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La Redazione

 

I piu' letti degli ultimi 7 giorni

IL NEW YORK TIMES IN FALLUJAH

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A cura di Davide
Il 27 Aprile 2005
40 Views

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E questo lo chiamate normale?

DI MIKE WHITNEY
Seattle, Washington

“le cose sono quasi tornate alla normalità, qui. Abbiamo insegnanti e
libri. Le cose stanno migliorando.”

New York Times del 26-03-05 “Vital signs of a Ruined City Grow stronger
in Fallujah”

“sapevo che non avrei mai più potuto alzare la mia voce contro la
violenza degli oppressi nei ghetti senza aver prima parlato chiaramente al
più grande fornitore di violenza nel mondo oggi: il mio stesso governo”

Reverendo Martin Luther King

Le telecamere non sono permesse a Fallujah; e così i giornalisti. Se ce
ne fossero stati avremmo avuto prove di prima mano del più grande
crimine di guerra americano degli ultimi trent’anni; il bombardamento in
stile Dresda di un’intera città di 250.000 persone. Invece, dobbiamo
affidarci a testimonianze oculari che appaiono su internet o alle false
relazioni che appaiono sporadicamente nel New York Times o nell’Associated
Press. Per la maggior parte, il Times e l’AP si sono mostrati
inattendibili; limitando la loro copertura ai dettagli che supportano gli
obiettivi dell’occupazione. Per esempio, durante le ultime settimane sia il
Times sia l’AP hanno diffuso storie sui presunti progressi compiutisi a
Fallujah. L’AP si è oltraggiosamente riferita alla malconcia città come
“il posto più sicuro in Iraq”; una cinica valutazione di ciò che i
giornalisti più indipendenti hanno chiamato distruzione quasi totale. Uno
può solo domandarsi se i redattori della AP approverebbero simili misure
cautelative se fossero toccati da vicino.
Il Times ha anche proposto una storia prolissa, “vital signs of a
ruined city grow stronger in Fallujah”, che ha ritratto Fallujah come una
città in via di ripresa dopo una sana dose di medicina imperiale: “le
lezioni sono riprese due mesi fa e le esclamazioni di gioia dei bambini
possono essere udite dai corridoi”. Questa era solo una delle sprezzanti
citazioni tratte dalla storia del Times riguardante la “rinascita”
dell’epicentro della devastazione americana. La citazione era accompagnata
da una foto che ritraeva un marine in tenuta da combattimento nello
sforzo di allacciare una scarpa ad un bambino iracheno di 7-8 anni;
un’immagine minacciosa usata per comunicare lo spirito di generosità
americano.

La verità riguardo Fallujah è molto differente dai rapporti fasulli nel
Times e nell’AP. Il fatto che persino ora, passati sei mesi pieni
dall’assedio, gli operatori video e i giornalisti siano interdetti dalla
città, ci dice molto riguardo l’estensione dei crimini di guerra
americani. Solo due settimane fa, un fotografo di “Al Arabiya news” è stato
arrestato mentre lasciava Fallujah, e il suo equipaggiamento e la pellicola
sono stati confiscati. Ad oggi, viene ancora trattenuto senza
spiegazione e non è indicato quando verrà rilasciato. Questo spiega la paura
all’interno dell’esercito che la verità su Fallujah venga a galla e
distrugga ogni modesto supporto rimasto all’occupazione. I giornalisti
dovrebbero realizzare che Fallujah potrebbe essere il tallone d’Achille
dell’amministrazione, un’atrocità in stile My Lai che porta il pubblico
nettamente contro la guerra di Bush. Le favole sul Times e sull’AP sono la
tipica propaganda in tempo di guerra; nulla di diverso dalle invenzioni
riguardo l’eroismo di Jessica Lynch o il Caro Leader giocherellante in
giro per Baghdad con un tacchino di plastica al seguito (la “visita a
sorpresa” di Bush, il giorno del ringraziamento). Gli articoli
suggeriscono che l’amministrazione ha organizzato una strategia per occultare
gli sgradevoli fatti riguardo l’annullamento della città. Insieme con
un’attiva campagna di disinformazione piuttosto importante nei quotidiani
principali della nazione, l’amministrazione ha assemblato un’operazione
di PR per modellare le percezioni del pubblico. Questo spiega perché
l’ufficiale numero due del dipartimento di stato, Robert Zoellick, è
comparso a Fallujah settimana scorsa per un servizio fotografico in una
panetteria e ad una stazione per il pompaggio dell’acqua. La visita di
Zoellick era progettata per attirare l’attenzione sui progressi fatti
nella ricostruzione di Fallujah. Invece, i suoi piani sono stati distrutti
da minacce alla sua sicurezza personale e lui è stato sospinto verso un
complesso militare fortificato in centro. Li è stato assediato dai capi
tribali della città, che si sono lamentati del cupo presentarsi della
ricostruzione.

