IMPERO USA E MEDIO ORIENTE: SIONISMO, REGIMI FANTOCCIO E ALLEATI POLITICI

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blank DI JAMES PETRAS
Mondialisation

Per capire la politica imperiale degli Stati Uniti nel Medio Oriente bisogna ricorrere ad una analisi centrata su quattro punti:

1. Il potere e l’influenza di Israele e della configurazione del potere sionista (CPS) sulle istituzioni politiche statunitensi (il Congresso, l’esecutivo, i mass media, i due principali partiti politici ed i processi elettorali), il loro impatto economico sulle istituzioni di investimento e della finanza (fondi di pensione degli Stati e dei sindacati, banche di investimento), il loro dominio culturale sulle riviste specializzate, la produzione artistica, i periodici, il cinema ed i quotidiani. Il potere politico, economico e culturale sionista mira esclusivamente ad ottimizzare l’espansione e la superiorità militare, economica e politica di Israele in Medio Oriente, anche quando quest’ultima entra in collisione con altri interessi imperialisti statunitensi.

2. La capacità dell’impero USA a costituire e strumentalizzare gli Stati del Medio Oriente, che sono suoi clienti, e le forze mercenarie per eseguire la sua politica. Gli strumenti correnti della politica mediorientale degli USA, i più preminenti ed i più importanti, sono i regimi fantoccio iracheno, il gruppo Abbas-Dahlan in Palestina, i Curdi in Iraq, il regime Sinora-Harari-Jumblatt in Libano, l’Organizzazione dei Mujahideen del popolo (Iraniani rifugiati in Iraq), i tribalisti curdi e sunniti in Iran ed il regime fantoccio somalo sostenuto da mercenari etiopici e ugandesi.
3. Un’alleanza con regimi e dirigenti di destra in Giordania, Egitto, Turchia, Arabia Saudita, Stati del Golfo ed Israele, che forniscono l’appoggio politico per l’occupazione coloniale dell’Iraq, per la divisione dell’Iraq, per le sanzioni economiche e per la guerra contro l’Iran, gli Hezbollah, Hamas ed ogni altro movimento clerico-nazionalista o di sinistra del Medio Oriente.

4. La capacità di contenere, reprimere, limitare l’opposizione della maggioranza dei cittadini statunitensi e la minoranza dei membri del Congresso, che sono contro la guerra attuale in Iraq e la futura guerra con l’Iran. Il problema chiave per l’imperialismo USA è il discredito dei militaristi civili alla Casa Bianca e la tendenza crescente a ricorrere a nuove “avventure” e “provocazioni” politiche per riguadagnare sostegno ed accumulare poteri dittatoriali nell’ufficio presidenziale.

Questi “vettori” della politica USA in Medio Oriente, contestati sempre più all’interno come all’esterno, sono assoggettati a contraddizioni aspre così come alla probabilità di un loro scacco. Non di meno la “macchina” del potere imperiale continua ad operare e a definire la natura della politica mediorientale degli Stati Uniti.

Parte 1

I vettori del potere mediorientale degli USA: la configurazione del potere israelo-sionista

Per la prima volta nella storia degli imperi del mondo, una minuscola minoranza etnico-religiosa, che rappresenta meno del 2% della popolazione, è in grado di determinare la politica statunitense in Medio Oriente affinché serva gli interessi di meno dell’1% della popolazione di questa regione del mondo. La configurazione del potere sionista (CPS) negli USA, con le sue centinaia di migliaia di attivisti fanatici nel paese, può mobilitare quasi il 98% del Congresso in favore di non importa quale legislazione a favore di Israele, anche quando la loro approvazione è pregiudizievole alle multinazionali del petrolio.

L’AIPAC (Comitato degli Affari politici America-Israele), con 100.000 membri di cui 100 permanenti a tempo pieno, scrive ogni anno più di 100 documenti legislativi per il Congresso. Questi documenti riguardano il commercio, l’aiuto militare e la politica di sanzioni favorenti Israele. Nel marzo 2007, i dirigenti dei due partiti politici al Congresso e al Senato, e più del 50% di tutti i membri del Congresso hanno assistito alla Convenzione dell’AIPAC a Washington in cui hanno fatto atto di fedeltà allo Stato di Israele. Ciò è avvenuto a dispetto del fatto che due dirigenti dell’AIPAC sono in attesa di giudizio per spionaggio a favore di Israele e rischiano pene detentive per 20 anni!

