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IL PROFITTO UBER ALLES! IL PROFITTO INNANZITUTTO!

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A cura di Davide
Il 18 Aprile 2007
247 Views
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blankLE CORPORATIONS AMERICANE E HITLER (PARTE II)

DEL DOTTOR JACQUES R. PAUWLES
Global Research

Un permesso di lavoro in collaborazione con il nemico

Negli USA, le case madri delle imprese delle filiali Tedesche lavoravano veramente in modo intenso per convincere l’opinione pubblica Americana sul loro patriottismo, in modo che l’uomo della strada Americano non potesse pensare che la GM, ad esempio, che in patria finanziava manifesti anti-Tedeschi, fosse coinvolta in operazioni di banche lontane, sul Reno, in attività che erano equivalenti al tradimento. (57)

Washington era molto meglio informata di “John Doe”, ma il governo Americano osservava la regola non scritta convenuta che “quello che va bene per la General Motors va bene per l’America”, ed evitava di prendere in considerazione il fatto che le imprese Americane accumulavano ricchezze tramite i loro investimenti o i loro affari in un paese con cui gli Stati Uniti erano in guerra.

Questo aveva molto a che fare con il fatto che il sistema delle imprese Americano era diventato ancora più influente a Washington durante il conflitto di quanto lo era stato dapprima; infatti, dopo Pearl Harbor i rappresentanti dei “grandi affari” si erano accalcati nella capitale in modo da prendere il controllo su molti uffici governativi importanti.

Stando alle apparenze, costoro erano motivati da un genuino patriottismo e offrivano il loro servizi per una elemosina, diventando noti per questo come “gli uomini un-dollaro-per-un-anno”. In verità, molti occupavano quei posti per garantire le loro strutture in Germania. L’ex presidente della GM, William S. Knudsen, un esplicito ammiratore di Hitler dal 1933 e amico di Göring, divenne direttore dell’Ufficio Gestionale della Produzione. Un altro direttore esecutivo della GM, Edward Stettinius Jr., divenne Segretario di Stato, e Charles E. Wilson, presidente della General Electric, divenne “il potentissimo numero due del Ministero della Produzione Bellica” (58)

Sotto queste circostanze, desta ancora meraviglia che il governo Americano abbia preferito guardare da un’altra parte, mentre le grandi imprese del paese operavano come falchi da preda nella terra del nemico Tedesco? Nei fatti, Washington effettivamente legittimava queste attività. Appena una settimana dopo l’attacco Giapponese su Pearl Harbor, il 13 dicembre 1941, lo stesso Presidente Roosevelt in via riservata emanava un decreto che consentiva alle imprese Americane di fare affari con le nazioni nemiche — o con paesi neutrali che erano in buone relazioni con i paesi nemici — per mezzo di una speciale autorizzazione. (59)
Questa disposizione chiaramente contravveniva alle norme, supposte estremamente vincolanti, contro tutte le forme di “commercio con il nemico”. Presumibilmente, Washington non poteva permettersi di offendere le grandi imprese del paese, i cui esperti erano indispensabili per portare la guerra al successo finale.

Come ha scritto Charles Higham, “l’amministrazione Roosevelt doveva andare a letto con le compagnie petrolifere (e con le altre grandi imprese) in modo da vincere la guerra” .

Di conseguenza, i funzionari governativi giravano la testa da un’altra parte sistematicamente, per non vedere il comportamento non patriottico dei capitalisti Americani con investimenti all’estero, ma vi sono state alcune eccezioni a questa regola generale. “In ordine di soddisfare l’opinione pubblica”, scrive Higham, nel 1942, in modo simbolico, venivano mosse azioni legali contro la più conosciuta compagnia violatrice della legislazione sui “rapporti commerciali con il nemico”, la Standard Oil. Ma la Standard faceva rilevare “che stava fornendo carburanti per un’alta percentuale all’Esercito, alla Marina e all’Aviazione, quindi rendendo possibile la vittoria della guerra all’America” .

Alla fine, l’impresa di Rockefeller concordava di pagare un’ammenda di poca importanza “per aver tradito l’America”, ma le veniva consentito di continuare il suo redditizio commercio con i nemici degli Stati Uniti. (60) Un tentativo di inchiesta relativa alle attività della IBM in territorio del nemico Nazista, che si potevano configurare come tradimento, veniva allo stesso modo bloccato, visto che gli USA avevano bisogno della tecnologia IBM, tanto quanto facevano i Nazisti.

Edwin Black scrive: “La IBM era per molti versi peggiore della guerra”. Entrambi i contendenti non avrebbero potuto procedere senza la tecnologia assolutamente essenziale della compagnia. “Hitler aveva necessità della IBM. Questo valeva anche per gli Alleati”. (Black, 333, and 348)

In breve, lo Zio Sam ammoniva con il dito la Standard Oil e la IBM, ma la maggior parte dei proprietari e dei managers delle corporations, che facevano affari con Hitler, non dovevano assolutamente preoccuparsi. Le connessioni di Sosthenes Behn della ITT con la Germania Nazista, per esempio, non erano un pubblico segreto a Washington, ma, come risultato di tutto questo, Behn non veniva sottoposto ad alcuna difficoltà.

