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La Redazione

 

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IRAQ: LA DISTRUZIONE DELLA MEMORIA

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A cura di Davide
Il 24 Gennaio 2015
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DI MARCELLA GUIDONI

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Bombardamenti sulla storia, centinaia di scienziati deliberatamente assassinati, città devastate da attacchi con armi chimiche, esplosione improvvisa di mostruose malformazioni infantili, torture orrende e umilianti. Questa la realtà nascosta dell’Iraq di oggi, precipitato nel più nero abisso dell’umana miseria dall’ennesima “guerra di liberazione” statunitense. Intanto l’Occidente tace. E si prepara a celebrare la “Giornata della Memoria”.

L’Iraq è un Paese unico al mondo. Una miniera ricca di tesori della cultura universale. Le prime scuole, il primo codice di leggi, la prima cosmologia, i primi archivi, tutto ebbe inizio a Sumer.

Fu in Mesopotamia che l’uomo, per la prima volta, raccontò se stesso attraverso la scrittura e raccolse i suoi testi in una biblioteca. Nella città di Ninive, nel VII secolo a.C., per opera di Assurbanipal, il re che sapeva leggere gli scritti anteriori al Diluvio, sorse la biblioteca più grande del mondo antico. Conteneva almeno diecimila testi; fra essi c’era l’Epopea di Gilgamesh, il primo poema epico della storia.

Ѐ dal 2003 che la storia dell’Iraq viene duramente bombardata. La memoria dell’Iraq e di tutto il genere umano è stata saccheggiata. Il Museo Archeologico di Baghdad, scrigno di tesori tra i più preziosi al mondo, custodiva millenni di storia, con reperti che risalivano alle origini della civiltà mesopotamica. I ladri e i militari lo hanno depredato ed i reperti sono stati venduti ai quattro angoli del mondo. Indimenticabile l’immagine dei soldati Usa che lasciano devastare il museo e ridacchiano di fronte allo scempio, mentre il solo Ministero del Petrolio viene protetto dai carri armati.
Sulle rovine dell’antica Babilonia, per lungo tempo, ha operato una base americana dei mezzi corazzati. Cosa significava Babilonia per i soldati occupanti? Cos’era per coloro che gli iracheni chiamavano i “nuovi mongoli”? Forse nient’altro che un mucchio di pietre, solo un riparo per cecchini.

La Biblioteca di Baghdad è stata incendiata, sotto lo sguardo indifferente dei soldati occupanti, mentre la ziggurat della favolosa città reale di Ur veniva deturpata dai volgari graffiti dei soldati nordamericani. Un dramma immenso, per l’umanità e per la sua memoria collettiva. “Ѐ la morte della storia”, ha titolato il quotidiano inglese The Independent, citando l’archeologa libanese Joanne Farchakh Bajjaly.

La distruzione dell’Iraq moderno

La distruzione della civiltà irachena è stata organizzata sistematicamente, al fine di cancellare la memoria del più avanzato sistema scientifico e culturale del mondo arabo. L’Iraq di Saddam Hussein prevedeva la laicità dello Stato, la tutela delle minoranze religiose e la parità fra uomo e donna. I pianificatori della guerra sapevano che nel Paese mediorientale c’era una forte identità nazionale, che con l’aggressione imperialista non poteva non rafforzarsi. Da ciò la necessità di eliminare coloro che questa identità nazionale avevano contribuito a costruire: gli scienziati, gli intellettuali e gli accademici. Secondo il Centro Studi Al-Ahram del Cairo, solo nei primi tre mesi di occupazione, sono stati eliminati più di 310 scienziati iracheni. Il Pakistan Daily, nel novembre del 2008, riporta un elenco di 283 accademici iracheni assassinati durante l’occupazione condotta dagli Stati Uniti d’America in Iraq. Un gran numero di loro lavorava nell’Università di Baghdad, una delle più importanti del mondo arabo. Prima dell’occupazione, c’era a Baghdad la più prestigiosa facoltà di medicina di tutto il Medio Oriente, ove si recavano centinaia di medici per la formazione avanzata. A questa facoltà è riferibile la più alta percentuale di docenti uccisi, seguita dalla facoltà di ingegneria e dalle facoltà di discipline umanistiche e sociali.

