DI RYSZARD KAPUSCINSKI
(…) In questa nostra parte di mondo, verso la metà del secolo, la storia sembra aver perso la strada e, sentendo di star errando da troppo, ha preso a indietreggiare verso il punto di partenza, verso il luogo dal quale, a un dato momento, ha imboccato la direzione sbagliata. Così il progresso storico assume carattere di un movimento non in avanti ma all’indietro, da cui il suo paradosso e il suo limite.
Oggi la politica sostituisce tutto: teatro, pittura, letteratura. Li sostituisce per introdurre il regno del ciarpame e del kitsch: governi di intrighi, di arroganza, di cafoneria. Un potere che persegue un solo intento: l’imposizione molesta, insistente, a qualunque costo, si sé agli altri.
Oggi in politica tutto tende al centro, al filone medio, al pragmatismo. Gli estremisti esistono ancora, ma non godono di una larga base sociale. Si rifanno di questa mancanza con l’aggressività, la rumorosità, la brutalità del linguaggio.
Ovunque risentimenti sotterranei, rancori, sospetti, astio, odio. I bianchi detestano i neri; i punjabi detestano i gujarati; gli zulu detestano gli ksosa; i fanatici, i liberali; i protestanti, i musulmani; i bruni i verdi; gli equadoregni, i peruviani, e così via. La lista potrebbe continuare all’infinito. Di tanto in tanto queste correnti sotterranee, queste tensioni invisibili, queste pressioni e questi attriti esplodono. Allora si producono distruzioni, massacri, guerre. Ma la carica esplosiva sottostante esisteva già, spesso non individuata, talvolta non avvertita in modo consapevole. L’esplosione non fa che portare alla luce l’esistenza di serbatoi d’odio nel subconscio umano. A volte con grande sorpresa, se non addirittura con spavento degli interessati stessi.
Oggi non esistono destra e sinistra: esistono solo persone dalla mentalità aperta, liberale, ricettiva, volta al futuro, e persone dalla mentalità chiusa, settaria, ristretta, volta al passato.
Siamo radicati nella tribalità. Le strutture tribali, malgrado il cosmopolitismo, il pluralismo, il globalismo, l’universalismo del mondo, si sono dimostrate vive, anzi sempre più vive. E poiché il più intenso e spettacolare incremento della popolazione avviene nei paesi del terzo mondo, dove le strutture tribali sono particolarmente diffuse e vitali, ciò significa che la popolazione del mondo, accrescendosi, diffonde e potenzia il carattere tribale, cioè il clan, delle società.
L’etnia è diventata una chiave alla moda e troppo abusata per decifrare i conflitti contemporanei.
L’intervento più spesso applicato nei confronti del passato e della storia è un intervento di tipo riduttivo. Il quadro generale viene sfrondato di mezze tinte e sfumature, di tutta la possibile ricchezza cromatica non restano che il bianco e il nero: un contrasto drastico, senza mezze misure.
Si instaura un clima di guerra, non esistono che eroi o traditori, ovunque risuonano fragore di armi, scalpiccio di piedi, ansimare affannoso di combattenti.
La figura eroica è una rarità, un’eccezione. Ma poiché dal passato, dalle cosiddette pagine della storia emergono soprattutto gli eroi, se ne ricava l’impressione che la maggior parte dell’umanità sia proprio così, ossia eroica. È vero invece, che siamo persone comuni, terra terra, deboli, tutte prese dalla preoccupazione di sopravvivere, uccelli grigi dalle ali corte.
Lo stesso vale in architettura. Sopravvivono le fortezze, le cattedrali, i palazzi: tutti edifici eccezionali. La massa della gente, però, viveva in capanne d’argilla, in casupole da quattro soldi, in catapecchie di cui niente è rimasto.
La mediocrità, la banalità cadono presto nell’oblio, svaniscono. Resta solo l’eccezione, l’unica capace di sopravvivere.
Uno storico, interrogato sull’oggetto dei suoi studi e delle sue ricerche, risponderà per lo più: i fatti. Cerca fatti, li studia, li raccoglie e li paragona. Date, nomi, toponimi, parentele, sistemi, pesi e misure, documenti, sequenze di eventi. Mi interessano i fatti, nient’altro che i fatti, dice lo storico.
