VERSO LA MONETA UNICA GLOBALE E IL GOVERNO MONDIALE
Un altro interessantissimo articolo che gli amici di Comedonchisciotte mi hanno chiesto di tradurre. L’excursus è lungo e dettagliato, ma offre una panoplia di dati decisamente utile. E vorremmo anche condividere l’ottimismo che l’autore manifesta alla fine, ma…
Domenico D’Amico (doppiocieco.splinder.com/)
DI ANDREW MARSHALL
globalresearch.ca
Introduzione
A seguito della riunione del G20 tenutasi nel 2009, sono stati annunciati piani per rendere possibile la creazione di una nuova moneta globale che rimpiazzi il dollaro statunitense come valuta di riserva mondiale. Il punto 19 del comunicato diffuso dal G20 al termine del summit dichiarava: “Abbiamo concordato di appoggiare uno stanziamento generale di SDR che inietteranno 250 miliardi di dollari (170 miliardi di sterline) nell’economia mondiale e incrementeranno la liquidità globale”. Gli SDR, o Special Drawing Rights {Diritti Speciali di Prelievo}, sono “una moneta cartacea artificiale emessa dal Fondo Monetario Internazionale,” Come riporta il Telegraph, “i leader del G20 hanno attivato il potere che il FMI ha di creare moneta, per iniziare una ‘decongestione quantitativa’ globale. Facendo così, hanno introdotto de facto una valuta mondiale. Che è al di fuori del controllo di qualsiasi stato sovrano. I teorici delle cospirazioni ne andranno matti.” [1]{a}
L’articolo continua, affermando che “adesso c’è una valuta mondiale in attesa {di essere emessa ufficialmente}. A suo tempo gli SDR diventeranno probabilmente un parchweggio per le riserve estere delle banche centrali, con alla testa la Banca Popolare Cinese. (…) La creazione di un Financial Stability Board sembra il primo passo verso un organismo di controllo finanziario globale,” o, in altre parole, una banca centrale globale.
È importante dare un’occhiata più da vicino alle “soluzioni” che vengono proposte e messe in opera nel corso della presente crisi finanziaria globale. Non si tratta di iniziative inedite, dato che hanno fatto parte dei piani dell’élite globale da lungo tempo. Tuttavia, nel mezzo della crisi in corso, questa élite ha velocizzato il suo progetto di creazione di un Nuovo Ordine Mondiale finanziario. È importante esaminare le radici di queste “soluzioni” (proposte e imposte), e degli effetti che avranno sul Sistema Monetario Internazionale (IMS) e sulla politica economica globale nel loro insieme.
Nell’ottobre del 2008 Gordon Brown, Primo Ministro del regno Unito, disse che “ci occorre una nuova Bretton Woods – che costruisca una nuova architettura finanziaria internazionale per gli anni a venire.” E continuò dicendo che “ora dobbiamo riformare il sistema finanziario internazionale, attorno a principi concordati di trasparenza, integrità, responsabilità, buon governo e cooperazione transnazionale.” Un articolo sul Telegraph riferiva che Gordon Brown avrebbe voluto “vedere un FMI che diventa una ‘banca centrale globale’ che controlli da vicino l’economia internazionale e il sistema finanziario.” [2]
Il 17 ottobre 2008 il Primo Ministro Gordon Brown scrisse un commento per il Washington Post in cui scriveva: “Questa settimana i leader europei si sono riuniti per proporre i principi guida che riteniamo debbano fare da fondamenta per una nuova Bretton Woods: trasparenza, serietà creditizia, responsabilità, integrità e governance globale. Concordiamo sul fatto che si debbano prendere decisioni urgenti per mettere in opera questi principi, al fine di debellare la politica dei prestiti irresponsabile, e spesso nascosta, che è alla radice dei nostri problemi. Per far questo, abbiamo bisogno di una supervisione transnazionale delle istituzioni finanziarie, standard globali condivisi per contabilità e regolamenti; un approccio più responsabile alla remunerazione dei dirigenti, che ricompensi il duro lavoro, l’iniziativa e l’intraprendenza ma non il rischio irresponsabile; e il rinnovamento delle nostre istituzioni internazionali perché diventino degli efficienti campanelli d’allarme per l’economia mondiale. [corsivi miei]”[3]