Nel frattempo, risultava che in Germania i quartieri generali degli Alleati Occidentali facilmente avrebbero avuto la possibilità di accanirsi sulle imprese di proprietà Americana. Secondo l’esperto Tedesco Hans G. Helms, Bernard Baruch, un consigliere di alto grado del Presidente Roosevelt, aveva dato l’ordine di non bombardare certe fabbriche in Germania, o di bombardarle non in maniera pesante; è difficile sorprendersi che le affiliate delle imprese Americane cadessero in questa categoria! Ed infatti, mentre il centro storico della città di Colonia veniva raso al suolo in ripetuti raids di bombardamenti, la grande fabbrica della Ford in periferia poteva godere della reputazione di essere il posto più sicuro della città durante gli attacchi aerei, sebbene alcune bombe naturalmente cadessero occasionalmente sulle sue strutture. (Billstein et al, 98-100) (61)

Dopo la guerra, la GM e le altre imprese Americane, che avevano fatto affari in Germania, non solo non venivano penalizzate, ma anche venivano compensate per i danni subiti dalle loro sussidiarie Tedesche, come risultato dei raids dei bombardamenti Anglo-Americani. La General Motors riceveva dal governo Americano come indennizzo 33 milioni di dollari e la ITT 27 milioni di dollari. La Ford-Werke, durante la guerra, era stata danneggiata relativamente poco e aveva ricevuto più di 100.000 dollari a compensazione dallo stesso regime Nazista; anche la filiale della Ford in Francia si era azionata in modo da ricevere un indennizzo di 38 milioni di franchi dal Regime di Vichy. Nonostante ciò, la Ford si rivolgeva a Washington per ottenere un indennizzo di 7 milioni di dollari di danni, e dopo molto disputare riceveva un totale di 785,321 dollari “per la parte di perdite riconosciute accettabili sostenute dalla Ford-Werke e dalla Ford Austriaca durante la guerra” , che la compagnia aveva rese note in un suo rapporto di recente pubblicazione. (Research Findings, 109)

Il sistema delle imprese Americano e la Germania post-bellica

Quando finì la guerra in Europa, il sistema delle imprese Americano era ben posizionato a contribuire a stabilire esattamente cosa sarebbe dovuto succedere alla Germania in generale, e in particolare alle sue attività Tedesche. Ben prima che le armi tacessero, Allan Dulles dal suo osservatorio di Berna, in Svizzera, stabiliva contatti con le associate Tedesche delle imprese Americane, alle quali egli aveva in precedenza fornito prestazioni come avvocato nello studio Sullivan & Cromwell, e ,quando nella primavera del 1945 i carri armati di Patton si spinsero in profondità all’interno del Reich, il boss della ITT, Sosthenes Behn, indossata l’uniforme da ufficiale Americano, si recava nella Germania in disfatta per ispezionarvi personalmente le sue filiali.

Cosa più importante, l’amministrazione nella zona della Germania occupata dagli USA abbondava di delegati di imprese, come la GM e la ITT. (62) Naturalmente, costoro erano presenti per assicurarsi che il Sistema Imprenditoriale Americano potesse continuare ad usufruire della piena rendita dei suoi lucrosi investimenti nella Germania sconfitta ed occupata.

Uno dei loro principali obiettivi era quello di ostacolare la realizzazione del Piano Morgenthau. Henry Morgenthau era Ministro del Tesoro di Roosevelt, ed aveva proposto di smantellare il sistema industriale Tedesco, e con ciò di trasformare la Germania in uno stato ad agricoltura arretrata, povera, quindi in una nazione inoffensiva. I proprietari e i dirigenti delle corporations Americane con attività in Germania erano assolutamente consapevoli che la messa in applicazione del Piano Morgenthau significava la fine per le loro affiliate Tedesche; perciò lo contrastarono con le unghie e con i denti.

Un oppositore particolarmente esplicito del Piano era Alfred P. Sloan, l’autorevole presidente del consiglio della GM. Sloan, altri capitani di industria, e i loro delegati ed amici a Washington all’interno delle autorità di occupazione Americana in Germania, erano favorevoli ad una opzione alternativa: la ricostruzione economica della Germania, in modo che fosse loro possibile fare affari e denaro in Germania, e alla fine arrivarono ad avere quello che volevano. Dopo la morte di Roosevelt, il Piano Morgenthau venne tranquillamente accantonato e lo stesso Morgenthau, il 5 luglio 1945, fu fatto dimettere dalla sua posizione di governo di rango elevato dal Presidente Harry Truman. La Germania — o almeno la parte occidentale della Germania — doveva venire economicamente ricostruita, e le sussidiarie Statunitensi sarebbero state così le maggiori beneficiarie di questo sviluppo.(63)

Le autorità Americane di occupazione in Germania in generale, e gli agenti delle case madri Americane delle filiali Tedesche all’interno di questa amministrazione in particolare, si trovarono di fronte ad un altro problema. Dopo il crollo del Nazismo e del Fascismo, in Europa era diffuso un profondo modo di sentire — che si sarebbe conservato ancora per pochi anni— decisamente anti-fascista e nello stesso tempo più o meno anti-capitalista, dato che a quel tempo si era ampiamente capito che il fascismo era stato una manifestazione del capitalismo. Quasi dappertutto in Europa, ed in particolare in Germania, associazioni radicali a livello popolare, come i gruppi Tedeschi anti-fascisti o Antifas, sorsero spontaneamente e divennero influenti. Quindi avvenne che sindacati di lavoratori e partiti politici di sinistra apparvero sulla scena con buon esito; poterono godere di diffusi appoggi popolari a seguito delle loro denunce dei banchieri Tedeschi e degli industriali che avevano portato Hitler al potere e che avevano strettamente collaborato con il regime, e il consenso era manifesto quando venivano proposte riforme anti-capitaliste più o meno radicali, come la socializzazione di particolari compagnie e di settori industriali.

