possibilità di contraddittorio. Mi piange il cuore come cittadino del nord Italia vedere che crescono i consensi incanalati da un movimento che per certe sue venature – specie in Borghezio già militante giovanile del tristemente noto Ordine Nuovo – si avvicina al neonazismo. Sicuramente per identità, idee e stile è riconducibile alla famiglia della destra radicale europea. Il momento è propizio: c’è questa grande Crisi che naturalmente investe l’Europa e rafforza euroscetticismi e le opposizioni “antisistema” favorendo soprattutto le estreme destre che hanno attaccato con maggiore virulenza l’Europa burocratica e del Mercato opponendo “l’Europa dei popoli” ed intensificando gli attacchi agli stranieri extracomunitari e “non cristiani”. Ma su questa ondata che coinvolge anche la Lega approfondiremo in seguito… La Lega vince in Italia – al Nord Italia – perché in tempi di crisi sa essere o dare l’impressione di essere un partito estremamente rassicurante sotto la reale guida di quello che è il vero numero uno attuale del partito, il Ministro degli Interni Roberto Maroni che è anche il reale uomo forte del governo e “decisore”, promotore di una linea politica che fa della sicurezza “di strada” dei cittadini il cardine della PDL. Se Berlusconi è tutto concentrato a risolvere altri problemi ovvero i suoi, il buon Maroni mobilita le forze dell’ordine dello Stato e promuove inedite politiche anti immigrazione che riscuotono il plauso di molti. In questa sede non interessa stabilire la reale efficacia e l’effettiva applicazione di certe dichiarazioni di intenti. Quel che è sicuro, invece, è che ad esempio l’idea sola delle ronde – tipicamente leghista e padana – suggestiona ed attrae molti. Ordine, sicurezza, politiche mirate a contrastare l’immigrazione di per sé, ecc… La criminalizzazione dell’Altro e del Diverso che non è né italiano né padano, dei soggetti su cui far ricadere colpe e responsabilità della crisi. La teoria del capro espiatorio è ben nota.
L’informazione televisiva e della carta stampata ci hanno messo indirettamente del loro in quest’opera affondando inchiostro e parole a piene mani nel fango della cronaca nera per dipingere gli stereotipi di stranieri dediti alla delinquenza e allo stupro, manco fossimo all’interno del noto romanzo di Burgess e ora la Lega raccoglie i frutti. Ormai il consenso elettorale di cui gode è trasversale potendo contare sia sui voti dei ceti proprietari ed imprenditoriali che chiedono sicurezza per le proprie attività sia su quelli di molti lavoratori dipendenti del Nord, perché la Crisi accentua la precarietà e la competizione con i lavoratori stranieri extracomunitari – ma anche comunitari dell’Est Europa – più disponibili a lavorare in determinate condizioni di sicurezza e salariali in un contesto come quello italiano caratterizzato da consistenti sacche di attività e lavoro “informale” – tanto per usare una aggettivo morbido -. Sulla base di queste deduzioni non dovrebbe stupire che la Lega oggi peschi voti anche fra elettori che tradizionalmente avevano sempre dato fiducia in passato ai partiti anche più a sinistra. In sostanza fra tutti i partiti l’attuale guadagno di voti della Lega è stato sicuramente il più trasversale dal punto di vista politico (da destra a sinistra) e sociale (dai “proprietari” ai “percettori di salario”). Questo successo consente di porre sul piatto questo crescente sostegno e contrattare da una posizione di forza con Berlusconi e la PDL. E si ripresenta con maggior forza l’altra questione: la volontà di accentuare l’autonomia del Nord Italia da Roma e dal Meridione fino a promuovere spinte realmente secessioniste. Se prima la forza elettorale della Lega permetteva al partito di vivere sulla rendita di un consolidato radicamento nelle province settentrionali soprattutto in Lombardia e in Piemonte, ora si presenta concretamente l’opportunità di ripresentare le proposte “federaliste” come grimaldello per un processo secessionista che, se gli sviluppi non mutano, difficilmente potrà essere contrastato. La responsabilità ricade ancora una volta su una classe politica e dirigente che non ha saputo o voluto affrontare in maniera organica e determinata i problemi che assillano soprattutto le regioni meridionali e sbarazzarsi della piaga della criminalità organizzata e dei ceti parassitari che hanno condannato una buona metà del paese al sottosviluppo morale prima che materiale. Si è cercato il compromesso e si sono scansati i problemi come ha dimostrato ad esempio la questione “immondizia” della Campania.