Ai primi di ottobre del 2008 si poteva leggere che “mentre i rappresentanti delle banche centrali di tutto il mondo si riuniscono questa settimana a Washington DC per una conferenza con il FMI e la Banca Mondiale per discutere della crisi, il maggiore quesito sul tappeto è se sia arrivato il momento di nominare un ‘poliziotto’ economico globale che impedisca il ripetersi di un crac come questo del 2008. (…) qualsiasi organizzazione dotata del potere di mantenere l’ordine nell’economia globale dovrebbe includere rappresentanti dei maggiori paesi – una specie di Nazioni Unite della regolamentazione economica.” Un ex governatore della Bank of England suggerisce che “la risposta potrebbe già essere davanti ai nostri occhi, nelle vesti della Bank for International Settlements (BIS) {Banca dei Regolamenti Internazionali (b)},” tuttavia “il problema è la sua mancanza di mezzi. Il FMI tende ad esprimere i suoi moniti riguardo i problemi economici in termini diplomatici, ma la BIS è più indipendente e in una posizione migliore per affrontarli, purché le venga attribuito il potere per farlo.” [4]
L’avvento delle valute regionali
Il primo gennaio del 1999 l’Unione Europea ha adottato l’Euro come propria valuta regionale. Negli ultimi anni l’Euro ha assunto sempre più importanza. Tuttavia non è l’unica valuta regionale al mondo. Ci sono manovre e auspici per altre monete regionali un po’ dappertutto.
Nel 2007 Foreign Affairs, rivista del Council on Foreign Relations, riportava un articolo intitolato The End of National Currency {La fine delle valute nazionali}, che iniziava discutendo della volatilità dei mercati valutari internazionali, e del fatto che fossero state ipotizzate pochissime soluzioni ‘reali’ per affrontare le ricorrenti crisi valutarie. L’autore poneva questa domanda: “Il recupero della sovranità perduta da parte dei singoli governi metterà fine alla instabilità finanziaria?” E risponde affermando che “questa è una diagnosi sbagliata e pericolosa,” e che “la strada giusta non consiste nel ritorno a un mitico passato di sovranità monetaria, coi governi che controllano i tassi di cambio e di interesse a livello locale, in beata ignoranza di quello che succede nel resto del mondo. I governi si devono sbarazzare della pericolosa idea che lo status di nazione richieda che siano essi a emettere e controllare la moneta in uso nel loro territorio. Valute nazionali e mercati globali semplicemente non possono integrarsi; messi insieme generano una mistura di crisi valutarie e tensioni geopolitiche, e creano pretesti per dannosi protezionismi. In vista di una globalizzazione stabile, i singoli paesi dovrebbero abbandonare il nazionalismo monetario e abolire le valute superflue {unwanted}, origine di molta dell’attuale instabilità.”
L’autore spiega che “il nazionalismo monetario è semplicemente incompatibile con la globalizzazione. Lo è sempre stato, anche se la cosa è divenuta evidente solo dagli anni 70, quando tutti i governi del mondo resero le loro valute intrinsecamente prive di valore.” L’autore afferma che “dato che lo sviluppo economico al di fuori della globalizzazione non è più possibile, i singoli paesi dovrebbero abbandonare il nazionalismo monetario. I governi dovrebbero rimpiazzare le valute nazionali col dollaro o con l’euro oppure, nel caso dell’Asia, collaborare alla creazione di una nuova valuta multinazionale all’interno di un’area altrettanto vasta ed economicamente diversificata.” Essenzialmente, secondo l’autore dell’articolo, la soluzione consiste nelle valute regionali. [5]
Nell’ottobre del 2008 “il membro del consiglio della Banca Centrale Europea Ewald Nowotny ha detto che tra Asia, Europa e Stati Uniti si sta sviluppando un sistema ‘tripolare’ di valuta globale, e di essere scettico sul recupero di centralità da parte del dollaro.” [6]
L’Unione delle Nazioni Sudamericane
