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DI CARLO BERTANI

Leggere i giornali a qualcosa serve: non lo faccio spesso – preferisco il Web – ma talvolta è utile. Nell’edizione del 21 maggio, Repubblica “tira” una volata al governo, più precisamente al neonato (?) PD, di quelle da Giro d’Italia: una slinguata che sembra giungere da una “telefonata” calata sulla scrivania del Direttore. Più pagine, diversi argomenti: identico leitmotiv.

Primo assioma: gli italiani, nonostante la pessima classe politica, sono “felici”. Sarebbero da indagare gli attributi di questa “felicità”, ma sorvoliamo sulle ristrettezze semantiche dei sondaggi.
Siccome sono “felici”, ci sono ancora degli spazi per tagliare loro le ali: domani saranno forse un po’ meno “felici”; al limite, cambieremo qualche parola nelle domande dei futuri sondaggisti, ed otterremo lo stesso risultato.

Dopo un siffatto antipasto, si passa al primo tormentone: il contratto degli statali. 101 euro sì…101 euro no…sfoglia la Margherita…l’uomo con lo Schioppo telefona a Bruxelles e dice niet: se gli italiani sono già così “felici”, non potremmo consegnare il “tesoretto” – quasi intero, sugli spiccioli non pianto grane – a qualche banchiere infelice?
I “compagni di merende” – invece – pensano alle elezioni, ai collegi elettorali, ai “compagnetti di merendine” degli Enti Locali, al cognato da piazzare alla ASL…e su quei soldi ci contano, eccome. Di Pietro pensa al suo (nel senso, oramai, di possesso) Molise, Mastella al suo milione di voti che gli consente una vita da nababbo, perché potrà sempre “girarlo” (parole sue) ora qui, domani là.
L’uomo con lo Schioppo mostra i denti: dimissioni, ma lo mormora appena. La Sinistra Radicale protesta forte – non sono stati nemmeno invitati alla riunione per decidere di quei soldi! – ma lo fa dopo aver limato accuratamente le unghie. Non sia mai che vengano meno il bon ton e l’appoggio al governo: altrimenti torna Berlusconi e gli italiani diventano infelici.

Risultato: una mediazione, va bene per i 101 euro, ma vogliamo in cambio un accordo triennale (subito? Alla prossima scadenza?). Nicolais resta sul vago, i pendolari nei loro vagoni.
Qui tornano comodi – oh, ne esistessero, e tanti! – gli utili idioti. 101 euro agli statali significa mungere la vacca dello Stato! Rapinare le finanze padane! Alla BCE, qualcuno spera e prega che il coro salga di tono.
101 euro, lordi, significano circa 70 euro netti; siccome l’aumento è biennale, gli statali riceverebbero su base annua circa 35 euro mensili d’aumento: l’inflazione (quella che ci raccontano), forse nemmeno quella.
Per una persona che deve raggiungere il posto di lavoro con l’auto, basta un “ritocco” al prezzo della benzina, un altro ai pedaggi autostradali ed i 35 euro mensili d’aumento sono già belle che andati. Se aumentano anche pomodori, mozzarelle, mutui ed affitti si va già in rosso. Non parliamo poi di chi deve curarsi: basta un solo ingresso in farmacia, un misero ticket in più, e diventano polvere.
Ed hanno pure il coraggio d’imbastirci sopra una disfida di Barletta: si vergognassero.

Gli “utili idioti” dimenticano che quei 101 euro saranno il metro con il quale misurare anche i futuri aumenti nel settore privato: se non li spuntano gli statali, non li spunteranno nemmeno i metalmeccanici e gli autoferrotranvieri.
Non c’è una “coperta” corta fra statali e dipendenti privati: c’è invece il sempiterno tiro alla fune fra lavoratori e padronato, sia esso lo Stato, l’ARAN, Confindustria, Confcommercio…per questa ragione gli idioti tornano utili.
L’ipotesi dei contratti triennali è interessante (per loro, ovviamente): diamo un aumento più consistente e lo diluiamo in tre anni. Ammesso e non concesso che i 101 euro biennali diventino 152 euro triennali (ci credo poco), la furbata è un’altra.