Ma l’uomo che ha vissuto e sperimentato la storia sulla propria pelle dubiterà che l’oggetto degli studi del nostro storico possa ridursi ai cosiddetti fatti nudi e crudi. Quest’uomo sa che, isolato dal vasto contesto dell’imponderabile, astratto dal teatro nel quale è accaduto, sfrondato del clima e dell’atmosfera che l’hanno accompagnato, il fatto in sé e per sé dice poco, significa ancor meno e spesso assume un senso sbagliato e un’eloquenza fallace.
Infatti, quest’uomo malmenato dalla storia, sottoposto alle sue prove spietate e costretto alle scelte più crudeli e radicali, sa come sia importante, anzi più importante di tutto, il contesto in cui un fatto nasce e si compie, e come proprio quel contesto sia il dato più difficile da tramandare agli altri; oltre che per gli altri, il più difficile da capire.
Sempre più spesso, e con sempre più spietata indifferenza, la storia getta tutto nella spazzatura.
La politica. La direzione di marcia è sempre la stessa: in su, verso la cima. Poi viene la discesa e, spesso, la caduta, a meno che il politico non faccia in tempo a scansarsi o tirarsi indietro. E tuttavia questa ascesa verso l’alto attira, ipnotizza, acceca al punto che nessuno pensa mai al dopo, al declino, alla tristezza della fine.
Spesso in politica vince chi è veramente deciso a vincere a qualunque costo, senza scrupoli etici, senza pietà. In politica occorrono decisione, grinta, aggressività. La gente avverte d’istinto, riconosce al volo coloro che vogliono fortemente il potere. Soggiace all’ipnosi, studia i lottatori e vota per quello che ha combattuto con più energia, con maggior volontà di farcela. Gli uomini vogliono arrendersi al più forte, e così sentirsi più forti anch’essi.
5 dicembre 1941. Il cinquantaquattrenne Henryk Elzenberg (la seconda guerra mondiale sta toccando il suo apice) annota nel diario due importanti osservazioni.
La prima: “Gli eventi storici sono semplicemente corpi contundenti che ci cadono sulla testa. Non c’è proprio nulla da elucubrare: uno dice ‘no’ e aspetta la fine”.
La seconda è che, dopo molto assistere a crimini di guerra, sente rafforzarsi dentro di sé “l’impressione di un doppio binario storico: da una parte, la storia del crimine; dall’altra, la storia dello spirito. Due binari paralleli e senza influsso l’uno dall’altro, creati da due generi ontologici non meno estranei tra loro di quanto in zoologia possano esserlo lucertole e ammoniti”.
Ammoniti: molluschi, cefalopodi. Vivevano nel guscio, come le lumache. Scomparsi settantacinque milioni di anni fa.
La dittatura non fa leva solo sulla paura, ma anche sui vantaggi. E sulle abitudini. Perfino sulla mancanza di un punto di paragone (la gente ignora che altrove si viva in condizioni diverse e migliori).
Nelle rivoluzioni vincono quelli della seconda ondata.
Spesso si tratta di elementi della retroguardia, o di gente sopravvissuta negli oscuri vivai di provincia.
La rivoluzione, infatti, è un meccanismo che divora indistintamente quanti stavano sulle barricate, sia da una parte sia dall’altra. Una barricata che prima divide e poi unisce. Paradosso di una situazione che, come una nave naufraga, manda a fondo tutti.
Stasera ho incontrato A.B. non crede che Solidarnosc possa creare un governo con qualche possibilità di durata. Dice: “ Che ingenuità!”.
Eppure le rivoluzioni, i colpi di stato, i cambiamenti politici vengono sempre attuati da persone che possiedono una certa dose di ingenuità. Si tratta di una qualità indispensabile, in quanto l’immagine del sistema esistente, del suo potere, della sua spietata e schiacciante volontà di perdurare e di distruggere è talmente spaventosa che agisce da freno e da dissuasore su quanti “hanno buon senso” e “non si fanno illusioni”.
Osservando i processi disintegrativi delle società, vediamo che arrivano sempre fino a un certo limite, senza spingersi fino alla distruzione totale e definitiva. Non vanno mai sino in fondo. E’ più facile che raggiungano una condizione di impasse, di piétinement sur place. Memoria collettiva, istinto di conservazione, cultura: ecco i fattori che impediscono l’annientamento totale (…)
Brano tratto dal saggio Lapidarium – traduzione dal polacco di Vera Verdiani – Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 1997.)
Fonte: www.sagarana.net
Link: http://www.sagarana.net/rivista/numero32/saggio8.html
Rivista Letteraria Trimestrale Luglio 2008 N° 32