La configurazione del potere sionista (CPS) include molto di più della “lobby” dell’AIPAC. Nell’imminenza dell’invasione dell’Iraq i sionisti controllavano l’ufficio del vice-presidente, tra cui il criminale condannato Irving “Scooter” Libby, il Pentagono e le sue operazioni di “informazione” (Wolfowitz, Feith e Shumsky), e occupavano alcune posizioni strategiche alla Casa Bianca ed al Consiglio di Sicurezza Nazionale (NSC): Frum, autore del discorso di Bush sull’”Asse del male”; Abrams, criminale perdonato dello scandalo Iran-Contra, ora incaricato della politica mediorientale, e Ari Fleischer, portavoce del presidente Bush). I sionisti dominano le pagine editoriali e di opinione dei principali quotidiani (Wall Street Journal, Washington Post e New York Times), le principali catene televisive e Hollywood. Centinaia di federazioni ebraiche statali e locali intervengono per prevenire ogni critica contro Israele, attaccando ogni critica, ogni incontro, ogni produzione teatrale o cinematografica e riuscendo a fare annullare eventi pubblici.

Le strutture di potere sionista sono state la principale forza motrice dietro i piani statunitensi di guerra e delle sanzioni contro l’Iran. Hanno appoggiato l’invasione dell’Iraq. La CPS ha assicurato il sostegno degli Stati Uniti all’attacco sanguinoso israeliano contro il Libano, indebolendo così il Primo Ministro, fantoccio USA, Fouad Sinora. La CPS è stata all’origine ed è essa che ha assicurato il passaggio della legislazione che blocca ogni contatto con il governo di unità palestinese. È riuscita ad allineare il Congresso sul blocco israeliano che affama la Palestina da 20 mesi. L’estensione e la profondità del potere sionista va al di là della semplice influenza sull’”opinione pubblica”, esso penetra le istituzioni chiave, definisce ed impone l’applicazione di politiche e promuove delle guerre che recano benefici ad Israele.

In una parola la lealtà prioritaria della CPS va allo Stato di Israele e la sua politica è stata elaborata allo scopo di colonizzare il Congresso degli Stati Uniti a vantaggio della “madre patria” Israele.

I sionisti hanno 30 rappresentanti al Congresso e 13 senatori. Dirigono delle commissioni chiave del Congresso. È Rahm Emmanuel, un anziano membro delle Forze di difesa israeliana, che è alla testa di un organo chiave, il Comitato elettorale del partito Democratico (Democratic Party Caucus). Emmanuel ha contribuito affinché la maggioranza del partito Democratico al Congresso eliminasse una clausola essenziale della legge sul bilancio di guerra che avrebbe impedito a Bush di attaccare l’Iran senza consultare il Congresso. La CPS ha assicurato il sostegno assoluto ed incondizionato ad Israele di tutti i candidati alla Presidenza e alla sua promozione di una “opzione di guerra” contro l’Iran. La CPS è riuscita a condurre gli Stati Uniti alla guerra contro l’Iraq ma è stata incapace di impedire che la grande maggioranza degli statunitensi, ebrei compresi, vi si opponessero. La CPS, seguendo in tal modo la linea israeliana, ha fatto delle sanzioni e della guerra con l’Iran la sua prima priorità. Dopo essere riuscita a distruggere l’Iraq, la CPS cerca ora di minimizzare il suo sostegno alla politica del regime Bush in Iraq per rivolgere tutti i suoi sforzi a spingere gli USA ad ottenere che il Consiglio di Sicurezza adotti severe sanzioni economiche contro l’Iran. La politica di scalata delle sanzioni contro l’Iran degli Israelo-sionisti, come dichiarano apertamente nelle loro pubblicazioni, ha avuto successo. La loro schiacciante efficacia nel pilotare la politica statunitense in rapporto all’Iran ha condotto i loro sostenitori israeliani a suggerire una certa prudenza ed a non utilizzare troppo la loro potenza.

La predominanza flagrante della CPS sulla politica degli USA ha per la prima volta provocato un’ampia opposizione dei patrioti nazionalisti tra i responsabili militari e i conservatori, così come tra un numero crescente di universitari, compreso un minuscolo gruppo di milionari (Soros) e di intellettuali ebrei. Per la prima volta un importante dibattito si è aperto per sapere se Israele è “un attivo” o “un passivo” strategico per gli interessi imperiali USA.

