Da dove vengono prelevati i soldi per finanziare le missioni militari italiane ?
DI GIACOMO BUSULINI
Il ministro della difesa Martino ha annunciato che il contingente militare italiano si ridurrà di 300 unità scendendo così a 2600 unità, si tratta di una ulteriore riduzione del 10% rispetto a quella già attuata a settembre 2005. Ma per il ministro non ci sono dubbi, nessuno pensi ad un ritiro come fuga: “L’Italia mantiene le sue promesse e non tradisce gli alleati. Porteremo a termine la nostra missione”. Tuttavia il ministro si è ben guardato dal spiegarci chi paga la missione eufemisticamente definita “di pace”, e soprattutto quanto ci è costata finora questa missione i cui ritorni economici non si sa se e quando mai arriveranno.
Circa un miliardo e trecentomila euro, è questo il conto della missione italiana in Iraq almeno fino a tutto il 2005. Quest’anno infatti il governo dovrà stanziare nuove risorse per finanziare la partecipazione all’operazione pomposamente definita “Antica Babilonia”. Una presenza, quella in territorio iracheno, che costa mediamente 500 milioni di euro l’anno. Se poi andiamo ad analizzare come è stata spesa questa somma cade immediatamente il velo pietoso con cui si è voluto far credere all’opinione pubblica che di missione umanitaria si tratti e non di servizio di polizia militare in zona di occupazione. Infatti sul totale dei 1300 milioni di euro ben 1210 sono stati utilizzati per “operazioni militari” e solo 90 milioni per interventi umanitari e di ricostruzione. In sostanza le spese umanitarie si sono ridotte ad una ben misera elemosina mentre quasi tutta la dote è stata utilizzata per il mantenimento di truppe di occupazione il cui costo medio per ciascun militare impegnato si può quantificare nella modica cifra di 166.000 euro annui. La spesa maggiore ovviamente è quella del personale, dalla relazione di accompagnamento all’ultimo decreto approvato emerge che la presenza stimata di 3.252 uomini per attività diretta e indiretta in Iraq negli ultimi sei mesi del 2005 costa 118,5 milioni di euro su complessivi 218 di costi militari. Il costo di esercizio e manutenzione dei mezzi impiegati è quantificato in dettaglio per ciascuno dei mezzi impiegati. Ad esempio il costo giornaliero per l’utilizzo degli elicotteri Mangusta viene stimato in 27 mila euro al giorno. Se dalla singola missione in Iraq estendiamo l’analisi al costo complessivo di tutte le missioni militari italiane all’estero scopriamo che l’accresciuta presenza dei militari italiani (12.000 unità a fine 2005 in missioni internazionali) Onu e Nato che spaziano dall’Afghanistan fino al Kosovo ha fatto lievitare rispetto alla fine degli anni ‘90 i costi di questo servizio di cui il governo Berlusconi va fiero fino ad arrivare alla cifra di 1,2 miliardi di euro per il solo 2005. Secondo gli ultimi dati forniti dal ministero della Difesa all’8 agosto 2005 risultavano impegnati 10.589 soldati italiani in 28 missioni all’estero. Altri 2.500 soldati sono stati coinvolti in iniziative sul territorio italiano contro il terrorismo internazionale.
Di fronte a questi dati, che sono accessibili a tutti, il presidente Berlusconi ha continuato a sostenere con incredibile faccia tosta che l’Italia non ha partecipato ad alcuna azione militare: “Siamo intervenuti solo a seguito della risoluzione del Consiglio di sicurezza del’Onu, con una missione di pace” Su “il Giornale” del 9/11/05 nel tentativo di sostenere le menzogne del presidente pinocchio scrive di: “500 progetti realizzati per il popolo iracheno, dall’addestramento delle forze di polizia e dell’esercito alle infrastrutture, dalla sanità alla cultura, dall’agricoltura agli interventi di emergenza, fino alla formazione di medici, infermieri, funzionari”. Concludendo comicamente che “il premier ha fornito cifre e dettagli della missione italiana”. Non viene specificato di quali cifre e dettagli si tratti ma è certo che nessun pennivendolo al servizio del regime ha osato chiedere come sia potuto avvenire il miracolo paragonabile alla moltiplicazione dei pani e dei pesci in base alla modesta cifra destinata in 3 anni agli scopi umanitari: 90 milioni di euro.
