IO HO PAURA

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo

DI MARINO BADIALE

A: Io ho paura.

B: Prego?

A: Ho paura. Per il mio futuro, per quello di mia figlia. Per quello che sarà la sua vita. Per questo paese.

B: Così pessimista? D’accordo, molti parlano da tempo del declino dell’Italia. Sarà anche vero che stiamo declinando. Ma non mi pare che si stia poi così male, in questo paese. Nel declino ci arrangeremo, come abbiamo fatto tante altre volte. In questo, la nostra bravura sembra certa. E’ il nostro vantaggio competitivo, direbbe un economista. Del resto, non è detto che il declino sia una catastrofe. La Grecia al tempo dell’Impero Romano era certo declinata, rispetto alla Grecia classica o anche a quella ellenistica, eppure non credo si vivesse peggio lì che nelle altre parti dell’Impero.

A: Altri tempi. L’Italia oggi è un paese sovrapopolato, sfiduciato, senza una classe dirigente credibile, con un terzo del territorio nazionale controllato o fortemente condizionato dalla criminalità organizzata. In un simile contesto, quale può essere l’effetto di una seria crisi economica, che porti ad una crisi della struttura statale? Io penso alla Jugoslavia.


B: Addirittura! Ma lì c’erano in gioco odii etnici antichi e radicati, che si sono inseriti nella crisi economica e politica…

A: Sarà, non conosco a fondo la storia della dissoluzione jugoslava, ma ho come l’impressione che si sia parlato molto degli odii etnici antichi e radicati, e meno di come essi siano stati sfruttati da gruppi di potere di vario tipo, mezzi mafiosi mezzi no, per i loro giochi e scontri di potere. Ne parla, fra gli altri, Mary Kaldor[1] .

B: In ogni caso, qui in Italia gli odii etnici di quel tipo non ci sono, e non possono essere usati.

A: Si possono creare, non è così difficile. Pensa a come è stato facile criminalizzare i rom. E’ passata come una cosa del tutto banale la creazione dei commissari per la questione rom. Immaginati se in una qualsiasi città europea venisse creato il commissario per la questione ebraica…

B: Cosa vuoi farci, il senso comune è sempre attento a prevenire i mali già successi, è sempre in ritardo di un genocidio..

A: e non è neanche questo, perché il genocidio dei rom c’è già stato. Ma torniamo all’Italia. Cosa succederebbe in Italia di fronte ad una crisi economica grave, che rendesse impossibile la vita quotidiana cui siamo abituati e il funzionamento dello Stato? Cosa succederebbe, in particolare, nelle zone già adesso controllate dalle varie mafie? E’ ovvio: le mafie hanno già il controllo del territorio e la complicità, attiva o passiva, della maggioranza della popolazione, hanno la ricchezza economica, hanno la forza militare. Di fronte ad una ritirata dello Stato la gente si rivolgerebbe a loro. Il loro potere diventerebbe manifesto, fino ad ambire alla sovranità sul territorio. E comincerebbero a regolare i loro conflitti con scontri militari aperti, con guerre o guerriglie. Dopodiché nella stampa internazionale si vedrebbero apparire pensosi articoli sugli odii secolari che da sempre hanno contrapposto campani e pugliesi…

B: stai scherzando, naturalmente…

A: naturalmente, rido per non piangere, per esorcizzare le mie paure… Ma ti faccio solo una domanda: vent’anni fa, quindici anni fa, dieci anni fa una prospettiva di questo tipo poteva immaginarsela solo un pazzo, oggi non sarà la cosa più probabile, ma nemmeno mi sembra così completamente assurda. Lo è?

B: Forse no.

A: Il che significa che in dieci o venti anni la nostra situazione è drasticamente peggiorata. Vedi segnali di miglioramento?

B: No, direi di no. Ma non sono neanche sicuro che la crisi di cui hai paura sia una prospettiva tanto probabile…

v
A: Non lo so neppure io, per una volta lasciami esprimere con le viscere, per così dire. Avremo tempo e modo per le discussioni teoriche, le analisi strutturali socioeconomiche, i dibattiti sulla congiuntura…. E’ una vita che facciamo queste cose, che ci sforziamo di essere freddi e razionali. Per una volta, lasciami smettere questi panni e fammi ripetere semplicemente: io ho paura.

B: D’accordo, d’accordo. Però devi anche spiegare perché qualcun altro dovrebbe prendere sul serio le tue paure..

A: Del declino italiano hanno parlato un po’ tutti, lo si diceva prima. Per fare solo un esempio recente, “L’Espresso” ha pubblicato un’intervista a Heiner Flassbeck[2] .

B: E chi è?

