IN MESSICO C'E’ LA RIVOLUZIONE ? VIVA “TIERRA COLORADA”!

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DI JUSTIN RAIMONDO
original.antiwar.com

Il Messico potrebbe far ridimensionare le pretese imperiali USA e fargli abbassare la cresta

Il popolo di Tierra Colorada (1), nello Stato di Guerrero in Messico, non ne poteva più. Il 28 Marzo scorso, mille e cinquecento persone si sono armate e sono scese in strada, hanno formato dei posti di blocco, e arrestato dei funzionari pubblici.

Quelli di Tierra Colorada si sono messi sulla strada principale che collega la città turistica di Acapulco con Città del Messico e hanno cominciato a fermare auto, taxi e altri veicoli che transitavano sulla strada e poi hanno cominciato a cercare nelle case i criminali più ricercati. Poi hanno arrestato un Maggiore, ex- capo della polizia, e dodici ufficiali con le accuse di omicidio e collusione con i criminali. Il portavoce del movimento, Bruno Placido Valerio, ha dichiarato: “Abbiamo assediato il comune, perché i criminali agiscono impunemente, qui in pieno giorno, sotto gli occhi delle autorità comunali.”

Valerio è il leader del gruppo UPOEG ( Unione dei Popoli e delle Organizzazioni di Guerrero ), che era partito come un movimento di protesta contro le bollette esorbitanti del monopolio elettrico statale. Ma quando si è visto che la corruzione dello stato messicano ormai è arrivata a deteriorare autorità e l’efficacia delle istituzioni la UPOEG si è assunta la responsabilità che non si prende il governo di vedere che i cartelli della droga co-optando e corrompendo qualsiasi attività di cui si occupino le autorità locali nel sud e nell’est del Messico. I cartelli hanno praticamente preso possesso della regione, uccidendo, saccheggiando, abusando dei cittadini e hanno fatto tutto ciò con la collaborazione attiva della “polizia”, che non è altro che un’altra banda armata che infierisce su innocenti. Quando la “polizia” locale ha assassinato Guadalupe Carbajal Quinones, 28 anni, leader del UPOEG locale, per conto di un’alleanza criminale, il popolo ha alzato la testa e detto: Basta!

Queste rivolte sono in corso in tutto lo Stato di Guerrero, così come in altre parti del Messico, perché lo stato centrale sta affogando in una palude di corruzione, collusione criminale e caos. Con i cartelli della droga che hanno il controllo virtuale degli apparati dello Stato, compresa la polizia, il popolo messicano è lasciato da solo a combattere contro l’ondata di criminalità che sta investendo la nazione, lasciando la gente normale in balìa di assassini, estorsori e rapitori.

Naturalmente, i politici a Città del Messico sono indignati: dicono che questa è “insurrezione”, e che la UPOEG è “guerriglia”, una definizione non del tutto irragionevole vista la lunga storia dei movimenti di guerriglia che sono nati nello stato di Guerrero. Questa volta, però, c’è una grande differenza: invece di cercare di rovesciare il governo centrale, gli attivisti della UPOEG stanno semplicemente scavalcandolo, mettendo in atto una vera e propria organizzazione di autodifesa per mantenere un po’ di ordine nelle comunità locali.

Naturalmente le autorità la vedono come una minaccia.

La guerra alla droga ha devastato la regione di Guerrero, entrando in ogni aspetto della vita di questa zona agricola impoverita: gli agricoltori, che non possono più vendere le loro colture tradizionali, devono coltivare marijuana, e i cartelli vi ci sono avventati sopra, prendendo il controllo su vaste aree e mantenendolo con un regno del terrore. Mentre i “guerrieri della droga” della legge messicana per mantenere l’ordine dovrebbero arrestarli, quello che invece avviene oggi in Messico è un classico caso di “arresto funzionale“. Le forze di polizia sono diventate lo strumento dei trafficanti di droga e garantiscono la suddivisione del territorio tra le bande criminali, che le hanno messe nel libro paga.

I leader del UPOEG chiedono la legalizzazione del traffico di droga, e vogliono che il presidente messicano Enrique Peña Nieto ne parli con il presidente Barack Obama a maggio nella prossima visita in Messico. “La chiamano guerra alla droga”, dice Bruno Placido Valerio, “perché non possono chiamarla guerra ai poveri.” Valerio dice che ci sono stati 80 mila morti in questa “sporca guerra”.