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La comparsa di Zoellick avrebbe dovuto dare risalto al presunto ritorno
di 90000 cittadini di Fallujah alla città e sulle riparazioni che
sarebbero state fatte all’impianto idrico cittadino. All’atto pratico, non
c’è modo di verificare le affermazioni dell’amministrazione riguardo il
numero di residenti tornati in città, e si può ragionevolmente dubitare
che ci siano stati miglioramenti agli stabilimenti di trattamento
dell’acqua, agli impianti fognari, alla linea elettrica o agli ospedali;
tutti volontariamente bombardati durante l’assedio.
La gita “costruiamo confidenza” di Zoellick si è rivelata solo un altro
gambetto pasticciato nella lunga lista delle PR. Se è servito a
qualcosa, ha solo dimostrato che gli USA non hanno ancora alcun controllo
riguardo la sicurezza a terra, e che la maggior parte degli iracheni
stavano meglio sotto Saddam.
L’amministrazione Bush rivendica che l’esercito sta lentamente
provvedendo ad una compensazione per coloro le cui case sono state distrutte
durante l’offensiva a Fallujah ma, ancora, non c’è alcuna fonte
indipendente che possa verificare queste dichiarazioni e ciò sembra
incompatibile con la linea di condotta dichiarata. Zoellick ha fatto un sommario
succinto della politica di Bush nelle sue affermazioni rivolte ai capi di
Fallujah, “io so che non sarà facile. Ci saranno molte giornate
frustranti, persino minacce. Possiamo aiutare, ma siete VOI a dover far sì che
ciò avvenga”.

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I commenti di Zoellick sono un poco di più del distillato del credo di
Bush “voi siete da soli”; il tema sottinteso del “conservatorismo
compassionevole”.
E’ poco credibile che una persona qualunque a Fallujah sia così ingenua
da credere che l’amministrazione darà una mano per la ricostruzione.
Due anni sono passati dall’inizio dell’invasione e Baghdad ha ancora solo
tre o quattro ore al giorno di autonomia elettrica. I problemi con
l’acqua e il sistema fognario sono similmente gravi. Solo uno su cinque
iracheni ha accesso all’acqua potabile e ci sono ancora molte zone a
Baghdad dove è possibile vedere fogne a cielo aperto. Come risultato ci sono
stati bollettini riguardanti epidemie di colera, diarrea e altre oscure
malattie legate all’acqua.