Le formule leghiste possono costituire le soluzioni a tutti questi mali che assillano il paese ? Personalmente non ho dubbi non solo sull’inefficacia ma anche sugli alti costi anche all’ennesimo prezzo a carico di una “democrazia” traballante ma quel che importa qui è mostrare come l’esistenza di quelle questioni e il modo diretto e secco della Lega di affrontarle piace a molti nel Nord. Quel “raddoppio elettorale” proviene soprattutto dalle delusioni nei confronti di Berlusconi ma anche da “conversioni” dal centrosinistra e dalla sinistra. Peraltro se i sindaci eletti fra le file del centrosinistra si sono tanto atteggiati a “sceriffi” perché non eleggere direttamente coloro che hanno creato e perfezionato per primi quel modello di sicurezza su base locale ? Ahinoi…
Altro grande vincitore Antonio Di Pietro e la sua Italia dei Valori ha quasi raddoppiato in un anno i suoi voti puntando, a differenza del PD, sull’acceso antiberlusconismo dalle tinte legalitarie. Non c’è molto da aggiungere… Il risultato era comunque piuttosto previsto e ha dato ragione all’ex eroe di Mani Pulite. Nel suo antiberlusconismo Di Pietro si è presentato soprattutto come un competitore del PD evidentemente ostaggio di una linea moderata e piuttosto “compromissoria”. Constatato il livello di popolarità di Berlusconi fra gli elettori di sinistra si comprende come voti in libera uscita dalla PD ma anche alla sua sinistra siano finiti fra le braccia accoglienti di Di Pietro che, fra tutti, trasmette l’immagine dell’autentico oppositore a Berlusconi e al berlusconismo. A differenza della Lega difficilmente può aver guadagnato qualcosa a “destra” e nel centrodestra. Ora si tratterà di vedere e di osservare come l’ex PM capitalizzerà tale successo. Insomma che cosa farà da grande il buon Tonino ? Si accontenterà di un’opposizione di rendita o di una rendita nell’opposizione rinchiudendosi nei Palazzi ? Cercherà un’intesa finalmente proficua con il PD e con gli altri oppositori di Berlusconi ? Oppure continuerà a correre convenientemente – dal punto di vista del consenso – da solo ? Allargherà il suo orizzonte quasi essenzialmente legalitario e populista ? Oppure riuscirà a colmare quei vuoti a sinistra circa le tematiche legate al welfare ?
Anche qui molti dubbi…
Discreto successo per l’UDC e per il fascinoso Pierferdi, ma forse un pochino al di sotto delle aspettative dato che l’ex pupillo democristiano di Forlani aveva iniziato anzitempo la sua campagna elettorale premendo sull’equidistanza e sull’autonomia del Centro tanto dal PDL che dal PD. Inoltre le vicissitudini e le disavventure “private” del Cavaliere avrebbero dovuto avvantaggiare soprattutto il partito di Casini risultando un pochino intaccata l’immagine di Berlusconi come buon padre e marito cattolico. Qualcosa è stato raccolto ma neanche tanto e d’altronde qual credibilità politica si può avere quando si presenta un Trio Lescano di ferro come Magdi Cristiano Allam – Vittorio Sgarbi – Vittorio Emanuele di Savoia ? Di sicuro Pierferdi ha dimostrato di avere un gran senso dell’umorismo e rimarrà negli annali.
Per il resto veramente poche parole per liquidare le due liste della Sinistra che, nonostante il pericolo dello sbarramento al 4 per cento non sono state capaci di trovare un’intesa per superare l’ostacolo. Per tutto questo c’è solo una parola da pronunciare ad alta voce “Dabbenaggine” (con la d maiuscola) . Siamo veramente al patetico… Si è tirata in ballo la consueta divisione fra una sinistra laica, riformista e postmoderna e una sinistra comunista dogmatica e di vecchio stampo, ma è una giustificazione che niente giustifica al cospetto di uno spettacolo di tanti leaderini che si pavoneggiano e fanno a gara per mostrare la “sinistra che ce l’ha più grosso”. D’altronde si può vivere di rendita anche fuori dai Palazzi mentre i grandi problemi del lavoro, dell’occupazione, del salario e del precariato rimangono sul tappeto senza essere adeguatamente affrontati e rappresentati.
