DI ANTONELLA RANDAZZO
I recenti sviluppi tecnologici hanno permesso di mettere a punto tecniche che possono ingannare quasi del tutto i sensi dell’uomo, condizionando la mente come mai prima d’ora.
Tutto questo è perfettamente in armonia col sistema attuale, che manipola la personalità umana, rendendola funzionale al sistema stesso. La nuova tecnologia sembra essere stata inventata proprio per creare situazioni e abitudini capaci di rafforzare l’attuale assetto.
La vita reale ci vuole diversi da come siamo. Il successo sembra dipendere sempre più da fattori non dipendenti dalla volontà, come la perfezione estetica o l’appartenenza ad un gruppo privilegiato. Di fatto, la maggior parte delle persone si sente inadeguata e sa di vivere in una realtà piena di ingiustizie e di situazioni che producono stress e infelicità.
L’oppressione del sistema viene celata attraverso metodi mediatici altamente manipolativi, e offendo uno stile di vita improntato al materialismo consumistico e all’egocentrismo. Tuttavia, la natura umana non può mai essere completamente imprigionata attraverso divise, ruoli o in esistenze stereotipate e precostituite. Dunque, specie nelle persone appartenenti alla fascia d’età 18/40 anni, può emergere l’esigenza di un’esistenza diversa, priva di frustrazioni e infelicità. Difficilmente la propria infelicità viene collegata alle cause reali, poiché ciò richiederebbe un alto grado di introspezione e la capacità di vedere la realtà per quella che essa è, anche negli aspetti più paradossali e inaccettabili. Più spesso le persone cercano palliativi per non stare di fronte a spiacevoli verità. In molti casi, i soggetti reagiscono isolandosi o limitando le attività creative e sociali.
La stessa cultura di massa, che oggi esalta la tecnologia, offre diversi palliativi per tentare di sfuggire alla propria infelicità. Sono stati creati “giochi” per creare un’altra esistenza, oppure esistono chat in cui sempre più persone trascorrono tutto il tempo libero.
Nella società più tecnologizzata del mondo (insieme a quella statunitense), quella giapponese, i giovani si sentono fortemente inadeguati, e ben il 30% degli adolescenti soffre di una sindrome detta “hikikomori” (coloro che si ritirano). Questa sindrome spinge i soggetti a rinunciare alla vita sociale e ad optare per i rapporti virtuali. Questi ragazzi, cresciuti utilizzando ampiamente la tecnologia (videogiochi, Internet, telefonini, ecc.), sono sopraffatti dalla paura della vita, della società e del ruolo che essi dovrebbero assumere. Per questo si chiudono completamente in se stessi e cercano di fuggire dalla realtà rimanendo inerti, come fossero piante. Alcuni di essi stanno a letto tutto il giorno, altri stanno immobili ad osservare il soffitto per ore. Un hikikomori vive chiuso in una stanza, ma con oggetti tecnologici più avanzati, gli unici gesti che concepisce sono quelli che riguardano l’uso di oggetti tecnologici. Alcuni hikikomori, dopo qualche anno di malattia (che può durare anche dieci anni), si suicidano.
In Giappone i mass media esaltano la tecnologia oltre ogni immaginazione, facendola apparire come una sorta di realtà divina, fonte di potere. Questo spiega perché un hikikomori, chiuso nella solitudine, non rinuncia agli oggetti tecnologici.
In tutto il mondo ricco, si esalta la tecnologia come fosse una fonte di progresso per l’uomo. In realtà essa rappresenta una sorta di “effetti speciali”, per nascondere la condizione alienante e inquietante in cui l’uomo contemporaneo è costretto a vivere; una condizione caratterizzata dalla sindrome del controllo stile “grande fratello”, e da innumerevoli inganni e truffe che tentano, sempre più inutilmente, di nascondere un sistema criminale e distruttivo, in cui un ristretto gruppo di persone impone un modello economico-finanziario gravemente iniquo, che produce tragiche conseguenze per tutti i popoli.