I contratti vengono oramai rinnovati quasi alla scadenza: Berlusconi giunse a dare quei soldi quando si sarebbe dovuto quasi iniziare a discutere la nuova tranche biennale. Il contratto era scaduto il 1° Gennaio 2004, fu firmato nell’estate del 2005 e gli arretrati giunsero a febbraio 2006, quando oramai si sarebbe dovuto iniziare a contrattare il biennio 2006-2007. Il centro-sinistra ha fatto tesoro dell’esperienza berlusconiana: siamo quasi a giugno del 2007, e ancora non si vede l’accordo. Dopo, ci saranno i “tavoli tecnici” per le singole categorie (scuola, ministeriali, ecc) che si porteranno via qualche mese. Infine, bisognerà attendere i “riscontri” della Ragioneria dello Stato: se i soldi arriveranno prima di San Silvestro, accenderemo un cero alla Madonna. Tanto, siamo già “felici”.
Con questo modo di procedere, noi paghiamo le bollette e la benzina per due anni – in pratica anticipiamo i soldi – e lo Stato ce li rende dopo due anni. Ovviamente, ciascuno di noi ha le sue priorità ed i suoi problemi, ma tutti paghiamo con moneta di due anni prima, che ci viene invece resa sì nominalmente di pari valore (?), ma svalutata.

Allungando i contratti a tre anni, aggiungono un ulteriore anno d’inflazione: operano in questo modo perché – per la popolazione “felice” – non è facile rendersi conto del fenomeno, ma 10 euro del Gennaio 2006 non valgono come 10 euro del Gennaio 2008. La quantità di beni e servizi che si possono acquistare con i secondi è sicuramente inferiore a quella dei primi: il gioco è fatto. Eh…i banchieri: parlano sempre e solo di monete, ma sanno bene che – quel che conta, in definitiva – è comprare patate e benzina. Che gli frega di darci qualche rettangolino colorato in più od in meno: l’importante è che non riceviamo una sola patata in più. Anzi, una in meno è meglio: siamo troppo “felici”.

Terminato il primo si passa al secondo: volta la pagina ed è tutto un frullare di over 65 che decantano le meraviglie del lavoro nella terza e quarta età. Un ingegnere lavora a 84 anni…un ex operaio nel volontariato…un vero fermento di “buonevoglie” che remano, felici e cantando.
Sappiamo che il secondo è sempre il “piatto forte”, ma anche quello sul quale è più difficile dare giudizi: dopo l’antipasto, il primo e qualche bicchiere di vino si mangia senza capirci molto.
Annebbiato da qualche bicchiere di troppo, il nostro sessantenne – a legger di tanti volonterosi – quanto meno si sente come Fantozzi, la classica “merdaccia”.
Non riflette nemmeno per un istante che, quelle persone, sono state baciate dalla buona sorte: per fare quello che fanno devono star bene, essere in salute. Curiosa anche la teoria che il lavoro scacci le malattie – Repubblica scivola pericolosamente su sillogismi da Terzo Reich – perché sarà forse vero per qualche studioso, ricercatore, docente universitario. Dubito che sia la stessa cosa per l’autista della corriera e per l’operaio del petrolchimico.

