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Intervista a Massimo Fini

DI CARLO PASSERA

«Mettere fine alle tirannie è la missione dell’America», ha spiegato ieri notte il presidente George W. Bush durante il consueto “messaggio sullo stato
dell’Unione”.

Massimo Fini, cosa ne pensi, anche se credo proprio di immaginarlo?

«Il presidente Bush vuole cancellare le tirannie? Allora sopprima innanzi tutto gli Stati Uniti.
Questa concezione pazzesca che il mondo occidentale in generale, gli
Usa in particolare hanno di loro stessi – della serie: “Noi dobbiamo esportare ovunque i nostri valori, i nostri schemi mentali, il nostro modo di vivere” – è il vero
totalitarismo di oggi, dopo che sono stati finalmente sconfitti quelli storici, ossia il comunismo e il nazismo. Purtroppo la nostra democrazia, diventata ormai
egemone, si è a sua volta trasformata in qualcosa di terribilmente aggressivo e arrogante».

Bush afferma: «L’unico modo per proteggerci, l’unico modo per controllare il nostro destino è di affermare la nostra leadership».

«Sono parole che avrebbe potuto pronunciare anche Adolf Hitler. Anzi: quest’ultimo si limitava a voler dominare l’Europa… Nella storia, soprattutto quella
moderna, c’è ogni tanto chi si ritiene investito di una missione salvifica universale: così è nata la Germania hitleriana, prendendo sul serio Hegel, uno dei
personaggi più cretini della storia. Questi sosteneva che lo Spirito, che prima era in Oriente e poi era passato al mondo greco-romano, si fosse finalmente incarnato
nella Germania dei suoi tempi. Perciò i nazisti si ritennero “autorizzati” a voler dominare l’Europa. Quando c’è qualcuno in giro che la pensa così, si verificano le
cose peggiori».

Bush come Hitler?

«Diciamo così: questa politica aggressiva, che contraddistingue l’Occidente e gli Stati Uniti in particolar modo, fomenta tutti i radicalismi e gli integralismi in giro
per il mondo. Le vittorie di Ahmadinejad in Iran e di Hamas in Palestina lo confermano, sono una conseguenza ovvia di questo atteggiamento. Credo sarebbe molto
più saggio comportarsi diversamente, a meno che non si abbia un’altra idea…».

Ossia?

«A meno che gli Stati Uniti, ritenendosi molto più forti, non vogliano scatenare una sorta di terza guerra mondiale. Allora noi saremmo come nel 1939».

È un’ipotesi estrema, speriamo di non doverla nemmeno prendere in considerazione…

«E allora gli Usa lascino che ogni Paese sovrano abbia la propria storia, che non necessariamente ci piace, ma poco importa. È anche molto curioso che ora Usa,
Francia, Gran Bretagna, Russia e Cina vogliano deferire l’Iran perché potrebbe costruire l’atomica lavorando sull’uranio arricchito. Proprio loro parlano, che sono
potenze nucleari armate di atomiche fino ai denti, con arsenali enormi! Capirei se facessero un discorso di forza, del tipo: “Tu non devi avere l’atomica perché noi
siamo più potenti e te lo impediamo”. Ma invece pretendono di basare le loro pretese su questioni di diritto, equità, legittimità: davvero siamo al grottesco. È come
se un cowboy con la winchester dicesse a un pellerossa armato di sole frecce: tu non hai diritto a costruirti un revolver».

Tra l’altro, bisogna anche dire che il premier iraniano non è salito al potere da despota, ma regolarmente eletto al termine di qualcosa di abbastanza simile a libere
elezioni.

«È stato eletto perché rappresenta il pensiero della stragrande maggioranza del popolo iraniano, spesso l’Occidente non si rende conto di questo. Loro reagiscono
quando si sentono accerchiati, aggrediti, lesi nei loro diritti. In fondo, anche questa storia dell’atomica… Hanno dichiarato più volte che è solo per uso civile, hanno
detto che accettano le ispezioni dell’Aiea, l’Agenzia internazionale dell’energia atomica, si comportano in conformità al diritto internazionale… Che si vuole di più?
Se fossi un abitante di quel Paese, sentirei anch’io le pretese dell’Occidente come una insopportabile prepotenza. In fondo, ricordiamoci sempre che l’Iran è
circondato da potenze nucleari come India, Pakistan, Israele, Russia e, a due passi dai suoi confini, ha 160mila armati americani che non sono propriamente
amichevoli. L’Occidente sta tenendo un atteggiamento troppo arrogante, aggressivo, molto controproducente. Non può che fomentare radicalismi anche là dove
non ci sono, come è successo con le prime elezioni libere algerine».

