DI BEPPE FOGLIA
aldogiannuli.it
Vorrei svolgere alcune considerazioni su singoli punti dell’attentato di Brindisi, naturalmente allo stato attuale del quadro informativo pubblico, e solo dopo tentare qualche supposizione.
Ma prima di tutto bisogna fare una doverosa premessa riguardo al sistema comunicativo italiano, e per due ragioni, una polemica, l’altra sociologica. Come tutti sappiamo, non appena è stata diffusa la notizia è stata anche diffusa la serie delle interpretazioni basate sulla suggestione del “clima del ‘93”, vale a dire della serie di circostanze in cui si è svolto l’attentato di Brindisi, che hanno immediatamente portato le menti e le penne (sempre più veloci delle prime) di giornalisti e commentatori a costruire una tesi destinata ad essere profondamente ridimensionata, per non dire abbandonata, in poche ore.
A seguito, “L’ ATTENTATO DI BRINDISI E LA SACRA CORONA UNITA” (Aldo Giannuli, aldogiannuli.it);
Si tratta ormai di un fenomeno non mediatico, ma riguardante i media: in presenza di un fatto di cronaca nera (Avetrana, Brembate, Gravina in Puglia, Pavia, ecc…) scatta la sindrome del “plastico di Vespa”, tesa a soddisfare le pulsioni più profonde ed inquietanti del pubblico. Purtroppo, è così anche in ambito di mafia, terrorismo, ecc…: la diffusa e minuziosa conoscenza di simbologia, modus operandi, territorio, obiettivi classici, e via dicendo delle organizzazioni eversive e criminali permette un vero e proprio riflesso condizionato di deduzioni, congetture, ipotesi investigative che mescolano questo sapere con l’interesse di ogni osservatore a fare un passo in più e soprattutto, dei giornalisti a fare dire agli inquirenti più di quello che possono o vogliono dire. Risultato: i fatti scompaiono a favore di tesi investigative che si autoalimentano rendendo indistinguibile la differenza tra il fatto criminoso e il post festum. In tal modo, le notizie entrano a far parte degli effetti dell’atto in questione. Tutto questo non può non suggerire due amare considerazioni: 1) è oggi davvero molto semplice creare il panico: basta una citazione, e il resto lo fanno i “plastici”; 2) la situazione morale del Paese è davvero critica, se di fronte ad una tragedia come quella di Brindisi, la reazione pubblica guarda al passato e non alla novità. Me compreso: infatti, è così intollerabile che delle bambine siano “target”, che ci si rifugia nel complottismo quasi per dire che in fondo non erano loro le vittime, lo sono soltanto in modo simbolico…
Le considerazioni che volevo svolgere sono le seguenti:
1) Da quello che è dato sapere, la logistica dell’attentato sembra tecnicamente alla portata di un singolo operatore, ma in ogni caso piuttosto difficile da essere compiuta da un solitario: tre bombole di gas debbono innanzitutto essere accumulate, e non è facilissimo, perché solitamente si rende un vuoto per un pieno, e dunque in questo caso sarebbero tre vuoti per tre pieni. Non è difficilissimo controllare, né tanto meno è facile passare inosservati se si prendono tre bombole per volta. Inoltre, per quanto i cassonetti della nettezza urbana abbiano le rotelle, procurarsene uno e portarlo oberato di ben tre bombole di gas che avranno avuto un peso di circa un quintale, non è semplicissimo: ci sarà voluto un furgone, tirare su il cassonetto, poi tirarlo giù pieno e armato, ecc… Tutto ciò fa pensare che l’operazione sia molto più agile se ci sono due o più operatori.
2) Il 20 mattina il sito “Brindisireport” ha diffuso la notizia di due interrogatori, dei quali non si è più saputo nulla se non che non hanno dato luogo a fermo. Ma in quella notizia si parlava di un ex-militare e di una persona vicina ad un’azienda che fornisce bombole. Indiscrezioni? Speculazioni? Vedremo gli sviluppi.
3) Il caso di Castel Volturno è troppo vicino nel tempo, nei luoghi, nell’obiettivo e nel modus operandi per essere trascurato.