I radicali, invece, dovrebbero cominciare a fare quello che in quarant’anni di egemonia pannelliana non sono mai stati capaci di fare sempre così presi nella loro denuncia del regime e della mafia partitocratrica: un’autocritica che può solo essere il frutto di un’umiltà di cui hanno sempre difettato. Si sa: i radicali hanno sempre avuto ragione esattamente come i matti. Ma come mai in tanti anni sono rimasti “impallati” alle loro scarse percentuali ? Solo per la cattiveria di un regime che ha impedito agli italiani di avere un’informazione corretta e puntuale ? Siete veramente sicuri cari radicali, ammettendo che l’informazione giornalistica e televisiva è intossicata – ma non siete gli unici a dirlo e ribadirlo – che se l’Italia fosse libera dal regime i cittadini vi sommergerebbero di voti ? E poi nella vostra storia non avete forse anche voi flirtato con questo e quel pezzo di regime e penso a Craxi e ai socialisti, ai repubblicani e ai liberali, fino a Berlusconi prima e il centrosinistra di Prodi dopo ? Non siete troppo ostaggi di un leader, Marco Pannella, ormai anziano e non molto lucido che ripete ormai da anni le stesse litanie e ogni tre per due fa uno sciopero della fame e della sete ? Non vi fa riflettere che dieci anni fa, quando presentaste una lista a nome di Emma Bonino che sembrava finalmente affrancata dall’ingombrante presenza del vostro capo incontrastato ed indiscusso, otteneste un successo irripetibile sfiorando il 10 per cento ? Non è forse l’ora di cambiare musica ed orchestra ? E’ significativo come i più abbiano a mente i radicali per l’adesione di personaggi del mondo dello spettacolo come Tortora, Modugno, Cicciolina (ooops…), fino a Vasco Rossi e a Marco Bellocchio. D’altronde Pannella ha offerto diversi show in televisione, anzi è stato il primo showman politico. E chiudo…
Per quel che riguarda le altre liste le percentuali sono state insignificanti e trascurabili.
Varcando i confini e lasciando lo Stivale per allargare lo sguardo verso l’orizzonte europeo ci si deve confrontare con le ripercussioni della Crisi sul processo di unificazione ed integrazione europea. Ad essere sinceri la crisi dell’Unità Europea – o presunta tale per molti versi – si innesta su un contesto già segnato e percorso da scetticismi vari e di variegato colore politico. L’integrazione europea si è imposta quasi essenzialmente come una sorta di concessione “dall’alto”, un percorso burocratico ed elitario all’insegna della tecnocrazia e dietro il solito vessillo del neoliberismo, della deregulation e del neocapitalismo delle privatizzazioni. Egemonia economica, politica e culturale di un Mercato che, anno dopo anno, si è fatto luogo da quel pensiero unico venato anche di edonismo e di un benessere virtuale. Il deragliamento del modello ritenuto giustamente causa di quelle speculazioni che hanno condotto all’attuale crisi ha ovviamente trascinato l’Europa dei Mercati. Ovvia e consequenziale la risposta elettorale che premia sempre più i partiti e i movimenti “euroscettici” che avversano tale modello, collocabili soprattutto a destra e all’estrema destra. Questi partiti, richiamandosi alle patrie più o meno piccole, oppongono all’”Europa delle elite” quella dei “popoli” evocando forti identità comunitarie da opporre all’individualismo dilagante dando di sé una forte immagine “antisistema”. Non interessa qui stabilire quanto fittizie siano tali evocazioni e rimandi ma registrare la crescita di un fenomeno comunque preoccupante. Da anni ormai questo tipo di formazioni politiche beneficiano di un clima generale che consente loro di rosicchiare gradualmente quote di consenso a partire da quello “Scontro di Civiltà” e dalla cosiddetta “guerra al terrorismo” che hanno ossessionato le giornate di molti a partire dall’11 settembre del 2001. Xenofobia e razzismo, politiche di deciso contenimento dell’immigrazione clandestina, la sindrome securitaria che si riversa soprattutto sulle strade delle metropoli, rancori e rabbia manifestate anche attraverso le azioni di bande paramilitari, ecc… Tutto questo rientra nella grande famiglia di quelle destre tenacemente “occidentaliste” o che, comunque, propongono altre concezioni di “occidentalismo” come, appunto, il caso della Lega in Italia. Un grande peso sull’affermazione lo esercita anche un mercato del lavoro internazionale sempre più competitivo e che poco si presta ad una concreta regolazione. Ciò si traduce nell’eterna lotta fra lavoratori e fra i ceti meno abbienti – per dirla con un eufemismo – intensificando certo non la solidarietà di classe ma comportamenti caratterizzati dal sempre più acceso e marcato sciovinismo.
