DI STEPHEN EMMOTT
guardian.co.uk
La Terra è la casa di milioni di specie. Solo una la domina. Noi. La nostra intelligenza, la nostra inventiva e le nostre attività, hanno modificato quasi ogni anfratto del pianeta. Di fatto, abbiamo un profondo impatto su di esso. Infatti, la nostra intelligenza, la nostra inventiva e le nostre attività ora sono i motori di ogni problema globale che fronteggiamo. E ognuno di questi problemi sta accelerando mentre continuiamo a crescere verso una popolazione globale di 10 miliardi. Di fatto, credo che possiamo giustamente chiamare la situazione in cui troviamo ora un’emergenza – un’emergenza planetaria senza precedenti. Noi umani siamo emersi come specie circa 200.000 anni fa. Per i tempi geologici, ciò è davvero incredibilmente recente.
Solo 10.000 anni fa, c’erano un milione di noi. Nel 1800, solo poco più di 200 anni fa, eravamo 1 miliardo. Nel 1960, 50 anni fa, eravamo 3 miliardi. Ora siamo più di 7 miliardi. Nel 2050, i vostri figli, o i figli dei vostri figli, vivranno su un pianeta con almeno 9 miliardi di altre persone. A un certo punto verso la fine del secolo, ci saranno almeno 10 miliardi di esseri umani. Probabilmente di più. Siamo giunti dove ci troviamo ora attraverso diverse civiltà – e società – che hanno “dato forma” agli eventi, tra le più importanti la rivoluzione agricola, la rivoluzione scientifica, la rivoluzione industriale e – in Occidente – la rivoluzione dell’assistenza sanitaria pubblica. Nel 1980, c’erano 4 miliardi di noi sul pianeta. Solo 10 anni dopo, eravamo 5 miliardi. Da questo punto si sono cominciate a vedere le conseguenze della nostra crescita. Non ultima fra queste era sull’acqua. Il nostro fabbisogno d’acqua – non solo l’acqua che bevevamo, ma l’acqua di cui avevamo bisogno per la produzione di cibo e per fare tutte le cose che stavamo consumando – stava andando alle stelle. Ma all’acqua stava cominciando ad accadere qualcosa. Nel 1984, i giornalisti hanno scritto dall’Etiopia di una carestia di proporzioni bibliche causata da siccità diffuse. Siccità inusuale, e alluvioni inusuali, stavano aumentando ovunque: Australia, Asia, USA, Europa. L’acqua, una risorsa vitale che pensavamo fosse abbondante, ora era improvvisamente qualcosa che era potenzialmente scarsa.
Nel 2000 c’erano 6 miliardi di noi. Stava diventando chiaro alla comunità scientifica mondiale che l’accumulo di CO2, metano ed altri gas serra nell’atmosfera – risultanti dall’incremento dell’agricoltura, dell’uso di territorio e della produzione, della trasformazione e del trasporto di tutto ciò che stavamo consumando – stava cambiando il clima. E che, di conseguenza, avevamo fra le mani un problema serio. Il 1998 era stato l’anno più caldo mai registrato. I dieci anni più caldi mai registrati sono stati dopo il 1998. Sentiamo il termine “clima” ogni giorno, quindi vale la pena pensare a cosa intendiamo veramente con esso. Ovviamente, “clima” non equivale a tempo meteorologico, il clima è uno dei sistemi di supporto vitali della Terra, che determina se noi esseri umani possiamo o no vivere su questo pianeta. E’ generato da quattro componenti: l’atmosfera (l’aria che respiriamo), l’idrosfera (l’acqua del pianeta), la criosfera (le calotte glaciali e i ghiacciai), la biosfera (le piante e gli animali del pianeta). Ormai, le nostre attività hanno iniziato a modificare ognuna di queste componenti.