La scintilla che ha causato la rivolta in questa zona del Messico fu il rapimento di un leader della comunità locale, il 6 gennaio scorso nella città di Ayulta de los Libres, nella regione della Costa Chica: gli 800 abitanti si armarono con fucili da caccia e con machete, si misero delle maschere da sci, fecero posti di blocco, arrestarono 40 criminali e dichiararono la loro sfida alla illegalità che stava attanagliando la loro Comunità. Da quel momento, sono sorti altri gruppi di autodifesa UPOEG in più di 20 località. E altri gruppi di autodifesa simili sono sorti anche in 13 stati e 68 municipi in tutto il paese.

Il Messico sta dimostrando l’incapacità dei “moderni stati centralizzati” di affrontare il problema stesso che ha portato alla costituzione dello Stato: contrastare la criminalità.

Qui i criminali sono diventati governo: hanno infiltrato i loro uomini nella polizia e nella politica e ora stanno spadroneggiando sulla gente.

Inoltre, le comunità indigene del sud e dell’est del Messico devono combattere un altro assalto alla loro sovranità: il continuo lavorio delle compagnie multinazionali minerarie e dell’industria del legno che stanno espropriandole delle loro ricchezze. Questo è stato il modello di confisca del territorio e di speculazione dal tempo della dittatura di Porfirio Diaz, che accentrò tutto il potere a Città del Messico provocando il saccheggio delle terre indigene. Ci fu un esodo di massa verso le città, e gli squilibri economici e sociali che ne derivarono affliggono ancora la nazione messicana.

Le caste del Messico sono sedute sopra a un vulcano sociale e politico che aspetta solo di esplodere. I cartelli hanno distrutto le basi sociali e politiche della nazione, terrorizzando la gente e violando apertamente l’autorità del governo: presto potranno anche sfidare i politici di Città del Messico, e a quel punto il collasso della nazione messicana non sarà troppo lontano.

Le misure di auto-organizzazione e auto-difesa che hanno messo in atto le persone comuni sono un primo passo sulla strada della rivoluzione, e senza dubbio il governo ne è ben consapevole, ma è apparentemente anche incapace di fare qualsiasi cosa perché impotente contro il potere dei cartelli. In effetti, i comuni come Tierra Colorada si stanno staccando, un fenomeno che tenderà a salire quando gli effetti delle crisi economiche e politiche si abbatteranno sullo stato centrale messicano.

Questo problema si sente negli Stati Uniti sul confine meridionale, dove si fanno già sentire gli effetti dell’implosione del Messico. Come al solito, la politica estera degli Stati Uniti sta esacerbando il problema: la “guerra alla droga” che Washington insiste a far combattere ai messicani, ha già destabilizzato gran parte del paese – ma ha fatto poco o niente per neutralizzare i cartelli. Gli Stati Uniti attualmente mandano ogni anno US$ 757.7 milioni al governo messicano e una grande quantità è destinata ai militari e alle forze dell’ordine.

Dato che la Contrazione economica mondiale esige un prezzo pesante che devono pagare i popoli che vivono fuori dalla metropoli globale, le campagne del mondo sono sempre più in agitazione. Non sarà possibile ignorare il caos crescente che avviene solo a pochi chilometri da città americane come El Paso – oggi una delle città più sicure degli Stati Uniti.

Le radici di questa crisi sono ben piantate nella lunga storia del controllo centralizzato esercitato da Città del Messico, e in particolare della abrogazione dei titoli sulla terra. Questi sono stati violati e nascosti dalle concessioni di terra feudali assegnate durante il periodo coloniale, e poi ulteriormente complicate dagli espropri etichettati dal governo come “privatizzazione”, con cui si sono arricchiti i vari oligarchi e funzionari governativi.

Le concessioni sono state cedute a società minerarie, a ferrovie e ad altri grandi cartelli industriali, mentre gli indigeni sono stati cacciati dalle loro terre e ammassati nelle periferie delle grandi città, per lo più Città del Messico. In quelle terre che circondano il centro urbano metastatizzato in gigantesche sacche di povertà.

Coloro che rimangono nella loro terra sono assediati, da un lato, dai cartelli della droga, che uccidono, estorcono, rapiscono e depredano impunemente, e d’altra parte dai tecnocrati urbani che vivono nella lontana Città del Messico, i cui interessi non coincidono in nessun modo con quelli del popolo rurale di Tierra Colorada. Placido Bruno Valerio e il Presidente Nieto abitano nello stesso paese, ma vivono in mondi diversi.

