IL REDIVIVO OSAMA HA VOTATO PER BUSH

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DI GIULIETTO CHIESA

I miei 24 lettori sanno che io ho pensato, e scritto, a più riprese, che Osama bin laden era (“probabilmente”) già morto da tempo.
Ora che è “riapparso”, quegli stessi lettori si chiederanno se sono disposto a correggermi. Il fatto è che io non penso ci sia molto da correggere.
Nei tre anni abbondanti in cui Osama bin Laden è sparito dalla scena (meglio sarebbe dire che la sua immagine è sparita dalla scena, sebbene quella che è stata data per la sua voce e finte immagini, o immagini vere risalenti ai mesi e anni precedenti , abbiano popolato i mass media mondiali) ho cercato di ragionare . E poiché non appariva più, ho pensato, logicamente, che sarebbe stato molto utile tenerlo in vita, artificialmente, affinchè fosse possibile attribuire e lui tutto ciò che sarebbe accaduto dopo. Ciò che “doveva” accadere dopo.
Ho dunque ragionato per induzione, come chiunque può fare non disponendo di fonti d’informazione dirette ed essendo costretto a analizzare, setacciare, sottoporre a verifica logica, ciò che passa il convento. Il “convento” è – nei casi di terrorismo di Stato, o comunque in episodi di grande rilievo internazionale – sempre popolato di personaggi di alta qualità intellettuale e politica. I messaggi che essi forniscono non sono mai banali. Contengono sempre un significato, spesso anche più di uno. E, quando questi messaggi appaiono strani o addirittura contradditori, allora occorre analizzarli con cura ancora maggiore, perché quasi sempre quelle contraddizioni sono volute, sono i rebus delle moderne Sfingi, quelli dove la verità (o quella che il “convento” vuole che sia la verità) è nascosta.
Sfortunatamente per chi vuole capire (ma non per il “convento”, che fa conto proprio su questo) i messaggi ci arrivano “mediati”, cioè attraverso i media, i quali sono popolati da “esperti” (tra cui brilla per sagacia uno come Magdi Allam) la cui unica “expertise” consiste nel prendere per oro colato, incluse le contraddizioni, tutto ciò che il “convento” distribuisce. E nel vivacizzarlo (“sexe-up, come ora si dice, dopo Tony Blair) con serie di considerazioni una più stupida dell’altra. Il che rende ancora più difficile l’analisi del messaggio nella sua versione primordiale, quella del “convento”.

Ecco dunque la prima considerazione. La “resurrezione” di Osama, alla vigilia delle elezioni americane, è riuscita a certificare l’incertificabile. E cioè a rendere verosimili le “uscite” precedenti. Nessuna delle quali – è bene sottolinearlo – è stata dimostrata come vera. Quasi tutti i giornali e le tv del mondo, in pratica, hanno riesumato dai loro database l’elenco delle apparizioni, quelle successive all’inverno del 2001-2002, “dimenticandosi” che nessuna, proprio nessuna, né i messaggi verbali, né la passeggiata televisiva con Al Zawahiri (unica immagine, risalente con ogni probabilità al periodo in cui era ancora in corso la guerra in Afghanistan), era stata accertata come vera. Nessuna conteneva, tra l’altro, inequivocabili prove “temporali” del momento in cui era stata realizzata. E già questo era elemento sufficiente a renderle singolarmente e collettivamente dubbio.

Ora noi dobbiamo porci nuovamente – prima di proseguire – una serie di interrogativi. Innanzitutto: Osama vi pare un imbecille? A me non pare. Dunque non vi solleva qualche dubbio il fatto che non si preoccupi mai – dico mai – di far sapere quando esterna? Non dico a noi occidentali, di cui potrebbe non preoccuparsi affatto, sebbene io ne dubiti, perché altrimenti non avrebbe molto senso il messaggio stesso. Dico ai suoi seguaci, che ricaverebbero conforto e incitamento sapendolo vivo e vegeto.

Tra l’altro dire il quando (non pretendo il dove, ovviamente) non metterebbe comunque a repentaglio la sua sicurezza. Dunque la domanda: possibile che Osama e i suoi non siano giunti nemmeno là dove erano arrivate le nostre al confronto modeste Brugate Rosse? Cioè a farsi fotografare con un giornale quotidiano in vista?
Lo so, direte, un personaggio così ieratico come potrebbe abbassarsi a queste miserie, appunto quotidiane? E direste male perché, invece, per altri aspetti eccolo che si abbassa. Eccome!

Per esempio fornendo particolari secondari, inessanziali, distribuiti come il prezzemolo, all’interno di discorsi francamente molto sconclusionati. Per uno che parla una volta ogni due anni, ci s’immagina che scelga le parole con cura, gli argomenti essenziali. Invece in uno striminzito discorso di 18 minuti “Osama” trova il tempo di raccontarci che lui e Mohammed Atta hanno preparato insieme il piano dell’11 settembre. Sembra fatto apposta per accreditare la tesi ufficiale del governo americano. Ma qui sorge un altro interrogativo. Ci piacerebbe sapere come mai questo redivivo non ci ha detto di quale dei due Mohammed Atta sta parlando. Perché ce n’erano due, di Atta, prima dell’11 settembre: uno stava in Germania, e l’altro negli Stati Uniti. Il primo se ne stava nascosto, mentre il secondo, contemporaneamente, faceva di tutto invece per farsi notare dall’Fbi, che infatti lo notò e non lo arrestò, sebbene andasse in giro cercando di comprare aerei da turismo che avrebbero potuto spargere veleni sulle città americane e molte altre amenità del genere (vedi il libro “Mistero Americano” di Marina Montesano).