Fallujah è indubbiamente destinata alla stessa sorte dell’Afghanistan.
I media creeranno l’illusione di miglioramenti per il pubblico
americano, celebrando le insensate decorazioni della democrazia (elezioni
simulate, rivendicazioni di sovranità, e la stesura di una costituzione)
mentre la nazione resta frazionata e sotto le brutali leggi dei signori
della guerra locali. L’Afghanistan è una colonia della droga, senza
legge, dominata da criminali e baroni della droga. Da ogni punto di vista,
il nostro intervento là è stato un completo fallimento. Il vero
Afghanistan non somiglia nemmeno lontanamente alla luminosa repubblica
democratica che adorna le pagine dei quotidiani americani. Fallujah e il resto
dell’Iraq possono aspettarsi lo stesso trattamento. Non c’è un piano B:
la strategia Bush per rovesciare i regimi e rimpiazzarli con un sistema
neoliberista è un approccio semplicistico al governo; una formula una –
taglia – per – tutti per una massima globale.

Nell’articolo di Naomi Klein “Il capitalismo delle disgrazie”, Klein
ci fa notare che non c’è realmente alcuna intenzione da parte degli USA
di ricostruire l’Iraq o qualsivoglia altro posto invaso per gli stessi
motivi. Quando il dipartimento di stato viene coinvolto, tramite il suo
Centro per gli Studi Strategici e Internazionali” (CSIS, Center for
Strategic and International Studies) “il mandato non è di ricostruire
alcun vecchio stato, ma di crearne uno democratico e orientato al sistema
di mercato”. Ciò implica il vendere “lo stato possedeva imprese che
crearono un’economia non in grado di resistere” e, conseguentemente
“cambiare la struttura reale della nazione”.
Ecco qui! Deregolamentazione, privatizzazione e controllo delle
risorse; lo stesso modello applicato ovunque, ancora e ancora. Il vero
obiettivo è un radicale, fondamentale cambiamento di sistema; “terapia shock”,
l’antidoto adatto a tutto prescritto dalla classe dirigente della
finanza e dell’economia mondiale. Questi cambiamenti sono facilitati tramite
i loro surrogati politici nell’amministrazione Bush, ed eseguiti dai
propri apparati di sicurezza privati (alias: l’esercito americano). Dopo
che l’Iraq sarà passato attraverso la corrotta transizione da governo
semisocialista a colonia capitalista senza regole, verrà inserita nel
nuovo ordine mondiale dei protettorati americani; depredata delle sue
risorse e soggetta alle regole straniere. Tutti i servizi e le proprietà
del governo saranno controllati dalle multinazionali e tutti i beni
saranno trattenuti dalle istituzioni di prestito internazionali, che
possiedono la quota maggioritaria della banca nazionale irachena.
La vera storia di Fallujah non apparirà mai sulle pagine del Times; le
armi vietate, i corpi congestionati, le migliaia di animali morti,
uccisi da armi chimiche illecite, la terra desolata di macerie e vite
rovinate. La grandezza del crimine semplicemente non si adatta all’interno
delle storielle su carta riguardanti un intervento benigno. Piuttosto,
il Times è concentrato sulla promozione di una storia credibile di
“rinascita nel mezzo delle rovine”; di vite riallacciate da un padre dal
cuore tenero a Washington e dai suoi discepoli pesantemente armati.
Stanno perdendo il loro tempo. La crudeltà dell’assedio e la vastità
della devastazione verranno finalmente portati alla luce e la flebile
apologetica del Times non varrà a nulla.

Il Times rimane il centro di comando della cronaca imperiale;
l’indispensabile formatore del compendio coloniale. Le sue pagine forniscono la
confusa logica per l’invasione di nazioni indifese, la razionalità per
la continua repressione, la richiesta cortina di fumo per i crimini di
guerra americani, e le dubbie giustificazioni per l’attuale
occupazione. Il lavoro a Fallujah è solo uno dei vari servizi che portano avanti
come allegato informativo della classe dirigente della Difesa. Eseguono
altri compiti misteriosi alla stessa maniera. Continuano ad essere
l’ingranaggio inestimabile nel macchinario del terrore statale, eseguendo
la loro funzione con straordinaria abilità.

Fonte:www.counterpunch.org
Link:http://www.counterpunch.org/whitney04182005.html
20.04.05

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ELWOOD

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