INTERNET EXPLORER. COME LIBERARSENE E PERCH

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DI STEFANO VAJ
Miro Renzaglia

Ci insegna Carl Schmitt che le categorie del politico sono “amico” e “nemico”. I conflitti sociali, religiosi, razziali, culturali, filosofici, economici, eccetera, sono relativizzati rispetto a tali categorie fondamentali – se non quando appunto diventano conflitti politici.

Capita infatti che i luoghi della politica si spostino. La “politica politicante”, parlamentare od elettorale, assolve oggi una funzione essenzialmente spettacolare, ma occulta più di quanto non manifesti le linee di rottura e gli schieramenti e le alternative che si fronteggiano su vari piani.

Ora, capita che un campo molto più decisivo rispetto cui definire appartenenze in rapporto all’avvenire che ci è destinato è quello del trattamento dell’informazione e delle risorse di elaborazione della stessa, la cui incidenza su possibili forme di sovranità. sul modello di sviluppo ed in generale nella nostra vita quotidiana si sta espandendo esponenzialmente. Come è possibile che qualcuno creda si possa davvero parlare di politica oggi senza considerare l’esistenza di una singola società commerciale, con sede a Richmond, Virginia, che fornisce in regime di monopolio quanto necessario a far funzionare la pubblica amministrazione e l’intera economia di tutti i paesi del pianeta?

La questione Microsoft, e l’alternativa rappresentata dall’Open Source, sono tutt’altro che argomenti filosofici. Ormai sappiamo che il mercato dei sistemi operativi e del software applicativo proprietari in regime libero-scambista tende spontaneamente al monopolio globale, dall’inerzia dell’installato alla resistenza degli utenti al cambiamento alle ripidissime economie di scala che rendono impossibile la concorrenza tradizionale da parte di neofiti di buona volontà. Tale monopolio è inevitabile che sia esercitato da una società americana, per fattori politici, economici e linguistici che non vale neppure la pena di ricordare. Ed è del resto inevitabile che tale società partecipi, tanto strumentalmente, quanto in qualità di parte integrante, al sistema di potere mondialista, ivi compreso quanto attinente alla sfera dell’accesso diversificato alla tecnologia, del militare, dell’intelligence, della guerra commerciale, etc.

Il potere direttamente esercitato da tale società si manifesta del resto nella capacità di ignorare, o rendere irrilevanti, le norme legalmente in vigore negli USA stessi e negli altri paesi filo-americani, quelli dell’Unione Europea in primis, ai fini del mantenimento artificiale di condizioni di concorrenza all’interno dei relativi mercati. Un ricorso in Italia all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, presentato sin dal 1998 riguardo tra l’altro alla scelta (illecita) di forzare l’acquisto congiunto di sistema operativo e shell grafica, viene recepito con le parole “Bel ricorso, ma adesso siamo troppo occupati con le intese dei produttori di cemento nella provincia di Piacenza”, e sarà quattro anni dopo rigettato rimbalzando la palla alla Commissione dell’UE. La Commissione dell’UE si limita a salvare la faccia imponendo, per aspetti molto più marginali, sanzioni economiche che vengono semplicemente scaricate nel prezzo dei prodotti agli utenti dell’Unione stessa! Non diversamente era del resto finita negli Stati Uniti, dove è la prima amministrazione repubblicana di Bush a liquidare gli ultimi residui di procedure antitrust nei confronti di una società formalmente… democratica, dimostrando una volta di più l’irrilevanza delle appartenenze suddetta. E questo non è nulla. Più in periferia, procedimenti simili da parte della Corea del Sud ed in altri paesi vengono semplicemente insabbiati, quando del tutto logicamente la società, fatti i conti ed avendovi interesse, minaccia semplicemente di cessare di rifornire il mercato locale piuttosto che conformarsi alle leggi del paese coinvolto.

Rispetto a tutto ciò, l’alternativa – frutto della necessità, prima ancora che del “pensiero trasversale” di un ragazzo finlandese oggi tra i personaggi più famosi al mondo – rappresenta semplicemente, da parte di chi non sarebbe mai in grado di competere con il monopolista in questione secondo gli stilemi liberisti, la socializzazione delle risorse necessarie a far fronte alle necessità in questione da parte dei soggetti interessati, utenti e multinazionali, piccole società ed accademia, pubbliche amministrazioni ed appassionati. “Gratis” è un prezzo che non può essere battuto, commercialmente, e consente od addirittura stimola la nascita e il mantenimento di un ecosistema di servizi in termini di consulenza, configurazione, manutenzione, promozione di hardware, formazione, scambi tecnologici, etc., garantendo la vitalità a medio e lungo termine di tale alternativa ed il finanziamento dell’ulteriore attività di ricerca e sviluppo cui la sopravvivenza di tale mondo è legata.