È una vecchia storia, ricordiamola.

«Era il dicembre 1991, il voto popolare premiò con l’80 per cento dei consensi il Fis, Fronte islamico di salvezza, che non era affatto estremista, era un coacervo di
tendenze nel quale esistevano anche quelle più radicali, però erano minoritarie. Le elezioni vennero annullate per il timore di una presunta dittatura che il Fis
avrebbe instaurato: così facendo, venne però confermata al potere la dittatura che già c’era, quella dei generali tagliagole. Non ci si può meravigliare se, dopo che il
regime mise in galera i leader del Fis e cancellò il risultato delle libere elezioni appena svolte, sia scoppiata una guerra civile».

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(i capi storici del FIS Abassi Madani -a destra- e il numero due del movimento Ali Belhadj, nel maggio 1991, Algeri.

Peraltro sanguinosissima.

«Per forza. Ti fai beffe dell’80 per cento del Paese…».

L’Algeria aveva scelto un’alternativa. L’elettore statunitense, invece, non ha una reale scelta: repubblicani o democratici, entrambi perseguono il medesimo
atteggiamento nei confronti del resto del mondo, basti vedere le scelte di Clinton nell’ex Yugoslavia.

«L’America, crollata l’Unione Sovietica, ritiene di avere le mani libere per fare tutto ciò che vuole. Governa il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale,
ricatta tutti sul piano economico… Spiace dirlo, ma è il vero pericolo dell’oggi. Anche la pretesa superiorità morale americana, sbandierata anche da tanti europei, da
dove mai deriva? Gli statunitensi hanno perpetrato uno dei peggiori genocidi della storia, sono stati gli unici a lanciare bombe atomiche e neanche su obiettivi
militari, hanno bombardato a tappeto città come Dresda e Berlino provocando centinaia di migliaia di morti, colpendo appositamente i civili perché, come
dichiaravano i responsabili militari degli States, bisognava fiaccare la resistenza del popolo tedesco… Insomma: si rassegnino a essere un popolo come tutti gli altri.
Non sono il Bene».

Secondo te in Occidente sta emergendo qualche contropotere, o almeno qualche opposizione, rispetto a questo totale predominio statunitense?

«Sì, sta nascendo, seppur ancor molto timidamente. Penso a Francia, Germania e Spagna: i loro governi hanno capito di dover prendere qualche maggiore distanza
dall’America, una posizione di neutralità, se non ora almeno in prospettiva. Il progetto di creare un esercito europeo autonomo – in alternativa a una Nato
egemonizzata dagli Usa – era già stato elaborato alla metà degli anni Ottanta e stava concretizzandosi sull’asse franco-tedesco; venne boicottato dagli Stati Uniti e
tutto finì in niente. Ora, se l’Europa unita non vuole essere solo un’entità economica (e alla mercé degli Usa anche su questo piano), deve dotarsi di un arsenale
proprio, non certo per aggredire qualcuno, ma proprio per scongiurare un’aggressione. È un paradosso: ma proprio l’atteggiamento americano spinge anche chi
non ci pensa proprio a volersi dotare di bombe atomiche. L’ha spiegato anche un noto analista americano che si chiama Pfaff, ripreso anche da Sergio Romano…».

Pfaff?

«Sì, Pfaff, come un portiere di calcio belga di qualche anno fa».

Ricordo, ricordo.

«A proposito di calcio: di nome Ferrante conosco solo l’ex centravanti del Torino, questo milanese non mi interessa»

Marco Ferrante invece di Bruno Ferrante…

«Esatto. Ha fatto un gol stupendo alla Juve, ha preso il tempo ai due centrali bianconeri, che non sono gli ultimi arrivati, e ha scoccato un tiro che nemmeno tre
Buffon potevano pararlo. Se a segnare un gol così fosse stato Shevchenko, saremmo tutti qui a parlarne. Comunque…».

Eravamo rimasti a Pfaff, l’analista ripreso da Sergio Romano.

«Sostiene che l’eventuale prolificazione delle armi nucleari non è un reale pericolo perché ovviamente esse servono, come già nel passato durante la Guerra Fredda,
solo come deterrente. Nessun governo sarebbe così pazzo da usarle, perché sarebbe immediatamente spazzato via dalla faccia della terra».

Tu parli dell’Europa come possibile contraltare degli Usa, in prospettiva. E cosa pensi di questi nuovi presidenti sudamericani, i vari Lula (in Brasile), Chavez
(Venezuela), Morales (Bolivia), in qualche modo anche Gutierrez in Ecuador e per certi versi addirittura Kirchner in Argentina? Sono tutti accomunati da una più o
meno accesa ostilità nei confronti degli Usa, da una critica più o meno marcata nei confronti del modello liberista.