L’opposizione alla CPS, comprende sia individui pro-impero che antimperialisti. Le critiche di quelli pro-impero argomentano che Israele avrebbe beneficiato di più di 110 miliardi di dollari in doni e prestiti diretti, che ha un accesso privilegiato alle tecnologie di armamento e che fa concorrenza all’industria USA degli armamenti. Affermano che l’oppressione coloniale israeliana in Palestina crea tensioni e conflitti pregiudiziali all’industria petrolifera USA e sostengono che le politiche di guerra israeliane in Medio Oriente, appoggiate dai sionisti, nuocciono all’espansione degli interessi delle multinazionali petrolifere e finanziarie, alleate dei “paesi petroliferi” conservatori arabi.

Gli oppositori anti-impero al controllo sionista della politica mediorientale degli USA dicono che l’invasione dell’Iraq ha provocato milioni tra morti e feriti iracheni, decine di migliaia tra morti e feriti statunitensi, è costata più di 500 miliardi di dollari e ha portato alla distruzione delle protezioni e dei diritti civili costituzionali statunitensi. Richiedono il ritiro immediato delle truppe statunitensi ed esigono la denuclearizzazione del Medio Oriente, a cominciare da Israele.

Poiché i sionisti prendono il Congresso per il naso per portarlo verso un’altra guerra più vasta, questa volta contro l’Iran (“l’opzione militare“), hanno a che fare con una resistenza mondiale crescente. Alleati dell’Iran in Libano, in Palestina, in Iraq e dappertutto in Medio Oriente possono attaccare e distruggere le più importanti installazioni petrolifere nel mondo – Arabia saudita, Emirati del Golfo – così come le più importanti vie marittime delle petroliere (Stretto di Hormuz). Il sostegno estremista fanatico della CPS ad Israele è evidente nella volontà di rischiare una guerra ed una depressione mondiale difendendo le ambizioni di Tel-Aviv di regnare sul Medio Oriente e di distruggere l’avversario chiave, l’Iran, un paese di 80 milioni di abitanti.

La lotta della CPS negli USA è la chiave della pace in Medio Oriente, la chiave per arrestare le pressioni USA sul Consiglio di Sicurezza ed impedire ai paesi della NATO e del Medio Oriente di suicidarsi collettivamente. Sfortunatamente, la sinistra statunitense, soprattutto il movimento per la pace sotto l’influenza sionista, rifiuta di affrontare questa realtà. Ciò non lascia che una sola via per cambiare la politica bellica degli USA nel Medio Oriente: la resistenza esterna. Solo la resistenza di massa nel Medio Oriente ed altrove può imporre pesanti perdite all’economia ed ai militari statunitensi; soltanto essa potrebbe obbligare il popolo degli Stati Uniti a contrastare la CPS. È soltanto quando il costo delle guerre scatenate dai sionisti nel Medio Oriente avranno devastato gli Stati Uniti che potremo aspettarci un ritorno del testimone al popolo contro lo strangolamento del Congresso attraverso la struttura del potere sionista. È soltanto allora che potremo sperare di vedere un inizio di ritirata delle truppe statunitensi dal Medio Oriente.

Dei clienti strumentalizzati

Dati i costi politici ed economici elevati della partecipazione prolungata, su vasta scala ed estensiva delle forze armate alle guerre coloniali, Washington ha aumentato il suo sostegno ai regimi clienti ed alle organizzazioni terroristiche, fornendo forze mercenarie militari e informazioni.

Il finanziamento massiccio degli Stati Uniti alle forze “irachene” di sicurezza, che eventualmente dovrebbero rimpiazzare le truppe terrestri statunitensi come principali difensori del regime fantoccio e delle basi militari statunitensi, ne è un esempio. L’addestramento, il consiglio ed il finanziamento da parte di Washington e di Israele dei Curdi nell’Iraq del Nord, in Iran ed in Siria ne è un altro. Attraverso la strumentalizzazione dei mercenari locali, Washington raggiunge diversi scopi politici e propagandistici.