Le nostre emissioni di CO2 modificano la nostra atmosfera. Il nostro uso d’acqua in aumento ha iniziato a modificare l’idrosfera. Le temperature atmosferiche e della superficie marina in aumento hanno iniziato a modificare la criosfera, in particolare nell’inaspettata contrazione delle calotte glaciali dell’Artico e della Groenlandia. Il nostro uso di territorio in aumento, per l’agricoltura, le città, le strade, l’estrazione mineraria – così come l’inquinamento che stiamo creando – ha iniziato a modificare la nostra biosfera. O, per metterla in un altro modo: abbiamo iniziato a cambiare il nostro clima. Ora siamo più di 7 miliardi sulla terra. Mentre il nostro numero continua a crescere, continuiamo ad aumentare la necessità di molta più acqua, molto più cibo, molto più territorio, molto più trasporto e molta più energia. Di conseguenza, stiamo accelerando il ritmo al quale cambiamo il clima. Infatti, le nostre attività non sono solo completamente interconnesse, ma ora interagiscono anche col complesso sistema nel quale viviamo: la Terra. E’ importante capire come tutto questo sia connesso.
Prendiamo un aspetto importante, per quanto poco conosciuto, dell’aumento dell’uso di acqua: “l’acqua nascosta”. L’acqua nascosta è l’acqua usata per produrre le cose che consumiamo ma delle quale non pensiamo possano contenere acqua. Tali cose comprendono pollo, manzo, cotone, automobili, cioccolato e telefoni cellulari. Per esempio: ci vogliono circa 3000 litri d’acqua per produrre un hamburger. Nel 2012, sono stati consumati circa 5 miliardi di hamburger solo nel Regno Unito. Sono 15 trilioni di litri di acqua, in hamburger. Solo nel Regno Unito. Qualcosa come 14 miliardi di hamburger sono stati consumati negli Stati Uniti nel 2012. Sono circa 42 trilioni di litri d’acqua. Per produrre hamburger negli Stati uniti. In un anno. Per produrre un pollo ci voglio circa 9.000 litri d’acqua. Nel solo Regno Unito abbiamo consumato circa un miliardo di polli nel 2012. Per produrre un chilogrammo di cioccolato ci vogliono circa 27.000 litri d’acqua. Sono circa 2.700 litri d’acqua ogni barra di cioccolato. Questo di sicuro dovrebbe essere qualcosa su cui pensare quando si sta rannicchiati sul proprio divano in pigiama a mangiarlo.
Ma ho cattive notizie per i pigiami. Perché temo che servano 9.000 litri d’acqua per produrre i vostri pigiami di cotone. E servono 100 litri d’acqua per produrre una tazza di caffè. E questo prima che dell’acqua venga realmente aggiunta al vostro caffè. Probabilmente abbiamo bevuto circa 20 miliardi di tazze di caffè lo scorso anno nel Regno Unito. E – ironia delle ironie – servono qualcosa come 4 litri d’acqua per produrre una bottiglia di plastica da un litro. Lo scorso anno, nel solo Regno Unito, abbiamo comprato, bevuto e buttato via 9 miliardi di bottiglie d’acqua di plastica. Fa 36 miliardi di litri d’acqua, usata in modo del tutto inutile. Acqua sprecata per produrre bottiglie; per l’acqua. E servono circa 72.000 d’acqua per produrre uno dei ‘chip’ che fanno funzionare tipicamente il vostro portatile, il navigatore satellitare, l’iPad e la vostra auto. Erano più di due miliardi i chip di questo tipo prodotti nel 2012. Sono almeno 145 trilioni di litri d’acqua. In chip a semiconduttori. In breve, stiamo consumando acqua, come consumiamo cibo, a un ritmo che è del tutto insostenibile.
La richiesta di terreno per il cibo raddoppierà – come minimo – nel 2050 e triplicherà per la fine di questo secolo. Ciò significa che la pressione per radere al suolo molte delle foreste pluviali che rimangono per l’uso umano si intensificherà ad ogni decennio, perché questo è pressoché l’unico terreno disponibile rimasto per espandere l’agricoltura su scala. A meno che la Siberia non si scongeli prima che finiamo di deforestare. Nel 2050, è probabile che 1 miliardo di ettari di terreno saranno deforestati per soddisfare la domanda di cibo in aumento da parte di una popolazione in aumento. E’ un’area più grande degli Stati Uniti. E ad accompagnare questo ci saranno 3 gigatonnellate all’anno di ulteriori emissioni di CO2. Se la Siberia si scongela prima che finiamo di deforestare, ne risulterebbe una grande quantità di nuovo terreno disponibile per l’agricoltura, così come l’apertura di una fonte molto ricca di minerali, metalli, petrolio e gas. Nel processo, questo cambierebbe in modo quasi del tutto certo le geopolitiche globali. La Siberia, liberandosi dai ghiacci, trasformerebbe la Russia in una notevole forza economica e politica in questo secolo, per via delle sue risorse minerali, agricole ed energetiche appena scoperte. Ciò sarebbe accompagnato inevitabilmente dal fatto che ampi depositi di metano – attualmente intrappolati sotto il Permafrost siberiano della tundra – vengano liberati, accelerando ulteriormente il problema climatico.
