DI MARCO MANCASSOLA
minimaetmoralia.it
Avevo sedici anni quando mio padre perse il poco che aveva, la casa dove vivevamo fu espropriata. Ufficiali giudiziari che bussano alla porta, creditori che urlano minacce al telefono, le speranze di andare all’università che evaporano e la strada della tua vita che si fa in salita. Ero il ragazzo povero in un posto, la provincia veneta, che al tempo grondava soldi. Sono cresciuto tra gente più ricca di me, e non credo che questo mi abbia allenato all’invidia ma piuttosto a riconoscere il vuoto, la bolla di irrealtà che i soldi creano nella vita delle persone.
Oggi la legge sui fallimenti si è fatta meno stringente verso i piccoli imprenditori. Eppure il fallimento è rimasto un’idea-spettro dentro di me, una sorta di principio logico e crudele. Mi dico: un uomo che non riesce più a pagare i suoi debiti viene dichiarato fallito. Cosa accade però se allarghiamo il concetto del debito oltre i debiti aziendali, oltre i debiti personali, e consideriamo anche il debito pubblico pro-capite? Se consideriamo l’intero debito economico, ecologico, geopolitico della società in cui viviamo?
Un tale tipo di debito è ovviamente impossibile da ripagare. Nessuno ormai può riuscirci. E accade dunque che intere generazioni, da un punto di vista logico, sono fallite in partenza. Avete vent’anni, siete falliti. Ne avete dieci, siete falliti. Nascete ora, falliti. Membri di una società e di un’epoca che non saprà mai pagare il suo debito.
Il default, il downgrade, la crisi del debito. Quelle degli articoli di economia sono parole-tentacolo che ci afferrano e trascinano in giù verso spirali di incertezza. Se le parole suonano astratte, gli effetti sono concreti. Oggi si tratta di sperimentare precarietà, disoccupazione, sottoccupazione, lavoro in nero, impossibilità di progettare una vita. Domani magari le mense popolari e gli ostelli per senzatetto, che già registrano afflussi record. E le rivolte, i disordini sociali di cui vediamo qua e là il sinistro scintillare. Come si spezza la spirale?
Smettendo di pagare, dice qualcuno. Un sano diritto all’insolvenza. Creare un punto di rottura, resettare il mondo intero. Can’t pay, won’t pay è il motto inglese usato da numerose campagne: ricorda il Sotto paga! Non si paga! del lavoro teatrale di Dario Fo, scritto negli anni Settanta. Certe idee sono nell’aria da un po’.
In prospettiva, la domanda può farsi più specifica e cruciale. Esiste il diritto di certe generazioni di non pagare i debiti di quelle precedenti? E su un piano esistenziale, di che diritto si tratta, visto che siamo ciò che siamo grazie anche a chi è venuto prima? Diritto a dichiarare fallito, finanziariamente e moralmente, il mondo com’è stato finora. È ovvio che per acquisire un simile diritto bisogna fare un passo ulteriore. Bisogna abbandonarlo, il mondo com’è stato finora, per passare a qualcosa di radicale altro. Non puoi rifiutarti di pagare i debiti e continuare con la tua vita di prima.
Quanto a mio padre, penso alla sua faccia. Le rughe di cuoio da vecchio cowboy. La vita incisa su quella faccia, come una mappa su cui vorrei essere in grado di leggere cosa sarà di me, cosa sarà di noi.
Marco Mancassola
Fonte: www.minimaetmoralia.it
L’articolo originale comprende anche un contributo di Christian Raimo che potete leggere qui
17.11.2011
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