Gli operatori commerciali nel campo dell’Open Source sono nel business per il profitto? Certo. Ma la differenza fondamentale è che a tale profitto non corrisponde un controllo della tecnologia cui in minore o maggior misura contribuiscono – e cui contribuiscono appunto nella certezza che tale tecnologia non potrà “essere usata contro di loro”.

Il punto centrale di quest’economia non è d’altronde che il software sia in pubblico dominio. Anche Internet Explorer, così come altri prodotti Microsoft, lo è. E’ il fatto che il codice sorgente o le specifiche dei formati e delle interfacce siano liberamente ispezionabili, modificabili e riutilizzabili a piacere – a condizioni che i risultati di tali attività siano licenziati con identica formula a qualsiasi altro interessato.

Un paese che ha cuore la propria sovranità o un utente interessato alla propria privacy, ad esempio, non ha in sostanza ragione di preoccuparsi della sicurezza di un programma di cifratura Open Source, perché l’eventuale esistenza di caratteristiche che permettano di forzarne la sicurezza senza possedere la relativa chiave è leggibile a chiunque sia interessato a guardarci, e del resto sarebbe facilmente rimuovibile da chiunque sappia dove mettere le mani ed abbia interesse a farlo, così come è possibile migliorarne le caratteristiche ove la cifratura non venga considerata sufficientemente “robusta” per il grado di riservatezza desiderata. I programmi di controllo destinati a gestire nuovi dispositivi hardware possono essere scritti da chiunque conosca i dettagli del dispositivo medesimo, senza alcun bisogno di notizie o licenze o prodotti da parte del produttore del sistema operativo. L’attivazione da parte del sistema operativo di sistemi volti ad impedire l’accesso a certe informazioni – ad esempio a fini di censura, o di protezione, cfr. i sistemi DRM, di un “diritto d’autore”che di nuovo serve principalmente a tutelare alcuni oligopoli dell’industria culturale planetaria – ugualmente può essere rimossa, così che nessuno si cura neppure di implementarla. Viceversa, l’adozione di formati standard, universali e pubblici come Open Document garantisce l’accessibilità dei propri dati con programmi di fornitori diversi, o sviluppati ad hoc senza operazioni complicate di reverse engineering, anche tra cinque, dieci, cento anni, senza essere in balia del dubbio interesse del produttore ad esempio di Microsof Office di mantenere una “compatibilità all’indietro” dei propri programmi con i formati utilizzati dalle versioni precedenti (la cui utilizzazione il produttore vuole anzi sia cessata il più presto possibile quando una nuova versione è disponibile…).

Non solo. In un mondo destinato all’interconnessione generale, l’utilizzo di sistemi di sicurezza arbitrariamente alta, e soprattutto unicamente di software il cui effettivo funzionamento può essere appurato da chiunque, previene l’accesso indesiderato al proprio sistema da parte di terzi per i fini più vari; ed ancora previene – a monte – l’installazione, di sicuro non richiesta dall’interessato, di sistemi di questo tipo che non siano sotto il suo diretto controllo; al punto anzi che un’applicazione coerente dell’ipocrita e demagogica normativa europea in materia di trattamento dei dati personali (la cosiddetta “privacy”) dovrebbe imporre in realtà l’adozione esclusiva di tali soluzioni, per non parlare delle regole in materia di segreto professionale e d’ufficio. Senza complottismi più o meno fantastici, qualcuno si rende conto che un PC con programmi proprietari installati può scaricare nuovi programmi il cui contenuto resta parimenti ignoto, e spesso comunica via Internet in modo del tutto autonomo da qualsiasi richiesta esplicita dell’utente, e senza metterlo al corrente del contenuto di tale comunicazione, con una serie di soggetti diversi ? Tra cui soggetti, come Microsoft stessa, i cui legami con enti benefici come CIA, NSA, eccetera, sono ben documentati, anche a prescindere dallo sfruttamento che l’azienda può fare di tali dati per i fini suoi propri, ad esempio in termini di profilazione e di marketing? Per non contare l’esposizione a trojan horses, virus, worms, exploits, etc., per scopi che possono andare dall’utilizzo a per interesse proprio o altrui da parte del diffusore, al sabotaggio, al vandalismo, esposizione che viene rimediata solo quando e se il produttore ritenga di occuparsene, o almeno di rendere noto il problema.
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La verità è che tale modello di computazione, costoso, inefficiente, basato su infiniti ritocchi a programmi monolitici enormi, inefficienti ed in gran parte inutili la cui adozione viene forzata attraverso lo spettro dell’incompatibilità e le installazioni di fabbrica, viene mantenuto in vita non malgrado tali circostanze, ma a causa di esse, e per gli interessi economici, politici e militari che ad esso sono legati.

