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IL NOSTRO F.D.P.

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A cura di Vichi genio
Il 25 Maggio 2005
58 Views

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Karimov: Il nostro figlio di puttana

Il sostegno dell’occidente al regime dittatoriale usbeco rivela il potere distruttivo insito nell’affidarsi a despoti e tiranni

DI JONATHAN FREEDLAND

”Provate a considerare la cosa come una maledetta scuola di politica estera. Si racconta che Franklin Delano Roosevelt, quando gli furono rivelati i vari crimini commessi dal suo alleato del Nicaragua, Anastasio Somoza, abbia risposto: “Sarà un figlio di puttana, però è un figlio di puttana dalla parte nostra.”

Passati oltre sessanta anni l’espressione sembra adattarsi bene all’atteggiamento americano, e quindi inglese, nei confronti del tiranno di Tashkent, che comanda la repubblica dell’Asia Centrale, l’Uzbekistan, sin da quando si è staccata dall’Unione Sovietica nel 1991.

Che si tratti di un figlio di puttana è fuori discussione. Come molti altri despoti prima di lui, Karimov ha fatto ricorso a metodi di oppressione risalenti a tempi medievali. Ecco spiegato i pentoloni dentro i quali ha fatto morire nell’acqua bollente due suoi critici nel 2002. In Uzbekistan ci sono più di 6.000 prigionieri politici; le attività economiche indipendenti sono state perseguitate, le pratiche religiose sono limitate al massimo, non esiste libertà di stampa, e Internet è sottoposto a censura. Il 26 dicembre scorso, quando il mondo assisteva stupito alla rivoluzione arancione in Ucraina, Karimov stava tenendo delle elezioni totalmente differenti, perché i partiti d’opposizione erano stati esclusi dalla competizione.

Ma, un momento, fra amici, cosa volete che sia un po’ di violazione dei diritti umani? Perché Karimov è sicuramente un nostro amico. Dopo l’11 settembre ha concesso agli USA di installare una base aerea a Khanabad, un aiutino molto utile per la incipiente guerra in Afghanistan. Da allora è stato molto contento di considerarsi il nostro più fidato guardiano dei rifornimenti di petrolio e gas provenienti dall’Asia centrale, molto desiderati dalla nostra repubblica desiderosa di affrancarsi dalla dipendenza degli stati del golfo. Si è anche offerto gentilmente di offrire il suo paese quale sede di quella che viene eufemisticamente chiamata “restituzione”, cioè la pratica di portare i sospetti di terrorismo in paesi meno schizzinosi degli USA e UK in fatto di torture e diritti umani. Ecco perché l’eroico Craig Murray, ex ambasciatore a Tashkent, è stato mandato via con tutti i suoi impiegati: secondo lui l’Inghilterra si stava “dannando l’anima” accettando di ricevere informazioni con questi metodi odiosi.

Mettendo da parte le lamentele di Murray sia Londra che Washington hanno espresso la loro gratitudine a Karimov. Per ringraziare il dittatore c’è stata una vera e propria processione di funzionari americani che si sono recati a Tashkent. Donald Rumsfeld, non contento della foto scattata nel 1983 con Hussein, ha lodato Karimov per la sua “meravigliosa cooperazione”, mentre l’ex segretario al Tesoro, Paul O’Neill, ha mostrato la sua ammirazione per “ l’acuta intelligenza e la profonda passione” con l’autocrate ha cercato di migliorare le condizioni di vita dei suoi cittadini.

Forse questo bel esempio di “figlio di puttana” sarebbe rimasto sconosciuto ai più se non fosse stato per quello che è successo nei giorni scorsi. Perché, quando si hanno degli amici non troppo raccomandabili, è bene che non li si guardi troppo da vicino. Ma questa settimana il mondo ha potuto vedere Karimov in azione. Quando i dimostranti si sono riversti nelle strade, giovedì scorso, il dittatore ha ordinato alle truppe di aprire il fuoco. Le fonti ufficiali usbeche parlano di 169 morti; mentre secondo vari gruppi umanitari i morti, quasi tutti disarmati, varierebbero fra i 500 e i 750.