Molte persone, al contrario degli hikikomori, scelgono una via meno radicale per evadere dalla propria esistenza. Scelgono i cosiddetti Massively Multiplayer Online Role-Playing Game (M.M.O.R.P.G.), ovvero i “giochi di ruolo di massa”. I giochi di ruolo di massa si svolgono su Internet a pagamento. Si tratta di un fenomeno che sta crescendo in tutto il Primo Mondo.
Nei giochi di ruolo interattivi il soggetto può creare un’identità fittizia, costruendo una sorta di doppia vita, più gratificante di quella vera. La persona immagina in tal modo di poter vivere un’altra vita, e sentendosi infelice nella vita vera, può dare sempre più spazio alla vita virtuale, fino a farla diventare più importante di quella reale. Ad esempio, un impiegato che vive da single in un monolocale di una grande città può diventare un miliardario che vive in una villa con piscina e frequenta donne bellissime. Chiunque può diventare ricco, bello e potente, ma, ovviamente, solo nel mondo virtuale.
Il soggetto si può dunque trovare prigioniero di un’esistenza non vera, in cui ha proiettato le sue speranze di uscire dai disagi esistenziali della vita reale.
Second Life è un gioco di ruolo di massa, ovvero un mondo virtuale on line in 3D, che ricalca quello vero, con città, case, palazzi, centri commerciali, locali, ecc., creati dagli stessi cittadini. In questo gioco virtuale, la voce femminile suadente che cerca di attrarre nuovi adepti dice:
“Il mondo reale ti chiede di essere più bello, più forte, più ricco. Puoi accettare tutto questo e arrenderti al mondo reale, oppure puoi ascoltarmi e provare a immaginare… immagina un mondo diverso da quello in cui vivi, un mondo libero dove puoi fare quello che vuoi, in cui puoi essere un altro, o altri cento. Un’altra faccia, un altro corpo, puoi avere quello che vuoi. Un mondo in cui puoi realizzare tutti i tuoi sogni. Questo mondo esiste, è a portata di mano e cresce, cresce, cresce. Io lo conosco, ci vivo, vuoi venire con me?… Qua ogni giorno nascono seconde vite e tutti partecipano alla costruzione di un mondo migliore, dove poter vivere in eterno, perché in questo mondo non si muore mai. In questo mondo potrai essere come vuoi tu. Non sarai troppo grassa, non avrai un capufficio che ti opprime, non sarai mai solo. Qui incontrerai tanti amici… e come nel vostro mondo potremo parlare, toccarci e fare l’amore… Ma se la tua fantasia ha ancora sete, se la tua voglia di essere altro o altrove cresce ancora, io ti porterò in altri mondi come questo. Allora capirai perché noi avatar siamo così tanti ogni giorno di più, e soprattutto capirai perché avete così tanto bisogno di noi”.
I meccanismi di persuasione dei luoghi virtuali sono simili a quelli utilizzati nella pubblicità, in cui le parole più frequenti sono “realizza i tuoi sogni”, “quello che desideri avrai” o “immagina…e crea”. Come nella pubblicità, si stimola il desiderio di essere più di ciò che si è: più bello, più ricco, più forte, più potente. Mentre nella pubblicità si promette per far comprare un oggetto, in Second life si promette una vita diversa. E’ come dire: “sappiamo che questa tua esistenza è frustrante, e allora createne un’altra”. E’ un invito a rinunciare a vivere la vita vera, alla perdita di interesse per la vita vera. Ad un livello di sofferenza alto, ottenendo sollievo e soddisfazione attraverso la negazione della realtà, si può facilmente cedere all’invito di vivere “dentro” il virtuale, con tutto ciò che ne deriva.
Questi mondi virtuali del cyberspazio producono profitti enormi. Le transazioni giornaliere per acquisti di “beni” virtuali sarebbero pari a 200.000 dollari. Ogni anno ci sarebbe un giro d’affari di almeno 30 milioni di dollari. Nei mondi del cyberspazio tutto costa molto meno rispetto alla vita reale, dunque l’incentivo a spendere è maggiore.