La violenta campagna contro gli accademici dell’Iraq è diventata uno degli argomenti principali degli appelli del Tribunale Russell, chiamato anche Tribunale internazionale contro i crimini di guerra, un organismo fondato nel 1966 da Bertrand Russell e Jean-Paul Sartre per indagare sui crimini di guerra commessi dall’esercito statunitense in Vietnam. Il Tribunale Russell riporta una lista di 479 accademici iracheni assassinati durante l’occupazione statunitense. La lista è aggiornata al 23 marzo del 2014. Le purghe sanguinose si sono verificate nelle più rinomate università, sparse in tutto il Paese: soprattutto a Baghdad, a Bassora e a Mosul, ma anche ad Anbar, Babilonia, Tikrit, Ramadi, Baquba, Dyala, Nahrain, Kerbala, Kufa, Falluja e Kirkuk. Sono stati eliminati centinaia di accademici di alto livello in tutte le branche del sapere: scienziati di rilievo, medici, direttori di istituzioni accademiche prestigiose, storici e studiosi di scienze sociali, fisici, biologi, ingegneri. L’obiettivo di questa campagna di terrore era quello di distruggere la nazione irachena, minarne la capacità di ricerca in ogni campo della scienza, impedire la capacità di educare il popolo; in una parola: distruggere una civiltà. Tale campagna criminale ha avuto come conseguenza la fuga all’estero di migliaia di scienziati, studiosi e professionisti. Risultato: l’Iraq è diventato un deserto culturale.

La catastrofe umanitaria

La distruzione dell’Iraq, con la sua storia millenaria, la sua scienza avanzata, la sua forte coscienza nazionale, non poteva non generare una forte reazione. La resistenza, diffusa in tutto il Paese, si è maggiormente concentrata nel triangolo sunnita: Baghdad, Baquba, Ramadi, Tikrit, ma soprattutto Falluja. E contro Falluja l’esercito statunitense si è accanito, devastandola con due attacchi, dove ha usato armi proibite: fosforo bianco, uranio impoverito, MK77, una variante del napalm. Si è poi cercato di impedire le indagini e di nascondere la tragedia di Falluja, una tragedia di dimensioni apocalittiche.

Il professor Chris Busby, un’autorità scientifica nel campo degli studi sull’uranio e le contaminazioni radioattive, ha deciso di indagare su quanto accaduto a Falluja nel 2004. Ma né a lui né ai membri del suo team è stato permesso di entrare nella “città proibita”. Il coraggioso scienziato, però, nonostante i pericoli, le minacce di morte e le enormi difficoltà, ha deciso di affidare le ricerche a un gruppo di iracheni di Falluja. Inizialmente, i locali hanno avuto paura, soprattutto dopo che una stazione televisiva di Baghdad aveva affermato che dei terroristi stavano effettuando un’indagine e che chiunque fosse stato sorpreso a parteciparvi sarebbe stato arrestato. Ma l’indagine, condotta su 721 famiglie di Falluja, è andata avanti e ha portato ad alcuni risultati su quanto è veramente accaduto nella città-simbolo della resistenza irachena. Fra le conseguenze delle armi chimiche usate dalle “forze di liberazione”, il professor Busby ha riscontrato un tasso di leucemia infantile più alto di 40 volte rispetto agli anni precedenti gli attacchi statunitensi, un aumento abnorme della mortalità infantile e un gran numero di malformazioni genetiche. Ecco solo qualche esempio delle deformità osservate fra i bambini di Falluja: bambini nati senza occhi o con un solo occhio, nati con due o tre teste, o senza orifizi, con tumori maligni al cervello, all’occhio e alla retina, bambini nati senza alcuni organi vitali, o nati senza alcune membra o con membra di troppo.

«La situazione a Falluja è spaventosa e orrenda, è peggio e più pericolosa di Hiroshima», è stato il commento del professor Busby. Intanto a Falluja i medici hanno ufficialmente sconsigliato alle donne di partorire, fatto commentato da Layla Anwar con le seguenti parole: «…l’Occidente, che ha tanto a cuore i propri figlioletti, non ha assolutamente nessuno scrupolo a riversare tonnellate di prodotti chimici letali sotto forma di armi di distruzione di massa sulle popolazioni di Basra e Falluja – per dirne una, armi chimiche come l’uranio impoverito o il fosforo causano l’aumento di cancro tra i bambini e producono le più mostruose malformazioni – prodotti geneticamente modificati dalla “Libertà e democrazia”…».

E Falluja non è il solo sito iracheno dove sono stati compiuti questi crimini. Ѐ solo il più colpito.