Nella stragrande maggioranza dei casi, tutto ciò di cui un utente privato o aziendale ha bisogno è di un PC o qualche altro terminale connesso ad Internet. Infatti, anche nel più tradizionale dei contesti, ha a disposizione Linux (oltre ad alcune alternative minori come Solaris o BSD), che in un paio di centinaia di distribuzioni gestisce in modo efficiente qualsiasi tipo di periferica e processore ed arriva insieme a migliaia di applicazioni per gli usi più diversi. Tra questi, OpenOffice.org, oltre a gestire il formato Open Document di cui sopra come proprio formato nativo – ed a girare perfettamente anche sotto Windows e con i documenti di Microsoft Office – contiene elaboratore testi, foglio di calcolo, database, programma di disegno, programma di presentazione e quant’altro concepibimente necessario ad una suite per ufficio.
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Ma soprattutto il software, con l’ubiquità della connessione e l’ampliarsi della banda disponibile, sta rendendo progressivamente irrilevante l’installazione dei programmi diversi dal browser e delle sue estensioni. Il software si sposta verso il server, sia esso un server aziendale che fa girare applicazioni proprietarie, o Google che mette a disposizione gratuitamente di tutti, in una pagina Web accessibile con un browser qualsiasi, Google Documents, che consente di formare, modificare, stampare, ed ovviamente trasmettere, documenti del tipo più vario con una gamma di funzionalità già superiore a quella comunemente utilizzata dai programmi Microsoft, e perfettamente compatibile con i formati in uso da parte di questi ultimi.

In tale scenario – a parte esigenze specifiche che d’altronde una maggiore conoscenza delle alternative permette nel novanta per cento dei casi di risolvere con inconvenienti minimi, e talora con qualche vantaggio – non esiste alcuna plausibile ragione per accontentarsi di quanto ci viene spesso imposto attraverso la preinstallazione da parte del fornitore, e che pagheremo comunque attraverso il costo del PC e più tardi l’imposizione di upgrades a pagamento, se non attraverso la necessità di cambiare il PC medesimo a seguito della crescente inefficienza e lentezza del software proprietario. Inefficienza che è legata alla natura intrinseca del software proprietario, che mira ad includere progressivamente in un unico prodotto tutte le funzionalità concepibilmente desiderabili da parte di una frazione apprezzabile dell’utenza, e a non poter sfruttare la logica modulare consentita dalla libera disponibilità dei componenti e dei programmi Open Source.

Oggi, la rottura della logica del monopolio Microsoft passa essenzialmente attraverso la volontà di un numero sempre crescente di paesi, dal Venezuela alla Cina, o persino di amministrazioni locali (come Monaco di Baviera o Parigi) di liberarsi dal giogo suddetto. Ma passa anche da innumerevoli singole decisioni d’acquisto da parte di privati ed altri soggetti, che a loro volta sono legate all’informazione ed alla visibilità che sia possibile ottenere per le alternative Open Source, ed agli investimenti ulteriori che in tale direzione sia possibile stimolare attraverso un’ovvia reazione a catena ed un circolo virtuoso che è già in atto.

Per una volta, il boicottaggio di qualcosa che rappresenta un preciso strumento di asservimento e controllo sociale passa anche attraverso un interesse pratico ed economico immediato dell’interessato, e ci sembra imponga in via immediata l’acquisto esclusivamente di PC “nudi” o con preinstallato solo software Open Source; e in alternativa, per chi è già utente di programmi proprietari, il loro graduale ed indolore abbandono, cominciando dall’installazione di Firefox a fianco di Internet Explorer, seguendo con Thunderbird rispetto ad Outlook, OpenOffice.org rispetto a Microsoft Office, e così via, attraverso le relative versioni per Windows. Per finire con Windows stesso, che per chi è già abituato alle versioni Windows dei programmi suddetti può essere sostituito con Linux in dieci minuti senza quasi neanche che debba accorgersi del cambiamento. Tutto ciò comporta da subito, ad esempio, l’alterazione delle statistiche relative ai browser utilizzati per la navigazione sul Web, così da scoraggiare da parte dei siti l’adozione di interfacce proprietarie; oppure la capacità, a fianco dei formati Microsoft, di salvare e scambiare documenti in formato pubblico e standard; e, in ogni modo, una riduzione del flusso di cassa che alimenta il meccanismo perverso che è il primo responsabile del sensibile rallentamento del progresso nel campo della tecnologia dell’informazione che stiamo subendo da dieci anni a questa parte, con la sensibile eccezione rappresentata appunto dall’area che il meccanismo in questione meno controlla, che è rappresentata appunto da Internet.

Negarsi a tali piccole operazioni non significa altro che manifestare, per inerzia e pigrizia mentale, un piccolo ma simbolico sostegno masochistico ad un sistema che magari si va poi a denunciare con scritti composti… mediante l’uso di un prodotto che ne rappresenta l’espressione diretta.

Stefano Vaj
Fonte: www.mirorenzaglia.com
Link: http://www.mirorenzaglia.com/index.php?itemid=513
30.01.08

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