Il tenace Stato di Guerrero ha una lunga storia di insurrezioni ma è anche una delle regioni più povere del Messico. Sta di fatto che l’abilità dello stato centrale di difendersi, indebolisca allo stesso tempo i suoi cittadini e questo significa il non riconoscimento di legittimità del regime di Città del Messico. Ad un certo punto la natura unitaria dello stato sarà seriamente messa in discussione – e senza dubbio, i campanelli di allarme arriveranno a Washington, dove i nostri leader si sforzeranno di “dare istruzioni” per arginare la “crisi”. Dopo tutto, se il governo messicano perderà la presa, i “terroristi”potrebbero infilarsi nel vuoto di potere! E poi di Chi sarebbe la colpa della nascita di “Al Qaeda-in-Messico”?

Il vasto territorio che oggi chiamiamo “Messico” non è mai stato un paese unito, non nel senso che, per esempio, è, ed è stato sin dal periodo tardo medievale il Lussemburgo. Gli invasori spagnoli fecero schiavi una grande quantità di popoli indigeni, e tra questi i discendenti degli Aztechi, Toltechi, e numerose altre etnie autoctone con lingue e origini differenti che avevano una lunga storia di dispute territoriali, di concorrenza economica, e conflitti tribali.

I conquistadores sovrapposero a questo ricco mosaico di diversità indigena, le nuove istituzioni della società coloniale e altra sopraffazione si aggiunse anche con i democratici regimi capitalisti che si succedettero alle occupazioni spagnole e francesi.

Questa forma di statalismo made-in-Messico fu messa in piedi dal generale Porfirio Diaz, all’inizio dei 50 anni di regno del Partito Istituzionale Rivoluzionario (PRI), ormai abbastanza vicino alla sua fine. Con tutto il potere accentrato a Città del Messico, con funzionari di governo e una macchina politica che amministra la ricchezza del paese e distribuisce concessioni e privilegi speciali per sostenersi. Con il passar del tempo, un enorme apparato di clientelismo ha gravato sul motore economico del paese, diventando, come singola industria, la voce più importante della nazione subito dopo il commercio illegale di droga.

Dopo un breve interregno, il PRI è riuscito a ritornare al potere nel 2012, malgrado le accuse di brogli, mantenendo inalterato lo stesso livello di corruzione e di indifferenza per le sofferenze della nazione che lo avevano contraddistinto per mezzo secolo. Le caste dominanti in Messico continuano a considerare qualsiasi interesse del paese sempre secondario rispetto ai propri privilegi – e nessuno si sorprenderebbe affatto se i campesinos prima o poi le cacciassero. Se mai un regime ha meritato di cadere, questo è proprio il caso. L’umore della nazione è quello di una rivoluzione che aspetta solo di scoppiare.

La naturale inclinazione dei politici di Washington sarà quella di intervenire, prima con i “consiglieri” e con i miliardi di “aiuti esteri” e poi con gli attacchi dei droni e forse anche con truppe di terra. Tutto questo si tradurrebbe in una reazione nazionalista di grandi proporzioni e in una lunga guerriglia proprio nel “cortile di casa”, come si diceva una volta.

Anche se quello non è il “nostro cortile”. Dal punto di vista dei messicani “siamo noi ad essere entrati nel loro cortile” e poi non siamo nemmeno stati i migliori vicini. Il contraccolpo della guerra Messico-Americana ha tardato a venire, ma oggi è ancora vivo e sentito in queste terre.

Quello che significhi per il futuro della politica estera americana non è difficile da prevedere. La prospettiva di una guerra civile scoppiata a pochi chilometri dalle principali città americane rischia di concentrare tutti gli esperti politici sulla questione che dovrebbe essere il vero oggetto di studi di sicurezza nazionale: il modo migliore per difendere l’integrità territoriale degli Stati Uniti da incursioni straniere.

Bisognerà dimenticare sia i problemi dell’ “Asian pivot” che la grande discussione su come arrivare alla pace in Medio Oriente – perché la vera questione del futuro USA è come riuscire a garantire la pace a El Paso.

Questo dovrebbe bastare a ridimensionare le pretese imperiali di Washington e a fargli abbassare la cresta.

Justin Raimondo

Fonte: http://original.antiwar.com

Link: http://original.antiwar.com/justin/2013/03/31/viva-tierra-colorada/
4.04.2013

Traduzione per ComeDonChisciotte a cura di Bosque Primario

Note :
1.Tierra Colorada è una città messicana dello Stato di Guerrero, capoluogo del municipio di Juan R. Escudero. La città è attraversata dalla Carretera Federal 95 che collega Città del Méssico con Acapulco.

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