Sempre più persone, soprattutto europee, statunitensi e giapponesi, trascorrono il tempo libero all’interno di una vita virtuale, in cui vivono rapporti umani, di coppia, erotici, e persino mettono su famiglia e “generano” bambini. Gli avatar sono i personaggi creati virtualmente, che possono lavorare, come nella realtà. Persino i contenuti della propaganda reale possono infiltrarsi nel mondo virtuale. Ad esempio, in Secon Life si descrive un presunto attacco di un No-global virtuale:
“Anche nel mondo virtuale di Second Life esistono dei gruppi di attivisti che vanno contro quelli che sono considerati i centri del business virtuale, dei gruppi che sfruttano le tecnologie messe a disposizione dai laboratori Linden per sferrare degli attacchi che ovviamente non fanno male a nessuno, ma che riescono a finire sulle cronache dei media online. Una sorta di movimento No-global virtuale. Uno di questi gruppi, il Room 101, ha sferrato un attacco proprio pochi giorni fa, esattamente il 20 dicembre , nei confronti si Anshe Chung, la famosa milionaria di Second Life… la povera Chung è stata costretta a ritirarsi in una delle sue land”.(1)
Second Life è stato creato nel 2003 dalla società Linden Lab. Il sistema permette di creare una “vita virtuale”, fornendo strumenti grafici: oggetti, fondali, personaggi, contenuti audiovisivi, ecc.
Attualmente ci sarebbero 10 milioni di utenti registrati.
Nel mondo di Second Life esiste persino una moneta, il Linden dollar, che si può convertire in dollari veri (267,2 = 1 dollaro). Gli avatar possono intraprendere attività, le più scelte sono quelle in ambito immobiliare e la prostituzione. Su Second Life c’è persino un grande fratello in versione virtuale e l’agenzia di stampa Reuters.
Della società che ha creato Second Life, la Linden Lab, non si sa molto. Questa società, che è stata fondata nel 1999, ha sede negli Stati Uniti, a San Francisco, in California. E’ una società non quotata, controllata da altre società, soprattutto investitori istituzionali. Le persone che lavorano per questa società si occupano, o si sono occupate, di intrattenimento e di produzione di videogiochi bellici. Ad esempio, il responsabile della tecnologia della Linden Lab è Cory Ondrejka, un ex ingegnere della National Security Agency (NSA). Ondrejka, prima di passare alla Linden Lab, ha lavorato al Dipartimento della Difesa Americano, ai programmi sulla guerra elettronica.
Alcuni membri del Consiglio di Amministrazione della Linden Lab hanno avuto stretti contatti con i finanzieri di Wall Street. Ad esempio, Bill Gurley è stato un analista di computer e software a Wall Street. Altri personaggi sono vicini al mondo informatico e militare.
Secondo Mario Gerosa, autore del libro “Second Life”, creare una vita virtuale rappresenta una sorta di prova generale di trasloco dell’umanità nel cyberspazio:
“Quello che credo è che l’avatar avrà sempre più una propria forza e una propria autonomia. E’ un percorso difficile però pian piano riuscirà sempre più a liberarsi dal cordone ombelicale che lo lega a chi lo muove, ai burattini che stanno dall’altra parte del monitor… Nei mondi virtuali si riescono a superare diverse paure che si avrebbero nella vita vera. Il rischio secondo me è solo uno, di lasciarsi andare pensando di essere veramente soli. A volte si dimentica che c’è comunque questo grande fratello che sono innanzitutto gli sviluppatori stessi, che registrano tutto in ogni momento nei loro server”.(2)
Infatti, come nella realtà, le regole di base sono stabilite da qualcun altro, e anche se gli avatar possono sfidare la legge di gravità, volando, non possono creare un mondo senza profitto, senza mercificazione, senza controllo e senza prostituzione. Credendo di vivere in un mondo libero, ossia diverso da quello reale, in realtà accettano e rafforzano i parametri che sottintendono la realtà che li ha spinti a fuggire. La libertà diventa impossibile persino nell’immaginazione, realizzando attraverso il virtuale una doppia schiavizzazione: nella realtà attraverso un sistema precostituito a cui l’individuo si deve passivamente adattare, e nel virtuale, attraverso la proiezione di desideri nell’illusorio mondo del cyberspazio. I soggetti saranno indotti a credere di creare uno spazio virtuale libero, da cui trarranno sollievo dalla realtà vessatoria e frustrante.