In primo luogo, ciò crea l’illusione che Washington “ceda” gradualmente il potere al regime fantoccio “locale“.
In secondo luogo, ciò dà l’impressione che il regime fantoccio sia capace di governare.
In terzo luogo, Washington può estendere il mito che esista un esercito locale “stabile” e “fidato“.
In quarto luogo, la presenza di mercenari locali rende credibile il mito che il conflitto è una “guerra civile” piuttosto che una lotta di liberazione nazionale contro una potenza coloniale.

L’uso imperialista dei Curdi nell’Iraq del Nord serve in molti modi gli obiettivi strategici dell’impero. In primo luogo i Curdi sono utilizzati per reprimere le forze anticoloniali arabe e turche, in tutto l’Iraq, ma in modo particolare nel Nord. In secondo luogo, il progetto imperialista di smembrare la Repubblica irachena in tre o quattro parti è aiutato dal separatismo curdo, l’ usurpamento dei campi petroliferi nelle regioni multietniche e la cessazione contrattuale dei loro diritti di sfruttamento a favore delle multinazionali straniere (Financial Times del 23 marzo 2007, pagina 5). Gli Stati Uniti hanno posto la pressione sul governo fantoccio iracheno affinché permetta ai Curdi di pulire etnicamente Kirkuk ed altre città miste nel nord dell’Iraq dai loro abitanti arabi e turchi (al Jazeera, 31 marzo 2007). Il regime cliente curdo, serve, a dispetto delle smentite USA, come base per le operazioni dei separatisti e dei commando curdi contro l’Iran, la Siria e la Turchia.

I regimi clienti degli Usa, nel Medio Oriente e nel Corno d’Africa, hanno funzioni specifiche per costituire l’impero statunitense nel Medio Oriente e per servire gli interessi israeliani. Nel Libano i maroniti cristiani ed il regime fantoccio di Fouad Sinora sono finanziati ed armati per indebolire la coalizione politico-militare antimperialista di massa condotta dagli Hezbollah. Gli Stati clienti del Golfo e dell’Arabia saudita forniscono il petrolio, le informazioni e le basi militari come basi per la sorveglianza del Medio Oriente. L’Egitto e la Giordania forniscono informazioni ottenute, attraverso interrogatori sotto tortura, da prigionieri politici o militari, catturati o rapiti, soprattutto delle resistenze afgane e irachene. L’Afghanistan ha alla propria testa il “presidente” fantoccio Hamid Garzai, alleato dei narco-signori di guerra afgani che producono l’80% dell’eroina venduta in Europa e nel resto del mondo. Il dittatore etiope, Meles Zenawi, sostenuto e diretto dagli USA, è intervenuto in Somalia per rovesciare il governo indipendente dei Tribunali Islamici e installare il fantoccio Abdullahi Yusuf Ahmed. In seguito un nuovo contingente di mercenari è stato inviato dal dittatore-cliente ugandese, Yoweri Museveni, per sostenere il regime Yusuf imposto dall’Etiopia, di fronte ad una massiccia resistenza armata antimperialista.

Un’analisi rigorosa della capacità degli USA a servirsi di regimi clienti e di forze mercenarie testimonia i numerosi scacchi ed un sostegno in declino. L’esercito mercenario iracheno colpito da un alto tasso di diserzioni continua a svolgere il “doppio ruolo“, da una parte è al servizio degli USA e dall’altra fornisce alla resistenza informazioni, armi e combattenti, quando non sono in servizio. Più importante ancora, lo scacco della politica statunitense nell’utilizzare mercenari per sconfiggere la resistenza, è evidente nell’aumento delle forze militari statunitensi in combattimento in Iraq dopo cinque anni di guerra coloniale, da 140.000 a 170.000 nella primavera del 2007.

In Libano Hezbollah ha sconfitto gli invasori israeliani ed ha isolato sempre di più il regime fantoccio di Sinora benché gli Stati Uniti siano riusciti ad introdurre la presenza militare delle Nazioni Unite, un vano tentativo di isolare Hezbollah. La massiccia consegna di armi degli Stati Uniti ai suoi mercenari, cristiani, drusi e sunniti, nel 2007 lasciano presagire un nuovo sforzo per provocare una “guerra civile” tesa ad indebolire Hezbollah ed i suoi alleati antimperialisti palestinesi.

