DI MASSIMO FINI
Il Gazzettino
L’avanzata di Marine Le Pen in Francia, coniugata col fenomeno forse ancora più interessante di un’astensione, il 38%, che mai era stata così alta nel Paese transalpino, dei cosiddetti ‘populismi’ (confesso che non ho mai capito bene cosa significhi il termine ‘populismo’ e perchè debba avere un significato spregiativo), lo stesso indipendentismo veneto, la cui consistenza è stata documentata dal recente referendum, viene unanimamente interpretata come una protesta contro l’Europa. Secondo me l’Europa è il bersaglio più facile, poichè è astratto, su cui scaricare un disagio molto più profondo che la crisi economica (peraltro ancora molto relativa in Occidente, verrà di peggio) acuisce ma non determina. In discussione non è l’Europa ma il modello di sviluppo occidentale. Se ne è accorta perfino la Nasa.Uno studio finanziato dal Goddard Space Flight Center, filiale della Nasa, è arrivato alla conclusione che «la nostra civiltà presenta sintomi di degrado molto gravi ed è prossima a una fine che, senza interventi adeguati, arriverà molto presto, nel giro di qualche decade» (1).
Scrive ancora la Nasa: «Bisognerebbe cominciare a modificare in peggio il tenore di vita del mondo occidentale». Sono le cose che vado scrivendo da più di un quarto di secolo (‘La Ragione aveva Torto?’, 1985): un sistema basato sulle crescite esponenziali, che esistono in matematica ma non in natura, è destinato prima o poi al collasso. Potrebbe dire il lettore: che me ne importa di ciò che accadrà fra qualche decennio, io vivo ora. Oppure col sarcasmo di Oscar Wilde: «Che cosa hanno fatto i posteri per noi?». Il fatto è che noi viviamo male già ora, in preda a ritmi disumani che non sono solo quelli del lavoro ma dell’intera nostra vita.
Nella società contadina, preindustriale, non esisteva: il lavoro sfumava gradualmente nel riposo e il riposo nel lavoro. Non c’erano cartellini da timbrare. Il principio del pendolo, su cui si basa l’orologio moderno, fu scoperto da Galileo nel 1583 e poi utilizzato, con alcuni accorgimenti, da Huygens che nel 1657 creò il primo orologio a bilanciere, da tasca, ad uso privato. Prima c’erano solo i grandi orologi pubblici che battevano le ore dalle torri delle cattedrali.
Nel bel libro ‘La Regina che faceva la colf’, lei, la Regina, che fino ad allora era vissuta nel piccolo villaggio di Besoro nel sud del Ghana, quando arriva in Italia la prima cosa che la colpisce è che tutti portano un orologio al polso. Da lei quando l’ombra di un certo grande baobab cominciava a lambire le prime capanne del villaggio voleva dire che era venuta sera. L’orologio è una metafora della Modernità. Le sue lancette scandiscono i ritmi del nostro tempo e ce ne espropriano invece di rendercene padroni. Se n’è accorta anche la Nasa.
Massimo Fini
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29.03.2014