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La Redazione

 

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IL SEMPITERNO SPETTACOLO DELLA VIOLENZA

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A cura di Davide
Il 17 Ottobre 2011
79 Views

DI HS
comedonchisciotte.org

Mi auguro che ci sia modo e tempo per investigare e approfondire su quanto è accaduto a Roma il sabato 15 ottobre in occasione di una manifestazione che doveva essere partecipata e numerosa. Nel frattempo alcune riflessioni si impongono alla luce di dati e fatti incontrovertibili e incontestabili. Quello che è andato in onda è stato sotto molti aspetti un film già visto, con un copione ripreso e aggiornato. Anzi gli scontri, le violenze e le devastazioni di Roma costituiscono un remake della messinscena allestita fuori dalla zona rossa del vertice del G8 di Genova del luglio del 2001. Un successo planetario che attendeva un seguito molto atteso da più parti. E l’esito, il finale del copione potrebbe essere lo stesso: dieci anni fa il promettente movimento dalle mille anime contro i danni causati dal neoliberismo e dalla globalizzazione promossa dalle corporations e dalle multinazionali dovette eclissarsi a causa del dibattito sulla necessità o meno della nonviolenza, polverizzato in mille rivoli ormai improduttivi dal punto di vista teorico e pratico, mentre oggi l’ondata dell’indignazione contro la disastrosa finanziarizzazione dell’economia potrebbe naufragare con rapidità ancora maggiore, quantomeno da noi, in Italia.

Se noi, poveri e ignari spettatori, abbiamo assistito ad un remake o ad un sequel degli scontri del G8 genovese, dovremmo riscontrare qualche variazione nella sceneggiatura posta sapientemente in essere. Si sa, siamo in tempi di crisi, e allora bisogna risparmiare sui costi delle forze dell’ordine, apparentemente meno equipaggiate, attrezzate e militarizzate di dieci anni fa e sugli effetti speciali. Indubbiamente il potenziale di scontro e di devastazione profuso a Roma è stato molto inferiore di quello di Genova e per vari motivi…

Tutto sommato, pur non essendo all’altezza, non siamo rimasti delusi. Se dieci anni fa i solerti e zelanti tutori del (dis)ordine sono stati i protagonisti in negativo di giornate caratterizzate dalle gratuite e reiterate sevizie e brutalità poliziesche – oltre che nelle piazze, vedi la scuola Pascoli e Bolzaneto – oggi la scena è stata letteralmente rubata dal cosiddetto Black Bloc, i giovanissimi devastatori dal cappuccio e dalla felpa nera che si sono esibiti nelle solite azioni “simboliche” contro il capitalismo e le proprietà a base di sfondamenti di vetrine, distruzioni di bancomat, incendi di auto, saccheggi, ecc…

A ben vedere, come di prammatica, molti di quegli atti vandalici e teppistici sono assolutamente gratuiti e nulla hanno da spartire con una radicale manifestazione luddista e anticapitalista. “Siamo venuti per lavorare !” ripetono i giovanissimi devastatori che a sciami – come efficienti api operaie delle demolizione – si muovono nelle città con agilità e precisione scientifica e quasi militare. Anche se la visibilità è sé stessa premio e incentivo per queste star del firmamento hollywoodiano, la domanda rimane sospesa: chi paga il lavoro delle api operaie ? Ma la cosa ancor più stupefacente e anche agghiacciante è stato lo spettacolo violento offerto dagli scontri fra manifestanti e devastatori. I primi hanno cercato di impedire ai “blockers” di portare avanti l’opera di sistematico vandalismo nei confronti di cose e persone quasi sostituendosi alle forze dell’ordine. Disarmati hanno dovuto affrontare orde di giovani teppisti in tempesta ormonale ma perfettamente inquadrati, muniti di petardi, mazze, bastoni, assi, bottiglie e sampietrini. Si è rischiato il morto anche questa volta, perché, si sa, sampietrini e bottiglie sono armi d’offesa mortali. E la polizia ? E i carabinieri ? E i finanzieri (sic) ? Per gran parte del pomeriggio sono stati testimoni inerti e, poi, dopo aver consentito le infiltrazioni nel corteo pacifico, lo hanno bombardato di lacrimogeni spezzandolo e dissolvendolo. Alla fine nessun assembramento a piazza San Giovanni è stato possibile, perché nessun copione evidentemente prevedeva una piazza gremita e colma di persone e colori. Nessuna piazza doveva essere concessa ai contestatori più o meno indignati non solo verso Berlusconi e il suo governo, ma anche nei confronti delle banche e dei centri finanziari internazionali che stanno affondando il nostro come gli altri paesi. Come a Genova è forte l’impressione che sia le forze dell’ordine che il cosiddetto Black Bloc abbiano rispettato alla lettera la sceneggiatura senza concedersi lo svago e il piacere di un’improvvisazione. Il pubblico più o meno pagante applaude e ringrazia. I mass media – i mezzi di comunicazione e di informazione – con la loro metodica e accurata capacità di fotografare i fatti e di confezionarle in immagini, hanno fatto il loro dovere. “Informare è il nostro mestiere” ci si giustificherà “ e noi lo abbiamo fatto con bravura e professionalità”. Già, ma poi… Quale è l’effetto ? I mass media devono soddisfare le richieste e la domanda di un pubblico che più che interessato alle grandi questioni finanziarie e politiche ama seguire il calcio – che spesso è simulazione di un confronto fra piccoli eserciti – o le fiction del reale che – come quelle di Avetrana, di Perugia e di Cogne – sono più fiction della fiction. I professionisti dell’informazione e i giornalisti della televisione e della carta stampata vi si adeguano, perché gli introiti pubblicitari non sono mica spiccioli ! Il pubblico sguazza nel cattivo gusto e si lascia trasportare dalle proprie morbose inclinazioni… Il pubblico si inebria nella pornografia, nell’eccesso sessuale, nella violenza parossistica, nell’aggressività e nel turpiloquio e nelle storie di orrore e di sangue. Le violenze, gli scontri e le devastazioni di piazza sono piccole perle horror che, senza effetti speciali digitali, deliziano i palati ! Il pubblico viene catturata dalla narrazione, dalla fiction televisiva e dalla cinematografia poliziesca o del crimine, “gialla”, thriller, thrilling o horror…