Il blocco ed i massacri USA-iraeliani in Palestina (Fascia di Gaza e Cisgiordania), dall’elezione del governo di Hamas, così come l’utilizzazione dei clienti statunitensi, Abbas e Dahlan, non sono riusciti ad indebolire la lotta di liberazione nazionale palestinese. Per contro sono riusciti a provocare un mini conflitto civile.

In Somalia la resistenza si è raggruppata ed avanza dappertutto nel paese, particolarmente a Mogadiscio dove i combattimenti si sono intensificati attorno al palazzo presidenziale. La conquista USA-Etiopia non ha potuto sconfiggere il movimento antimperialista e instaurare il regime fantoccio. Se i mercenari etiopici fossero costretti a partire, è molto probabile che il regime del fantoccio Yusuf crollerebbe in pochi giorni, malgrado la presenza dei mercenari ugandesi.

Il sostegno degli USA al regime-cliente “autonomo” curdo nell’Iraq del Nord e le sue pretese espansionistiche per un “Grande Kurdistan” che dovrebbe comprendere grandi porzioni di territori della Turchia, dell’Iran, dell’Iraq e della Siria, ha dato luogo a contraddizioni intense con gli “alleati” turchi. Un nuovo Stato ritagliato nel territorio dell’Iraq del Nord servirebbe da base per il lancio di attacchi oltre frontiera contro l’Anatolia [Turchia], specialmente da parte del PKK, ma ugualmente sostenuti dall’elite governante curda dell’Iraq. Questo potrebbe condurre all’invasione del nord dell’Iraq da parte della Turchia, con lo scopo di distruggere le basi del PKK, cosa che avrebbe per conseguenza una guerra turco-kurda e il forte indebolimento della strategia mercenaria degli Stati Uniti in Iraq e della struttura delle alleanze che assicurano il suo dominio nel Medio Oriente.

La strategia di Stati Uniti e Israele di dividere e distruggere la resistenza palestinese attraverso un boicottaggio economico è in corso di fallimento. Dopo gli accordi di La Mecca tra Hamas e l’Autorità palestinese, numerosi paesi europei ed arabi hanno aperto negoziati, rinnovato l’aiuto economico, ristabilito il commercio e riconosciuto la coalizione guidata da Hamas come legittima.

In Libano, il regime Sinora, insediato a Beirut, non è riuscito ad indebolire Hezbollah ed esiste solo grazie al sostegno finanziario (e militare) degli USA, dell’Europa e dell’Arabia saudita. L’esercito libanese è diviso. Le forze delle Nazioni Unite rifiutano di disarmare Hezbollah. Israele ha perduto ogni voglia di una nuova invasione. È chiaro che gli Stati Uniti hanno perso influenza in Libano mentre la potenza del blocco Hezbollah-Hamas-Iran si rafforza.

Gli sforzi degli Stati Uniti per formare un’alleanza estesa dall’Arabia Saudita attraverso gli Emirati del Golfo, la Giordania, Israele sino all’Egitto, sono falliti, principalmente a causa delle ambizioni coloniali di Israele in Palestina e le sue minacce militari contro tutti i paesi “musulmani“. La disastrosa invasione del Libano da parte di Israele ha forzato i regimi clienti degli Stati Uniti ad opporsi alla politica israeliana. Il rifiuto di Israele del patto palestinese della Mecca ed il potere dell’AIPAC di forzare Washington a seguire la linea israeliana, gli ha alienato l’Arabia saudita e molti dei suoi alleati europei. In effetti, in conseguenza del rifiuto da parte degli Stati Uniti della proposta saudita di pace che era stata approvata dalla Lega Araba, la monarchia ha criticato l’occupazione da parte degli Stati Uniti dell’Iraq, così come le sue minacce contro l’Iran. Anche Stati minuscoli, come gli Emirati, hanno dichiarato la loro opposizione ad un attacco militare degli USA contro l’Iran. L’opposizione dei regimi “clienti del Golfo” segna il declino del dominio degli Stati Uniti ed il fallimento della sua politica filo-israeliana. Non possono esserci relazioni stabili tra l’imperialismo statunitense ed i suoi clienti mediorientali arabi, finché vi sarà un regime espansionista, coloniale, sionista al potere in Israele. La CPS è riuscita, con la sua capacità a subordinare la politica degli Stati Uniti agli interessi israeliani, ad assicurare l’instabilità delle relazioni clientelari tra Stati Uniti e paesi arabi.