4) La presenza di una prova video dell’attentatore al momento del reato i fa pensare due cose: 1) essa non esclude alcuno scenario, come dicono Aldo e il capo dda locale Cataldo Motta; 2) il fatto che si sia fatto riprendere proprio mentre fa scoppiare la bomba è in flagrante contrasto con la capacità criminale che comunque ha dimostrato fino a quel punto. È questo secondo me il punto più debole della conferenza stampa di Dinapoli. Il procuratore di Brindisi, infatti, mi è sembrato prevalentemente preoccupato di ridurre l’angoscia e lo stato di panico che si stavano diffondendo all’idea che le scuole possano essere obbiettivo di attentati terroristici, tra l’altro alla fine dell’anno scolastico, con i prevedibili rischi relativi alla frequenza e all’espletamento delle attività conclusive quali scrutini ed esami di stato. Mentre la priva video, lungi dall’essere rassicurante rispetto all’ipotesi del folle isolato, fa pensare al “folle usato”. Non si può essere abbastanza precisi da scegliere quell’obiettivo, monitorarlo, procurarsi armi (che per quanto rudimentali, fanno pensare alla tipica moda del terrorismo globale, fatto di istruzioni internet su come trasformare un supermercato in un deposito di armi dove andare scegliere tutto l’occorrente per fare un massacro), portare a termine l’attentato e… trascurare la copertura video in modo così marchiano (la telecamera protegge addirittura il chiosco delle bibite davanti alla scuola). E, infatti, non a caso nella giornata di domenica si è delineata una divergenza di vedute tra il Procuratore di Brindisi e il Procuratore antimafia Motta, esattamente sul punto folle isolato o no.
5) Naturalmente, queste suggestioni ci portano lontano: al quadro nazionale, in particolare. Dopo l’attentato di Genova, il ministro dell’interno ha sfoggiato un rapporto informativo, di cui al momento non so molto, in base al quale ha individuato ben 14000 obiettivi sensibili da sorvegliare, anche con l’esercito. Il dibattito suscitato è stato ovviamente ampio in relazione alla questione dell’uso dell’esercito, comprensibilmente, ma non sul fatto che il ministro ha evidentemente informazioni ben precise circa la tipologia di rischi per la sicurezza pubblica e delle istituzioni democratiche nella presente fase. In altre parole, 14000 obiettivi vengono fuori solo se sei di fronte ad un rischio come quello di Brindisi: terrorismo individuale-politico-stragista; ben diverso da quello di Genova… e guarda caso, poco dopo capita qualcosa del genere.
6) Pochi giorni fa, in rapida successione: Provenzano è stato protagonista di un tentato suicidio (forse simulato) e Gianni De Gennaro è diventato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai Servizi: il posto di Gianni Letta, per capirci. Lo stesso uomo che ha agito in Sicilia nel periodo ’92-’94.
7) Sono d’accordo con Aldo che la situazione interna e del governo è relativamente stabile, che cioè il paese sta subendo inerme la “cura tedesca” e che da parte statale non c’è alcun interesse a provocazioni per stabilizzare da strategia della tensione classica. Però: al calo di consensi fisiologico verso un governo nato per salvare l’Italia, che poi fa politiche di destra liberista e monetarista, bisogna aggiungere la congiuntura attuale nella quale si assiste ad un cambiamento, almeno relativo di obbiettivi delle sue politiche. Mentre nei primi mesi, vuoi per il dettato europeo, vuoi per la fretta, il governo ha massacrato lavoratori e pensionati, ora i nodi stanno venendo al pettine: dietro gli spettacoli di Cortina o le tragedie di Equitalia è sicuramente in atto un violento, quanto silenzioso braccio di ferro sull’evasione fiscale e sulle questioni credito-patrimoni-crescita-redistribuzione della ricchezza (o anche solo di una minima parte del reddito nazionale).