Comunque, questi piani di riforme violavano i dogmi Americani riguardanti l’inviolabilità della libertà privata e della libertà di impresa, ed ovviamente erano la più importante fonte di preoccupazione degli industriali Americani con interessi in Germania. (64) Infatti, costoro erano atterriti dall’emergere in Germania di “commissioni interne di lavoratori” democraticamente elette, che esigevano di interagire negli affari delle imprese. A peggiorare la situazione, di frequente i lavoratori eleggevano dei Comunisti a far parte di queste commissioni. Questo avveniva nelle più importanti succursali Americane, alla Ford-Werke e alla Opel.

I Comunisti giocarono un ruolo importante nella commissione interna della Opel fino al 1948, quando la GM ufficialmente ripristinò alla Opel la direzione manageriale e mise fine di colpo all’esperimento. Le autorità Americane sistematicamente si opposero agli anti-fascisti e sabotarono i loro progetti di riforme sociali ed economiche a tutti i livelli della pubblica amministrazione e degli affari privati. Ad esempio, nell’impianto della Opel a Rüsselsheim, le autorità Americane collaborarono solo con riluttanza con gli anti-fascisti, mentre cercarono di fare ogni cosa in loro potere per impedire l’instaurarsi di nuovi sindacati di lavoratori e di non riconoscere alle commissioni il diritto di intervenire nelle decisioni della direzione dell’impresa. Invece di consentire lo sbocciare delle progettate riforme democratiche “provenienti dal basso”, gli Americani procedettero ad restaurare strutture autoritarie “calate dall’alto” ogni qualvolta possibile.

Loro misero da parte gli anti-fascisti in favore di personalità della conservazione, autoritarie, di destra, compresi molti ex Nazisti. Alla Ford-Werke a Colonia, la pressione anti-fascista costrinse alle dimissioni il direttore generale, già Nazista, Robert Schmidt, ma grazie a Dearborn e alle autorità Americane di occupazione, Schmidt e tanti altri dirigenti Nazisti ritornarono ben presto saldamente in sella. (65)


CapitalismoCapitalismo, Democrazia, Fascismo, e Guerra

“Rispetto alle questioni su cui non si è in grado di discutere, bisogna rimanere in silenzio”, ha dichiarato il famoso filosofo Wittgenstein, e un suo collega, Max Horkheimer, lo ha parafrasato nelle considerazioni sul fenomeno del fascismo e della sua varietà Tedesca, il Nazismo, sottolineando che, se si desidera discutere di fascismo, non è possibile rimanere in silenzio sul capitalismo.

Il Terzo Reich di Hitler era un sistema mostruoso reso possibile dai leaders affaristici al vertice in Germania, e mentre questo procurava una catastrofe per milioni di persone, adempiva ad una funzione da Paradiso, come un Nirvana, per il sistema delle imprese Tedesche. Anche alle imprese di proprietà straniera veniva consentito di godere di sevizi meravigliosi.

Il regime di Hitler era stato redditizio per “das Kapital”, con la cancellazione di tutti i partiti e i sindacati dei lavoratori, attraverso un programma di riarmo, che aveva procurato ai capitalisti immensi profitti, e, mediante una guerra di conquista, aveva eliminato la concorrenza straniera e aveva fornito nuovi mercati, con l’acquisizione di materie prime a prezzi bassi, e che era stata la fonte senza limiti di lavoratori sempre più a buon mercato, dai prigionieri di guerra ai lavoratori stranieri trattati come schiavi e agli internati dei campi di concentramento.

I proprietari e i managers delle imprese guida Americane ammiravano Hitler, dato che nel Terzo Reich potevano fare profitti e dove Hitler massacrava i sindacati Tedeschi e giurava di distruggere l’Unione Sovietica, patria del comunismo internazionale. Molte, se non tutte queste imprese, godevano pienamente dei vantaggi derivati dall’eliminazione dei sindacati dei lavoratori e dei partiti di sinistra, e l’orgia di commesse e di profitti era resa possibile dal riarmo e dalla guerra. Queste imprese tradivano il loro paese, producendo ogni sorta di equipaggiamento per la macchina da guerra di Hitler, anche dopo Pearl Harbor, e quindi obiettivamente aiutavano i Nazisti a commettere i loro crimini orrendi. Questi particolari, comunque, sembravano non sconvolgere i proprietari e le dirigenze in Germania e anche negli USA, che erano ben consapevoli di quello che stava avvenendo oltremare. Tutto quello che interessava a costoro, chiaramente, era la collaborazione incondizionata con Hitler, che consentiva loro di fare profitti come non mai; il loro motto giustamente poteva essere il seguente: “i profitti über alles”, il profitto soprattutto. Dopo la guerra, i signori del capitale e gli associati del mostro fascista prendevano le distanze, come il Dr. Frankenstein dalla loro creatura, e in modo fragoroso proclamavano la loro preferenza per le forme democratiche di governo.

