DI MAURIZIO BLONDET
Dove tenete i vostri risparmi?
Molto probabilmente, se siete un comune risparmiatore avverso al rischio (e non uno speculatore), in qualche tipo di obbligazione o Buoni del Tesoro, in inglese collettivamente chiamati “bond”.
Spesso la vostra banca vi ha consigliato – per suo interesse – di “investire” i vostri soldini in obbligazioni della banca stessa: quasi sempre non quotate, e senza un vero mercato liquido.
Ma c’è di peggio.
Leggete cosa ha da dirci l’analista finanziario Paul Tustain su questa montagna di risparmi in “bond” (1).
Vent’anni orsono, dice l’analista, la domanda di “bond” a tasso fisso d’interesse era molto modesta.
Emettevano “bond” (obbligazioni) dei debitori rispettabili: erano grandi aziende solide che vi chiedevano un prestito.
Poi la scena finanziaria globale è cambiata, e il mercato mondiale delle obbligazioni pubbliche e private s’è ingigantito in modo colossale.
Che cosa ha prodotto questo enorme ricorso all’indebitamento di Stati e privati contro emissione di titoli a tasso fisso?
Che cosa ha indotto i risparmiatori a comprare quei titoli a ritmo accelerato e insaziabilmente?Paul Tustain identifica alcune cause precise.
Falsificazione dei dati sull’inflazione
Gli Stati le Banche Centrali ci stanno dicendo da anni che l’inflazione è minima.
E una bassa inflazione aumenta l’appetibilità di “bond” a tasso fisso, siano obbligazioni private o BOT; se l’inflazione galoppa, la gente capisce che non conviene acquistare titoli fissi, che non reggono il passo con i rincari della vita.
Da qui la diffusa abitudine pubblica di “manipolare” gli indici, una vera e propria frode.
L’accurata scelta delle merci nel “paniere” ISTAT – con l’esclusione delle merci che rincarano – serve appunto a far apparire bassa l’inflazione.
In USA, il governo (ormai sempre più simile all’URSS nell’esibizione di false statistiche) ha manipolato l’indice dei prezzi in modo molto più sofisticato.
Là, si è inventata una “core inflation”, basata su un paniere che esclude petrolio e carburanti (sic) e include tutti i prodotti elettronici, il cui prezzo è ribassato in questi anni per i progressi tecnologici.
Così, la “core inflation” resta bassa: e lo sarebbe davvero, se mangiassimo telefonini e playstation e non comprassimo benzina.
In realtà, per normali consumatori l’inflazione reale è alta.
E per misurarla in modo veritiero, bisognerebbe aggiungere al paniere non solo il prezzo della benzina, ma anche il costo dell’acquisto di una casa e il costo della formazione del reddito pensionistico.
Ma nessuna statistica include tutto ciò.
E noi, vivendo nell’illusione dell’inflazione al 2%, compriamo BOT al 2,5%e obbligazioni al 3%: prestiamo a Stato e ad aziende rovinandoci.
Agevolazioni fiscali al risparmio
Ma lo Stato ci incoraggia a risparmiare.
Nel pensiero economico occidentale (“pensiero” è una parola grossa per il conformismo economicista) vige l’idea che risparmiare per la vecchiaia sia un bene tale, da incoraggiarlo con agevolazioni fiscali.
Persino in Italia, dove il fisco non regala nulla, si può detrarre dalla dichiarazione del reddito il costo dell’assicurazione-vita.
Questo ha creato la montagna mondiale di risparmi che cercano un investimento “sicuro”, e quasi mai con intelligenza.
Credito al consumo
Le vecchie generazioni non s’indebitavano per comprare l’auto: mettevano da parte i soldi finchè avessero cumulato la cifra necessaria.
Oggi vige la liberalizzazione del credito al consumo.
Ciò ha risvegliato un tipo umano assai pericoloso, chiamato “debitore naturale”: l’improvvido che, quando gli viene offerto di comprare a credito, non sa resistere.
Oggi ci sono miliardi di semi-poveri che s’indebitano per godersi consumi ricchi che non possono permettersi.
In USA e in Gran Bretagna, ognuno è indebitato per milioni sulle carte di credito (su cui paga interessi da inflazione reale: 17%).
Alla lunga, ciò allarga la frattura sociale: cresce la differenza di condizioni tra una minoranza di ricchi e un’enorme maggioranza di poveri che sono, per di più, indebitati, e ormai assuefatti alla droga del “compra oggi e paga domani in comode rate”.