La strategia statunitense di “strumentalizzare” i clienti locali e gli eserciti mercenari, per controllare il Medio Oriente nell’interesse dell’impero statunitense, sta per fallire e, nelle circostanze attuali, trova poche basi per essere eventualmente restaurata.

Alleanze regionali: Spartizione del potere in Medio Oriente?

L’ostacolo principale che impedisce a Washington di ristabilire il suo “programma arabo” (consolidare l’influenza sui clienti arabi), organizzare il sostegno degli Stati arabi alla guerra in Iraq, isolare l’Iran e sviluppare i propri interessi petroliferi, è l’onnipresenza del potere di veto della quinta colonna israeliana, la CPS, il suo controllo sul Congresso degli Stati Uniti ed il suo potere sul ramo esecutivo. Di conseguenza, Washington ha respinto la proposta saudita ad Israele di “terra contro pace e riconoscimento“. Gli USA hanno respinto l’accordo saudita teso a creare un governo palestinese unificato, e le proposte dei paesi arabi del Golfo, siriane, irachene, saudite, russe e cinesi che prevedevano negoziati diplomatici con Iran e Siria.

Gli Stati Uniti hanno completamente fallito nella costruzione di un’alleanza di “spartizione del potere” in Medio Oriente, stile NATO, tranne che con la Turchia ed Israele, per molti motivi. La maggioranza schiacciante (dall’80 al 95%) della popolazione araba respinge un tale accordo che rischia di toglier loro il poco di autorità che resta ai regimi clienti. Gli USA non offrono nulla in “cambio” (quid pro quo) per il sostegno arabo in cambio della difesa della supremazia imperiale degli Stati Uniti, nemmeno una pressione su Israele affinché ceda un territorio semiarido come quello della Cisgiordania ai Palestinesi. La struttura del potere di un’alleanza tra gli Stati Uniti ed il Medio Oriente è così asimmetrico, il rapporto di forze è talmente in favore di Washington, che vi sono poche basi per un negoziato e per la divisione di costi e benefici. A causa dell’ineguaglianza del potere, alcuni governi, come quello dell’Arabia saudita, che ha un importante potere economico, temono di farsi assorbire dagli Stati Uniti. Di conseguenza, piuttosto che un’alleanza mediorientale formale tra Stati Uniti e Arabi, vi sono accordi bilaterali e concezioni specifiche, come: basi militari (Oman, Arabia saudita e Turchia), accordi relativi alle informazioni e gli interrogatori sotto tortura (Siria, Egitto e Giordania), accordi di distribuzione del petrolio (Paesi del Golfo ed Arabia saudita). Questi accordi bilaterali forniscono a Washington un’influenza significativa ma non il controllo formale sulla ricchezza, dato che il petrolio è nazionalizzato, né permettono l’uso della forza militare per la promozione della supremazia regionale di Stati Uniti e Israele.

L’”alleanza” degli Stati Uniti con Israele è basata su una forma diversa di influenza e di guadagni asimmetrici. A causa del potere israelo-sionista sulle istituzioni politiche negli USA, questi ultimi non possono perseguire in Medio Oriente che politiche che promuovono gli interessi strategici di Israele. L’asimmetria del potere nelle relazioni tra Israele e Stati Uniti si vedono nei costi e benefici nelle relazioni economiche, militari, politiche e diplomatiche. Gli Stati Uniti pagano un “tributo” di oltre 3 miliardi di dollari l’anno (per la maggior parte in doni) ad Israele, un paese che con un reddito annuo per abitante di 25.000 dollari (nel 2006) è superiore a quello del 25% della popolazione USA! Israele beneficia di diritti di ingresso libero sui mercati statunitensi, di un diritto di emigrazione negli USA senza ostacoli e limiti, di esenzioni fiscali per l’acquisto di buoni del tesoro israeliani, di una tecnologia militare più avanzata degli USA, cosa che gli permette di “far concorrenza” vincente al complesso militar-industriale USA sui più importanti mercati come le vendite per un miliardo di dollari all’India, all’Africa ed anche agli USA! Israele fa funzionare una lobby sionista di 100.000 membri che influenza la politica degli Stati Uniti: Washington non ha un solo lobbista filo-USA in Israele.