Chi crede di essere libero non si ribella, e non si ribellerà nemmeno chi crederà di potersi liberare attraverso i mondi virtuali. A vincere non sarà la persona comune, ma il sistema stesso, rafforzato nei suoi parametri di base persino dalla “fantasia” dei soggetti che ne fanno parte.
Credendo di acquisire potere attraverso la tecnologia, e che essa possa rappresentare il futuro evolutivo dell’uomo, molte persone dimenticano che soltanto la vera cultura, l’arte o la socializzazione costruttiva con i propri simili possono aiutare gli esseri umani a crescere, affrontando la propria emotività e realizzando gli aspetti della personalità umana. Cercare palliativi, seppur con gli effetti speciali della tecnologia, significa entrare in una spirale involutiva, in cui le potenzialità cognitive saranno ridimensionate e avverrà il trionfo dell’illusione e dell’inganno.
Già con la nascita del cinema si offrivano personaggi con poteri soprannaturali (superman, batman, spiderman, ecc.) o eroi invincibili, con cui ci si identificava. Superman era un uomo timido e introverso, che grazie ai suoi poteri diventava un eroe. I giochi di ruolo sono interattivi, e danno la possibilità di creare un’altra vita, in cui il soggetto va oltre l’identificazione: sperimenta direttamente una trasformazione fisica ed esperienziale, seppur illusoria. Persone brutte diventano irresistibili seduttori, e i timidi possono diventare leader. Come in un film, si interpreta il ruolo che si desidera. Mentre al cinema si rimaneva fuori dallo schermo, nel gioco virtuale si entra nello schermo, diventando protagonisti e acquisendo il potere di decidere gli eventi. Si entra in un’illusione, mettendo in gioco potenzialità mentali di cui non si ha conoscenza. Si presentano le stesse tematiche del cinema: seduzione, sesso, erotismo, competizione, successo, soldi, simulazione, ecc. Con la differenza che il soggetto si sente protagonista e non spettatore, e crede di avere più libertà rispetto a quella effettiva.
Farsi trascinare dall’impeto di creare vite virtuali, e fare in modo che esse soppiantino le vite reali, significa illudersi di poter sfuggire a se stessi. Ma sfuggire a se stessi non è possibile, e prima o poi riemergeranno i sintomi nevrotici o di stress. Allora si cercherà di eliminare le dolorose sensazioni ricorrendo sempre più ai palliativi virtuali, instaurando una spirale disumanizzante. D’altra parte, come osserva lo scrittore Bernard Jolivalt, “la Realtà Virtuale è un non-luogo, e invita ad un viaggio verso nessuna parte”.(3)
Esistono anche giochi di ruolo che stimolano all’aggressività e alla violenza, come World of Warcraft . Nella presentazione di questo gioco di ruolo, una voce femminile dice:
“Combattere, uccidere, guadagnare, sfruttare, scappare, nascondersi, cercare di non morire. Nel nostro mondo succedono le stesse cose del vostro, ma qui da noi ci sono altre vite, altri spazi, altri nomi. Qui puoi riscattare le tue sconfitte, essere il padrone, farti il tuo impero, comandare un esercito, vivere in eterno e confondere le tue due vite come se fossero una sola.”(4)
Anche World of Warcraft è un M.M.O.R.P.G., ossia un gioco di ruolo di massa on line, in cui si crea un personaggio e si entra in contatto con amici e nemici, per vivere situazioni di lotta e di competizione. Per poterlo diffondere, è stata regalata in tutte le università italiane, insieme alla rivista “Studenti Magazine”, un’edizione speciale del gioco, valida per 14 giorni (dopo bisogna pagare).