A: Capo economista dell’agenzia dell’Onu che si occupa di commercio e sviluppo internazionale, ex capo economista dell’Istituto tedesco per la ricerca economica, ex viceministro delle Finanze del governo Schroeder.

B: Capisco, non proprio un bolscevico, o uno svitato dedito a propagandare teorie bislacche in internet. E cosa dice l’esimio economista tedesco?

A: Che con la creazione della zona euro e con l’euro forte l’economia italiana è destinata a perdere nel confronto con quella tedesca, che l’Italia dovrebbe poter svalutare la sua moneta ma con l’euro non lo può fare, che in questa situazione “non c’è modo che l’Italia possa riguadagnare competitività”, infine che “in una unione monetaria questa situazione pone le premesse per il disastro. Prima o poi il sistema collasserà. In 5, 10 o 15 anni, non so. Ma il sistema monetario, con questi enormi divari fra aziende italiane e tedesche, cadrà di sicuro”. E poi..

B: che altro?

A: Fa esplicitamente il paragone con l’Argentina. E io ti ripeto: una crisi come quella dell’Argentina, in un paese come l’Italia contemporanea, a cosa può portare?

B: Forse questo non è più un problema economico.

A: Certamente non lo è. E’ il problema di come sia ridotta oggi la fibra morale di questa nazione.

B: Immagino che tu abbia un’idea precisa a proposito.

A: Marcio. Questo paese è marcio. E’ questo il problema. Un paese sano può sopportare crisi peggiori. Durante la Seconda Guerra Mondiale abbiamo subito occupazioni, stragi, bombardamenti, distruzioni, una guerra civile, ma ci siamo risollevati. Perché la fibra morale di questo paese era ancora sana, nonostante vent’anni di fascismo, e per questo abbiamo potuto esprimere quel raggio di luce che è stata la Resistenza.

B: che tu non consideri superata..

A: è superata nel senso che oggi non c’è più un pericolo fascista, quindi l’antifascismo non ha più ragione di esistere. Ciò che non è e non sarà superato è contenuto in questa semplice affermazione: la Resistenza è una delle pochissime cose, nella storia dell’Italia unita, della quale gli italiani possono essere orgogliosi.

B: Ma torniamo all’oggi. D’accordo, c’è un problema, chiamiamolo “morale”, in mancanza di parole migliori. Proviamo a sintetizzare di cosa si tratta?

A: Si tratta in sostanza del fatto che si è del tutto persa di vista la dimensione del “bene comune”. Ciascuno insegue, con maggiore o minore efficacia, il proprio interesse. E lo fa, se può, nel più totale disprezzo delle leggi, delle regole, e degli altri.
Non c’è più molto a tenere assieme gli abitanti di questo paese, se non una certa inerzia delle strutture storiche profonde, e il fatto che per il momento, come ricordavi poc’anzi, si sta ancora piuttosto bene. In questa situazione, alla prima crisi seria questo paese si rompe in mille pezzi.

B: la tua analisi sembra descrivere abbastanza bene i ceti dominanti, in particolare i politici…

A: Chi lo sa se vale ancora la pena di parlarne, dei politici. Cos’altro aggiungere alle infinite cose già dette contro la Casta? Non se ne può più di ripetere la descrizione del loro marciume, della loro nullità intellettuale e morale, del loro pensare esclusivamente ai propri affari, delle loro malefatte, dei loro accordi dietro le quinte. No, non serve più parlarne. Ha mille volte ragione Beppe Grillo: si può solo dirgli “vaffa…”.

B: questo è volgare, e a te la volgarità non piace…

A: Qualcosa del genere doveva pur essere detto. Perché bisogna liberarsi dall’idea che con quella gente si possa discutere, si possa mediare. Il senso del messaggio non è volgare, ed è: “per voi solo odio e disprezzo, e, appena possibile, la galera”.

B: Ma immagino che il problema non sia solo la Casta politica.

A: Ovviamente no. Una delle cose più stupide che si sono sentite ripetere in questo paese è la contrapposizione fra paese legale e paese reale, fra ceto politico e società civile. Cerchiamo di dirlo in maniera sintetica: in una democrazia un popolo ha i politici che si merita.

B: Drastico, ma sensato.

A: Sono convinto che sia vero, almeno sul lungo periodo, perfino per le dittature, figuriamoci se non è vero per le democrazie. In ogni caso, per l’Italia di oggi questo significa che l’incapacità di pensare al bene comune che è tipica dei politici è in realtà diffusa nel corpo della società civile.

B: Certo, a pensare a come siano comuni evasione fiscale e raccomandazioni, sembrerebbe così.