In una società imbarbarita da vent’anni di berlusconismo, ciò che è del tutto normale in paesi liberal-capitalisti, qui viene inteso come esproprio proletario. In più, i soggetti minacciati da una riforma del sistema politica economica-politica fiscale-relazioni industriali-politica dei redditi sono gli stessi abituati ad un sistema di spartizione delle spoglie di tipo ideologico-oligarchico-predatorio sin dall’età atlantica e poi dal berlusconismo. E, quindi, potrebbero essere gli stessi gruppi affaristici di cui parla Aldo. Mossi però da un duplice interesse: frenare l’azione del governo e riappropriarsi a prezzi stracciati di ciò che il “bunga bunga” ha fatto perdere. Ma questa sarebbe eversione bella e buona. E soprattutto non è detto che la mafia (con ciò intendo il più ampio arco di forze economico-criminali di origine e profilo associativo meridionale, ma a diffusione nazionale e internazionale) ne sia fuori. Anzi la storia italiana ce la consegna come un ingrediente imprescindibile nei progetti e nelle reti di condizionamento criminale e autoritario della vita democratica.
8) In particolare, e riprendo qui la traccia di Castel Volturno, la mafia, da sempre ha avuto rapporti osmotici con la borghesia e la nobiltà agraria, con l’impresa che pratica economia corsara (evasione, lavoro nero, riciclaggio, attività di copertura al traffico di clandestini, armi e droga, ecc…), con la politica e con le più bizzarre logge e associazioni segrete espressione dell’alta società meridionale corrotta dall’atavica e ricrescente immobilità sociale.
9) Per non parlare del fatto che le ultime elezioni amministrative, all’insegna delle divisioni e dei risultati traumatici, soprattutto a destra, hanno visto un cambiamento di maggioranza e una chiarissima fine-ciclo della destra locale (sullo sfondo c’è la vicenda del rigassificatore, del petrolchimico e della riqualificazione dell’area portuale per un nuovo modello di sviluppo della città) anche con conseguenze giudiziarie.
10) Potrebbe trovarsi in questo réseau il mix di elementi patologici (folle isolato-manipolato), criminali (mafia sì-mafia no) e politici (logge di varia natura) che sembra emergere comunque sullo sfondo del fatto di Brindisi?
11) Il punto, infatti, mi sembra proprio questo: dalle immagini dell’attentatore si intravede un profilo ben diverso da quello ipotizzato nello scenario del folle isolato. Abbiamo un cinquantenne con la giacca e non un giovane in mimetica. Potrebbe essere di tutto cioè: un insegnante declassato, un ex-militare, un delinquente di professione, un serial-killer alla Donato Bilancia… il vero problema, che alimenta gli spettri fin dalla prima ora, è il movente. Fino a quando non ci sarà qualcosa di fondato circa il movente della strage tutto resterà sospeso e, quindi, possibile.
Spero di non aver occupato troppo spazio e di non essere troppo in ritardo sulle notizie…
Un abbraccio ad Aldo e un saluto agli acuti frequentatori del suo sito.
Beppe Foglia
Fonte: http://www.aldogiannuli.it/
21.05.2012
(commento di un lettore all’articolo di Aldo Giannuli riportato qui sotto)
L’ ATTENTATO DI BRINDISI E LA SACRA CORONA UNITA
DI ALDO GIANNULI
aldogiannuli.it
Continuo a non ritenere probabile il coinvolgimento di una delle Mafie tradizionali nella strage brindisina (e, a questo punto, credo che neanche i magistrati ci pensino più), questo non vuol dire che non possa trattarsi di una qualche scheggia partita dalla Mafia locale, la Sacra Corona Unita e lasciamo per ora impregiudicato se si tratti solo di giovanotti che sgomitano per conquistare la prima fila o se dietro di loro possano esserci dei mandanti (ipotesi di secondo grado). Qualche elemento interessante può venire dalla storia della Scu, sconosciuta alla grande maggioranza degli italiani, a differenza di Mafia, Camorra e