Oggi, molti dei nostri leaders politici e dei nostri mezzi di comunicazione ci vogliono far credere che “libero mercato” — un linguaggio cifrato eufemistico per dire “capitalismo”— e “democrazia” sono fratelli Siamesi. Comunque, anche dopo la Seconda Guerra Mondiale, il capitalismo, ed in particolare il capitalismo Americano, ha continuato a collaborare intimamente con regimi fascisti in paesi come la Spagna, il Portogallo, la Grecia e il Cile, appoggiando movimenti di estrema destra, incluse squadroni della morte e terroristi, in America Latina, in Africa e in ogni dove.

Possiamo dire che nei piani alti delle corporations, i cui interessi collettivi si riflettono naturalmente nelle politiche governative Americane, è perdurata la nostalgia per il buon vecchio tempo del Terzo Reich Hitleriano, che aveva costituito un paradiso per le imprese della Germania, ma anche dell’America e di altri paesi stranieri: nessun partito di sinistra, niente sindacati, numero illimitato di lavoratori in condizioni da schiavi, ed uno stato autoritario che assicurava la disciplina necessaria e predisponeva un “boom degli armamenti” e alla fine una guerra che aveva prodotto “profitti illimitati”, come scrive Black, alludendo al caso della IBM.

Questi vantaggi possono essere attesi più propriamente da una dittatura fascista che da una genuina democrazia, da qui l’appoggio ai Franco, ai Suharto, e a tutti i Pinochet del mondo post bellico. Ma anche all’interno delle società democratiche il capitalismo cerca attivamente il lavoro a basso costo e senza conflitti, che il regime di Hitler gli aveva servito su un piatto d’argento, e di recente questo è avvenuto in modo non palese tramite strumenti come la globalizzazione e la riduzione dello stato sociale, piuttosto che attraverso lo strumento del fascismo, a cui il capitale Americano ed internazionale ha fatto ricorso per procurare al sistema imprenditoriale il paradiso del Nirvana, del quale la Germania di Hitler aveva offerto una stuzzicante anticipazione.

Jacques R. Pauwels, Global
Fonte: http://www.globalresearch.ca
Link
27.01.2007

Traduzione a cura di CURZIO BETTIO di Soccorso Popolare di Padova

Importanti Riferimenti:

Vedi Edwin Black, “IBM and the Holocaust: The Strategic Alliance between Nazi Germany and America’s Most Powerful Corporation” – (IBM e l’Olocausto: L’alleanza strategica tra la Germania Nazista e la più potente impresa Americana.) – (London: Crown Publishers, 2001)
Walter Hofer e Herbert R. Reginbogin, „Hitler, der Westen und die Schweiz 1936–1945″ – (Hitler, l’Occidente e la Svizzera 1936-1945), (Zürich: NZZ Publishing House, 2002)
Reinhold Billstein, Karola Fings, Anita Kugler, e Nicholas Levis, “Working for the Enemy: Ford, General Motors, and Forced Labor during the Second World War” – (Lavorare per il nemico: Ford, General Motors e il lavoro forzato durante la Seconda Guerra Mondiale) – ( New York: Berghahn, 2000); Risultati di una ricerca su la Ford-Werke sotto il regime Nazista (Dearborn, MI: Ford Motor Company, 2001)

Note

1 Michael Dobbs, “US Automakers Fight Claims of Aiding Nazis- I produttori di automobili USA contrastano le affermazioni di aver aiutato i Nazisti ” The International Herald Tribune, 3 dicembre 1998.

2 David F. Schmitz, “‘A Fine Young Revolution’: The United States and the Fascist Revolution in Italy, 1919–1925, – ‘Una meravigliosa giovane rivoluzione’: gli Stati Uniti e la Rivoluzione Fascista in Italia, 1919-1925,” Radical History Review, 33 (settembre1985), 117–38; e John P. Diggins, “Mussolini and Fascism: The View from America – Mussolini e il Fascismo: Uno sguardo dall’America” (Princeton 1972).

3 Gabriel Kolko, “American Business and Germany, 1930–1941, – Affari Americani e la Germania, 1930-1941”. “The Western Political Quarterly, 25 (dicembre1962), 714”, fa riferimento allo scetticismo che si era diffuso nella stampa economica Americana nei confronti di Hitler, dato che veniva considerato “un non conformista dal punto di vista economico e politico”.

4 Neil Baldwin, “Henry Ford and the Jews: The Mass Production of Hate – Henry Ford e gli Ebrei: La produzione di massa dell’odio” (New York 2001), in modo particolare: 172–91.

5 Charles Higham, “Trading with the Enemy: An Exposé of The Nazi-American Money Plot 1933–1949 – Fare affari col nemico: un resoconto dell’intreccio di denaro fra Nazisti e Americani 1933-1949” (New York 1983), 162.

6 Webster G. Tarpley e Anton Chaitkin, “The Hitler Project, – Il piano di Hitler” capitolo 2 in “George Bush: The Unauthorized Biography – George Bush: La biografia non autorizzata” (Washington 1991). Disponibile online a http://www.tarpley.net/bush2.htm .

7 Mark Pendergrast, “For God, Country, and Coca-Cola: The Unauthorized History of the Great American Soft Drink and the Company that Makes It – Per Dio, Patria e Coca-Cola: La storia non autorizzata della grande bibita analcolica Americana e della Compagnia che la produce”. (New York 1993), 221.