A: E il bello è che ormai non lo si nasconde nemmeno più. Il trucco c’è, si vede, e non gliene importa nulla a nessuno, diceva Altan. Solo un paio di esempi: a inizio 2008, dopo che le indagini della magistratura hanno cominciato a coinvolgere Mastella e il suo gruppo, alla moglie di Mastella sono imposti gli arresti domiciliari…

B: capisco cosa vuoi dire: e una grande folla va ad accoglierla per esprimerle la sua solidarietà.

A: già, e quella era la famosa “società civile”, il famoso “paese reale”. Un’altra, più recente: Berlusconi decide che è ora di proibire le intercettazioni telefoniche per le indagini della magistratura…

B: misura discutibile..

A: certo, ma adesso voglio solo farti notare questo: dove va a dare l’annuncio di questa sua intenzione? A un convegno di magistrati, a un incontro di avvocati, magari in una conferenza stampa?

B: Dove, invece?

A: Ad un convengo dei giovani industriali. Sei capace di tradurre il messaggio?

B: Qualcosa del tipo “ragazzi, so che avete questo problema, ma tranquilli che adesso ci penso io”.

A: Esattamente. E secondo i giornali si rivolge alla platea dicendo “alzi la mano chi di voi non ha il timore di essere ascoltato ogni volta che parla al telefono”. Secondo te cosa significa tutto questo?

B: E secondo te?

A: Significa che l’attività economica in questo paese è normalmente accompagnata da corruzione e illeciti di vario tipo, significa che tutti lo sanno, significa che la cosa non importa a nessuno.

B: Sei troppo drastico: ci sono magistrati che indagano, giornalisti che fanno inchieste, cittadini che protestano in vari modi.

A: D’accordo, cerco di essere più preciso. La corruzione e la degradazione non sono un problema per i ceti dirigenti, perché anzi essi su quelle costruiscono le loro fortune e il loro potere, e non lo sono per la maggioranza del popolo italiano, che accetta la lenta distruzione del paese pensando che sia l’unico modo per conservare un livello di vita e di consumi che è sempre più minacciato.

B: Cosa intendi per “ceti dirigenti”? la Casta politica?

A: Ma non solo, naturalmente. La stragrande maggioranza dei giornalisti, capaci solo di fare le grancasse del potere. Gli imprenditori, che hanno accettato senza problemi il ruolo di corruttori corrotti. E si potrebbe continuare, ma il problema vero non è questo.
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B: Sarebbe invece?
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A: Quello che dicevo prima: un popolo ha i politici che si merita, e posso aggiungere che ha i giornali che si merita e ha gli imprenditori che si merita. Alla fine siamo sempre noi a decidere.

B: Discorsi già sentiti, e che da tempo sono stati accusati di moralismo.

A: Parole vuote. Cosa vuol dire moralismo?

B: Adesso tocca a me cercare di essere più preciso. L’accusa di moralismo solleva due punti: da una parte si vuol dire che quel tipo di discorsi sembrano implicare una qualche superiorità morale, tutta da dimostrare, da parte di chi li fa. Dall’altra, appaiono privi di efficacia pratica: se tutto il paese è corrotto sembra non ci sia nulla da fare se non ritirarsi in un eremo.

A: Bene, a una critica razionale si può rispondere in modo razionale. E in realtà la risposta alle due critiche è in sostanza la stessa. Non si tratta di decidere che Tizio è più onesto di Caio. Si tratta di capire che così non si può andare avanti, che questo paese sta cadendo a pezzi. E’ un fatto, e capirlo non ha nulla a che fare con l’essere moralmente superiori. Nel momento in cui questo fosse chiaro alla maggioranza, la cosa da fare sarebbe semplice.

B: Cioè?

A: Tiremo un striso, si direbbe dalle mie parti. Tiriamo un rigo. E’ andata come è andata, d’ora in poi si cambia. Facciamo come Togliatti che firmò l’amnistia per i fascisti, perché il fascismo era sconfitto e si trattava di ricostruire l’Italia. Mica potevano metterli in galera tutti, no?

B: ovviamente no, visto che tutti o quasi erano stati fascisti.

A: oggi è lo stesso. La grande maggioranza del popolo italiano è coinvolta, chi più chi meno, nel degrado morale del paese. Così non si può andare avanti. D’ora in poi si cambia, e sul passato tiriamo un rigo.

B: tiriamo un rigo sul passato? Immagino la felicità della Casta…

A: no, quelli no. Anche col fascismo, prima dell’amnistia c’era stato Piazzale Loreto.

B: paragone un po’ inquietante..

A: voglio dire che il fascismo prima bisognava sconfiggerlo, per fare l’amnistia. E per sconfiggerlo definitivamente bisognava colpirne i principali dirigenti. Oggi bisogna sconfiggere il degrado morale del paese, e per questo bisogna colpire i ceti dirigenti attuali, che ne sono i principali responsabili. Con questi non c’è amnistia che tenga. Devono essere combattuti senza tregua. Parlando di “tirare un rigo” mi riferivo a quelle che potremmo chiamare, con Mao, le contraddizioni in seno al popolo.