Nel frattempo, altri 3 miliardi di persone avranno bisogno di un posto in cui vivere. Nel 2050, il 70% di noi vivrà nelle città. Questo secolo vedrà la rapida espansione delle città, così come la nascita di città completamente nuove che non esistono ancora. Vale la pena di menzionare il fatto che delle 19 città brasiliane che hanno raddoppiato la loro popolazione nei decenni passati, 10 sono in Amazzonia. Tutte queste useranno più territorio.
Attualmente non abbiamo nessun mezzo conosciuto per riuscire a sfamare 10 miliardi di noi al ritmo di consumo attuale e con l’attuale sistema industriale. Infatti, solo per sfamare noi stessi nei prossimi 40 anni avremo bisogno di produrre più cibo di tutta la produzione agricola degli ultimi 10.000 anni messa insieme. Tuttavia, la produttività alimentare è sulla via del declino, probabilmente in modo netto, durante i prossimi decenni a causa di: cambiamento climatico, degrado e desertificazione del suolo – entrambi i quali stanno aumentando rapidamente in molte parti del mondo – e stress idrico. Per la fine del secolo, vaste aree del pianeta non avranno più acqua utilizzabile.
Allo stesso tempo, il settore delle spedizioni e quello aereo sono proiettate a continuare ad espandersi rapidamente ogni anno, anno dopo anno, intorno al pianeta, trasportando più di noi e più delle cose che vogliamo consumare. Questo ci causerà enormi problemi in termini di emissioni di CO2, più carbonio nero, e più inquinamento da estrazione e lavorazione di tutta questa roba. Ma pensate a questo. Nel trasportare noi stessi e le nostre cose per tutto il pianeta, noi stiamo creando anche una rete molto efficiente per la diffusione di malattie potenzialmente catastrofiche. C’è stata una pandemia globale solo 95 anni fa – la Spagnola, che ora si stima abbia ucciso fino a 100 milioni di persone. E questo prima che una delle nostre innovazioni più discutibili – le linee aeree low cost – fossero inventate. La combinazione di milioni di persone che viaggiano in tutto il mondo ogni giorno e di altri milioni di persone che vivono in prossimità estrema a maiali e pollame – spesso nella stessa stanza, rendendo più probabile il salto di specie dei virus – significa che stiamo aumentando, significativamente, la probabilità di una nuova pandemia globale. Quindi non c’è da stupirsi che gli epidemiologi siano sempre più d’accordo sul fatto che una nuova pandemia ora sia una questione di “quando” e non di “se”.
Per soddisfare la domanda attesa, dovremo almeno triplicare – come minimo – la produzione di energia per la fine del secolo. Per soddisfare tale domanda, dovremo costruire, approssimativamente, qualcosa come: 1.800 delle dighe più grandi del mondo, o 23.000 centrali nucleari, 14 milioni di pale eoliche, 36 miliardi di pannelli solari o continuare prevalentemente con le riserve petrolio, carbone e gas – e costruire le 36.000 nuove centrali di cui significa che avremo bisogno. Le nostre riserve di petrolio, carbone e gas da sole valgono trilioni di dollari. I Governi e le grandi aziende di petrolio, carbone e gas – alcune delle più influenti multinazionali della Terra – decideranno davvero di lasciare i soldi sottoterra, mentre la domanda di energia aumenta senza sosta? Ne dubito.