N’drangheta di cui si sa di più. La Scu è nata molto recentemente (1981) da un processo di confluenza di varie organizzazioni criminali a loro volta filiazioni delle mafie storiche: fra la fine del 1980 ed i primi del 1981, Pino Iannelli e Alessandro Fusco, su mandato di Raffaele Cutolo cercarono di costituire una “Nuova Camorra Pugliese” come filiazione del clan partenopeo. Va detto che in provincia di Foggia operava nel settore granario la ditta Casillo, il cui titolare era il fratello del più noto Enzo Casillo, braccio destro di Cutolo, ucciso da una bomba nella sua auto il 29 gennaio 1983 subito dopo essere uscito dalla sede del Sismi. La ditta fu poi coinvolta, a fine anni ottanta, nello scandalo del riciclaggio del grano radioattivo proveniente da Chernobyl.La mossa di Cutolo destò allarme negli altri clan malavitosi presenti in Puglia: Diomede, Parisi, Capriati a Bari (più vicini a Cosa Nostra) ma, soprattutto, il gruppo brindisino del mesagnese Pino Rogoli che apparteneva alla ‘ndrina di Rosarno dei Belloco. Pertanto Rogoli, nel Natale 1981, mentre era in carcere, fondò la Sacra Corona Unita su indicazione del suo referente calabrese. Alla Scu aderirono subito alcune piccole propaggini tarantine, quindi, man mano, anche i clan baresi e quelli foggiani. Per qualche tempo gli organi inquirenti ignorarono sistematicamente la nascita della Scu della quale si occupò, invece, il piccolo giornale foggiano di estrema sinistra “Il Picchio Rosso” che pubblicò diversi articoli che è interessante leggere ancora oggi.
La Scu fu una sorta di aggregazione federale basata su una rigida delimitazione territoriale; qualcosa di più simile al modello reticolare della N’drangherta che a quello piramidale di Cosa Nostra o quello intermedio della Camorra. Inoltre la filiazione da altre mafie precedenti ha spesso provocato ripercussioni dei contrasti fra esse rafforzando le tendenze centrifughe presenti. Per di più, la nuova organizzazione non godeva del retroterra storico delle altre mafie. Jean Francois Gayraud distingue le Mafie dalle organizzazioni criminali, anche di grande dimensione, ma che non ne hanno il retroterra storico e cultural-mitologico oltre che il particolare tipo di controllo del territorio. Le Mafie storiche costituiscono veri e propri insediamenti sub-culturali che contribuiscono a mantenere unita l’associazione mafiosa. La Scu tentò di darsi un rituale ed un sistema di riferimenti simbolici che surrogassero questa mancanza di “quarti di nobiltà”, ma con risultati piuttosto modesti.
Lo stesso nome indica questo tentativo: come altre mafie, la Scu cercò una sorta di sacralizzazione dell’appartenenza al gruppo sin dal nome (Sacra, per via del rito di iniziazione che è una sorta di battesimo, Corona, a quanto sembra, perché nelle riunioni e nei riti si fa uso della corona del Rosario) e questo fa pensare ad una recupero del retroterra religioso delle altre mafie (la “santa” è la N’drangheta nel linguaggio interno all’organizzazione; santista è uno dei gradi della gerarchia mafiosa, esattamente come nella Scu che ha anche il grado di “evangelista”). Nei primissimi anni novanta, durante un bliz, venne trovato un formulario dei riti di affiliazione, di promozione, di giudizio degli appartenenti alla Scu, di “consacrazione” delle sedi ecc ed è di grande interesse leggerlo. Ci sono elementi liturgici tipici del “cattolicesimo paganizzato” di ogni Mafia (ad esempio bruciare una immagine sacra bagnata da gocce di sangue dell’adepto per suggellarne il giuramento) mentre altri gesti richiamano la sub cultura del carcere e ne denunciano la estrazione recente (il rito della sigaretta spezzata). Insomma un polpettone che sa di falso a primo colpo d’occhio, un po’ come le “cerimonie del Dio Po” ed il culto della tradizione celtica inventati dalla Lega.