Si è instaurata una separazione in due classi – debitori e creditori – che provoca prima instabilità del ciclo economico, e alla fine innescherà una rischiosa instabilità politica.
Era per questi motivi, politici nel senso migliore, che un tempo l’indebitamento al consumo era severamente controllato.
Finanza in deficit
Gli Stati si sono abituati a raccogliere quel che spendono in più, e che le tasse dei contribuenti non bastano a pagare, con l’emissione di titoli, BOT, “bond”.
Si tratta di cambiali, di “pagherò”.
La promessa di pagare è sicura, perché lo Stato può stampare a volontà la moneta con cui pagherà.
Perciò i debiti di Stato sono considerati solidissimi, e qualificati della tripla A dalle agenzie di rating.
Il governo USA emette ormai 500 miliardi di dollari annui di BOT: un debito di 55 mila dollari per ogni famiglia americana.
Incentivi ai grandi manager
E’ invalsa la moda di compensare i supermanager, specie in USA, con la partecipazione al capitale delle imprese che dirigono, attraverso la consegna di opzioni sulle azioni.
Questo metodo d’incentivo incoraggia i manager a tenere alto il valore delle azioni (fino alla loro propria liquidazione) anche a costo di produrre un danno a lungo termine alla sicurezza degli azionisti e persino alla base industriale del Paese.
I grandi manager hanno interesse a pareggiare i conti dell’impresa emettendo obbligazioni anziché azioni: così, mantenendo scarse le azioni ne sostengono il corso a breve, ma intanto espongono le imprese a grandi debiti a lungo termine.
Il danno diventerà visibile solo quando il manager se ne sarà andato in pensione dopo aver riscattato le sue azioni d’oro.
Stimolo monetario americano
Del resto i grandi manager americani sanno che, appena si manifesta il minimo segno di recessione, la Federal Reserve (la Banca Centrale) si affretta a iniettare un fiume di denaro a basso costo nel sistema: in modo che i consumatori comprino ancora di più (a credito), e i dirigenti possano pagare i debiti delle loro aziende.
Da almeno un decennio i tassi d’interesse calanti in USA hanno reso facile, anzi vantaggioso per le imprese riscattare le loro obbligazioni, ossia pagare i loro debiti: il debito viene riemesso attraverso nuove obbligazioni, con un tasso d’interesse più basso di quello che offrivano le vecchie.
Da qui i “profitti-record” che le grandi imprese possono esibire.
Ma sono profitti che possono diventare perdite, se arrivano tempi di tassi d’interesse crescenti.
E possono arrivare da un giorno all’altro: chi presta agli USA può cominciare ad allarmarsi dell’indebitamento americano, e chiedere frutti maggiori sul denaro che presta acquistando “bond” pubblici e privati. Allora il trucco di “pagare” le vecchie obbligazioni semplicemente emettendone di nuove non funziona più: le nuove, per trovare acquirenti, devono avere tassi d’interesse più alti, e ciò fa schizzare l’indebitamento aziendale, fino a renderlo schiacciante.
Mutui trasformati in obbligazioni
Un tempo, quando una banca concedeva un mutuo per l’acquisto di una casa, il suo credito restava per dieci o quindici anni scritto nei suoi libri contabili, finchè il debitore non aveva ripagato tutto, capitale e interessi. Era capitale immobilizzato.
Oggi non più: quel capitale (benchè già impegnato) viene istantaneamente “liberato” per altri investimenti grazie a un’invenzione della finanza creativa: la “securitisation”.
Migliaia di mutui vengono addizionati in “pacchetti” che poi vengono venduti a banche d’affari; le quali “tagliano a fette” questi pacchetti e li vendono al dettaglio, al pubblico, sotto forma di obbligazioni.
Sono obbligazioni “garantite dai mutui” che migliaia di debitori stanno pagando mese per mese.
Ciò crea liquidità dove non c’era, e questa liquidità può essere prestata ad ulteriori individui vogliosi di indebitarsi.
Col vecchio metodo, in fondo, i mutui erano finanziati dai depositi dei risparmiatori accumulati nella banca mutuataria; oggi, col nuovo metodo, anche i mutui sono finanziati dall’emissione di obbligazioni.
Sbilanci commerciali
Le economie asiatiche, grandi esportatrici, hanno accumulato montagne di dollari (ricevuti in pagamento delle loro merci).