L’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR) {c} è stata istituita il 23 maggio 2008, con future sedi in Ecuador (sede centrale), Bolivia (Parlamento Sudamericano) e Venezuela (Banca del Sud). Come riferiva la BBC, “I leader di dodici nazioni sudamericane hanno costituito un’entità regionale finalizzato all’incremento dell’integrazione politica ed economica della regione,” e che “i membri dell’UNASUR sono Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Ecuador, Guyana, Paraguay, Perù, Suriname, Uruguay e Venezuela.” [7]
La settimana successiva all’annuncio, veniva riferito che “lunedì il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva ha detto che le nazioni sudamericane perseguiranno l’adozione di una valuta comune come elemento dello sforzo di integrazione ragionale successivo alla creazione dell’Unione delle Nazioni Sudamericane. (…) Stiamo operando affinché, in futuro, abbiamo una banca centrale e una valuta in comune.” [8]
Il Gulf Cooperation Council e una valuta regionale
Nel 2005 il Gulf Cooperation Council (GCC), un blocco regionale per il commercio tra Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti (UAE), enunciava l’obbiettivo di creare una singola valuta in comune entro il 2010. Si riferiva che “Un GCC efficiente ed economicamente unito è chiaramente un affare molto più attraente delle singole economie separate, specialmente considerando gli ostacoli al commercio presenti nella regione. È per questo che le relazioni commerciali all’interno della regione sono state ultimamente al centro dell’attenzione. (…) Il naturale proseguimento di questa tendenza a una sempre maggiore integrazione è l’introduzione di una moneta comune che faciliti ulteriormente i commerci tra i singoli paesi.” E si affermava che “le banche centrali della regione si sono accordate nel perseguire un’unione monetaria con norme simili a quelle europee.” [9]
Nel giugno del 2008 veniva riferito che “le banche centrali del Golfo si sono accordati per la creazione, l’anno prossimo, del nucleo di una banca centrale unica, facendo un grande passo avanti verso un’unione monetaria, ma sottolineando che una nuova valuta comune non sarebbe entrata in circolazione prima della data concordata del 2010.” [10] Nel 2002 si annunciò che “Gli stati del Golfo si stanno consultando con la Banca Centrale Europea, in vista di un loro programma di unione monetaria.” Nel febbraio del 2008, l’Oman ha dichiarato che non avrebbe partecipato a quest’unione monetaria. Nel novembre del 2008 l”annuncio fu che “la bozza finale dell’unione monetaria dichiara che la banca centrale del Golfo sarà indipendente dai governi dei singoli stati membri.” [11]
Nel marzo del 2009 leggiamo che “il GCC non dovrebbe avere fretta nell’adottare una moneta comune, dato che gli stati membri devono ancora elaborare la struttura di una banca centrale regionale, secondo Muhammad Al Jasser, governatore della Banca Centrale dell’Arabia Saudita,” che affermava anche che “all’Europa sono occorsi 45 anni per istituire la moneta unica. È meglio non avere fretta.” Nel 2008, in piena crisi finanziaria globale, per l’iniziativa del GCC sono sorti nuovi problemi, dato che “L’anno scorso la pressione subita dai membri del GCC perché abbandonassero il cambio fisso {currency peg}, data un’inflazione che superava il 10% in cinque paesi su sei. Tutti gli stati membri, eccetto il Kuwait, praticano una politica di cambio fisso col dollaro, e tendono a seguire la Federal Reserve statunitense quando si tratta di stabilire i tassi d’interesse.” [12]
Un’Unione Monetaria Asiatica
Nel 1997 la Brooklyn Institution, autorevole think tank americano, discuteva la possibilità di un’unione monetaria dell’Estremo Oriente, affermando che “la questione, per il XXI Secolo, è se si formeranno altri blocchi monetari in Asia Orientale (o, se è per questo, nell’Emisfero Occidentale). Con il dollaro, lo yen e l’euro che fluttuano in competizione tra loro, altre piccole economie aperte saranno tentate di unirsi a uno di essi.” In ogni caso “queste associazioni saranno possibili solo se accompagnate da cambiamenti radicali nell’organizzazione istituzionale, simili a quelli contemplati dall’Unione Europea. L’aumento di mobilità del capitale e della democratizzazione politica renderanno estremamente difficile la fissazione unilaterale dei tassi di cambio. Stabilire i tassi di cambio implicherà una cooperazione internazionale, e una fattiva cooperazione internazionale richiederà misure simili a un’unificazione monetaria.” [13]
