IRAQ VS TSUNAMI: LA DOPPIEZZA DEI MEDIA AMERICANI

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I media americani sono calati sullo tsunami asiatico con la golosità di un branco di belve nel frigo di una macelleria. Giornali e televisione sono ricoperti di cadaveri portati al mare dalla corrente, di devastate carcasse disseminate lungo le spiagge e di schiere di corpi rigonfi di bambini. Ogni aspetto di quel dolore è stato esaminato con microscopica intensità dal’obbiettivo predatorio dei media.
E’ qui che eccelle la stampa occidentale: nell’atmosfera celebrativa delle catastrofi umane.  La loro predilezione per la sventura è superata solo dalla loro brama di profitto.
Dov’era questa “libera stampa” quando in Iraq il tributo di morti schizzava verso quota 100.000? Finora non abbiamo visto nulla delle devastazioni a Falluja, con più di 6.000 uccisi i cui cadaveri sono rimasti allineati per settimane intere lungo le strade della città. La morte è meno fotogenica in Iraq? O ci sono motivazioni politiche dietro questo tipo di copertura mediatica?Non era Ted Koppel, qualche giorno fa, a dire che i media limitavano la copertura sull’Iraq per una questione di tatto nei confronti della schifiltosità del pubblico? Non ha continuato col mantra che filmare iracheni morti  sarebbe stato “di cattivo gusto”, e che simili immagini avrebbero disgustato il pubblico americano? Quante volte abbiamo sentito le stesse fesserie da Brokaw, Jennings  e da altri del loro stampo?

Be’, a quanto pare Kopper e compagnia hanno rapidamente cambiato rotta. Lo tsunami si è trasformato in una frenesia mediatica 24 ore su 24, una frenesia di massacro e distruzione, che esplora con straziante dettaglio ogni piccola piega della sventura umana.

La festa del sangue procede a tutto gas, trascinando in alto gli ascolti.
L’industria mediatica riesce sempre a stupire perfino il più disincantato degli osservatori. Anche quando sembrano aver toccato il fondo, riescono a sprofondare ulteriormente nel pantano del sensazionalismo. La manipolazione di una calamità naturale è particolarmente odiosa, specialmente se il disastro viene trasformato in una pioggia di quattrini. Koppel può anche disprezzare il “cattivo gusto”,  ma i suoi capi nel consiglio d’amministrazione concentrano lo sguardo sul fondo scala. In breve, le tragedie fanno bene agli affari.

Però quando si arriva all’Iraq l’intero paradigma fa una svolta, a destra. Morti e mutilati vengono scrupolosamente nascosti alla vista. Nessuna emittente oserebbe mostrare un marine morto, o anche un governativo iracheno mutilato per errore da una bomba americana. Questo potrebbe minare gli obbiettivi  della nostra missione: democratizzare gli indigeni e introdurli nel sistema economico globale. Perdipiù, se l’Iraq avesse la stessa copertura dello tsunami, il sostegno popolare alla guerra diminuirebbe con estrema rapidità, e gli americani dovrebbero comprarsi il petrolio, piuttosto che ottenerlo con la forza delle armi. Perché farlo, dunque?

Sembra che i media abbiano visto giusto: il massacro in Iraq è diverso da quello in Thailandia, Indonesia o India. Lo scannatoio iracheno fa parte di uno schema più vasto: un piano di conquista, sottomissione  e furto di risorse naturali, basi necessarie per la conservazione del privilegio bianco nel prossimo secolo.

Il conflitto iracheno è un’esemplificazione di come i media seguano fedelmente l’agenda politica delle loro proprietà. I media selezionano le notizie in base alle esigenze della classe degli investitori, scartando il materiale (come i soldati americani morti) che non è congeniale alla loro politica. Così l’informazione può essere conformata a uno schema dottrinale che serva gli interessi delle corporazioni. E’ una questione di selettività escludere tutto quello che possa compromettere il più vasto obbiettivo imperiale. Dall’altro lato, la copertura dello tsunami in Asia permette ai media di blandire il gusto del pubblico per la tragedia, e nutrirne le macabre angosce di sventura. Entrambi gli atteggiamenti sono un insulto per un giornalismo onesto e per ogni  impegno sensato a favore di una cittadinanza informata.

Questa copertura squilibrata (dell’Iraq e dello tsunami) mostra un pericoloso disfacimento dell’industria dell’informazione. La proprietà privata dei media può seppellire una notizia, o manipolarne un’altra  fino a ottenere i massimi ascolti. Per loro è conveniente sfruttare il dolore degli asiatici e ignorare quello degli iracheni. Farci avvicinare alla verità non lo è. Semplicemente, è impossibile che ci arrivi una visione coerente del mondo da venditori di bagno schiuma e cibo per cani. Sono più concentrati a creare un’atmosfera adatta al consumismo che a fornire un resoconto obbiettivo degli eventi.

Abbiamo bisogno di media che perseguano standard onesti di qualità e imparzialità, non di media che sguazzano tra iperboli, commercializzazione e sensazionalismo.

Mike Whitney
Fonte: www.zmag.org/content/showarticle.cfm?SectionID=21&ItemID=6941
31.12.04

Traduzione per Comedonchischiotte a cura di Asael
 

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