Un successo altrettanto importante viene registrato dai Verdi in parecchi paesi europei per la sempre più diffusa sensibilità verso i temi ecologisti nei confronti di un panorama generale segnato dall’emergenza e dall’allarme climatico. Filiazioni di quella Nuova Sinistra – ed infatti in Francia rappresentante principale ne è il leader postsessantottino Daniel Cohn Bendit molto popolare in quel paese – in voga negli anni 60 e 70 e costituitisi poi in partiti veri e propri nel decennio successivo, i Verdi rappresentano un’altra grande famiglia europea non assimilabile alle destre ma neanche alle sinistre tradizionali. La visione più critica della modernità e dello sviluppo ha permesso loro di competere sempre più validamente con i partiti socialisti e socialdemocratici ormai in profonda crisi. Ed è proprio il generale arretramento, la sconfitta dei socialdemocratici europei il dato più significativo su cui meditare. In realtà la crisi che pare irreversibile dei socialisti e dei socialdemocratici dura ormai da una ventina d’anni, dalla caduta di quel Muro che ha trascinato non solo il comunismo di stampo sovietico ma anche quel riformismo socialdemocratico che aveva le sue radici sempre nel marxismo, nelle sue analisi e nei suoi concetti sia pure rivisitati. Di fronte a questo terremoto non c’è stata la capacità di rielaborare le idee socialiste, di dare una nuova veste ad una tradizione e ad una storia che anche e soprattutto nel bene hanno permesso a determinate classi e ceti di riprendere in mano il filo della dignità. Gettando il bambino con l’acqua sporca ci si ritrova con il Nulla in mano. Oppure si è costretti ad adattarsi e ad imitare e al di fuori del Partito Democratico degli USA che socialista non è mai stato se non in tempi di New Deal c’è ben poco.
La famosa terza via di Blair, da noi in Italia caldeggiata a lungo da Massimo D’Alema, non è stata che la riproposizione delle ricette economiche thatcheriane presentate e sdoganate da un leader laburista. Si è consegnata così l’immagine e la realtà concreta di un’Europa omogeneamente neoliberista in tutte le sue varie declinazioni siano esse neoconservatrici, neoliberali e neolaburiste.
Altrettanto chiaramente il normale cittadino europeo che ben si è adattato al nuovo – quanto nuovo ? – panorama europeo preferirà dare il suo voto ai neoconservatori oppure, in maniera sempre più consistente, ai neoliberali in ripresa netta soprattutto in Gran Bretagna. Trionfo quindi per i conservatori e i democristiani e disastro tanto per gli Zapatero – ennesima icona ormai naufragata della nuova “sinistra” laburista – che per i Brown. I socialisti soffrono per una costante emorragia di voti che premiano i Verdi, i liberali in ascesa e le “estreme” forse anche a destra.
Se si escludono i paesi scandinavi ove comunque la socialdemocrazia ha prodotto un sistema di welfare ormai consolidato e difficilmente “smontabile” da parte anche degli oppositori politici sia pure in un contesto di dilagante affermazione del neocapitalismo, i socialisti europei dovrebbero fare tesoro di questa ennesima lezione e recuperare il marxismo sia pure depurato da dogmatismi e dai miti ottocenteschi e positivisti dell’industrialismo e della bontà della crescita e dello sviluppo temperandolo attraverso una visione critica a la Latouche e coniugandolo con i temi ecologisti avanzati dai movimenti Verdi. Inoltre occorrerebbe affrontare la questione della costruzione di un welfare veramente efficace ed efficiente, in grado di fornire servizi a beneficio della cittadinanza al di fuori delle onnipresenti logiche di mercato.
Insomma si attende ancora oggi e più che mai da quelle che si definiscono sinistre un’altra idea di Europa da poter concepire e tradurre nella pratica…
Saluti
HS
Fonte: www.comedonchisciotte.org
15.06.2009