Nel 2001 un articolo di Asia Times Online trattava del discorso tenuto dall’economista Robert A. Mundell alla Chulalongkorn University di Bangkok, nel quale aveva affermato che “[l]’Asean più tre” (i dieci membri dell’Associazione dei Paesi del Sudest Asiatico più Cina, Giappone e Corea) “dovrebbe guardare all’Unione Europea come modello per una più stretta integrazione delle politiche monetarie e commerciali, e alla fine per l’integrazione valutaria.” [14]
Il 6 maggio 2005 il sito dell’ASEAN annunciava che “la Cina, il Giappone, la Corea e i dieci membri dell’ASEAN si sono accordati per un’espansione della loro rete di scambi valutari verso quello che potrebbe diventare in pratica un Fondo Monetario Asiatico,” e che ” i rappresentanti finanziari delle tredici nazioni, incontratisi collateralmente alla conferenza annuale della Asian Development Bank (ADB), sembrano determinati a trasformare i loro diversi accordi bilaterali in una qualche specie di accordo multilaterale, sebbene nessuno di loro parlerebbe direttamente di un Fondo Monetario Asiatico.” [15]
Nell’agosto del 2005 la San Francisco Federal Reserve Bank pubblicò un rapporto sulle prospettive di un’unione monetaria dell’Asia orientale {Cina, Corea, Giappone}, affermando che l’Asia orientale possedeva i requisiti per aderire a un’unione monetaria, ma che tuttavia, in confronto alla situazione europea, “la conclusione è che la stipula di qualsiasi accordo monetario, incluso quello riguardante una valuta comune, in Asia orientale sarebbe molto più ardua.” Inoltre “In Europa l’unione monetaria si è potuta conseguire in primo luogo perché essa era parte di un più ampio processo di integrazione politica,” ma “in Asia orientale non vi è alcun manifesto desiderio di integrazione politica, in parte a causa delle grandi differenze tra i sistemi politici, le culture e la storia condivisa dei vari paesi dell’area. Per via delle loro vicende storiche individuali, i paesi dell’Asia orientale rimangono piuttosto gelosi della loro sovranità.”
Un altro grosso problema indicato dalla San Francisco Fed è che “i governi dell’Asia orientale nutrono maggiore sospettosità nei riguardi delle istituzioni sovranazionali dotate di grande potere,” e perciò “in Asia orientale le preoccupazioni riguardo la sovranità hanno reso i governi riluttanti a delegare poteri significativi a organismi sovranazionali, almeno finora.” Il rapporto continua spiegando che, in contrasto coi passi effettuati in Europa per la creazione di un’unione monetaria, “nessun trattato commerciale allargato è stato stipulato tra i maggiori paesi della regione, Giappone, Corea, Taiwan e Cina.” Un ulteriore problema è che “l’Asia orientale non sembra possedere un naturale candidato come valuta interna di riferimento per ottenere un accordo cooperativo sui tassi di cambio. Quasi tutte le nuove valute di successo sono nate a ridosso di valute preesistenti, costruendo la fiducia sulla propria convertibilità e quindi unendo il vecchio al nuovo.”
Il rapporto conclude che “la stabilizzazione del tasso di cambio e l’integrazione monetaria non sembrano probabili, a breve scadenza. Nonostante questo, l’Asia orientale si sta integrando attraverso il commercio, anche senza insistere su accordi formali di liberalizzazione,” e che “ci sono prove di una crescente cooperazione finanziaria nella regione, inclusa l’elaborazione di accordi regionali per la fornitura di liquidità durante le crisi, tramite foreign exchange swap bilaterali {d}, discussioni su una sorveglianza economica regionale, e lo sviluppo di un mercato azionario altrettanto regionale.” Alla fine “l’Asia orientale potrebbe seguire lo stesso sentiero {dell’Europa}, all’inizio con accordi non troppo rigidi che stabilizzino le valute, seguiti poi da accordi più vincolanti, per finire con l’adozione di una moneta di riferimento – e magari, ancora più in là, ci sarà un dollaro dell’Asia orientale.” [16]