In World of Warcraft si combatte, si uccide e si può essere uccisi. Si possono comprare e vendere armi, con un conio monetario (gold) proprio del gioco. Nel mondo dei giochi di ruolo non sembra esserci alcuna etica: ci si prostituisce, si uccide o si ferisce senza alcun rimorso. Del resto, gli avatar non esistono, anche se producono effetti sulla mente di molte persone.
Nel gioco World of Warcraft c’è un’economia diseguale, a seconda se il giocatore è “forte” o “debole”. Come nella realtà, si stimola la competizione, e c’è persino una forte inflazione, che fa perdere valore al denaro anche in breve tempo. Alcune aziende si valgono dell’economia distorta di World of Warcraft per produrre alti profitti nel mondo reale. Per questo sfruttano i Gold-Farm, giovani che giocano dalle 12 alle 19 ore al giorno per “accumulare ricchezza virtuale”. I Gold Farmers si trovano soprattutto in Cina, dove sono costretti a vivere ammassati in piccoli locali, percependo un salario misero.
L’uso ufficiale del concetto di “realtà virtuale”(RV) risalirebbe al 1989, anno in cui la società produttrice di software, Autodesk, annunciò la nascita di questa nuova tecnologia, intesa come del tutto innocua, come una semplice fonte di svago.
In realtà, già da allora l’RV era una tecnologia utilizzata negli ambienti istituzionali, alla NASA e in ambiti militari, da sviluppatori di software e hardware. Negli ultimi anni, i passi avanti dell’innovazione tecnologica hanno permesso di creare e animare personaggi virtuali estremamente realistici.
Dopo il 1989 si ebbe un notevole sviluppo commerciale di RV, e i mass media, compresi giornali come “Wall Street Journal” e “New York Times”, iniziarono a dare notizie esaltanti sul futuro di questa nuova tecnologia, e di come la realtà umana sarebbe cambiata in meglio, creando eccitazione ed entusiasmo. Da allora, uscirono molti libri sull’argomento, e diverse riviste pubblicarono regolarmente articoli di aggiornamento o di propaganda. La frase di rito era “Sarà un futuro stupendo ed eccitante… benvenuto al mondo virtuale.”(5)
Si moltiplicarono i promotori e gli estimatori di questa nuova “realtà”. Uno fra i più importanti promotori fu Jaron Lanier, che, nel 1990, durante un’intervista su “Mondo 2000” parlò di “stupore americano”, e descrisse la realtà virtuale come fonte di libertà:
“Nella Realtà Virtuale non c’è alcun dubbio che la tua realtà non sia creata da te stesso. La fai tu… penso che l’essere in uno stato tale da realizzare quanto sia attivo ogni momento nella vita supererà lo stupore… Realtà virtuale è il primo medium in circolazione che non restringa lo spirito umano… Tutto ciò che puoi fare è di essere creativo nella Realtà Virtuale”.(6)
In tal modo si creava una grande fiducia nelle nuove tecnologie, come se esse potessero trasformare la realtà umana, liberandola dai suoi limiti e dalle sue nevrosi. Tuttavia, molti autori, e lo stesso Lanier, spiegavano che si trattava di una realtà non esente da rischi e pericoli:
“No. No. No. Attenti. La realtà virtuale influisce sul mondo esterno e non sul mondo interiore. La realtà virtuale crea un nuovo livello oggettivo di realtà. Si entra in uno stato di veglia. C’è una chiara transizione. Non si può far abuso della cosa”.(7)
Spiegano gli scrittori Steve Aukstakalnis e David Blatner:
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“Lo scopo dell’RV è di ingannare i sensi delle persone facendole credere di trovarsi in un ambiente artificiale, cosicché gli sviluppatori hanno guardato naturalmente a psicologia e fisiologia per trovare idee sul modo in cui operano i processi di percezione. Per realismo visivo alcuni sistemi di RV hanno preso in esame fattori come la visione stereo-ottica, l’adeguamento, segnali di profondità e prospettiva spaziale e di moto”.(8)
L’esaltazione degli sviluppi tecnologici è voluta dal gruppo oggi dominante, che attraverso la tecnologia produce effetti funzionali al sistema. Tale gruppo mira anche ad annullare gli effetti positivi di Internet, assoldando persone con l’incarico di rendere tutti i blog e i forum covi di soggetti che litigano e si insultano, azzerando o diminuendo la possibilità di cultura e di condivisione costruttiva. Le persone assoldate, cercano di condurre ogni discussione su binari sterili, oppure provocano litigi o insultano chi dice cose giuste e vere. Queste stesse persone, scrivono post di minaccia o provocazioni quando si accorgono che i blog culturali o d’informazione sono moderati, con la speranza che venga dato loro campo libero, togliendo la moderazione.
