IL PREMIO NOBEL PER L'ECONOMIA: UN NEO-LIBERALE FANATICO DEL MERCATO E DEI DIRITTI DI EMISSIONI INQUINANTI

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DI GREGOIRE SOUCHAY

reporterre.net

Il vincitore del Nobel per l’economia è un appassionato teorico delle energie a carbone come mezzo per far fronte al cambiamento climatico. C’è un solo problema: il mercato del carbone ha già fallito in Europa, dove è stato applicato su grande scala.

Martedi 13 ottobre il premio Nobel per l’economia – o per essere più precisi, il «premio della Banca di Svezia in scienze economiche in memoria di Alfred Nobel» – è stato attribuito all’economista francese Jean Tirole.

Medaglia d’oro del CNRS nel 2007 [Centre National de la Recherche Scientifique, assimilabile al CNR italiano N.d.T.], vincitore del premio Claude Lévi-Strauss nel 2010, tutti i riconoscimenti ai quali un economista può concorrere li ha già avuti. Il Fondo Monetario Internazionale lo considera come uno dei «venti ricercatori che modellano il nostro modo di pensare l’economia mondiale». Jean Tirole è un personaggio unico e stimato. Eccolo dunque ricevere il premio della Banca di Svezia. Pur essendo una presenza discreta nei media, il nostro uomo è ben radicato nelle sfere istituzionali, come membro del Conseil Économique et Social e soprattutto presidente della Toulouse School of Economics, l’università francese costruita sul modello delle università di eccellenza americane: ingaggi internazionali, salari basati sul merito, pubblicazioni nelle più prestigiose riviste di economia, ma soprattutto un’ortodossa dottrina neo-liberale bendisposta con la finanza. Appena ricevuta la notizia, Tirole esortava a «riformare radicalmente il mercato del lavoro» che considera «a dir poco disastroso».

Ma nel suo CV c’è un altro aspetto che attira la nostra attenzione. Si, perché a partire dagli anni Novanta Tirole si è distinto come un vero e proprio precursore nell’ambito dell’economia ambientale. Insieme al suo mentore, Jean-Jacques Laffont, è stato l’autore dei primi articoli scientifici nei quali si sosteneva la tesi dei «diritti di emissioni inquinanti» e si avanzava l’ipotesi che la finanza e il mercato fossero la soluzione giusta per la crisi ecologica. Un’ipotesi divenuta realtà con la creazione del mercato europeo dei «diritti di emissioni», detti UTS. Nel 2009 ha perfino redatto un rapporto, intitolato Politique climatique: une nouvelle architecture internationale, nel quale pronostica la creazione di un mercato mondiale dei diritti di emissione di gas serra.

François Salanié, directeur de recherche all’INRA [Institut National de la Recherche Agronomique N.d.T.], direttore del Laboratorio di Economia delle Risorse Naturali (LERNA) e membro della Toulouse School of Economics, spiega questa teoria, che peraltro conosce molto bene: «Le politiche climatiche devono essere politiche economiche come tutte le altre: efficaci e capaci di far raggiungere gli obiettivi al minimo costo». Si chiama «internalizzazione delle esternalità»: in sostanza, si tratta di dare un valore economico a tutte le conseguenze indirette indotte da una qualsiasi attività economica. In questo modo, per esempio, l’inquinamento creato da una piattaforma petrolifera in pieno Oceano potrebbe essere compensato finanziariamente a partire dal valore dato all’ecosistema che è stato inquinato. Se l’idea può sembrare semplice e di buon senso, in realtà nasconde conseguenze molto pericolose: «senza un’autorità che fissi le norme da rispettare, la tassazione non può che fallire o creare una nuova bolla speculativa», spiega Jean-Marie Harribey, membro del Consiglio Scientifico di Attac e di Economistes Atterrés.

A suo avviso, queste politiche hanno fallito, come dimostra l’esempio dei diritti di emissione di CO2 immessi nel mercato europeo a partire dal 2005. «Di fronte al numero di diritti di emissione distribuiti, il prezzo di CO2 è caduto a meno di 5 euro per tonnellata, mentre dovrebbe essere almeno cinque o sei volte superiore. D’altra parte, a partire dal 1990 le emissioni mondiali sono aumentate del 50%, mentre dovevano essere ridotte di oltre il 5%!».

Quel che è peggio, è che contemporaneamente è nata una «finanza-carbone» che ormai specula sui diritti di emissione e sui contratti di assicurazione in vista di potenziali catastrofi naturali dovute ai cambiamenti climatici. A proposito di questo tipo di derivati, François Salanié, della Toulouse Schools of Economics, dice che «se ci sono problemi di questo tipo, è perché il mercato è stato mal concepito. L’importante è lasciare sempre la scelta agli attori: quelli che vorranno continuare a inquinare ne pagheranno il prezzo, quelli che troveranno che questo prezzo è troppo elevato inquineranno di meno. È quella che noi chiamiamo efficacia economica». Ma Jean-Marie Harribey replica: «In sostanza, ci vogliono far credere che se il mercato fallisce, è perché non è stato spinto fino in fondo. È sempre lo stesso assurdo refrain, da oltre trenta anni, una visione globale che ha preso le redini del potere per diminuire tutti i sistemi di regolazione collettiva a beneficio del mercato. La stessa logica la vediamo nel campo del mercato del lavoro, dei servizi pubblici, dei diritti dei lavoratori».

Deregulation a ogni livello e neuroeconomia

Non per niente, la ricompensa attribuita oggi a Jean Tirole riguarda la sua «analisi del potenziale autoregolatore del mercato ». Jean Tirole è alla radice di tutte le politiche di deregulation del mercato del lavoro, e propone la creazione di un contratto unico, che di fatto elimini i CDI [contratti a tempo indeterminato N.d.T.], oltre che l’abbandono puro e semplice dei piani industriali in nome dell’efficacia economica.

Per un altro economista di Tolosa, Gabriel Colletis, si tratta di una concezione tipicamente francese dell’economia, che risale alla nascita del liberalismo: «rispetto a quelle inglese e tedesca, e quindi anche quella americana, la scuola liberale francese è una scuola oltranzista, la cui figura centrale è quella di Jean-Baptiste Say, la cui ben nota massima era “laisser faire, laisser aller”».

Ma la cosa più pericolosa, secondo Geneviève Azam, maître de conférence in Economia, e pure lei membro di Attac, è l’orientamento di Jean Tirole verso la neuroeconomia. «L’obiettivo di questa corrente di pensiero è di fondere tutte le scienze cognitive con l’economia». Si tratta di un approccio che Jean-Marie Harribey descrive nel dettaglio: «Di fronte al loro monumentale fallimento, una parte degli economisti neo-liberali sta cercando di incorporare le scienze cognitive all’interno della loro dottrina per fondare un’economia dei comportamenti». In sostanza, «si tratta di applicare il modello della razionalità economica all’insieme delle scelte che un essere umano fa nel corso della sua vita, prendendo in conto esclusivamente la loro dimensione economica».

Grégoire Souchay

Fonte: http://www.reporterre.net

Link: http://www.reporterre.net/spip.php?article6422

14.10.2014

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MARTINO LAURENTI

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