Il trucco questa volta – c’è sempre l’astemio che riesce ancora a percepire il troppo aglio nell’arrosto – è quello di confondere Pietro Mennea con quelli che si fanno una corsetta ogni tanto. Se fossimo tutti come Mennea, basterebbe iscriverci in massa alle Olimpiadi e l’Italia porterebbe a casa una caterva di medaglie.
Nessuno intende proibire ai Mennea di correre ancora – e, anzi, è giusto premiarli – ma forzare quelli che corrono per tre chilometri la sera, soltanto per far scendere la “pancetta”, agli allenamenti olimpionici…beh…
Accecati dalla loro gerontocrazia, i politici italiani scambiano i loro Limbi dorati per la vita degli italiani: forse, a bere qualche bicchiere di troppo ed a non avvertire il tanfo d’aglio, non siamo noi…
Un’inchiesta realizzata da “L’Espresso” racconta come la pensano gli italiani sulla pensione: semplicemente, smettiamola a 60 anni come un tempo. Sembra l’uovo di Colombo, ma è una proposta di grande saggezza, perché tiene conto – chissà perché gli italiani ci arrivano ed i politici no? – dell’invecchiamento naturale.
Abbiamo allungato la vita media – questo è vero – ma non abbiamo modificato il ritmo biologico dell’invecchiamento: la velocità con la quale gli apparati degenerano naturalmente è praticamente la stessa da milioni di anni. Un tempo, semplicemente, si crepava d’appendicite, di tetano, di tifo.
Forse – e sottolineo forse – la miglior alimentazione e le cure del corpo ci regalano qualche anno di più in buona salute, ma nessuno si tramuta miracolosamente in un Mennea: nemmeno la Fata Turchina ci riuscirebbe. Sull’opposto fronte, però, quante vittime miete lo stress?
Ciò non significa che, chi se la sente, non possa continuare; se lo fa con piacere, è un prezioso contributo d’esperienza per le nuove generazioni: nel mondo classico ed in altre culture l’anziano era onorato, ascoltato e non era considerato un peso.

Non dimentichiamo, inoltre, che lavorare quando si sa di poter smettere come e quando si vuole è un’iniezione di tranquillità e di fiducia. Domani non me la sento proprio? Non ci vado e basta, senza dover dimostrare niente a nessuno. Quanti insegnanti sono andati e vanno in pensione, soltanto perché terrorizzati dalle continue “proposte” di riforma?

Qui ci sarebbero riflessioni profonde da compiere: quasi completamente, il sapere è stato indagato da aristocratici benestanti che non sapevano nemmeno cos’era un bilancio. Alessandro Volta è soltanto uno fra i tanti, mentre Edison ebbe un generoso mecenate alle spalle. Meucci, che era invece povero in canna, si vide soffiare il brevetto del telefono da Bell.
La tranquillità interiore è la base del buon pensiero: mi chiedo cosa possano fare i ricercatori pagati 1.000 euro il mese con contratti semestrali. La lotta alla precarietà era nel programma del centro-sinistra: è passato un anno, e nulla s’è visto. Pronto? Giordano? Pecoraro? Diliberto? E’ sempre occupato.
Anche la tassazione delle rendite finanziarie era nel programma, ma tutto tace: si narra che l’uomo con lo Schioppo abbia caricato l’arma a pallettoni.

Dopo tanto amaro, finalmente il dolce: Prodi s’è accorto che i costi della politica sono oramai insostenibili, che l’arroganza del “Palazzo” è dilagata fino al cuoco di Palazzo Chigi che – piccato per alcune critiche sul menu – se n’è uscito con il classico “Non accetto lezioni da nessuno”. Pure il cuoco. Oramai, la fiducia degli italiani nella loro classe politica rasenta quella dei polacchi, che – sfiniti – avevano persino fondato il “Partito della Birra”.

Ora aspettiamo – dopo l’ammissione della colpa – che si passi al pentimento ed a rammendar le toppe: tre Pater, tre Ave e tre Gloria potranno pur bastare per Ratzinger, ma per noi non contano niente. Fatti, non parole.
Nell’attesa del digestivo – cari italiani – prendetevi un bel caffé forte e, mi raccomando, tornate celermente a lavorare.

Carlo Bertani
[email protected]
www.carlobertani.it
23.05.2007

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