C’è, tuttavia, qualche traccia interessante che merita di essere sottolineata: in quasi tutti i riti del formulario ricorre l’invocazione “ai nostri fratelli Garibaldi, Cavour e Lamarmora”. Passi per Garibaldi e Cavour che, in qualche modo fanno parte della formazione scolastica elementare di ogni italiano, ma che c’entra Lamarmora che, nella tradizione popolare meridionale, semmai, è ricordato per i modi barbari con cui condusse la lotta al brigantaggio? Da dove viene questa “parentela ideologica” dei neo mafiosi pugliesi con l’arcigno generale sabaudo? Forse vale la pena di ricordare che Lamarmora era massone ed a suo nome –come peraltro a quelli di Garibaldi e Cavour- sono intitolate alcune logge massoniche. D’altro lato, sia la complessa gerarchia dell’organizzazione (picciotti, sgrarristi, santisti, evangelisti, trequartisti, medaglioni ed, infine, medaglioni con catena della società maggiore), i rituali, la formalizzazione come società segreta, persino alcune formule e l’uso del pugnale nell’iniziazione, presentano evidenti punti di contatto con la cultura massonica.
E proprio fra la fine degli anni settanta ed i primi ottanta, si assiste alla rinascita di molte logge esoteriche in Puglia, dove c’era stata una più che trentennale decadenza che aveva ridotto la presenza massonica in dimensioni assai limitate. Qualcosa del genere è osservabile anche in Sicilia (basti ricordare la “Loggia Scontrino” di Trapani) ed in Calabria dove un ruolo di raccordo molto importante è stato svolto da alcuni avvocati penalisti.
Dunque, una organizzazione fragile sia per il modello organizzativo a rete diffusa (la Scu arriverà a contare sino a 47 diversi clan, spesso in contrasto fra loro), sia per il carattere palesemente fittizio del suo retroterra subculturale, ma nello stesso tempo una organizzazione non priva di agganci con le altre organizzazioni criminali più importanti e con sfere del potere politico e, forse, dei servizi. Ne è derivata una storia di continue faide interne, di scissioni, di luogotenenti che hanno tentato di soppiantare il loro capo (come Antonio Antonica con Rogoli). Quel che però non ha impedito l’espansione della Scu verso tutti i principali traffici malavitosi (droga, prostituzione, tabacchi, usura, armi, scorie pericolose ecc.) per un bilancio complessivo stimato intorno ai 2 miliardi e mezzo annui. Oggi la Scu ha solide radici nei Balcani, ma, grazie alla N’drangheta stende il suo raggio d’azione anche alla Germania, all’Olanda, all’Argentina ed all’Australia.
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A questo proposito merita una spiegazione il ruolo della provincia brindisina che è sempre stata il centro strategico della Scu. Brindisi è il più piccolo dei cinque capoluoghi pugliesi ed è una città tranquilla e persino sonnolenta, almeno in apparenza. In realtà le cose stanno diversamente. Il ruolo economico della città è iniziato a crescere con l’arrivo di uno dei principali petrolchimici d’Italia. Va ricordato per inciso che il primo responsabile della Montedison in Puglia, Francesco Troccoli, fra l’altro segretario del Pri pugliese, era un affiliato alla loggia P2. Peraltro la città (sede di un porto di notevole rilievo e dell’unico aeroporto internazionale della Puglia) ha sempre avuto un ruolo particolare verso i Balcani con almeno due conseguenze: essere la principale porta di ingresso del contrabbando di tabacchi lavorati esteri provenienti da quell’area ed ospitare, nel suo retroterra, importanti basi Nato come quella di San Vito dei Normanni. Negli ultimi tempi si era poi prospettata l’installazione di un rigasificatore sulla scorta della vicenda dei gasdotti dal sud. Insomma una città apparentemente assopita, ma sede ci vorticosi affari e di intrighi militari e di servizi informativi.
La vicenda della Scu (che ha continuato a scindersi ripetutamente e che è stata colpita da una serie di retate dal 2010 in poi, che hanno via via portato in carcere tutti i principali esponenti delle cosche locali) va inserita in questo contesto. Ed in questo quadro l’idea di una scheggia impazzita acquista più corpo. Ma assume più credibilità anche l’ipotesi di legami con ambienti diversi dalla criminalità e legati a qualche potere forte.
Aldo Giannuli
Fonte: www.aldogiannuli.it
Link: http://www.aldogiannuli.it/2012/05/attentato-di-brindisi-e-sacra-corona-unita/
21.05.2012