«Noi avvertiamo lo strapotere Usa? È chiaro che i Paesi dell’America latina lo sentono in modo molto più profondo. Non possono che soffrire enormemente
l’arroganza e la prepotenza degli Usa, anche perché questi ultimi non si limitano a volerli conquistare, desiderano cambiar loro l’anima, convertirli. Come
sorprendersi se qualcuno non ci sta? Siamo come ai tempi della Santa Inquisizione, che però era meno potente; torturava, ma un numero limitato di persone, per
ragioni… tecniche».

Dicevamo prima come l’atteggiamento americano favorisca l’insorgere dei radicalismi. Abbiamo registrato da pochi giorni la vittoria di Hamas in Palestina. Colpa,
dunque, anche degli Usa? E quali prospettive ci sono ora per il processo di pace con Israele?

«Se viene gestita con oculatezza e senza arroganza, la vittoria di Hamas può essere addirittura un vantaggio».

In che senso?

«Innanzi tutto, perché Al Fatah era corrotta fino al midollo, mentre Hamas – insieme alle attività terroristiche – ha fatto molto per il popolo palestinese. Se non si
impongono diktat, se non si pretendono riconoscimenti impossibili, ora che Hamas ha accettato di assumersi responsabilità di governo, si potrebbe arrivare a
un’intesa. I due Stati potrebbero anche coesistere senza riconoscersi, almeno all’inizio. Basta che non si ammazzino l’un l’altro…».

Ma Hamas ha come obiettivo statutario proprio la distruzione di Israele.

«Può desiderare ciò che vuole, purché rimangano parole. Le prospettive cambierebbero nel momento in cui il governo palestinese guidato da Hamas compisse
concretamente atti ostili».

Un dato può essere incoraggiante: le più realistiche prospettive di pace, anche sul fronte israeliano, sono sempre state portate avanti da uomini che nel passato
avevano posizioni radicali, come Sharon e lo stesso Rabin.

«Sta nella logica della storia: le politiche di destra vengono meglio applicate dalla sinistra, e viceversa. Così, in Israele, i personaggi maggiormente seguiti dalla
gente nei loro sforzi per la pace sono stati quelli che partivano da posizioni più intransigenti, proprio perché risultavano maggiormente credibili. Ripeto, bisogna
avere tatto e diplomazia ma, al posto di quel marciume che c’era prima, non considero negativamente la vittoria di Hamas».

Senza contare che, da sempre e ovunque, associare al potere le forze estremiste aiuta a smussarne le posizioni più radicali.

«Sostengo proprio questo: il fatto che Hamas abbia assunto posizioni di governo potrebbe essere un vantaggio. Quando si sta all’opposizione, non si ha limite
alcuno; invece al governo ci si carica di responsabilità precise che potrebbero spingere a una maggiore moderazione. Sono convinto di questo».

Il governo palestinese vedrà comunque coinvolti anche esponenti di Al Fatah, che agiranno da ulteriore freno nei confronti delle spinte radicali.

«Certo. L’Occidente nel frattempo farà bene a smetterla di foraggiare governi e leadership corrotte, come è successo qui con Al Fatah e come sta succedendo in
molte parti del mondo. Anche quanto accaduto in Bolivia e Venezuela è causato dalla reazione popolare nei confronti di governi filo-occidentali, ma totalmente
corrotti».

È una lunga storia.

«Ma bisognerebbe imparare qualcosa dall’esperienza accumulata. A meno che, ripeto, gli Usa non vogliano andare a una terza guerra mondiale. Ma questo non è
nell’interesse dell’Europa; per la verità, non è nell’interesse di nessuno, perché si finirebbe col collasso del pianeta. Solo io, forse, potrei essere favorevole…».

Favorevole?

«Potrei chiedere rifugio ai miei amici delle isole Andamane: se non rompi loro troppo le scatole, ti accolgono volentieri. Certo, non devi cercare di colonizzarli, non
vogliono turisti né tutti coloro che hanno rovinato altre terre meravigliose, le vicende dello tsunami lo testimoniano».

Ne abbiamo già parlato.

«Ecco, loro non sopportano queste cose, tirerebbero le frecce. Bisogna avvicinarsi lentamente con la piroga, poi c’è il rito dello scambio di doni, allora diventano
molto amichevoli e simpatici».

Carlo Passera
Fonte: www.lapadania.com
link: http://www.lapadania.com/PadaniaOnLine/Articolo.aspx?pDesc=54584,1,1
Segnalato da A.B.

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