Nel frattempo, il problema climatico emergente si trova su una scala completamente diversa. Il problema è che potremmo essere diretti verso un certo numero di “punti di non ritorno” nel sistema climatico globale. C’è l’obbiettivo globale politicamente condiviso – guidato dal Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) – di limitare l’aumento della temperatura media globale a +2°C. Il fondamento logico di questo obbiettivo è che un aumento al di sopra dei 2°C porta a rischi significativi di cambiamento climatico catastrofico che porterebbero quasi certamente a “punti di non ritorno” planetari, causati da eventi come la fusione della piattaforma di ghiaccio della Groenlandia, il rilascio dei depositi di metano ghiacciato dalla tundra artica, o il degrado dell’Amazzonia. Di fatto, i primi due stanno già avvenendo ora, al di sotto della soglia dei +2°C.
Quanto al terzo, non stiamo aspettando il cambiamento climatico per farlo; lo stiamo già facendo adesso attraverso la deforestazione. E le ricerche recenti mostrano che sembra certo che stiamo andando verso un aumento maggiore dei +2°C, un aumento molto maggiore. Ora è molto probabile che vedremo un aumento futuro della media globale di +4°C e non possiamo escludere i +6°C. Ciò sarà assolutamente catastrofico. Porterà ad un cambiamento climatico fuori controllo, capace di portare il pianeta in uno stato del tuto diverso, rapidamente. La Terra diventerà un buco infernale. Nei decenni lungo il tragitto, saremo testimoni di estremi senza precedenti in eventi atmosferici, incendi, alluvioni, ondate di calore, perdita di raccolti e foreste, stress idrico e aumento del livello del mare catastrofico. Ampie parti dell’Africa diventeranno aree permanentemente sinistrate. L’Amazzonia potrebbe essere trasformata in una savana o persino in un deserto. E l’intero sistema agricolo avrà di fronte una minaccia senza precedenti.
I paesi più “fortunati”, come il Regno Unito, gli Stati Uniti e gran parte dell’Europa, potrebbero apparire come molto simili a paesi militarizzati, con pesanti controlli in difesa dei confini progettati per evitare l’ingresso di milioni di persone, persone che si stanno muovendo perché il loro paese non è più abitabile, o ha acqua insufficiente per il cibo o sta vivendo dei conflitti per le risorse sempre più scarse. Queste persone saranno “migranti climatici”. Il termine “migranti climatici” è un termine al quale ci dovremo abituare sempre di più. Infatti, chiunque pensi che l’emergente stato globale delle cose non abbia un grande potenziale per il conflitto civile e internazionale illude sé stesso. Non è una coincidenza che quasi ogni conferenza scientifica alla quale vado sul cambiamento climatico ora abbia un nuovo tipo di partecipante: i militari. In ogni modo la guardiamo, un pianeta di 10 miliardi si presenta come un incubo. Quali sono, quindi, le nostre opzioni?
La sola soluzione che ci rimane è quella di cambiare comportamento, radicalmente e globalmente, ad ogni livello. In breve, abbiamo urgentemente bisogno di consumare meno. Molto meno. Radicalmente di meno. E dobbiamo conservare di più. Molto di più. Per ottenere un tale cambiamento radicale nel comportamento, avremmo bisogno anche di un’azione governativa radicale. Ma per quanto riguarda questo tipo di cambiamento, attualmente i politici sono parte del problema, non parte della soluzione, perché le decisioni che devono essere prese per attuare un significativo cambiamento di comportamento rendono inevitabilmente i politici molto impopolari e loro ne sono del tutto consapevoli.