Negli ultimi anni sempre più studiosi parlano di dipendenza da oggetti tecnologici. Si tratterebbe di una vera e propria forma di dipendenza, che produce la perdita di controllo sulla propria vita, comportamenti irresponsabili, isolamento e una deriva esistenziale.
Nel 1995 lo psichiatra Ivan Goldberg ha coniato l’espressione Internet Addiction Disorder (IAD), ad indicare la sindrome di dipendenza da Internet. Il termine indicherebbe i casi in cui i soggetti trascorrono tutto o quasi il loro tempo libero collegati ad Internet, dove stabiliscono relazioni virtuali, praticano sesso virtuale, oppure giocano con videogiochi o nei giochi di ruolo di massa. Gli effetti sono la perdita dei contatti sociali reali, e un senso di isolamento e di fuga dalle problematiche esistenziali.
La ricercatrice Kimberly Young, nel 1996, in seguito ad una ricerca, scoprì che i soggetti che trascorrevano molte ore in Rete avevano una vita sociale scarsa, problemi nel ciclo sonno/veglia e di rendimento lavorativo. Altri possibili problemi erano il mal di schiena, mal di testa, stanchezza degli occhi e la sindrome del Tunnel Carpale.
Secondo lo studioso Vincenzo Caretti, esiste una patologia legata all’utilizzo eccessivo della Rete, che può essere definita “Trance Dissociativa da Videoterminale”.(9) Tale sindrome si presenta con alterazioni dello stato di coscienza, depersonalizzazione e perdita del senso dell’identità personale.
Alcune caratteristiche della Rete, come l’assenza dei parametri spazio/temporali e l’isolamento, possono produrre un’esperienza di estraneazione da se stessi.
Nel 2006, un’inchiesta dell’”Herald Tribune”, notificava che almeno il 2/4% dei giocatori di giochi di ruolo di massa sono colpiti dalla sindrome da MMORPG e si rivolgono a psicologi e psichiatri per essere curati.
La clinica olandese Smith & Jones sta creando una sezione speciale riservata alla disintossicazione dai giochi virtuali, che darà assistenza 24 ore su 24. Anche in Francia, Cina, Usa, e Corea del Sud si stanno creando cliniche analoghe. I più colpiti sarebbero giovani fra i 14 e i 26 anni, che diventano abulici a scuola o sul lavoro, e si isolano.
I media ufficiali non affrontano il problema delle cause del fenomeno, preferendo, come al solito, rimanere alla superficie e comunicare soltanto gli aspetti più evidenti o superficiali. Ad esempio, il giornale “La Repubblica” mette in evidenza il guadagno che si può avere in Second Life:
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“Per molti è solo un gioco, una seconda vita parallela e virtuale con cui passare qualche ora di tempo libero. Per altri, invece, è diventato un vero e proprio lavoro, molto più remunerativo di quello reale. Stiamo parlando di Second Life, il mondo virtuale che conta quasi sei milioni di utenti iscritti e due milioni che “giocano” regolarmente. Ebbene, secondo un’inchiesta di Business Week si sono quadruplicati i residenti che, grazie all’inventiva e a un irrilevante investimento economico iniziale, sono arrivati a guadagnare più di cinquemila dollari americani (reali) al mese, lasciando, nella maggior parte dei casi, il lavoro reale… I “paperoni”. Il primo milionario della storia di Second Life è una donna, Anshe Chung (nome virtuale Ailin Graef), conosciuta da tutti come il Rockfeller di Second Life: con un investimento iniziale di soli 9,95 dollari ha acquistato oltre 400 lotti di terra rivendendoli tra i 1.200 e i 1.600 dollari (reali) l’uno. Al secondo posto troviamo Philip Rosedale (in Second Life, Philip Linden), uno dei creatori del gioco, che all’inizio è stato la controparte di Ailin Graef, con cui negoziava la vendita di grandi appezzamenti di terra. Ha guadagnato, insieme alla sua compagnia, oltre 19 milioni di dollari”.(10)
Considerando la situazione di disoccupazione o di precariato di milioni di persone, risulta senza dubbio allettante entrare in un mondo che permetta alti guadagni e una realtà economico-finanziaria “soft” rispetto a quella vera. Dunque, i media ufficiali, lungi dal denunciare il fenomeno nei suoi aspetti dannosi (o cercare di capire il senso di tutto ciò), lo incensano e lo fanno persino passare per un’importante opportunità di lavoro.