Questi dollari sono finiti nelle Banche Centrali asiatiche, che li “investono” acquistando Buoni del Tesoro del Paese debitore, gli USA. Tenendosi queste montagne di BOT americani, le potenze dell’Asia incorrono nel rischio di una svalutazione del dollaro, ma ne ricavano un vantaggio: mantengono svalutate le loro monete rispetto al dollaro, e con ciò continuano ad accrescere la loro base industriale – che è trainata dall’export, non dai consumi interni – e vedono trasferire a loro favore tecnologie e mezzi di produzione.
Questo fatto ha “creato domanda” per BOT americani, e una domanda colossale, per 3 trilioni (3 mila miliardi) di dollari, che ora sono in mano a enti esteri, specialmente asiatici
Tutte le cause di cui sopra hanno contribuito a produrre una enorme domanda, e un grande mercato mondiale, per le obbligazioni a tasso d’interesse fisso.
L’offerta di fiumi di denaro risparmiato (in Asia, ma anche in Italia) si è vista corrispondere dall’offerta di titoli di debito di debitori apparentemente rispettabili, solvibili (gli USA in primo luogo).
La finanza obbligazionaria è così diventata una potente “industria”: il totale delle obbligazioni e Buoni del Tesoro emessi è cresciuto di 50 volte in 20 anni.
Un tempo, le cifre sulla quantità di moneta circolante, in tutte le sue forme (da M1 a M3: contanti, depositi, obbligazioni, debiti “securitizzati”, ecc.) erano guardate come un indice premonitore di inflazione.
Ma in questi anni l’inflazione è stata “bassa” in relazione all’enorme aumento della massa monetaria.
Come mai?
Perché il continuo acquisto di obbligazioni e BOT ha “congelato” l’immenso fiume di dollari (o meglio: di debito americano denominato in dollari) nelle casse delle Banche Centrali e nelle tasche dei risparmiatori.
Il potere d’acquisto di questa massa di dollari è stato “sospeso”.
Ma ora, dice Tustain, è il titanico “ghiacciaio” di denaro imprigionato in obbligazioni che pende sopra le nostre teste, e ci minaccia tutti.
Il ghiacciaio aspetta, per sciogliersi, un qualunque evento che induca i risparmiatori, banche e privati, a volgere le spalle a questi “beni cartacei” che rendono un tasso fisso futuro in dollari di dubbio valore.
Le obbligazioni sono il peggiore degli investimenti in tempi di incertezza: in tempi di politica monetaria “larga” (tempi inflazionistici) il loro valore s’inflaziona fino a zero; in tempi di politiche monetarie “strette” (deflazionistiche) l’insolvenza dei debitori che hanno emesso i “bond” li riduce, alla fine, egualmente a zero.
Il destino delle obbligazioni dipende dalla fiducia diffusa che i banchieri centrali siano capaci di camminare sul sottile filo teso che mantiene il valore delle monete stabile.
Questo esercizio, “stabilità dell’euro”, è proprio quello che la Banca Centrale europea sta facendo a spese della società, provocando in Europa 67 milioni di disoccupati.
Ma l’alternativa è forse peggiore.
In USA, la Federal Reserve ha dimostrato un’abilità acrobatica nel camminare sulla corda.
Posto che là la diffusione di tecnologie e il calo delle paghe in termini reali ha fatto calare i costi reali di produzione, diciamo di un 6% annuo, la Banca Centrale USA ne ha approfittato emettendo un 8% di massa monetaria in circolazione: provocando quell’abbondanza di “denaro a basso costo” da cui dipende lo pseudo-boom americano.
Del resto, quel troppo denaro in più era in gran parte “congelato” nei “bond” insaziabilmente acquistati da Cina e Giappone.
La Federal Reserve può vantarsi di aver mantenuto l’inflazione al 2% (la differenza tra 6 e 8).
Ma questa modesta inflazione non è uguale per tutti i beni: possiamo comprare un computer spendendo meno di un anno fa, ma per comprare la casa dovremo spendere il 15-30% in più.
Sembra facile, e per un certo periodo lo è stato.
Se una Banca Centrale può iniettare ogni anno un 8% in più di massa monetaria (pretendendo di mantenere l’inflazione al 2%), ci sarà abbondante denaro per tutti, consumatori e imprese.
Ma i guadagni di costo dovuti alla tecnologia si assottigliano di anno in anno, e l’esercizio sulla corda della Banca Centrale diventa ogni anno più difficile.
Si avvicina il momento in cui dovrà per davvero ridurre l’iniezione di circolante per tenere bassa l’inflazione.
Ma questo tentativo – un altro esercizio di delicato cammino sulla corda – rischia di essere vanificato da una massiccia “redenzione” dei “bond” di Stato e privati, delle obbligazioni per ora congelate nelle casseforti.