Che importa, poi, se le ragioni che hanno portato così tanta gente sulle strade di Roma, così tanta da non aver riscontro in altri paesi, attengono il nostro miserabile quotidiano ? Che importa se, più dei piccoli demolitori, i grandi istituti finanziari e le multinazionali – con la complicità di governanti e politici corrotti già nel momento in cui si fanno finanziare da questi grandi centri finanziari e da queste potenti lobbies le loro campagne elettorali – arrecano un danno che è mille volte più devastante ? Che importa se ormai il sistema globale dell’economia è dominato da una plutocrazia cleptocratica che ha speculato mettendo le mani nelle tasche dei risparmiatori bruciando un’incalcolabile cifra in dollari ed euri ? Cosa mai può fregare al pubblico se con quelle speculazioni compiute utilizzando i capitali che dovevano essere investiti in attività produttive e nuovo lavoro, un pugno di individui si è fatto le ville, le piscine, le auto di lusso, gli yatch, gli aerei privati, ecc… ?

Cosa importa ancora, se miliardi vengono occultati nei Paradisi fiscali e non solo da parte della mafia ? I giovani “blockers” che mettono a ferro e a fuoco e bruciano le città come orde di nuovi barbari sono i “cattivi” delineati dal copione e loro, eccitati e ringalluzziti dall’idea di esibirsi e apparire si adattano perfettamente al ruolo. Gli altri, i manifestanti, i poveri “indignati”, o sono complici o carne da macello…

Se non volevano partecipare al film, risparmiandosi botte e ferite, avrebbero dovuto restare a casa, ed è forse meglio se evitano di impegnarsi e mobilitarsi, perché al pubblico non interessano riflessioni o ragionamenti del presente. I “cattivi”, i nuovi barbari, siano essi immigrati clandestini, piccoli delinquenti, emarginati o giovani e giovanissimi intemperanti, sono già parte integrante e irrinunciabile della fiction. E in questa eterna confusione fra virtuale e reale ci pensa la polizia – per quanto inefficiente o inadeguata – a proteggerci dai “cattivi”. Tutti noi possiamo dormire sonni tranquilli…

Quarant’anni fa Pasolini l’aveva anticipato e previsto nei suoi “Scritti corsari” sul “Corriere della Sera”… Attraverso il linguaggio televisivo e la comunicazione pubblicitaria il neocapitalismo imponeva una cultura edonistica e consumistica egemone che stava distruggendo l’identità e la memoria storica del paese. I mezzi di comunicazione di massa stavano “omologando” gli individui rendendoli puri consumatori e fruitori di merci e prodotti ed imponendo una mentalità appropriativa e dominata dal principio del piacere. Dall’appropriazione e dal piacere il passo successivo verso la violenza era molto breve, secondo il poeta. Al di là delle logore formule ed identità ideologiche di “estrema destra” ed “estrema sinistra” niente poteva distinguere le nuove generazioni di giovani della postmodernità interessati più all’acquisto di beni superflui che a un sincero impegno civile e politiche. In questo modo Pasolini aveva preconizzato l’avvento del riflusso e del ripiegamento dell’individuo su sé stesso, sul suo benessere materiale e sul suo “privato”.