Quindi, ciò per cui hanno invece optato i politici è una diplomazia fallimentare. Per esempio: il UNFCCC (UN Framework Convention on Climate Change), il cui lavoro è stato per 20 anni la stabilizzazione dei gas serra nell’atmosfera: fallito. Il UNCCD (UN Convention to Combat Desertification), il cui lavoro è stato per 20 anni quello di fermare il degrado dei terreni e la desertificazione: fallito. Il CBD (Convention on Biological Diversity), il cui lavoro è stato per 20 anni quello di ridurre il ritmo di perdita della biodiversità: fallito. Questi sono solo tre esempi di iniziative globali fallite. L’elenco è tristemente lungo. E il modo in cui i governi giustificano questo livello di inazione è sfruttando l’opinione pubblica e l’incertezza scientifica. Viene usata come scusa per dire “dobbiamo aspettare che la scienza provi che il cambiamento climatico stia avvenendo”. Questo ora è al di là di ogni dubbio. Quindi ora si dice “dobbiamo aspettare che gli scienziati siano in grado di dirci quali saranno gli impatti e i costi”. E, “dobbiamo aspettare che l’opinione pubblica sia pronta all’azione”. Ma i modelli climatici non saranno mai scevri da incertezze. E per quanto riguarda l’opinione pubblica, i politici si sentono notevolmente liberi di ignorarla quando fa loro comodo – guerre, bonus alle banche e riforme sanitarie, per fare solo qualche esempio. Ciò che i politici ed i governi dicono sui loro impegni per affrontare il cambiamento climatico è completamente diverso da quello che stanno facendo riguardo ed esso.
E che dire degli affari? Nel 2008, un gruppo di economisti e scienziati molto rispettati guidati da Pavan Sukhdev, allora economista anziano della Deutsche Bank, ha condotto un’autorevole analisi economica del valore della biodiversità. La loro conclusione? Il costo delle attività commerciali delle 3.000 multinazionali più grandi del mondo in perdite o danni alla natura ed all’ambiente ora è di 2,2 trilioni di dollari all’anno. E in aumento. Questi costi dovranno essere pagati in futuro. Dai vostri figli e dai vostri nipoti. Per citare Sukhdev: “Le regole del commercio devono essere urgentemente cambiate, così le multinazionali competono sulla base dell’innovazione, della conservazione delle risorse e la soddisfazione delle richieste delle diverse parti in causa, piuttosto che sulla base di chi è più efficace nell’influenzare le regole governative, evitando tasse e ottenendo sussidi per attività dannose per massimizzare il ritorno per gli azionisti”. Penso che ciò accadrà. No. E per quanto riguarda noi?
Confesso che lo trovavo divertente, ma ora sono stanco di leggere nei settimanali delle celebrità che dicono: “Ho rinunciato alla mia 4×4 ed ora ho una Prius. Non sto facendo la mia parte per l’ambiente”? No, non la stanno facendo. Ma non è colpa loro. Il fatto è che loro – noi – non siamo bene informati. E questo fa parte del problema. Non riceviamo l’informazione di cui abbiamo bisogno. La scala e la natura del problema non ci viene semplicemente comunicata. E quando veniamo consigliati di fare qualcosa, questo scalfisce appena il problema. Ecco alcuni dei cambiamenti che ci sono stati richiesti di recente da parte di celebrità che amano pronunciarsi su questo tipo di cose, e da parte dei governi, persone che dovrebbero conoscere meglio piuttosto che presentare questo tipo di sciocchezze come ‘soluzioni’: scollega il tuo caricabatteria del cellulare; fai pipì nella doccia (il mio preferito); compra un’auto elettrica (no, non fatelo); usate una carta igienica a due veli piuttosto che a tre. Tutti questi sono gesti simbolici che dimenticano il fatto fondamentale che la scala e la natura dei problemi che affrontiamo sono immense, senza precedenti e probabilmente irrisolvibili.
I cambiamenti nel comportamento che ci vengono richiesti sono così fondamentali che nessuno vuole metterli in pratica. Quali sono? Noi dobbiamo consumare meno. Molto meno. Meno cibo, meno energia, meno cose. E qui vale la pena di sottolineare che “noi” si riferisce alla gente che vive in occidente e nel nord del globo. Attualmente ci sono 3 miliardi di persone nel mondo che hanno urgentemente bisogno di consumare di più: più acqua, più cibo, più energia. Dire “non fate figli” è del tutto ridicolo. Contraddice ogni pezzo di informazione codificata geneticamente che abbiamo dentro ed uno degli impulsi più importanti (e divertenti) che abbiamo. Detto questo, la peggior cosa che possiamo continuare a fare – globalmente – è quella di avere figli al ritmo attuale. Se l’attuale ritmo globale di riproduzione continua, per la fine del secolo non ci saranno 10 miliardi di esseri umani. Secondo le Nazioni unite, la popolazione dello Zambia è prevista in aumento del 941% per la fine del secolo.