Ma per chi vuole andare a fondo nella ricerca della verità le sorprese non finiscono qui. A questo punto il contribuente italiano non ha difficoltà a immaginare da dove vengono prelevati i soldi per finanziare missioni militari che di umanitario hanno ben poco. Questi soldi sono ovviamente prelevati dalle tasche del cittadino. Quali sono i fondi che lo stato utilizzo a questo scopo? La strada più facile per il governo sarebbe quella di prelevare tale cifra direttamente dall’irpef ma questo governo ha preferito utilizzare direttamente l’8 per mille che il contribuente sceglie di devolvere a favore dello Stato. In sostanza la quota dell’8 per mille viene utilizzata per finalità ben diverse dalle quattro previste dalla legge 222 del 1985: interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati e conservazione dei beni culturali.
Certo è che la finanziaria per il 2004 ha stabilito lo storno della cifra di 80 milioni di euro in cifra fissa quindi indipendentemente dal totale che i contribuenti italiani scelgono di destinare allo Stato. Questa strategia rende assolutamente ininfluente qualunque iniziativa di gruppi di opinione che promuovano il dirottamento della scelta dei cittadini dallo Stato ad una delle 6 confessioni religiose. Infatti una riduzione della quota destinata allo Stato ridurrebbe solo la parte destinata ad una delle quattro finalità a cui tale cifra dovrebbe essere destinata.
E’ facile immaginare che la somma destinata negli ultimi due anni alla sicurezza e al finanziamento delle missioni italiane all’estero verrà confermata anche per il 2006, dato che le previsioni della finanziaria del 2004 hanno una validità di tre anni e che non è al momento ipotizzabile che il governo Berlusconi “possa tradire gli alleati” ponendo fine ad una politica estera che finora si è dimostrata succube delle direttive della giunta militar-petrolifera bushista. A nulla è servito l’intervento della commissione Bilancio del Senato (3/11/2004) che, in un parere sull’8 per mille, ha definito la scelta del governo “in palese contraddizione con l’opzione esercitata dai contribuenti al momento della dichiarazione dei redditi” invitando il governo a tener conto delle finalità sociali previste dalla legge del 1985.
Il trucco, smascherato, di trasformare in “missioni di pace” l’invio di mercenari a supporto delle politica imperialista degli Usa serve a coprire la crescente difficoltà della potenza egemone a reclutare volontari disposti a farsi ammazzare nonostante l’alto ingaggio che viene promesso ai giovani americani di basso livello sociale, vittime della strategia della “localizzazione” del lavoro ormai seguita dalle multinazionali che detengono il potere economico sul pianeta.
In realtà che l’8 per mille a gestione statale sia una sorta di “pozzo di San Patrizio” a cui attingere per migliorare i saldi di bilancio era evidente già prima del 2004. A questi fondi aveva già fatto ricorso nel 2000 il secondo governo D’Alema per finanziare la partecipazione italiana alle operazioni in Kosovo e Macedonia. Non c’è quindi da sperare che neppure la vittoria dell’opposizione alle prossime elezioni porti a un ritorno dell’utilizzo di tale fondo per gli scopi originari per cui l’8 per mille fu previsto.
Sulla volontà di porre fine a queste missioni militari all’estero e alla politica di occupazione militare delle aree nevralgiche del pianeta da parte degli Usa e dei suoi satelliti è illuminante quanto dichiarato recentemente dal generale Mark Kemmit, vicedirettore per i piani e la politica del CentComm, il comando centrale degli Usa da cui dipendono i fronti principali di della guerra al terrorismo (l’Iraq e l’Afganistan): “In Iraq c’è un’insurrezione e le insurrezioni durano tipicamente 10 o 12 anni. E’ quanto ci prepariamo a vedere”.
Giacomo Busulini
Fonte: www.rinascita.info/
Link: http://www.rinascita.info/cogit_content/rq_politica/Ilprezzodellavargogna.shtml
11.01.06