Alcune società utilizzano Second Life per farsi pubblicità o promuovere gli affari. Persino la società Enel ha creato Enelpark, un luogo virtuale in cui si utilizza energia rinnovabile.
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Il mondo virtuale risulterebbe come una proiezione nevrotica della situazione reale. Dunque, il soggetto si troverà alle prese con una soddisfazione fittizia, da cui emergerà la mancata considerazione degli aspetti umani del suo essere, e come l’attuale sistema disumanizzante abbia fatto di lui un fantoccio di se stesso. Lo disumanizza controllandolo e costringendolo all’interno di regole precostituite che egli non può cambiare; e lo disumanizza attraverso la tecnologia, illudendolo di poter acquisire poteri attraverso canali virtuali che lo imprigionano ancora di più.
I giochi virtuali, anziché “liberare”, come promettono, ripropongono la medesima “forma mentis” della realtà manipolata. Infatti, non c’è accettazione di sé, ma rifiuto e fuga, non c’è un mondo diverso, più giusto, più a misura d’uomo, ma una proiezione del mondo reale, in cui conta il denaro, l’aspetto fisico e il potere, piuttosto che l’essere. Non si offre davvero un altro mondo, ma una proiezione di quello reale, in cui c’è persino la guerra e la lotta per il potere. Dunque, l’individuo passa, per così dire, dalla padella alla brace, poiché nel mondo virtuale non c’è la possibilità di riscatto che potrebbe esserci nella realtà, e mancano gli aspetti propriamente umani, come l’empatia, l’intuito e la vera interazione fra umani.
Alla base sono posti meccanismi che producono dipendenza, poiché, al contrario che nella realtà, l’individuo viene indotto a sentirsi forte e vincente. Come osserva lo scrittore William Gibson: “Non si tratta per niente di un futuro immaginato. E’ un modo di scendere a patti con il timore e il terrore ispirato… dal mondo in cui viviamo”.(11)
Disumanizzare significa privare gli esseri umani delle loro caratteristiche essenziali, ovvero della possibilità di esprimere la propria personalità nel sociale, creativamente e culturalmente. Ridurre ogni cosa a merce, e costringere gli individui a sottostare ad un sistema che non ha come obiettivo principale l’espandersi delle potenzialità umane, significa ridurre i rapporti sociali a rapporti di profitto economico e limitare gravemente la personalità umana. In questo contesto, gli individui non possono non sentire un vuoto interiore, un’insoddisfazione che può sfociare nella nevrosi. L’effetto principale di questa nevrosi è la ricerca all’esterno di qualcosa che colmi il vuoto, potrebbe essere il “successo”, il denaro, o la creazione di realtà fittizie, all’interno delle quali dimenticare la propria infelicità.
L’unico modo per uscire da questa spirale infernale è quello di guardare dentro se stessi e di non avere paura di capire cos’è veramente l’attuale realtà mediatica, finanziaria ed economica. Guardare dentro se stessi permette di capire chi si è veramente, potendo così acquisire consapevolezza per difendersi dall’attuale cultura di massa, di cui la tecnologica fa parte.