L’attacco al partito Baath

Il tentativo di distruggere l’Iraq come Stato unitario non poteva non prevedere l’attacco al partito che più di ogni altro era il simbolo della rinascita e dell’unità della nazione araba: il Baath.

All’indomani dell’invasione del 2003, la tomba del fondatore del partito Baath, Michel Aflak, venne profanata. Il fatto è sorprendente, sia perché la tomba si trovava nella sicurissima Zona Verde, sia perché un fatto del genere è estraneo alla tradizione irachena. Scrive a tale proposito Gilles Munier: «La storia dell’Iraq – fin dai tempi più antichi – è stata segnata da invasioni e massacri. Ma contrariamente a quanto è appena accaduto, il popolo iracheno ha sempre rispettato i morti, anche quelli dei suoi nemici. Ad esempio, la tomba del generale Maude – conquistatore inglese di Baghdad dopo la prima guerra mondiale – non è stata mai violata, così come le tombe dei soldati britannici che la circondano. Essi sono ancora sepolti in bella vista, in uno dei principali quartieri della capitale. Altro esempio: anche se criticati o odiati a loro tempo dalla popolazione, le spoglie di Faisal I e Faisal III, re hascemiti d’Iraq, hanno l’onore di un mausoleo, abbellito per ordine del Presidente Saddam Hussein».

Un fatto simile a quello di dieci anni fa si è ripetuto alla fine di dicembre, quando è stata profanata la tomba del Presidente Saddam Hussein, situata a Al-Awja, suo villaggio natale presso Tikrit.
Qual è il significato di questi atti così deplorevoli? Distruggendo la tomba di Michel Aflak o di Saddam Hussein, fondatore e presidente del partito della rinascita araba, gli Stati Uniti pensano di cancellare ogni traccia del baathismo dall’Iraq, cioè ogni velleità di riscatto facente riferimento a un ideale di nazionalismo arabo laico, moderno e progressista.

Considerazioni finali

L’Iraq non potrà mai tornare ad essere ciò che era. Troppo grandi sono le sue ferite. Troppo profondo l’abisso in cui è precipitato. L’Iraq andrà in frantumi e il suo antico corpo sarà spezzato in più parti. Questa è da sempre la mira dell’invasore statunitense. Che ne sarà della memoria? Il popolo iracheno è un popolo tenace, un popolo di grande dignità. Cosciente della sua storia millenaria, difficilmente accetterà di essere sepolto dalle onde dell’oblio. Gli Stati Uniti non hanno mai mostrato rispetto per le culture dei popoli. Essi sono sempre stati interessati alla sola rapina delle ricchezze materiali dei territori conquistati, sempre ammantata dalla stessa vuota retorica sulla libertà. Forse non hanno nemmeno coscienza della grave perdita della memoria storica della Mesopotamia. O, semplicemente non gli interessa.

L’Iraq ha una lunga storia di resistenza. Una storia a cui hanno attivamente partecipato i poeti. Perché l’Iraq è sempre stato terra di cultura e di poesia.

Vedo un orizzonte illuminato di sangue,
E molte notti senza stelle.
Una generazione viene e un’altra va
E il fuoco arde ancora.

Queste parole le scrisse il poeta Al-Jawahiri ai tempi dell’occupazione britannica. Ma gli Iracheni, popolo che ha messo la memoria al centro di tutto e guarda lontano, le ricorda ancora oggi.

Marcella Guidoni

Fonte: www.comedonchisciotte.org

24.01.2015

Bibliografia

Robert Fisk: It is the death of history, in The Independent, 17- 09-2007
Elenco di accademici iracheni assassinati in Irak durante l’occupazione condotta dagli Stati Uniti d’America, dal Pakistan Daily del 26-11-2008 (fonte: uruknet.info);
List of killed, threatened or kidnapped Iraqi academics, A, 3-09-2012 (fonte: brusselstribunal.org);
James Petras, La guerra Usa contro l’Iraq, traduzione dall’inglese a cura del Centro di cultura e Documentazione Popolare, 16-09-09 (fonte: resistenze.org);
Layla Anwar, Fallujah worse than Hiroshima, 2-07-2010 (fonte: arabwomanblues.blogspot.com);
Layla Anwar, Geneticamente modificato, 11-05-2010, (fonte: comedonchisciotte.org);
Gilles Munier, La distruzione della tomba di Saddam Hussein, 3-01-15 (fonte: come donchisciotte.org);
Tariq Ali, Bush in Babilonia, Fazi Editore, 2004.

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