8 Citazione da Manfred Overesch, “Machtergreifung von links: Thüringen 1945/46 – La presa del potere da sinistra: Turingia 1945/46 „ (Hildesheim Germany 1993), 64.

9 Knudsen descriveva la Germania Nazista, dopo una sua visita nel 1933, come “il miracolo del ventesimo secolo”. Higham, “Trading With the Enemy – Fare affari col nemico”, 163.

10 Stephan H. Lindner, “Das Reichskommissariat für die Behandlung feindliches Vermögens im Zweiten Weltkrieg: Eine Studie zur Verwaltungs-, Rechts- and Wirtschaftsgeschichte des nationalsozialistischen Deutschlands – Il Commissariato del Reich per la gestione del patrimonio nemico durante la Seconda Guerra Mondiale: uno studio sulle questioni di tipo amministrativo, giuridico ed economico nella Germania Nazionalsocialista” (Stuttgart 1991), 121; Simon Reich, „The Fruits of Fascism: Postwar Prosperity in Historical Perspective – I frutti del Fascismo: prosperità postbellica in una prospettiva storica” (Ithaca, NY and London 1990), 109, 117, 247; e Ken Silverstein, “Ford and the Führer, – Ford e il Führer ” The Nation, 24 gennaio 2000, 11–6.

11 Citazione da Michael Dobbs, “Ford and GM Scrutinized for Alleged Nazi Collaboration, – Ford e la GM sotto inchiesta per una presunta collaborazione con il Nazismo” The Washington Post, 12 dicembre 1998.

12 Tobias Jersak, “Öl für den Führer, – Petrolio per il Führer ” Frankfurter Allgemeine Zeitung, 11 febbraio 1999.

13 Higham, “Trading With the Enemy – Fare affari col nemico” xvi.

14 Gli autori di un recente libro sull’Olocausto mettono anche in evidenza che “nel 1930, l’antiSemitismo era molto più visibile e impudente negli Stati Uniti piuttosto che in Germania”. Vedi l’intervista di Suzy Hansen con Deborah Dwork e Robert Jan Van Pelt, autori di “Olocausto: una storia”, a http:/salon.com/books/int/2002/10/02/dwork/index.html.

15 Henry Ford, “The International Jew: The World’s Foremost Problem – Il Giudaismo Internazionale: il principale problema mondiale”. (Dearborn, MI n.d.); e Higham, “Trading With the Enemy – Fare affari col nemico” 162.
16 Aino J. Mayer, “Why Did the Heavens not Darken? The Final Solution in History – Perché il Cielo non si è oscurato? La soluzione finale nella Storia”. (New York 1988).

17 Neil Baldwin, “Henry Ford and the Jews: The Mass Production of Hate – Henry Ford e gli Ebrei: La produzione di massa dell’odio”, 279; e Higham, “Trading With the Enemy – Fare affari col nemico”, 161.

18 Upton Sinclair, “The Flivver King: A Story of Ford-America – Il re dei macinini: la storia di Ford-America” (Pasadena, CA 1937), 236.

19 Higham, “Trading With the Enemy – Fare affari col nemico”, 162–4.

20 Vedi Bernd Martin, “Friedensinitiativen und Machtpolitik im Zweiten Weltkrieg 1939–1942 – Iniziative di pace e politica di potere nella Seconda Guerra Mondiale 1939-1942” (Düsseldorf 1974); e Richard Overy, “Russia’s War – la Guerra di Russia” (London 1998), 34–5.

21 Vedi Clement Leibovitz e Alvin Finkel, “In Our Time: The Chamberlain-Hitler Collusion – Nella nostra epoca: la collusione Chamberlain-Hitler” (New York 1998).

22 John H. Backer, “From Morgenthau Plan to Marshall Plan – Dal Piano Morgenthau al Piano Marshall,” in Robert Wolfe, ed., “Americans as Proconsuls: United States Military Governments in Germany and Japan, 1944–1952 – Americani come proconsoli: I governi militari degli Stati Uniti in Germania e in Giappone, 1944-1952” (Carbondale and Edwardsville, IL 1984), 162.

23 Mooney viene citato in Andreas Hillgruber, “Staatsmänner und Diplomaten bei Hitler. Vertrauliche Aufzeichnungen über Unterredungen mit Vertretern des Auslandes 1939–1941- Uomini di Stato e Diplomatici di Hitler. Appunti riservati sui colloqui con i rappresentanti esteri 1939-1941” (Frankfurt am Main 1967), 85.