La popolazione della Nigeria in crescita del 349%, fino a 730 milioni di persone.
L’Afghanistan del 242%.
La Repubblica democratica del Congo del 213%.
Il Gambia del 242%.
Il Guatemala del 369%.
L’Iraq del 344%.
Il Kenya del 284%.
La Liberia del 300%.
Il Malawi del 741%.
Il Mali del 408%.
Il Niger del 766%.
La Somalia del 663%.
L’Uganda del 396%.
Lo Yemen del 299%.
Persino la popolazione degli Stati Uniti è prevista in crescita del 54% per il 2100, da 315 milioni nel 2012 a 478 milioni. Voglio solo sottolineare che se l’attuale ritmo globale di riproduzione continua, per la fine del secolo non ci saranno 10 miliardi di persone, ce ne saranno 28 miliardi.
Dove ci porta questo? Guardiamola in questo modo. Se domani scoprissimo che ci fosse un asteroide in rotta di collisione con la Terra e – visto che la fisica è una scienza piuttosto semplice – fossimo in grado di calcolare che colpirebbe la Terra il 3 giugno del 2072 e sapessimo che il suo impatto spazzerebbe via il 70% della vita sulla Terra, i governi di tutto il mondo schiererebbero l’intero pianeta in un’azione senza precedenti. Ogni scienziato, ingegnere, università e impresa verrebbe reclutata: metà per trovare un modo per fermarlo, l’altra metà per trovare un modo per far sopravvivere la nostra specie e ricostruire se la prima opzione non avesse successo. Noi ci troviamo quasi precisamente in quella situazione ora, eccetto il fatto che non c’è una data precisa e che non c’è un asteroide. Il problema siamo noi. Perché non facciamo di più per la situazione in cui ci troviamo – data la dimensione del problema e l’urgenza necessaria – semplicemente non riesco a capirlo. Spendiamo 8 miliardi di euro al Cern per scoprire prove della particella chiamata Bosone di Higgs, che alla fine potrebbe o meno spiegare la massa e fornire un parziale successo per il modello standard della fisica della particelle. E i fisici del Cern sono desiderosi di dirci che questo è il più grande e più importante esperimento sulla terra. Non lo è. Il più grande e più importante esperimento sulla Terra è quello che stiamo conducendo, proprio adesso sulla Terra stessa. Solo un idiota negherebbe che c’è un limite al numero di persone che la Terra può sostenere. La domanda é, sono 7 miliardi (la nostra popolazione attuale), 10 miliardi o 28 miliardi? Penso che abbiamo già superato quel limite. Di gran lunga.
La scienza è essenzialmente scetticismo organizzato. Io passo la mia vita a cercare di provare che il mio lavoro sia sbagliato o a cercare spiegazioni alternative ai miei risultati. E’ chiamata condizione popperiana della falsificabilità. Spero di sbagliarmi. Ma la scienza va in una direzione che dice che non mi sto sbagliando. Possiamo a ragione chiamare la situazione un’emergenza senza precedenti. Abbiamo urgentemente bisogno di fare – e intendo fare realmente – qualcosa di radicale per evitare la catastrofe globale. Ma non credo che lo faremo. Penso che siamo fottuti. Ho chiesto ad uno dei più razionali e brillanti scienziati che conosca – uno scienziato che lavora in questo campo, un giovane scienziato, uno scienziato del mio laboratorio – se ci fosse stata una sola cosa che egli doveva fare per la situazione che abbiamo di fronte, quale sarebbe stata? La sua replica? “Insegnare a mio figlio come usare una pistola”.
Versione originale:
Stephen Emmott
Fonte: www.guardian.co.uk
Link: http://www.guardian.co.uk/environment/2013/jun/30/stephen-emmott-ten-billion
30.06.2013
Versione italiana:
Fonte: http://ugobardi.blogspot.it
Link: http://ugobardi.blogspot.it/2013/07/la-vera-minaccia-alla-vita-sulla-terra.html
18.07.2013
Questo è un estratto adattato da Dieci Miliardi di Stephen Emmott (Penguin, £6.99)
Nota: la traduzione della frase finale è qui rivista rispetto alla traduzione di Ugo Bardi.