DI MASSIMO FINI
Il gazzettino
Cerchiamo di mettere un po’ d’ordine, se ci riesce, nella intricata questione delle intercettazioni telefoniche. Intricata perché coinvolge interessi contrapposti: l’interesse all’efficacia delle indagini, l’interesse alla privacy delle persone coinvolte a qualsiasi titolo in un procedi mento penale, l’interesse dei media a pubblicare le notizie di cui vengono in possesso e dei cittadini a conoscerle.
Nel Codice Rocco esisteva il segreto istruttorio. Non solo non potevano essere pubblicati i contenuti degli atti istruttori ma, fatta eccezione per le parti private e i testimoni, costituiva reato anche rivelarli, a voce.
Si privilegiavano cioè l’interesse all’efficienza delle indagini e quello del rispetto dell’onorabilità delle persone coinvolte in un’istruttoria, a scapito dell’interesse alla conoscenza della pubblica opinione Ed era giusto così. Infatti nella delicata e incerta fase delle indagini preliminari possono essere coinvolti soggetti che risulteranno in seguito estranei all’inchiesta e altri soggetti collaterali che non sono inquisiti ma la cui attività, al momento, viene ritenuta interessante per costruire il quadro probatorio complessivo. Col rinvio a giudizio la prospettiva si capovolge.
L’interesse alla conoscenza degli atti del processo prevale su quello della privacy. Ma al di battimento pubblico arrivano solo quei soggetti in cui sono stati raccolti indizi sufficienti per un rinvio a giudizio e i materiali che hanno un qualche valore probatorio.
Qui il sacrificio della privacy è indispensabile, anche a tutela degli stessi imputati perché l’opinione pubblica deve poter controllare l’attività dei magistrati. Nelle democrazie l’istruttoria può essere segreta, il dibattimento è sempre pubblico. Solo nelle di ttature anche il dibattimento è segreto.
La debolezza del Codice Rosso era anche prevedeva solo pene pecuniarie per chi violava il segreto. Per cui i giornali preferivano pagare la multa e pubblicare.
Il nuovo Codice del 1988 ha praticamente abolito il segreto istruttorio. Gli atti devono essere depositati in cancelleria a di sposizione delle difese, ma chiunque può attingervi legittimamente. Vengono quindi «sputtanati» dai media indagati che magari poi non verranno rinviati a giudizio e personaggi collaterali la cui attività erano poi considerate ininfluenti ai fini del giudizio e quindi stralciate dal processo. Il problema non riguarda solo, ovviamente, le intercettazioni telefoniche ma tutto il complesso degli atti istruttori.
Bisogna ripristinare quindi il segreto istruttorio, prevedendo pene severe, reclusione compresa, per chi lo viola. Ma qui sorge un altro problema. Da noi le istruttorie possono durare anni. In questa situazione il di vieto di pubblicazione diventa una altrettanto inammissibile mordacchia alla stampa. E qui si ritorna al problema dei problemi della giustizia italiana, l’abnorme durata delle sue procedure che nessuna classe politica ha mai voluto affrontare.
Si batte molto sulle intercettazioni telefoniche, che non sono che un aspetto del più generale problema del segreto istruttorio, perché in esse possono incappare, parlando con terzi, anche i parlamentari i cui telefoni non possono essere messi sotto controllo senza la preventiva autorizzazione della Camera cui appartengono. È una guarentigia per assicurare al parlamentare piena libertà, senza indebite intromissioni. Ma la norma è logicamente assurda e la guarentigia è di ventata un privilegio che non ha più ragion d’essere. La norma è assurda perché un parlamentare, sapendo che i suoi telefoni saranno messi sotto controllo, si guarderà bene dal dire alcunché di compromettente. La guarentigia poteva andar bene ai tempi in cui la classe politica era, nel suo complesso, integerrima e un ministro si suicidava, per la vergogna, perché accusato di aver portato via un po’ di cancelleria dal suo ufficio. Oggi, come sappiamo, fra i parlamentari la corruzione e di ffusissima e non meritano più questo privilegio. In fase istruttoria deve essere vietata la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche li riguardino come quelle che riguardano qualsiasi altro cittadino. Ma, i loro telefoni devono poter essere controllati come quelli di qualsiasi altro cittadino.
Massimo Fini
Uscito su “Il gazzettino” il 28/12/2007
Fonte: http://www.massimofini.it/