Negli anni di Reagan, per coprire l’influenza sionista nell’elaborazione della politica degli USA in Medio Oriente a servizio degli interessi di Israele, il lobbista chiave e sospetta spia, Steve Rosen aveva promosso l’idea che Israele era un “vantaggio strategico” in Medio Oriente (Edward Tivman, The Lobby, Simon and Schuster, NY, 1987, pagina 180), cosa che corrisponde all’attuale linea dei sionisti di “sinistra” che tentano di minimizzare il ruolo della lobby.

In altri termini, la cosiddetta alleanza tra Stati Uniti ed Israele subordina la politica estera e diplomatica, così come le sue risorse militari in Medio Oriente, ai bisogni del “Grande Israele“, conseguenza del fatto che la CPS possiede una influenza politica nel Congresso più importante delle industrie del petrolio e di quelle dell’armamento, così come dei militari e anche del presidente.

L’alleanza tra Stati Uniti e Turchia è asimmetrica

La Turchia fornisce basi militari agli Stati Uniti, si allea con Israele (nonostante l’opposizione popolare maggioritaria), sostiene la guerra statunitense in Iraq, malgrado le enormi perdite che ciò comporta per il suo commercio ed i suoi redditi fiscali. In cambio la Turchia si confronta sulla frontiera con l’Iraq con uno Stato Curdo separatista, sostenuto dagli Stati Uniti, che permette attacchi oltre frontiera da parte degli insorti armati curdi. Coloro che determinano la politica statunitense hanno dato la più alta priorità alla soddisfazione delle rivendicazioni territoriali curde come meccanismo per assicurare il sostegno militare peshmerga alla repressione della resistenza nazionale irachena. Le esigenze turche di un controllo degli Stati Uniti sulle rivendicazioni espansionistiche curde sull’Anatolia sono ignorate. Washington stima che il governo turco si sottometterà all’alleanza statunitense con i Curdi. La Casa Bianca ha scartato de facto le minacce turche di invadere il “Kurdistan” come un’azione contraddittoria. Essendo nota la volontà del governo turco di proseguire sui passi per l’adesione all’Unione europea, Washington pensa che Ankara si asterrà da ogni intervento militare nell’Iraq del Nord.

Tuttavia, vi sono buone ragioni di credere che i bastioni della guerriglia curda nell’Iraq del Nord ricevano armi, denaro, reclute e il segnale verde da parte del governo “autonomo” curdo. È probabile che il conflitto in Anatolia si intensificherà ora che i Curdi hanno il sostegno finanziario da parte dei militari statunitensi in Iraq e i redditi del petrolio proveniente dai pozzi di cu si sono recentemente impadroniti. Vi sono anche pochi dubbi che armi statunitensi date ai Curdi dell’Iraq siano passate ai Curdi in Anatolia. La questione che si pone è: se e per quanto tempo, i militari turchi continueranno a sopportare la strategia USA-kurda nell’Iraq del Nord, con i suoi effetti di straripamento in Anatolia, o se Ankara lancerà un’incursione su vasta scala contro gli adepti “rivoluzionari” del “colonialismo democratico“, per riprendere il termine utilizzato dal PKK per qualificare l’occupazione imperiale dell’Iraq da parte degli Stati Uniti.

L’esperienza del XXI secolo della costruzione dell’impero USA nel Medio Oriente

Una seria analisi della strategia di costruzione dell’impero USA deve tener conto del fatto che le tattiche sono cambiate mentre gli obiettivi strategici sono rimasti strettamente immutati. Gli Stati Uniti hanno lanciato l’invasione dell’Iraq unilateralmente, ma quando si sono ritrovati di fronte ad una intensa resistenza hanno cambiato tattica per un approccio multilaterale, ricercando il sostegno di forze mercenarie dai loro alleati europei e dai loro clienti del terzo mondo. Appena le forze della resistenza hanno preso il sopravvento, Washington ha reclutato un grande contingente di mercenari stranieri (50.000) e 200.000 collaboratori iracheni. All’inizio Washington aveva riportato alcuni politici iracheni “esiliati” per formare un regime fantoccio; poi aveva sostenuto i capi di clan conservatori sciiti, poi reclutato massicciamente tra i Curdi. Come ogni nuova “tattica” imperiale falliva di fronte alla resistenza, Washington aumentava il suo esercito di occupazione ed il suo esercito coloniale iracheno. Ma ogni scalata provocava una crescita dell’opposizione. Ogni alleanza tattica, creava nuovi antagonismi con i sunniti, i baathisti e i turchi. I principali alleati militari e i regimi clienti hanno cominciato a ritirare le loro truppe dalla “coalizione” dominata dagli USA, in previsione della sua inevitabile sconfitta.

