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IN CILE NON SI SALVANO I FANTASMI

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A cura di Davide
Il 15 Ottobre 2010
96 Views

DI JOHN PILGER
johnpilger.com

In un recente articolo per il New Statesman, scritto mentre i 33 minatori cileni erano riportati in superficie dopo un epico salvataggio, John Pilger descrive la vita del Cile nascosta dietro la facciata mediatica che il governo del presidente Sebastián Piñera ha saputo abilmente sfruttare.

Il salvataggio dei 33 minatori in Cile è stato un avvenimento straordinario, pieno di pathos e di eroismo. Ma è anche stato una manna per il governo cileno, le cui buone azioni sono immancabilmente riprese da una selva di telecamere. Non si può non rimanerne impressionati. Tuttavia, come tutti i grandi eventi mediatici, non è che fumo negli occhi.

Nella foto: il Presidente Piñera saluta i 33 minatori, nell’ospedale di Copiapó
L’incidente che ha intrappolato i minatori è abbastanza consueto in Cile, ed è l’inevitabile conseguenza di un sistema economico crudele, che non è quasi per nulla cambiato dai giorni della dittatura del generale Augusto Pinochet. Il rame è l’oro del Cile, e la frequenza delle catastrofi minerarie tiene il passo con prezzi e profitti.

In media ci sono 39 incidenti mortali ogni anno nelle miniere privatizzate cilene. La miniera di San Jose, dove lavorano i minatori salvati, era diventata così pericolosa che dovette essere chiusa nel 2007 – ma non lo restò a lungo. Il 30 luglio scorso, un resoconto del Dipartimento del lavoro fece presente nuove “gravi carenze sulla sicurezza”, ma il ministro responsabile non fece nulla. Sei giorni dopo, quegli uomini furono sepolti.

Nonostante il circo mediatico attorno al sito di salvataggio, il Cile odierno è il paese del silenzio. A Villa Grimaldi, nei sobborghi della capitale Santiago, un cartello dice: “Il passato dimenticato è pieno di ricordi”. Qui era situato il centro di tortura dove centinaia di persone furono assassinate o sparirono perché si opponevano al regime fascista del generale Augusto Pinochet e dei soci in affari che aveva portato in Cile. La sua presenza spettrale è sovrastata dalla bellezza delle Ande. L’uomo con le chiavi del cancello viveva nelle vicinanze e ricorda ancora le urla.

Mi ci ha portato una mattina invernale del 2006 Sara De Witt, una studentessa attivista che vi era stata imprigionata e che adesso vive a Londra. Su di lei usarono elettrodi e fu e picchiata, ma sopravvisse. Più tardi, ci recammo alla casa di Salvador Allende, il grande democratico e riformatore che morì quando Pinochet prese il potere l’11 settembre 1973 – il 9/11 dell’America Latina. La sua casa è un edificio bianco e silenzioso senza un simbolo, senza una targa.

Pare che il nome Allende sia stato eliminato dovunque. Soltanto su di un solitario tumulo commemorativo al cimitero sono scolpite le parole “Presidente de la Republica”, perché facente parte degli “ejacutados politicos”, di quelli “giustiziati per motivi politici”. Allende morì di mano propria nel palazzo presidenziale che Pinochet bombardava con aerei inglesi sotto gli occhi dell’ambasciatore americano.

Oggi il Cile è una democrazia, anche se molti potrebbero contestare questa affermazione, in particolare gli abitanti dei barrios, costretti a frugare tra i rifiuti in cerca di cibo e a rubare l’energia elettrica. Nel 1990, Pinochet lasciò in eredità un sistema costituzionalmente compromesso come condizione per farsi da parte e del ritiro dei suoi militari all’ombra della politica. Questo fa sì che i partiti sostanzialmente riformisti, conosciuti col nome di Concertacion, siano eternamente divisi o portati a legittimare i disegni economici degli eredi del dittatore. Alle ultime elezioni, l’ala destra della Coalizione per il Cambiamento, creatura dell’ideologo di Pinochet Jaime Guzman, salì al potere sotto la presidenza di Sebastiàn Piñera. La soppressione nel sangue della vera democrazia, iniziata con la morte di Allende è arrivata furtivamente a compimento.