Quando la gente è scesa in piazza a protestare in Libano, Ucraina, e Georgia, gli americani sono stati felici di dare il benvenuto al “potere del popolo”. Ma la coraggiosa protesta in Uzbechistan ha provocato una reazione diversa. Washington ha chiesto che le parti “dimostrassero moderazione”, come se i dimostranti disarmati avessero le stesse responsabilità di chi ha sparato loro addosso. Negli ultimi due giorni la canzone è cambiata un po’. Adesso il Dipartimento di Stato chiede che Tashkent “metta in atto delle vere riforme” e accenna ai “problemi sui diritti umani”. Forse è possibile che Washington possa decidere che Karimov è diventato una fonte di imbarazzo e che debba essere sostituito da qualcuno con una faccia nuova, più presentabile, però con la stessa affidabilità. Un po’ meno figlio di puttana, ma sempre dalla parte nostra.

I figli di puttana sono sempre stati un problema difficile da maneggiare, anche ai tempi di Roosevelt; non si adattano troppo con l’immagine dell’America che si considera un faro nell’oscurità del mondo. Ma la contraddizione, qualcuno la potrebbe definire l’ipocrisia, oggi è più grande che mai. Perché ci troviamo nell’era di Bush, e la dottrina di Bush consiste nel far nascere la democrazia e “il fuoco sempre acceso della libertà” in ogni angolo di mondo. Se questa è la retorica, allora è difficile farla andare d’accordo con una realtà nella quale si mandano pacchi di dollari a un uomo che mette a bollire i propri nemici.

Forse Bush dovrebbe rompere con il passato e condurre la sua guerra per la democrazia con mezzi puri e democratici. Ma questo lo spaventa. Se si permettono elezioni in paesi oggi sono considerati affidabili, come l’Egitto, l’Arabia Saudita, il Marocco, chi sa che cosa diavolo ne possa uscire fuori. Washington ha paura di perdere i suoi amici, sostituiti proprio dai suoi nemici: gli estremisti islamici, che sono la sola forza capace di vincere le elezioni in larghi strati del mondo arabo.

Questo è il problema. E quindi il caso che l’America, e quindi anche l’Inghilterra, non soltanto parli di democrazia ma che la pratichi pure è molto forte, e non solo in termini puramente idealistici. Bisogna dire che questo ragionamento ha, dalla sua parte, una buona dose di realpolitik.

Punto uno. I despoti sono cattivi alleati. Molto spesso diventano avversari. Basta ricordarne due che una volta sono stati i nostri f.d.p. Negli anni ’80 gli USA hanno sostenuto Saddam contro l’Iran e Osama Bin Laden contro i Sovietici. Gli USA hanno fornito a questi uomini le stesse armi che poi hanno rivolto contro di loro.

Punto due. Alleanze pragmatiche con il diavolo non funzionano. Anzitutto, dovendo reprimere i loro popoli, le tirannie fomentano il terrorismo, anziché prevenirlo. Ma alleanze di questo tipo in nome della democrazia portano discredito proprio alla causa che intendono servire. Così oggi i riformisti liberali che si trovano in Medio Oriente devono lottare per la loro causa presso l’opinione pubblica araba che è diventata diffidente perché pensa che “democrazia” significhi occupazione militare USA, rapina di petrolio e episodi come a Abu Ghraib.

Punto tre. Se la democrazia è veramente la panacea con cui Bush insiste, allora perché non ci si può fidare delle sue virtù magiche? Mettiamola in un altro modo, certamente un governo che rappresenta veramente il proprio popolo può garantire la libertà e la stabilità che Washington desidera a prescindere da quella che è la sua natura?

Forse il seguente fatto sarà più convincente. Gli stessi democratici del Medio Oriente non desiderano una rivoluzione democratica dalla sera alla mattina, essi sanno che nella loro società, dopo lo stato, l’unica sfera pubblica è quella delle moschee. E’ questo il motivo per il quale, se si tenessero le elezioni domani mattina, per esempio, in Egitto, i Fratelli Mussulmani prenderebbero il potere.

Ma se il mondo occidentale girasse l’aiuto finanziario e militare che già sta dando a questi regimi sotto condizione che, tempo tre anni, ci fosse una graduale liberalizzazione, con l’abolizione dlle leggi d’emergenza, con il finanziamento di nuovi partiti politici, allora si aprirebbero nuovi spazi, e il terreno non sarebbe occupato soltanto o dai despoti o dai mullah. Nuovi partiti e nuove forze potrebbero cominciare a organizzare un futuro contesto elettorale nel quale potrebbero avere decenti possibilità di successo.

Questa tattica sicuramente sarebbe più coerentemente logica rispetto a quella attuale, che si affida ai tiranni per far progredire la democrazia. In pratica avrebbe anche la possibilità di funzionare, anche in un posto come l’Uzbekistan.

Fonte: www.commondreams.org
Link:http://www.commondreams.org/views05/0518-30.htm<
18.05.05

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