Di fronte all’isolamento militare in Iraq ed al declino del sostegno popolare negli Stati Uniti, la risposta di Washington consiste nel militarizzare il Medio Oriente e nel preparare una nuova guerra contro l’Iran. Washington crede che un attacco contro l’Iran mobiliterà la CPS nella sua totalità (dalle centinaia di federazioni ebraiche locali alle lobby di Washington), che eserciterà un controllo sul comportamento del Congresso, dei due partiti (particolarmente i Democratici) ed dei mass-media. La Casa Bianca crede che un attacco contro l’Iran servirebbe ad allineare il popolo americano dietro il suo presidente, a sollevare un fervore sciovinista ed aumentare la popolarità di Bush. La Casa Bianca crede di potere scatenare una guerra aerea e marina, in cui la sua aviazione distruggerebbe le difese iraniane senza subire serie perdite. Washington crede di potere isolare il conflitto al solo Iran ed in seguito rivolgersi alla Siria ed all’Hezbollah e facilitare la “soluzione finale” della questione palestinese.

La politica di Washington di guerra permanente è una scommessa insensata, folle, comparabile a quella di Hitler quando attaccò la Russia dopo la sua conquista della Polonia e di parti dell’Europa occidentale. Nuove guerre per far fronte a guerre perdute non possono condurre che a sconfitte ancora più grandi, più grandi ribellioni verso gli Stati Uniti e altre guerre ancora più vaste.

Lanciare un attacco contro l’Iran significa attaccare un paese tre volte più grande dell’Iraq con un esercito altamente motivato, capace di attraversare la frontiera e, alleandosi con le milizie filo-iraniane a Bagdad ed altrove, di attaccare le truppe statunitensi di terra in Iraq. In secondo luogo la configurazione regionale dei paesi arabi contrariamente al periodo precedente l’invasione dell’Iraq è già altamente polarizzata contro gli Stati Uniti. In terzo luogo, l’Iran possiede alleati potenti in Libano, in Iraq e in tutto il mondo mussulmano, ed è da prevedersi che essi prenderanno delle misure di ritorsione contro gli interessi degli Stati Uniti e quelli dei loro clienti. In quarto luogo, l’Iran può facilmente attaccare il Distretto di Hormuz e le installazioni petrolifere maggiori negli emirati del Golfo, Arabia saudita, Iraq così come nello stesso Iran, cosa che condurrebbe ad una penuria massiccia di petrolio e all’aumento per quattro del suo prezzo.

Qualunque sia il risultato a breve termine di un attacco statunitense contro l’Iran, alla fine gli Stati Uniti perderanno. Le perdite militari si sentiranno in tutto l’Iraq, la catastrofe petrolifera provocherà ripercussioni nel mondo intero, le conseguenze politiche consisteranno in una più grande polarizzazione in Europa, Asia e ben inteso in Medio Oriente, contro l’asse Stati Uniti/Israele. Il risultato sarà la sparizione del regime Bush ed il discredito totale del partito Democratico controllato dai sionisti. Una recessione economica maggiore provocherà conflitti aperti di classe e nazionali. Una volta ancora, la guerra imperialista potrà dar luogo a rivoluzioni: la rivoluzione russa ha fatto seguito alla Prima Guerra mondiale, la rivoluzione cinese alla Seconda Guerra mondiale, la Terza Guerra mondiale ci condurrà ad un nuovo ciclo rivoluzionario?

James Petras, anziano professore di sociologia all’Università di Binghamton, New York, ha al suo attivo 50 anni di adesione alla lotta di classe e 61 opere. Consigliere dei movimenti dei senza terra e dei disoccupati in Brasile ed in Argentina e coautore di Globalization Unmasked (Zed). Ultima opera apparsa: The Power of Israel in the United States

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© Copyright James Petras, James Petras website, 2007
Fonte: mondialisation.ca
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12.04.07

Traduzione per www.comedonchisciotte.org di MASSIMO CARDELLINI

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