B: Bene, hai perfino una proposta storico-politica! Condita dalla citazione di Mao, che è sempre chic. Passata la paura, allora?

A: No. Ci vuol altro. Il declino del paese, la potenzialità della sua disgregazione sono ormai penetrate in profondità, nella stessa vita quotidiana.

B: Cos’è, il terzo livello? Abbiamo parlato dell’economia, abbiamo parlato del problema morale, adesso di cosa stiamo parlando?

A: Della tensione diffusa, quotidiana. Di come viviamo male. I rapporti quotidiani si svolgono lungo i binari prefissati dalle relazioni di lavoro, dalle tradizioni, dalle norme dell’educazione, ma appena qualcosa blocca gli automatismi subito scattano tensione, aggressività, insofferenza..

B: un po’ generico.

A: Ti è mai capitato di percepire la tensione e l’insofferenza diffuse quando si fa una fila, per esempio alla posta o per fare un biglietto? Hai presente come venga odiato chiunque crei il minimo problema, in quel contesto?

B: A nessuno piace fare la fila, tu per primo reprimi a malapena l’irritazione.

A: sì, sì, ma ascolta questo: una volta ho visto in televisione un servizio sull’Afghanistan. C’era un camion di aiuti che venivano distribuiti, e un gruppo di donne velate che si accalcavano intorno. Erano, evidentemente, persone bisognose, che in più si beccavano qualche bastonata dai soldati che proteggevano il camion. Sai cosa mi colpì, di quella scena?

B: Cosa?

A: La calma. Non c’era clamori o litigi, al massimo qualche spinta. Probabilmente, per quelle donne riuscire ad afferrare oppure no un pacco con gli aiuti significava riuscire a dar da mangiare, oppure no, alla propria famiglia. Eppure non litigavano, non alzavano la voce.

B: Morale?

A: Pensa a una scena del genere in Italia. Pensa al nervosismo e all’aggressività che percepisci durante una fila alle Poste, e pensa di fare una fila non per spedire una raccomandata ma per avere la cena per te e per i tuoi figli. Cosa succederebbe in questo paese?

B: Ci prenderemmo a coltellate, è questo che vuoi dire. Però non ti seguo, capisco l’importanza dell’economia o del problema morale, ma, se anche sono vere, queste cose che importanza hanno?

A: Sono il modo in cui si manifesta la disgregazione del paese. La tensione e l’aggressività latenti, che per il momento diventano aggressioni concrete solo in casi limitati (contro i rom per esempio, come si diceva prima) sono un effetto, e le cause sono quelle che dicevamo prima: siamo tutti in tensione perché facciamo sempre più fatica a vivere. Il nostro declino economico si traduce nella fatica sempre maggiore per conservare il livello di vita al quale siamo abituati, la diffusa inosservanza delle regole genera continuamente problemi che ciascuno affronta individualmente, con le proprie forze. Siamo sempre più stanchi e tesi. Non ci si capisce più. Un amico mi raccontava che un giorno è salito al volo su un autobus che stava partendo. Ha detto “grazie” ad alta voce all’autista. Lo fa sempre quando riesce a prendere un autobus al volo, perché pensa “non so se l’autista mi ha aspettato oppure no, in ogni caso se lo ringrazio non sbaglio”. L’autista ha pensato che lo stesse prendendo in giro, ha fermato l’autobus e lo ha redarguito di fronte a tutti.

B: Sarà stato stanco, e poi forse chi sale al volo si mette in pericolo. Magari se succedeva qualcosa al tuo amico ci andava di mezzo l’autista.

A: Ma sì, ma sì, non si sono capiti, il mio amico voleva essere gentile, l’autista ha pensato che lo prendesse in giro. Non ti sto dicendo che qualcuno è buono e qualcun altro è cattivo.

B: E cosa mi stai dicendo, allora?

A: Ti sto dicendo: siamo un paese in cui non ci si capisce più nemmeno a dirsi “grazie”. Possiamo durare?

B: Non so. Tu cosa dici?

A: Che vorrei un paese dove “grazie” vuol dire “grazie”.

B: O anche, per esplicitare la tua citazione nascosta,

A: dal finale di “Miracolo a Milano”,

B: “un paese dove buongiorno voglia veramente dire buongiorno”.

Marino Badiale, Genova, giugno 2008.

Note

[1] M.Kaldor, Le nuove guerre, Carocci, Roma 2001.

[2] L’Espresso, 12 giugno 2008, pagg. 128-130.

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