DI MAURIZIO BLONDET
Effedieffe
Fino al giorno in cui «sarà espulsa o sceglierà di fuggire dalla zona euro, l’Italia subirà una crocifissione argentina»: è la diagnosi di Bernard Connolly, già capo delle ricerche economiche alla commissione Europea ed ora analista strategico della Banque AIG.
L’Argentina si crocifisse agganciando la sua moneta al dollaro: l’effetto sulla sua economia troppo debole per una valuta forte furono perdita di competitività, rincari, fuga di capitali, e infine bancarotta e miseria di massa.
Secondo Connolly, l’Italia si è crocifissa entrando nell’euro troppo forte, anzi oggi più forte che mai dato il calo del dollaro.
Lo spiega uno dei migliori giornalisti economici britannici, Ambrose Evans-Pritchard.
L’Italia sta peggio perché è la peggio governata, ma serie crisi attendono entro il 2009 tutte le economie deboli dell’euro, il Club Med: Spagna in depressione, Portogallo, Grecia ed anche Francia.
Il perchè è facile a dirsi: la Germania ha guadagnato in competitività il 20% per unità di costo del lavoro contro la Francia, il 30% contro la Spagna, e il 40% contro l’Italia.
Sicchè solo la Germania è in grado di assorbire il rincaro dell’euro, ed infatti è la più grande esportatrice.
Grazie al fatto che ha potuto abbassare le paghe reali.
In Italia, col governo delle sinistre e dei sindacati, e dei parassiti pubblici, ciò non può avvenire. Dice Evans-Pritchard: «Solo quando una severa recessione obbligherà i salari italiani a calare abbastanza da fare la differenza [con la Germania: il 40% in meno] potrà recuperare la competitività perduta contro i tedeschi che godono di bassa inflazione. Il deficit pubblico diventerà astronomico. E l’Italia non potrà uscire da questo circolo vizioso se i tedeschi non accettano di tollerare un’inflazione molto più alta nella zona euro».
Ma perché la Germania dovrebbe?
Non siamo la stessa nazione.
Loro sono stati virtuosi con grandi sacrifici, e noi no.
Perché la formica dovrebbe accollarsi i pesi della cicala?
Come dice il giornalista inglese, «Diverrà sempre più evidente che l’euro non è una sacra unione, ma solo un sistema di cambi fissi glorificato. L’euro è una valuta orfana, senza Stato. Ossia manca dei meccanismi che rendono possibile alla lunga il funzionamento di una unione monetaria: unificazione del debito, unificazione delle pensioni, una tesoreria e trasferimenti fiscali comuni».
Crocifissa ad una valuta di fatto «tedesca» e sempre più forte, l’Italia esporta sempre meno, soffre di alta inflazione interna e s’indebita sempre più nella moneta non più nazionale.
Più dura la debolezza del dollaro sull’euro, più diventa probabile che i forti dell’eurozona finiscano per sbattere fuori l’Italia.
Allora torniamo ad una lira a cui nessuno più crede?
Avendo accumulato debito in euro?
Attenzione, non si tratta di previsioni fantastiche.
Goldman Sachs già consiglia clienti e investitori di andare «short» (in pratica di scommettere al ribasso) sui Buoni del Tesoro italiani e francesi, e di essere «lunghi» (a rialzo) sui BOT tedeschi.
E’ un invito ad avviare una speculazione che punta sulla divergenza tra forti e deboli nell’euro-zona, e di fatto aumenterà tale divaricazione con effetti disastrosi per noi: gli stessi che fruttarono tanti miliardi a Soros negli anni ‘90 e in cui Ciampi e Amato fecero perdere all’Italia 60 mila miliardi di lire.
Ora dovremo ringraziare Prodi e Padoa Schioppa (oltre che sindacati e parassiti pubblici)
del disastro imminente?
La sola (magra) consolazione è che anche Goldman Sachs vede quotare le sue obbligazioni come spazzatura (junk bonds), insieme alle più titolate banche d’affari Lehman Brothers, Merrill Lynch e Bear Stearns.
Anche il credito di questi giganti è ritenuto sempre meno solido.
Nell’ultimo mese il valore dei titoli emessi da queste ha perso 1,5 miliardi di dollari di valore a Wall Street, segno che gli acquirenti (creditori) ritengono che il rischio di detenere i «buoni» di Goldman, Merrill e Lehman sia alto e crescente.
La causa sottostante sono sempre i fallimenti dei debitori USA che hanno ottenuto i mutui per la casa, benchè di scarsa solvibilità.
Ora le grandi banche d’affari hanno accumulato 33 miliardi di dollari di titoli da esse emessi, e che non sono riuscite a vendere.
E il peggio è che le stesse banche hanno pure promesso di raccogliere altro debito per 300 miliardi di dollari onde finanziare le grandiose fusioni-acquisizioni e buy-outs annunciati quest’anno.
Nell’euforia di poche settimane fa, sembrava facile trovare compratori di quella carta.
Ora, i compratori sono diventati sospettosissimi.
Lo indica il prezzo dei credit default swaps, derivati che sono praticamente delle assicurazioni contro l’insolvibilità delle suddette grandi banche.
Quelli su Bear Stearns, che a giugno costavano 30 mila dollari, oggi costano 145 mila dollari: costa di più assicurarsi, perché il rischio d’insolvenza è sentito come più prossimo.
Questo rincaro della «polizza» dice che in pratica il rating di queste super-banche, che ancora è ufficialmente AAA (il massimo della solidità) dovrebbe essere ridotto – secondo i parametri di Moody’s – a Aa3 per Goldman, e Ba1 per Merrill e Lehman.
Insomma junk bonds.
I trucchi del «plunge protection team», che sta iniettando liquidità, non funzionano più.
Il cavallo non beve, come si diceva una volta.
I creditori non vogliono più rischi.
Come sempre è accaduto, con regolare ricorrenza, il capitalismo finanziario a briglia sciolta precipita nella recessione e nel gelo mondiale.
Ma il mal comune non sarà per l’Italia un mezzo gaudio: anzi al contrario.
Maurizio Blondet
Fonte: www.effedieffe.com
Link: http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=2179¶metro=economia
1.08.07