Nel 2007 leggiamo che “L’Asia potrebbe aver bisogno di istituire un suo proprio fondo monetario per affrontare le future crisi finanziarie, simili a quella che ha coinvolto la regione dieci anni fa,” e che “una maggiore integrazione finanziaria dell’Asia è l’antidoto migliore contro le future crisi finanziarie.” [17]
Nel settembre del 2007 la rivista Forbes riferisce che “Un’unione monetaria dell’Asia orientale, col Giappone come nucleo di riferimento, è fattibile, ma la regione manca della volontà politica di realizzarla, questo secondo l’Asian Development Bank.” Pradumna Rana, un economista dell’Asian Development Bank (ADB) ha deto che “sembra realizzabile l’istituzione di un’unione monetaria nell’Asia orientale – in particolare tra Indonesia, Giappone, Corea (del Sud), Malaysia, Filippine, Singapore e Thailandia,” e che “Il potenziale economico per l’integrazione monetaria in Asia è forte, malgrado le basi politiche di un simile accordo non siano ancora state poste.” Inoltre “un’autentica integrazione a livello commerciale rafforzerà la tesi a favore di un’unione monetaria asiatica, in modo simile a quanto avvenuto in Europa con l’integrazione dell’economia reale,” e in ultima analisi “il percorso verso un’unione monetaria asiatica potrebbe procedere su più binari e a più velocità, mentre sul versante commerciale l’obbiettivo resterebbe un’area asiatica di libero scambio e priva di barriere..” [18] Nell’aprile del 2008 avviene che “i vice governatori delle banche dell’ASEAN e i corrispettivi vice ministri delle finanze si sono riuniti nella città vietnamita di Da Nang, per discutere dell’integrazione e cooperazione finanziaria e monetaria nella regione.”[19]
Un’Unione Monetaria Africana
Attualmente l’Africa vede diverse iniziative di unione monetaria, insieme ad alcune unioni effettivamente operanti nel continente. Una di queste è il “monetary union project of the Economic Community of West African States (ECOWAS) {Progetto di unione monetaria della comunità economica degli stati dell’Africa Occidentale}”, che è un “gruppo regionale di 15 paesi dell’Africa Occidentale.” Tra i suoi membri ci sono stati che già fanno parte di un’unione monetaria regionale già esistente, la West African Economic and Monetary Union (WAEMU). L’ECOWAS raggruppa Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea, Guinea Bissau, Mali Niger, Senegal, Sierra Leone, Togo, Capo Verde, Liberia, Ghana, Gambia e Nigeria. [20]
L’Unione Africana è stata fondata nel 2002, ed è un’organizzazione intergovernativa che include 53 stati africani. Nel 2003 la Brookings Institution diffuse un documento sull’integrazione economica africana. Gli autori iniziavano sostenendo che “L’Africa, come altre regioni del mondo, sta puntando alla creazione di una valuta comune. Ci sono già progetti per unioni monetarie regionali, e una trattativa sulle partecipazioni a una futura banca centrale africana sta per avere inizio.” Inoltre “Una valuta comune era anche uno degli obbiettivi dell’Organizzazione per l’Unità Africana e della Comunità Economica Africana, le antenate dell’Unione Africana. (…) Il Trattato di Abuja del 1991, che istituiva la Comunità Economica Africana, prefigura sei fasi per il raggiungimento di una valuta comune africana che si sarebbero dovuti completare all’incirca entro il 2028. Nelle prime fasi sarebbero state rafforzate l’integrazione e la cooperazione regionale, e questo avrebbe incluso la creazione di unioni monetarie regionali. La fase finale implica la fondazione della Banca Centrale Africana (ACB), l’adozione di una moneta unica africana, e la creazione di un’Unione Economica e Monetaria Africana.”