Piñera è un miliardario che controlla una parte dell’industria mineraria, energetica e del commercio. Ha fatto la sua fortuna in seguito al colpo di stato di Pinochet e durante gli “esperimenti” dei fanatici del libero mercato dell’Università di Chicago, noti come i “Chicago Boys”. Suo fratello ed ex-socio in affari, José Piñera, ministro del lavoro sotto Pinochet, ha privatizzato le pensioni e l’industria mineraria, quasi distruggendo i sindacati. Questo piacque molto a Washington, che applaudì l’evento come fosse un “miracolo economico”, un modello del nuovo culto del neo-liberalismo che avrebbe conquistato il continente e assicurato il controllo al nord.

Il Cile odierno è d’importanza critica per spianare il terrreno al presidente Barack Obama nei confronti delle democrazie indipendenti di Ecuador, Bolivia e Venezuela. Il più grande alleato di Piñera è l’uomo del momento di Washington, Juan Manuel Santos, il nuovo presidente della Colombia, che ospita sette basi militari americane ed ha un primato in diritti umani molto familiare ai cileni che hanno sofferto sotto il terrore di Pinochet.

Il Cile del dopo-Pinochet ha continuato i propri abusi nell’ombra. Le famiglie che stanno ancora cercando di riprendersi dalle torture o dalla scomparsa di una persona cara, devono sopportare il pregiudizio dello stato e dei datori di lavoro. Quelli che non subiscono in silenzio sono i Mapuche, l’unico ceppo indigeno che i conquistadores spagnoli non riuscirono a sconfiggere. Nel tardo 19° secolo i coloni europei di un Cile indipendente dichiararono la loro guerra razzista di sterminio nei confronti dei Mapuche, che finirono per essere emarginati e impoveriti. Durante il periodo di mille giorni di Allende tutto questo stava cambiando. Alcuni terreni dei Mapuche furono restituiti e un debito di giustizia fu loro riconosciuto.

Da allora, una brutale guerra, di cui nessuno parla, è stata mossa contro i Mapuche. Ad enti forestali è stato permesso di impossessarsi delle loro terre, e la loro resistenza è stata contrastata con omicidi, sparizioni e con azioni penali arbitrarie sotto leggi “anti terrorismo” emanate dalla dittatura. Nelle loro campagne di disobbedienza civile, i Mapuche non hanno mai fatto del male a nessuno. La semplice accusa di un proprietario terriero o uomo d’affari che i Mapuche “potrebbero” introdursi abusivamente nelle loro terre ancestrali spesso basta alla polizia per accusarli di reati che portano a processi kafkiani, con testimoni senza volto e pene detentive fino a 20 anni. Essi sono, a tutti gli effetti, prigionieri politici.

Mentre il mondo gioisce allo spettacolo di salvataggio dei minatori, dei 38 Mapuche in sciopero della fame non si ha notizia. Essi chiedono la messa al bando delle leggi Pinochet usate contro di loro, come quella di “incendio terrorista”, e una giustizia veramente democratica. Il 9 ottobre, tutti tranne uno degli scioperanti della fame hanno concluso la loro protesta dopo 90 giorni senza cibo. Un giovane Mapuche, Luis Marileo, dice che andrà avanti da solo.
Il 18 ottobre, il Presidente Piñera si recherà alla London School of Economics a tenere una conferenza sull’«attualità». Gli si dovrebbe ricordare il loro calvario e il perché.

John Pilger
Fonte: www.johnpilger.com
Link: http://www.johnpilger.com/page.asp?partid=590
14.10.2010

Scelto e tradotto per www.comedonchiscitte.org da GIANNI ELLENA

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