Poiché tutto questo è stato acclarato (ma non lo sa nessuno), ci sarebbe da supporre che dei piani di Osama e di quell’Atta che stava in Europa, c’era qualcuno che già sapeva tutto.

Ma possibile che nessuno lo abbia detto al redivivo? E perché inserire quel particolare in un discorso così importante e tempestivo? Come quell’altro particolare del tutto inutile, in apparenza, che lascia scoperto un altro interrogativo dell’indagine: avevano deciso, Osama e Atta, che tutto dovesse avvenire in dieci minuti. Precisione al millimetro. Solo che uno dei due Mohammed Atta, invece di prendere l’aereo a Boston, si mosse da un aeroporto secondario e arrivò a Boston appena in tempo per prendere la coincidenza. Non vi sembra una straordinaria leggerezza per uno che sapeva che altri tre aerei stavano prendendo parte all’operazione del secolo? Se fosse arrivato in ritardo le due torri si sarebbero ridotte a una sola e metà dell’effetto sarebbe svanita.
E poi, altro particolare strano, perché mettere in quei 18 minuti il ricordo personale delle torri di Beirut, che avrebbero ispirato a Osama l’attentato dell’11? Ma quali torri? A Beirut non c’erano torri e gli alti palazzi non furono comunque buttati giù dagli israeliani. E poi come è possibile che Osama pensasse, già nel 1982, a vendicare le torri di Beirut, quando se ne stava felicemente con gli americani a combattere in Afghanistan contro i sovietici, che erano appena arrivati? A quanto risulta la posizione di Osama e di molti altri mujaheddin cambiò radicalmente, verso gli Stati Uniti, solo nel 1989, quando – con il ritiro sovietico – l’atteggiamento (finanziamenti e armi) degli Stati Uniti verso i mujhaeddin islamici si mutò in freddezza e questi ultimi si accorsero di essere stati utilizzati, prima di essere abbandonati.

Più lo si legge, più il testo del redivivo Osama appare sibillino e anche un po’ ridicolo.
Come quando dice agli americani che la loro sicurezza non dipende “né da Bush, né da Kerry, e nemmeno da Al Qaeda”. Notare la finezza con cui, in questo caso, si “data” l’apparizione (ma che Kerry fosse l’avversario di Bush lo sapevamo fin da aprile), e si certifica l’esistenza di Al Qaeda. In ogni caso la frase è senza significato. Da chi dipende la sicurezza degli americani? Cosa dovrebbero fare per essere sicuri? Osama non glielo dice. Allora perché si veste con la tunica bianca e oro per lanciare messaggi?

E cosa significa quella patetica frase sui poveri americani delle torri, “lasciati soli” da quel crudele di George Bush, che preferisce starsene a raccontare di caprette ai bambini delle elementari, mentre loro muoiono? Abbastanza originale che l’assassino non trovi di meglio da dire in quei 18 minuti. A meno che non ci voglia far sapere che anche lui ha visto “Farenheit 9/11”, di quel disfattista antiamericano di Michael Moore. Così tutta la reazione americana potrà sfogare su di lui tutto l’odio che nutre contro i liberal.

Dunque il senso dell’apparizione ha avuto un solo scopo: accrescere il terrore degli americani. Gli osservatori occidentali fanno finta di non capire e si scervellano sul dilemma: l’apparizione servirà di più a Bush, oppure a Kerry? In realtà è del tutto evidente (come i sondaggi hanno subito indicato) che è servita a Bush, che sul terrore ha costruito la sua campagna elettorale.

Certo è stato sostenuto che Osama, quello vero, se fosse vivo, è più interessato ad avere di fronte un presidente cretino e aggressivo, che continuerà la guerra e aumenterà il fondamentalismo antiamericano. Ma forse che John Kerry ha detto che smetterà di fare la guerra? Per Osama i due possibili presidenti sono del tutto equivalenti. Dunque perché sprecarsi alla vigilia del voto? Evidentemente per favorirne uno.
Dunque grazie, Osama redivivo, sei riapparso al momento giusto, così com’eri apparso per la prima volta, l’11 settembre 2001, per dare avvio alla guerra infinita del presidente che ora vorresti fosse rieletto.
Un testo sibillino per tutti, salvo che per Magdi Allam che, dopo la decifrazione, si dice che sia stato costretto a un viaggio in Svizzera, nella clinica di Berlusconi, per farsi piallare le rughe sulla fronte, dovute al troppo intenso pensare.

Ecco. Queste sono alcune delle riflessioni che mi portano a questa, ulteriore e provvisoria conclusione. Suggerisco, a chi ancora non avesse avuto l’occasione, di guardarsi i clip cinematografici di Pangallo. Un genio italiano che ci insegna cosa si può fare con il cinema e un buon montaggio. Si può far dire e fare quello che si vuole perfino a Hitler e a Napoleone Bonaparte, figuriamoci a un personaggio così attuale come Osama! Se non trovate Pangallo tornate a rivedere, con calma, “Sesso e Potere”, oppure “I tre giorni del condor”. Capirete che si può costruire una guerra finta, tutta in uno studio televisivo. Poi abbiamo visto la stessa guerra, vera, in Kosovo. Una barba finta non è difficile trovarla anche a Cinecittà.

Infine: vivo, morto? Non so. Sicuramente manipolato, falso. Utile. E poi, se fosse vero, perché manipolarlo?

Giulietto Chiesa
Fonte:www.liberazione.it
4.11.04

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