Il documento afferma inoltre che la Banca Centrale Africana (ACB) “non vedrebbe la luce prima del 2020, [ma] è probabile che gli accordi per la sua localizzazione cominceranno presto,” e comunque “esistono piani per la creazione di diverse unioni monetarie regionali, che presumibilmente costituiranno le basi per le future banca centrale e valuta comune africane.” [21]
Nell’agosto del 2008 “I governatori delle banche centrali africane si sono riuniti nell’Hotel Serena di Kigali per discutere della creazione di tre istituzioni finanziarie all’interno dell’Unione Africana (AU),” a cui dovrebbe seguire “una risoluzione dell’AU per l’istituzione di un Fondo Monetario Africano (AMF), una Banca Centrale Africana (ACB) e una Banca di Investimenti Africana (AIB).” I governatori “hanno concordato che l’ACB, una volta fondata, dovrebbe gestire in autonomia la moneta unica e l’autorità economica del continente.” [22]
Il 2 marzo 2009 viene riferito che “L’Unione Africana sottoscriverà questo mese una dichiarazione d’intenti insieme alla Nigeria, in ordine alla creazione di una banca centrale continentale,” e che “L’istituzione avrà sede nella capitale della Nigeria, Abuja, ha detto ai giornalisti Maxwell Mkwezalamba, commissario per gli affari economici dell’Unione Africana.” Inoltre “Come ulteriore passo verso la creazione della banca, l’istituzione panafricana creerà entro i prossimi tre anni un Istituto Monetario Africano, ha affermato {Mkwezalamba} a un incontro con economisti africani tenutosi in città,” e ha detto anche “Abbiamo un accordo per operare insieme all’Associazione dei Governatori delle Banche Centrali Africane nel creare un comitato tecnico congiunto che ci aiuti nella ricerca di una strategia comune.” [23]
Il sito web del Ministero per gli Affari Esteri keniano riferiva che “Il commissario per gli affari economici dell’Unione Africana Dottor Maxwell Mkwezalamba ha manifestato il suo ottimismo sull’adozione di una moneta comune africana,” e che i temi principali discussi durante la riunione in Kenya della Commissione AU erano intitolati “Verso la creazione di una moneta unica africana; Analisi della creazione di una moneta unica africana; Quale approccio adottare per accelerare la creazione di una moneta unica continentale.” [24]
Un’Unione Monetaria del Nord America e l’Amero
Nel gennaio del 2008 scrissi un articolo che documentava i passi che si stavano facendo verso la creazione di una moneta unica nordamericana, da chiamare probabilmente Amero. [Vedi: Andrew G. Marshall, North-American Monetary Integration: Here Comes the Amero. Global Research: January 20, 2008] Riassumerò qui brevemente le informazioni contenute nell’articolo.
Nel 1999 il Fraser Institute, un importante e assai influente think tank canadese, pubblicò un rapporto scritto da Herbert Grubel, professore di Economia ed ex parlamentare, rapporto che si intitolava The Case for the Amero: The Economics and Politics of a North American Monetary Union {In Favore dell’Amero: l’Economia e la Politica di un’Unione Monetaria Nordamericana}. Grubel scriveva che “Il progetto per la creazione di una Unione Monetaria Nordamericana presentato in questo studio è designato per includere Canada, Stati Uniti e Messico,” e che “Una Banca Centrale Nordamericana, così come la Banca Centrale Europea, avrà la responsabilità istituzionale solo della stabilità dei prezzi, non della piena occupazione.” [25] A suo modo di vedere “la sovranità non è un valore assoluto {is not infinitely valuable}. “L’opportunità di rinunciare a taluni aspetti della sovranità dovrebbe essere valutata rispetto ai vantaggi ottenuti con un simile sacrificio,” e inoltre “È importante rilevare che il Canada ha in pratica rinunciato alla propria sovranità economica in diversi settori, il più importante dei quali riguarda l’Organizzazione Mondiale del Commercio (ex GATT), il North American Free Trade Agreement, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale.” [26]
Sempre nel 1999 il C.D. Howe Institute, un altro dei maggiori think tank canadesi, diffuse un documento intitolato From Fixing to Monetary Union: Options for North American Currency Integration {Dal Fixing (e) all’Unione Monetaria: le Opzioni per un’Integrazione Monetaria del Nord America}, in cui si leggeva che “La maniera più semplice di affrontare l’idea di una NAMU [North American Monetary Union] è di vederla come l’equivalente nordamericano dell’Unione Monetaria Europea (EMU), e, per estensione, dell’euro.” [27] Più giù sostiene che ” è chiaro che una NAMU implicherebbe la fine della sovranità monetaria del Canada. È ancora più ovvio che implicherebbe l’abbandono di un tasso di inflazione made-in-Canada, a favore di uno degli USA o della NAMU.” [28] {f}