24 Anita Kugler, “Das Opel-Management während des Zweiten Weltkrieges. Die Behandlung ‘feindlichen Vermögens’ und die ‘Selbstverantwortung’ der Rüstungsindustrie, – La dirigenza Opel durante la Seconda Guerra Mondiale. La gestione del „patrimonio straniero” e la “responsabilità” dell’industria degli armamenti” in Bernd Heyl e Andrea Neugebauer, ed., “…ohne Rücksicht auf die Verhältnisse: Opel zwischen Weltwirtschaftskrise and Wiederaufbau – …al di sopra delle situazioni: l’Opel fra crisi economica mondiale e ricostruzione,” (Frankfurt am Main 1997), 35–68, e 40–1; “Flugzeuge für den Führer. Deutsche ‘Gefolgschaftsmitglieder’ und ausländische Zwangsarbeiter im Opel-Werk in Rüsselsheim 1940 bis 1945, – Aerei per il Führer. I “membri al seguito” tedeschi e i lavoratori forzati stranieri alla Opel-Werk in Rüsselsheim 1940 bis 1945″ in Heyl e Neugebauer, “… ohne Rücksicht auf die Verhältnisse – …al di sopra delle situazioni,” 69–92; e Hans G. Helms, “Ford und die Nazis – Ford e i Nazisti,” in Komila Felinska, ed., “Zwangsarbeit bei Ford – Il lavoro forzato” (Cologne 1996), 113.

25 Higham, “Trading With the Enemy – Fare affari col nemico”, 93, e 95.

26 Jersak, “Öl für den Führer – Petrolio per il Führer “; Bernd Martin, “Friedens-Planungen der multinationalen Grossindustrie (1932–1940) als politische Krisenstrategie – Progetti di pace delle grandi industrie multinazionali (1932-1940) come strategia politica per la crisi,” Geschichte und Gesellschaft, 2 (1976), 82.

27 Citato in Dobbs, “U.S. Automakers.- Produttori di auto USA”

28 Jamie Lincoln Kitman, “The Secret History of Lead – La storia segreta del piombo-tetraetile,” The Nation, 20 marzo 2002.

29 Higham, “Trading With the Enemy – Fare affari col nemico”, 97; Ed Cray, “Chrome Colossus: General Motors and its Times – Il colosso del cromo: la General Motors e la sua epoca” (New York 1980), 315; e Anthony Sampson, “The Seven Sisters: The Great Oil Companies and the World They Made – le Sette Sorelle: le grandi compagnie petrolifere e il mondo da loro costruito” (New York 1975), 82.

30 David Lanier Lewis, “The Public Image of Henry Ford: an American Folk Hero and His Company – L’immagine pubblica di Henry Ford: un eroe popolare Americano e la sua impresa” (Detroit 1976), 222, and 270.

31 Ralph B. Levering, “American Opinion and the Russian Alliance, 1939-1945 – L’opinione pubblica Americana e l’alleanza con la Russia 1939-1945” (Chapel Hill, NC 1976), 46; e Wayne S. Cole, “Roosevelt and the Isolationists, 1932–45 – Roosevelt e gli isolazionisti, 1932-1945” (Lincoln, NE 1983), 433–34.

32 La speranza per un conflitto, che si protraesse a lungo, fra Berlino e Mosca poteva essere riscontrata in molti articoli di giornale e nel commento, che vedeva una larga diffusione, espresso dal Senatore Harry S. Truman il 24 giugno 1941, solo due giorni dopo l’inizio dell’Operazione Barbarossa, l’attacco Nazista contro l’Unione Sovietica: “Se noi vediamo la Germania sul punto di vincere, noi dovremo aiutare la Russia, e se la Russia sta vincendo, dovremo aiutare la Germania, in modo tale da realizzare la distruzione di entrambi i contendenti…” Levering, American Opinion, 46–7.

33 Anche il 5 dicembre 1941, proprio due giorni prima dell’attacco Giapponese contro Pearl Harbor, una caricatura sul Hearst’s Chicago Tribune suggeriva che l’ideale per la “civilizzazione” sarebbe stato se queste “pericolose bestie”, i Nazisti e i Sovietici, “si distruggevano le une con le altre”. La caricatura sul Chicago Tribune viene riprodotta in Roy Douglas, “The World War 1939–1943: The Cartoonists’ Vision – La Guerra Mondiale 1939-1943: il punto di vista dei vignettisti” (London e New York 1990), 86.

34 Clive Ponting, “Armageddon: The Second World War – Armageddon: la Seconda Guerra Mondiale” (London 1995), 106; e Stephen E. Ambrose, “Americans at War – Americani in Guerra” (New York 1998), 76–77.

35 Jersak, “Öl für den Führer – Petrolio per il Führer”: Jersak ha usato un documento “top secret” prodotto dalla Divisione Statale della Wehrmacht per il Petrolio, ora nella sezione militare dell’archivio di Stato tedesco (Archivi Federali), File RW 19/2694. Vedi anche Higham, “Trading With the Enemy – Fare affari col nemico”, 59–61.

36 James V. Compton, “The Swastika and the Eagle – La Svastica e l’Aquila,” in Arnold A. Offner, ed., “America and the Origins of World War II, 1933–1941 – America e le origini della Seconda Guerra Mondiale 1933-1941 (New York 1971), 179–83; Melvin Small, “The ‘Lessons’ of the Past: Second Thoughts about World War II – Le “lezioni” del passato: riflessioni sulla Seconda Guerra Mondiale,” in Norman K. Risjord , ed., “Insights on American History. – Intuizioni sulla Storia Americana, Volume II” (San Diego 1988), 20; e Andreas Hillgruber, ed., “Der Zweite Weltkrieg 1939–1945: Kriegsziele und Strategie der Grossen Mächte – La Seconda Guerra Mondiale 1939-1945: obiettivi bellici e strategia dei poteri forti”, 5th ed., (Stuttgart 1989), 83–4.