E’ assai più difficile cercare di capire le cause della propria insoddisfazione (talvolta persino ammetterla), che decidere di creare una nuova vita all’interno di un gioco virtuale. Ma si rischia di entrare in un nuovo meccanismo in cui il potere non è del soggetto, ma di chi ha creato la logica del gioco.
Il soggetto entra in una logica disumanizzante, privato del vero sé e indotto a provare gratificazioni fittizie dovute a rappresentazioni ed eventi non reali. Dunque, vivendo attraverso un’entità virtuale, assume un altro ruolo, un’altra maschera. Il mondo virtuale risulterà essere una maschera della maschera. Un “robot” virtuale sostituirà la persona insicura e stressata della realtà. In entrambi i casi, la natura umana viene stigmatizzata e limitata da un sistema di potere vampirizzante, che sa imporsi persino nelle proiezioni immaginifiche.
Il cyberspazio non è neutrale, non è avulso dal sistema di potere reale. Al contrario, in esso, la maggior parte dei prodotti è creata dalle stesse persone che creano la realtà mediatica, economica e finanziaria. Queste persone si valgono di esperti nelle materie psicologiche e sociologiche, considerando le possibili esigenze psichiche delle persone che vivono nel Primo mondo. Creare luoghi virtuali che possano canalizzare l’insoddisfazione e lo stress delle persone, per chi vuole continuare ad esercitare potere è assai importante. Infatti, attirando nel virtuale, si evita che queste persone agiscano nella realtà, al fine di migliorarla. Se si trova un modo per ottenere soddisfazione e sollievo dai propri problemi non si percorre la difficile strada di trovare le cause e di lottare per risolverli.
E’ su questo che oggi scommettono coloro che reggono le redini del sistema, sul far credere all’illusione di poter vivere una vita umana senza esprimere pienamente la propria umanità.
Antonella Randazzo
Fonte: http://antonellarandazzo.blogspot.com/
Link: http://antonellarandazzo.blogspot.com/2008/01/infelicit-umana-e-disumanizzazione.html
16.01.08
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PER APPROFONDIRE
Caretti Vincenzo, La Barbera Daniele, “Psicopatologia delle realtà virtuali.
Comunicazione, identità e relazione nell’era digitale”, Casa Editrice Masson, Milano 2001.
Gerosa Mario, “Second Life”, Meltemi, Roma 2007.
Jolivalt Bernard, “La realtà virtuale”, Armando, Roma 1999.
McLuhan Marshall, “Understanding media. The extensions of man”, Ark, London and New York 1964.
Segal Howard P, “Technological Utopianism in American Culture”, University of Chicago Press, Chicago & London 1985.
NOTE
1) http://insecondlife.wordpress.com/
2) Cambi Luca, Di Gregorio Alessandro, “Un’altra vita è possibile”, in “C’era una volta”, RaiTre, 19 dicembre 2007.
3) Jolivalt Bernard, “La realtà virtuale”, Armando, Roma 1999, p. 7.
4) Cambi Luca, Di Gregorio Alessandro, “Un’altra vita è possibile”, in “C’era una volta”, RaiTre, 19 dicembre 2007.
5) Furness Thomas A, “Harnessing virtual space”, Society for Information Display Digest of technical papers, First edition, May 1988.
6) Lanier Jaron, intervista “Life in the Datacloud”, in “Mondo 2000”, pp. 44-54.
7) Lanier Jaron, “Mondo 2000”, giugno 1990.
8) Aukstakalnis Steve, Blatner David, “Miraggi elettronici”, Feltrinelli, Milano 1995, pp. 41-75.
9) Caretti Vincenzo, La Barbera Daniele, “Psicopatologia delle realtà virtuali.
Comunicazione, identità e relazione nell’era digitale”, Casa Editrice Masson, Milano 2001.
10) “La Repubblica”, 22 aprile 2007.
11) Gibson William, “Neuromante”, Ace Books, New York 1984, trad. it. “Neuromante”, Edizioni Nord, Milano, 1991. William Gibson and Timothy Leary in Conversation, “Mondo 2000”, 1989.