Uno stato fantoccio abbattuto dal controllo dei prezzi?
DI LLEWELYN H. ROCKWELL JR.
A leggere la stampa finanziaria o a sentire le notizie dall’Iraq, i segnali sono inquietanti.
Il Los Angeles Times scrive: “Il governo dell’Iraq questo mese ha improvvisamente alzato il prezzo dei carburanti e degli altri prodotti petroliferi, facendo esplodere il malcontento, le proteste e la preoccupazione degli osservatori internazionali, i quali dicono che quest’aumento potrebbe danneggiare milioni di iracheni poveri e provocare ulteriori disordini nel paese.”
Il Guardian fa sapere tramite l’Associated Press: “Lunghe code si sono formate alle stazioni di rifornimento di Baghdad venerdì scorso, non appena si è diffusa la notizia che la più grande raffineria di petrolio dell’Iraq si era fermata di fronte alle minacce contro i camionisti, ed è cresciuta la paura di una carenza di benzina.”Afferma la Reuters: “Il crollo dell’esportazione di petrolio e la carenza di carburante, sopratttutto benzina, hanno accresciuto l’irritazione della popolazione nei confronti dei governi che si sono succeduti in Iraq dopo la dittatura di Saddam. Le lunghe code alle stazioni di servizio di Baghdad dimostrano che gli iracheni temono che la chiusura della raffineria di Baiji possa rendere le loro vite ancora più miserabili.”
Da tenere presente una cosa: le esportazioni legali di petrolio dell’Iraq sono scese al livello più basso degli ultimi due anni. Il petrolio non esce e non entra dal paese, almeno ufficialmente. Queste sono cose per cui si fanno vere rivoluzioni.
Interessante, vero? L’obiettivo che i ribelli, gli insorti e i terroristi vogliono raggiungere –la fine della presenza americana in Iraq- potrebbe essere raggiunto con una politica energetica sbagliata. Questa politica non è solo stata imposta dopo l’invasione americana, ma è proseguita anche negli anni successivi, portando il paese alla catastrofe.
Il mistero da svelare è questo: perché un paese così straordinariamente ricco di petrolio –possiede il secondo più vasto giacimento al mondo- dovrebbe trovarsi di fronte ad una tale scarsità di prodotti petroliferi? Conoscendo anche solo questi pochi dettagli, e sapendo appena qualcosa sulla storia dei grandi crolli economici, si potrebbe fare una supposizione: controllo dei prezzi; e si coglierebbe nel segno.
Secondo quello che ho potuto sapere da fonti pubbliche, lo stato possiede tutto il petrolio del paese. Questo non rende certo la situazione dell’Iraq atipica per la regione, ma quello che è atipico è invece la combinazione di sussidi e controllo dei prezzi che ha portato la benzina ad avere, fino a poco tempo fa, un prezzo bloccato a 5 centesimi al gallone.
Non bisogna essere un economista per prevedere il risultato di tale politica. Non solo si avrebbe un consumo abnorme, ma anche un crollo del numero di distributori disposti ad operare in un mercato libero. Il petrolio che resta viene comprato in Iraq e rivenduto con maggiore profitto ai paesi vicini.
Il bizzarro risultato di una politica concepita per rendere il petrolio economico per tutti, sarebbe che un paese che nel sottosuolo ha un mare di petrolio, al di sopra del suolo non possiede niente.
In effetti, questo trucco si può applicare a qualunque prodotto. Prendiamo il prezzo dello zucchero, delle uova, dei calzini o degli hard disk, imponiamo un tetto massimo di 5 centesimi e vediamo cosa succede. Fai rispettare la regola con durezza e chiunque, in regime di libero mercato, vorrà vuotare gli scaffali e ripulire tutto il paese. I furbi faranno soldi con il contrabbando e l’arbitraggio al di fuori della zona della legge, mentre il resto della popolazione dovrà fare a meno di ogni cosa.
Il problema della carenza era evidente già l’anno scorso, quando l’Economist riportò che gli automobilisti rimanevano fino a 24 ore in coda per la benzina. Si era arrivati al punto in cui l’Iraq era costretto ad importare petrolio! Finchè, avendo finalmente realizzato che la faccenda stava prendendo una brutta piega, il governo iracheno decise di prendere una decisione.
La decisione sarebbe dovuta essere quella di vendere i pozzi, le raffinerie e i distributori a chiunque volesse comprarli. Eliminare i sussidi, eliminare il controllo dei prezzi. Questo avrebbe fatto salire il prezzo al livello dello standard di quella regione, eliminando le file ai distributori e provocando solo un leggero malumore fra i consumatori.
Invece, il governo ha preso un dirigente al soldo degli americani e gli ha assegnato il ministero del petrolio, poi ha repentinamente alzato il prezzo a 65 cent, e stabilito un programma di aumenti fino a 1 dollaro. Tutto questo non ha certo risolto il problema della scarsità, visto che persino una differenza di pochi centesimi fra il mercato nero e il prezzo ufficiale può alimentare il contrabbando.
Si potrebbero eliminare le code, non soddisfacendo i consumatori, ma scoraggiando tutti coloro che non sono in grado di pagare i prezzi imposti dal governo.
Niente di tutto questo prende però in considerazione il grosso problema della sicurezza. Gli oleodotti continuano a saltare in aria e lo stato non riesce ad impedirlo. Gli oleodotti sono ora naturali candidati alla privatizzazione. Meglio lasciare che siano i dollari delle compagnie private a proteggerli.
Ma rimane ancora un problema fondamentale: qualunque tipo di privatizzazione verrà vista come una speculazione imperialista, e non farà altro che mettere in ulteriore cattiva luce l’America e il sistema capitalistico. Se le riforme devono arrivare, possono arrivare solo dall’interno.
Sfortunatamente tutto questo non fornisce risposte agli attuali problemi dell’Iraq. L’unica possibilità è che gli Stati Uniti cessino ogni forma di controllo politico ed economico, e si ritirino immediatamente dal paese. Sarebbe il più bel regalo che l’America possa fare al popolo iracheno.
Se gli americani non vanno via subito, potrebbero in seguito essere costretti a farlo. Non bisogna mai sottovalutare gli effetti di una politica economica dannosa. Potrebbe essere la sola cosa in grado finalmente di far fallire un maldestro tentativo di controllare un paese con metodi imperialisti.
Llewellyn H. Rockwell, Jr. mandategli una mail è il presidente dell’istituto Ludwig von Mises di Auburn, Alabama, redattore del sito LewRockwell.com e autore di “Speaking of Liberty”.
Fonte: http://www.lewrockwell.com/
Link: http://www.lewrockwell.com/rockwell/puppet-state.html
31.12.05
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di GIUSEPPE SCHIAVONI
VEDI ANCHE: GLI IRACHENI RIFIUTANO L’AUMENTO NEI PREZZI DEL COMBUSTIBILE