37 Helms, “Ford und die Nazis – Ford e i Nazisti,” 114.

38 Helms, “Ford und die Nazis – Ford e i Nazisti,”14–5; e Higham, “Trading With the Enemy – Fare affari col nemico”, 104–5.

39 Silverstein, “Ford and the Führer – Ford e il Führer,” 15–6.

40 Kugler, “Das Opel-Management – La dirigenza della Opel,” 52, 61 e seguenti, e 67; e Kugler, “Flugzeuge- Aerei,” 85.

41 Snell, “GM and the Nazis – La GM e i Nazisti,” Ramparts, 12 (giugno1974), 14–15; Kugler, “Das Opel-Management – La dirigenza della Opel,” 53, e 67; e Kugler, “Flugzeuge- Aerei,” 89.

42 Higham, “Trading With the Enemy – Fare affari col nemico”, 112.

43 Higham, “Trading With the Enemy – Fare affari col nemico”, 99.

44 Lindner, “Das Reichskommissariet- il Commissariato di Stato”, 104.

45 Silverstein, “Ford and the Führer – Ford e il Führer,” 12, e 14; Helms, “Ford und die Nazis – Ford e i Nazisti,” 115; e Reich, “The Fruits of Fascism – I frutti del Fascismo”, 121, e123.

46 Silverstein, “Ford and the Führer – Ford e il Führer,” 15–16.

47 Kugler, “Das Opel-Management – La dirigenza della Opel,” 55, e 67; e Kugler, “Flugzeuge – Aerei,” 85.

48 Comunicazione di A. Neugebauer, dell’archivio cittadino a Rüsselsheim, all’autore, 4 febbraio 2000; e Lindner, “Das Reichskommissariet- il Commissariato di Stato”, 126–27.

49 Helms, “Ford und die Nazis – Ford e i Nazisti,” 115.

50 Gian Trepp, “Kapital über alles: Zentralbankenkooperation bei der Bank für Internationalen Zahlungsausgleich im Zweiten Weltkrieg – Il capitale soprattutto: la cooperazione delle Banche Centrali con la Banca per il Risarcimento Internazionale nella Seconda Guerra Mondiale ,” in Philipp Sarasin e Regina Wecker, eds., “Raubgold, Reduit, Flüchtlinge: Zur Geschichte der Schweiz im Zweiten Weltkrieg – Oro rapinato, imprigionati, profughi: dalla storia della Svizzera nella Seconda Guerra Mondiale” (Zürich 1998), 71–80; Higham, “Trading With the Enemy – Fare affari col nemico”, 1–19 e 175; Anthony Sampson, “The Sovereign State of ITT – Lo Stato Sovrano dell’ITT” (New York 1973), 47; “VS-Banken collaboreerden met nazi’s – Le Banche Centrali che hanno collaborato con il Nazismo,” Het Nieuwsblad, Brussels, 26 dicembre 1998; e William Clarke, “Nazi Gold: The Role of the Central Banks — Where Does the Blame Lie? – L’oro dei Nazisti: il ruolo delle Banche Centrali – Dove sta la responsabilità?,” Central Banking, 8, (estate 1997), a http://www.centralbanking.co.uk/cbv8n11.html.

51 Bernt Engelmann, “Einig and gegen Recht und Freiheit: Ein deutsches Anti-Geschichtsbuch – D’accordo e contro il diritto e la libertà: un libro di storia tedesco” (München 1975), 263–4; Marie-Luise Recker, “Zwischen sozialer Befriedung und materieller Ausbeutung: Lohn- und Arbeitsbedingungen im Zweiten Weltkrieg – Fra la pacificazione sociale e lo sfruttamento materiale: condizioni dei salari e del lavoro nella Seconda Guerra Mondiale ,” in Wolfgang Michalka, ed., “Der Zweite Weltkrieg. Analysen, Grundzüge, Forschungsbilanz – La Seconda Guerra Mondiale. Analisi, tratti fondamentali, bilancio di una ricerca” (Monaco e Zurigo 1989), 430–44, in particolare 436.

52 Lindner, “Das Reichkommissariat – Il Commissariato di Stato”, 118.

53 Pendergrast “For God, Country, and Coca-Cola – Per Dio, la Patria, e la Coca-Cola” 228.

54 “Ford-Konzern wegen Zwangsarbeit verklagt – Il gruppo industriale Ford citato in giudizio a causa del lavoro forzato,” Kölner Stadt-Anzeiger, 6 marzo 1998, come citato in “Antifaschistische Nachrichten – Notizie Antifasciste”, 6 (1998), a http://www.antifaschistischenachricten.de/1998/06/010.htm.

55 Karola Fings, “Zwangsarbeit bei den Kölner Ford-Werken – Lavoro forzato alla Ford-Werken di Colonia,” in Felinska, “Zwangsarbeit bei Ford – Lavoro forzato da Ford,” (Colonia 1996), 108. Vedi anche Silverstein, “Ford and the Führer – Ford e il Führer,” 14; e Billstein et al., 53–5, 135–56.

56 Kugler, “Das Opel-Management – La Dirigenza Opel,” 57; Kugler, “Flugzeuge – Aerei,” 72–6, citazione da 76; e Billstein et al. 53–5.

57 “GM-financed patriotic posters – I manifesti patriottici finanziati dalla GM” può essere trovato nella sezione “Still Pictures” dell’Archivio Nazionale a Washington, DC.