Dal periodo in cui visse il poeta friulano, quando la postmodernità si stava avviando, lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa è stato frenetico e il neocapitalismo si è definitivamente globalizzato. Allora Pasolini lanciava strali contro la televisione, ma il panorama attuale ha assistito all’entrata in scena della multimedialità, del digitale terrestre, di Internet, della nuova generazione di personal computer, dei cellulari, ecc… Tutto ciò ha concorso a un costante ed incessante bombardamento di immagini senza che la mente possa fermarsi ad elaborare e ad interpretare…

Se l’anima profonda del neocapitalismo rimane edonista e consumista e, quindi, richiede di alimentare la domanda di beni, merci, servizi e prodotti superflui stimolando i fruitori, non si può prescindere dalla pubblicità che è forma di comunicazione spettacolare ed immediata. L’enorme evoluzione mediatica ha trasformato radicalmente la natura delle società capitalistiche che, quindi, sono anche società mediatiche, dell’immagine, dello spettacolo, dell’intrattenimento, del divertimento e ludiche. Ogni cultura che si rispetti deve poggiare sulla parola che, sola, consente di conservare memoria e valori e anche di elaborare concetti e pensieri. La parola sta al principio di ogni riflessione ed elaborazione intellettuale al contrario dell’immagine che, può essere sì interpretata, ma che prima di tutto colpisce i sensi immediatamente. Nella società dello spettacolo l’immagine – onnipresente e pervasiva – sostituisce la parola demolendo e frantumando la razionalità con conseguenze inevitabili sugli atteggiamenti e sui comportamenti. L’immagine impone il regno “irrazionale” o “(a)razionale” dell’emozione e dell’impressione. Non è un caso che il “piacere” divenga il motore costante e la fonte imprescindibili della nostra condotta e del nostro giudizio. Crollata l’impalcatura della struttura eretta su concetti e principi, l’uomo tenta di rispondere ad una sola domanda “Mi piace ?”. Questo interrogativo viene ormai applicato ad ogni ambito della nostra esistenza, da quello economico a quello politico, da quello morale a quello estetico…

Sarà forse questo il motivo principale per cui sgombrato il campo da qualsiasi discorso politico, economico ed ideologico tinto di socialismo più o meno marxista, nessun linguaggio di opposizione e nessuna elaborazione teorica sui meccanismi del capitalismo finanziario e consumista ha potuto essere proposto e avanzato all’attenzione dei cittadini. In tal modo la rivoluzione degrada a contestazione e, anche in tempi antichi, il preteso linguaggio “marxista leninista” degradava a moda e slogan da esibire nei salotti. L’antiliberismo, l’invettiva contro le corporations, l’avversione al carattere famelico del capitalismo puramente speculativo e finanziario non riesce, così, a fare passi avanti, a rovesciare il paradigma culturale egemonico e dominante. In una parola, non riesce ad essere realmente costruttivo e radicalmente alternativo. Questa perdita e smarrimento di parola e linguaggio determina l’obiettiva fragilità dei movimenti alternativi e di opposizione. Ancora dieci anni fa, tuttavia, nell’ambito del movimento “no global” o “alterglobalista” si poteva ravvisare una certa vivacità e uno sforzo nella discussione fra i vari soggetti partecipanti – pacifisti, cattolici, ambientalisti, anarchici, marxisti che fossero -. Complice l’arretramento morale, civile, politico ed economico del tempo presente, il nuovo movimento degli “indignati” ha quasi cancellato dal proprio orizzonte la possibilità della sola riflessione ed è significativo che definisca la propria identità sulla base di un sentimento – per quanto condivisibile – come l’indignazione che sicuramente è condizione necessaria ma neanche lontanamente sufficiente per il cambiamento. La Crisi ha forse cancellato qualsiasi prospettiva di reale rovesciamento del paradigma culturale, economico e politico dominante del neocapitalismo e della postmodernità ? Sicuramente fra i fattori che restringono gli spazi intellettuali e di agibilità degli “indignati” bisognerebbe annoverare la preponderanza di modelli comunicativi fondati sull’immagine e sui linguaggi dello spettacolo che impediscono la proposizione del discorso. Per dare una chance alla speranza di trasformazione e di progresso intellettuale e culturale, prima ancora che economico, gli “indignati” dovrebbero convincersi che l’uomo è molto di più che sola “indignazione…