Nel maggio del 2007 David Dodge, allora governatore della Central Bank of Canada, affermava che “il Nord America potrebbe un giorno abbracciare una moneta unica in stile euro,” e che alcuni dei suoi fautori hanno soprannominato questa moneta unica nordamericana ‘amero’.” Rispondendo a una domanda, diceva che “una moneta unica è ‘possibile’.” [29]
Nel novembre del 2007 uno dei miliardari più affluenti del Canada, Stephen Jarislowsky, tra l’altro membro della direzione del C.D. Howe Institute, riferiva a una commissione parlamentare che “Il Canada dovrebbe rimpiazzare il suo dollaro con una valuta nordamericana, oppure agganciarlo a quello statunitense, per evitare le oscillazioni dei tassi di cambio che ha subito ultimamente,” e che “Credo che dovremmo cominciare a considerare seriamente un modello di valuta continentale proprio come in Europa.” [30]
All’ex Presidente messicano Vicente Fox, che nel 2007 partecipava al programma tv Larry King Live, venne posta una domanda riguardo l’eventualità di una moneta comune per l’America Latina, a cui rispose dicendo: “È una cosa lunga, molto lunga. Quello che io e il Presidente Bush abbiamo proposto è l’ALCA, che è un’unione commerciale per tutte le Americhe. E tutto procedeva alla grande finché arrivò Hugo Chavez. Lui ha deciso di isolarsi. Ha deciso di combattere e distruggere quest’idea.” Quindi Larry King domandò: “Sarà una specie di euro-dollaro, quindi?” Al che Fox rispose: “Be’ alla lunga, molto alla lunga. Credo che per avviare il processo il primo passo sia un accordo commerciale. E ancora più in là, una visione nuova, come stiamo cercando di fare con il NAFTA.” [31] {g}
Nel gennaio del 2008 Herbert Grubel, l’inventore del termine “amero” per il documento del Fraser Institute, scrisse un articolo per il Financial Post, nel quale raccomandava di agganciare il dollaro canadese a quello statunitense con un tasso di cambio fisso, ma che questo era problematico, visto che così la US Federal Reserve avrebbe avuto il controllo dei tassi di interesse canadesi. Proseguiva perciò dicendo che “esiste una soluzione a questa carenza di affidabilità. In Europa la si è trovata nella creazione dell’euro e la fine formale della capacità delle singole banche centrali di stabilire i tassi di interesse. L’analoga creazione dell’amero non sarebbe possibile senza l’improbabile cooperazione degli Stati Uniti. Questo conduce alla soluzione del problema di affidabilità tramite l’adozione unilaterale {da parte del Canada} di un aggancio valutario {del dollaro canadese su quello statunitense}, il quale assicurerebbe che i deficit della bilancia dei pagamenti portino automaticamente a una modifica della liquidità e tassi di interesse canadesi, questo fino all’eliminazione dello squilibrio, e tutto senza alcuna iniziativa da parte della Bank of Canada o influenza della politica. Sarebbe desiderabile adottare l’aggancio valutario insieme a un Nuovo Dollaro Canadese, valutato alla pari col dollaro statunitense. Con una competitività a lungo termine assicurata da un aggancio a un dollaro USA valutato 90 centesimi.” [32] {h}
Nel gennaio del 2009 Market Watch, una pubblicazione online del Wall Street Journal, discuteva della possibilità di una iperinflazione del dollaro statunitense, e affermava di seguito, riguardo la prospettiva dell’amero, “a prima vista, per quanto difficile da immaginare, si intuisce che la cosa abbia un senso. La capacità di coniugare le risorse naturali del Canada, l’ingegnosa creatività americana e la mano d’opera a basso prezzo del Messico, permetterebbe al Nord America di competere meglio a livello globale.” L’autore continua dicendo che “se la futura politica sarà quella di creare più debito, invece di lasciare che risparmio e investimenti [savings and obligations} si riequilibrino, dobbiamo fortemente considerare l’eventualità di uno shock sistemico. Potremmo aver bisogno di far guadagnare spazio a una valuta a due livelli, se il dollaro dovesse decadere sensibilmente dai livelli attuali,” e che “Se si manifestasse una simile dinamica – e non ho elementi per affermarlo – l’equilibrio globale dei poteri si frammenterebbe in quattro regioni principali: Nord America, Europa, Asia e Medio Oriente. All’interno di un simile quadro le conseguenze si manifesterebbero attraverso agitazioni sociali e conflitti geopolitici.” [33] —CONTINUA…
Andrew Marshall
Fonte: www.globalresearch.ca
Link: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=13070
6.04.2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di DOMENICO D’AMICO