Allora, il ghiacciaio diventa fiume, la liquidità diventa alluvione: e si avrà “iper-inflazione”, al di là di ogni possibilità di controllo delle Banche Centrali.
Ma perché dovrebbe avvenire questo?
Per quale motivo tanti milioni di risparmiatori dovrebbero voler trasformare tutti insieme le obbligazioni e i BOT (in cui hanno congelato i loro risparmi) in liquidità?
Paul Tustain risponde: per ragioni demografiche.
L’affollata generazione dei “baby boomer” (i nati fra il 1944 e il ’46, tempi di prolificità postbellica) stanno andando in pensione: e a quell’età, non ha più senso risparmiare.
E’ invece necessario trasformare i risparmi in consumi – magari quei tristi consumi della terza età, stipendio alle badanti, pannoloni, spese mediche. Il fenomeno di redenzione dei “bond”, che è già cominciato, arriverà al colmo fra 5-10 anni al massimo.
I gestori di fondi d’investimento capiranno prima (è il loro mestiere) e perciò cercheranno di “prevenire” il fenomeno, disinvestendo in anticipo dai “bond” in dollari per altri investimenti; e così facendo accelereranno il processo dei riscatti.
La maggior parte dei risparmiatori anziani saranno vittime del processo di riscatto massiccio di obbligazioni.
Come dice Tustain, “restare ricchi in tarda età è possibile solo a una minoranza”.
Quando il numero dei pensionati cresce e, come succede ai “baby boomer”, non è controbilanciato da un numero adeguato di “nuovi giovani” che lavorano e producono per pagare le pensioni promesse, o per acquistare le obbligazioni che i vecchi vendono, è la tragedia.
Il sistema si autocorregge brutalmente: da una parte deprimendo il valore dei redditi fissi di pensione, mentre i salari dei giovani dovranno salire perché i giovani sono più rari.
Il differenziale tra la condizione di pensionato improduttivo e di giovane-produttivo si divaricherà.
Anche se i giovani-produttivi resteranno “poveri” rispetto ai produttori di 20 anni orsono, per via della concorrenza salariale cinese e indiana sul piano mondiale.
Non guadagneranno abbastanza per risparmiare, comprando le obbligazioni che i vecchi venderanno in massa.
Ciò significa che i non-produttivi saranno, relativamente, poverissimi.
Così, le merci estere e i viaggi vacanza all’estero diverranno presto “troppo cari” per i pensionati, anche quelli con pensioni sulla carta ottime; e alla fine del processo, gli improduttivi e i non-occupati saranno ridotti al livello di sussistenza – ossia nella condizione storicamente “normale” per la gente improduttiva.
Le forze impersonali dell’economia finiscono sempre per giocare contro coloro che seguono il gregge, ossia i più.
I pensionati riceveranno esattamente le pensioni che sono state loro promesse; solo che potranno acquistare molti meno beni reali, con quelle cifre nominali, oggi magari buone.
Tustain fa il caso della sua bisnonna, morta a 95 anni, ossia 35 anni dopo essersi ritirata dal lavoro.
La sua pensione, nel 1969, era pari al suo ultimo salario del 1969.
Nel 2004, la pensione era la stessa, in termini nominali: al punto che la vecchietta non riuscì a pagare le imposte sulla proprietà della casa.
Così sta cominciando ad accadere in varie parti del mondo, a milioni di persone.
Colpevoli solo di aver risparmiato “troppo” da giovani, in tempi di “denaro facile e a basso costo”.
Maurizio Blondet
Fonte:www.effedieffe.com
24.07.05
Note
1) Paul Tustain, “Hyper-inflation: where, why and when”, sul sito GalMarley.com. Tustain è fautore dell’investimento in oro.
2) Allo stato attuale, il prezzo dell’oro è manipolato e tenuto artificialmente basso. Gli accorti “baby-boomer” dovrebbero dunque vendere le loro obbligazioni di risparmio e comprare oro: non dà interessi, è “improduttivo”, come ci viene ripetuto. Ma si tenga presente che, mentre ogni altro investimento (dai BOT alle obbligazioni, e persino la moneta di carta) è in realtà l’acquisto di un debito (e il debitore può essere insolvente), l’oro è un “attivo” a cui non corrisponde un “passivo”. L’oro ha in sé il suo valore, mentre il valore di ogni altro attivo cartaceo dipende dalla possibilità di pagare di un debitore. Ma naturalmente, la soluzione di comprare oro non è possibile che a una minoranza, non al “gregge” dei risparmiatori.