Dall’altro lato della barricata di questo strano scontro metropolitano i giovani e giovanissimi guerriglieri urbani del cosiddetto Black Bloc, riconoscibilissimi nel marasma generale. In tutti questi anni ci si è arrovellati il cervello per identificare la matrice ideologica politica di questi anarcoidi nerovestiti che fanno il giro del mondo nella loro operosa attività di demolizione dei simboli del capitalismo e dell’edonismo. Una fatica inutile, perché il Black Bloc non è legato a una ideologia storica, ma, ancora una volta è figlio della società dello spettacolo. Questi nichilisti postmoderni si identificano piuttosto con una prassi che esige la presenza dei media per manifestarsi. Il “blocker” è una sorta di teatrante, anela alla visibilità e gode – quindi prova piacere – nella esibizione e nella spettacolarizzazione della distruzione e della violenza. Osservando questo fenomeno da tale prospettiva appare chiaro che nel Black Bloc finiscono per trovare spazio tanto gli infiltrati, i provocatori di professione e i mercenari quanto gli estremisti di qualsiasi matrice, ma anche skin, punk, hooligans, ultras da stadio e semplici teppisti. Insomma un marchio da vendere sul mercato dell’immagine ad uso e consumo dei media e dei loro spettatori. Chi poi siano i manovratori e i burattinai di questi cuccioli rabbiosi e inquadrati è un altro paio di maniche…

In secondo luogo i “blockers” si definiscono per la loro giovane età e molti fra loro sono minorenni. Difficilmente si può negare la condizione di vittima dei giovani e dei giovanissimi delle neocapitaliste e postmoderne società occidentali. Principali clienti e consumatori dell’immenso mercato dello spettacolo e dell’intrattenimento nelle sue varie diramazioni (internet, multimedialità, cellulari, letteratura, televisione, radio, musica, cinema, sport, videogiochi, fumetti, ecc…), i giovani hanno visto sgretolarsi qualsiasi prospettiva di futuro decente in una manciata di anni. Tale condizione è tanto condivisa dai neolaureati e dai soggetti più istruiti ma inoccupati quanto da coloro che sono stati espulsi dal mercato del lavoro, dai più marginali e privi di titolo di studio. Tale condizione accresce i sentimenti di rabbia e di frustrazione e, al contempo, il senso di smarrimento perché, morta la parola, i ragazzi di oggi vengono deprivati anche della possibilità di autentica aggregazione e riflessione. La visibilità diventa l’unico orizzonte di un panorama desolante e desolato. In effetti non sono molte le presunte alternative che possono abbracciare. Sicuramente si può scegliere il Black Bloc oppure uno dei numerosi gruppuscoli che popolano il vasto mercato degli innumerevoli estremismi che vanno dall’estrema sinistra all’estrema destra. Ciò può soddisfare l’ansia di ribellismo che però rivela sempre inutile e improduttivo, perché, al di là della differenza di linguaggio, gli estremismi sono accomunati dalla costante e ossessiva evocazione e giustificazione della violenza fisica e verbale che non porta mai a uno sbocco realmente politico. Oppure si può rivolgere la propria rabbia nei confronti della polizia e dei suoi eccessi brutali così diffusi soprattutto nelle periferie o, ancora, abbandonarsi al vandalismo o al teppismo, con l’occasione, magari di socializzare in piccole e improvvisate bande. Magari si può anche partecipare all’orgia di saccheggi e furti di beni voluttuari e merci come cellulari, giubbotti, televisori al plasma, videogiochi, ecc… in una specie di rito collettivo che rimane comunque figlio della società del benessere e dei consumi. D’altronde le giovani generazioni dagli anni Sessanta in avanti sono educate e allevate come clienti di un immenso supermercato in cui ogni genere di merce è presente sugli scaffali. Non c’è stato forse un tempo in cui, edonisticamente, si rivendicava il “diritto al lusso” ? Ricostruendo il contesto generale – sociale e culturale – in cui si sono verificati riots come quelli di Los Angeles, Parigi e Londra o episodi di violenza giovanile collettiva o individuale non sorprende che tutto si esaurisca nell’arco di pochi giorni, senza alcun risultato sotto il profilo politico. Anzi , queste esplosioni di rabbia e violenza anche incontrollata finiscono per giustificare la stretta repressiva e gli abusi polizieschi. A titolo di esempio l’attuale Presidente francese Sarkozy deve molta della sua popolarità al suo atteggiamento duro e inflessibile tenuto quando ricopriva la carica di Ministro degli Interni. Tutto il resto, ancora una volta, è spettacolo da offrire in pasto al pubblico con dovizia di particolari.

E allora difficilmente si può dubitare che creazioni come il Black Bloc si possono prestare a ciniche operazioni di provocazione a beneficio proprio di quelle corporations, di quei centri di potere finanziari e di quei governi che reggono le sorti progressive della società neocapitalista, postmoderna, finanziaria, consumista, edonista, del’immagine, dello spettacolo, dell’intrattenimento o in qualsiasi diavolo di modo la vogliate ancora chiamare…

Per scrivere i capitoli di questa storia bisognerebbe trovare le giuste parole…

FINE

HS

Fonte: www.comedonchisciotte.org
17.10.2011

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