58 Michael S. Sherry, “In the Shadow of War: The United States Since the 1930s – All’ombra della guerra: gli Stati Uniti, a partire dagli anni Trenta(New Haven and London 1995), 172.

59 Higham, “Trading With the Enemy – Fare affari col nemico”, xv, e xxi.

60 Higham, “Trading With the Enemy – Fare affari col nemico”, 44–6.

61 Helms, “Ford und die Nazis – Ford e i Nazisti,” 115–6; Reich, “The Fruits of Fascism – I frutti del Fascismo, 124–5; e Mira Wilkins e Frank Ernest Hill, “American Business Abroad: Ford on Six Continents – Affari Americani all’estero: Ford sui sei Continenti” (Detroit 1964), 344–6.

62 Higham, “Trading With the Enemy – Fare affari col nemico”, 212–23; Carolyn Woods Eisenberg, “U.S. Policy in Post-war Germany: The Conservative Restoration, – La politica USA nella Germania post-bellica: la restaurazione della conservazione,” Science and Society, 46 (Spring 1982), 29; Carolyn Woods Eisenberg, “The Limits of Democracy: US Policy and the Rights of German Labor, 1945–1949 – I limiti della democrazia: la politica USA e i diritti del lavoro in Germania 1945-1949,” in Michael Ermarth, ed., “America and the Shaping of German Society, 1945-1955 – America e la formazione dellaa società Tedesca 1945-1955” (Providence, RI and Oxford 1993), 63–4; Billstein et al., 96–97; e Werner Link, “Deutsche und amerikanische Gewerkschaften und Geschäftsleute 1945–1975: Eine Studie über transnationale Beziehungen – Sindacati e uomini d’affari tedeschi e americani 1945-1975: uno studio sui rapporti transnazionali” (Düsseldorf 1978), 100–06, e 88.

63 Gabriel Kolko, “The Politics of War: The World and United States Foreign Policy, 1943–1945 – Le politiche di guerra: il mondo e la politica estera degli Stati Uniti 1943-1945” (New York 1968), 331, e 348–9; Wilfried Loth, “Stalins ungeliebtes Kind: Warum Moskau die DDR nicht wollte – La creatura non amata di Stalin: perché Mosca non voleva la DDR” (Berlino 1994), 18; Wolfgang Krieger, “Die American Deutschlandplanung, Hypotheken und Chancen für einen Neuanfang – Il piano Americano per la Germania, ipoteche e occasioni per un nuovo inizio,” in Hans-Erich Volkmann, ed., “Ende des Dritten Reiches — Ende des Zweiten Weltkriegs: Eine perspektivische Rückschau – Fine del Terzo Reich – Fine della Seconda Guerra Mondiale: un punto di vista retrospettivo” (Monaco e Zurigo 1995), 36, e 40–1; e Lloyd C. Gardner, “Architects of Illusion: Men and Ideas in American Foreign Policy 1941–1949 – Architetti di illusioni: uomini ed idee nella politica estera Americana 1941-1949” (Chicago 1970), 250–1.

64 Kolko, “The Politics of War – Le politiche di guerra,” 507–11; Rolf Steininger, “Deutsche Geschichte 1945–1961: Darstellung und Dokumente in zwei Bänden. Band 1 – Storia Tedesca 1945-1961: Compendio e documenti in due volumi. Volume I ” (Frankfurt am Main 1983), 117–8; Joyce e Gabriel Kolko, “The Limits of Power: The World and United States Foreign Policy, 1945–1954 – I confini del potere: Il mondo e la politica estera degli Stati Uniti, 1945–1954” (New York 1972), 125–6; Reinhard Kühnl, “Formen bürgerlicher Herrschaft: Liberalismus — Faschismus – La conformazione del dominio borghese. Liberalismo-Fascismo” (Reinbek bei Hamburg 1971), 71; Reinhard Kühnl, ed., “Geschichte und Ideologie: Kritische Analyse bundesdeutscher Geschichtsbücher, second edition – Storia e Ideologia: analisi critica dei libri di storia dello stato federale tedesco ” (Reinbek bei Hamburg 1973), 138–9; Peter Altmann, ed., “Hauptsache Frieden. Kriegsende-Befreiung-Neubeginn 1945–1949: Vom antifaschistischen Konsens zum Grundgesetz – La pace, questione fondamentale. La fine della guerra-la liberazione-un nuovo inizio1945–1949: dal consenso antifascista alla Costituzione” (Frankfurt-am-Main, 1985), 58 ff.; e Gerhard Stuby, “Die Verhinderung der antifascistisch-demokratischen Umwälzung und die Restauration in der BRD von 1945–1961, Gli ostacoli alla rivoluzione antifascista-democratica e la restaurazione nella Repubblica Federale di Germania 1945–1961” in Reinhard Kühnl, ed.,
“Der bürgerliche Staat der Gegenwart: Formen bürgerlicher Herrschaft II – Lo stato borghese del presente: la conformazione del dominio borghese II” (Reinbek bei Hamburg 1972), 91–101.

65 Silverstein, “Ford and the Führer,” 15–6; and Lindner, Das Reichskommissariat, 121.

VEDI ANCHE: IL PROFITTO “UBER ALLES”! IL PROFITTO INNANZITUTTO! LE CORPORATIONS AMERICANE E HITLER (PARTE I)

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