DI NASSIM NICHOLAS TALEB
nytimes.com
Il fiscal cliff non è proprio una “scogliera” e l’intero paese non precipiterà nell’oceano se dovesse arrivarci. Ci sarà solo qualche sconto fiscale che si rinnoverà automaticamente e il governo sarà costretto a tagliare qualche altra spesa.
Questo precipizio è in realtà solo una pista falsa.
Si comportano come quando noi compriamo un last minute, stanno cercando di evitare qualche taglio alla spesa e di non applicare i previsti aumenti delle tasse che entreranno in vigore il 1° gennaio, per salvarci dalla turbolenza.
Servirebbe semplicemente farci continuare con gli errori di politica che abbiamo fatto per anni, ma questo ci permette solo di stabilizzare temporaneamente l’economia, piuttosto che aggredire il profondo fallimento del sistema.
La stabilizzazione, naturalmente, è stata a lungo il copione dell’ economia del governo degli Stati Uniti, ha mantenuto bassi i tassi di interesse, ha puntellato le banche, ha fattoi acquistare debito- in-sofferenza e di stampare altro denaro.
Ma ha ottenuto solo l’effetto di curare un cancro metastatico con gli antidolorifici. E non solo ha lasciato aggravarsi problemi più profondi, ma ha anche fatto peggiorare la disuguaglianza. I banchieri hanno continuato ad arricchirsi con i soldi dei contribuenti ora appropriandosene, ora respingendoli. E stampare denaro ha portato benefici sproporzionati solo una certa classe.
L’aumento dei prezzi di beni e servizi ha fatto diventare i super-ricchi ancora più ricchi, mentre le entrate delle famiglie medie sono scese.
Una super-stabilizzazione serve a correggere anche quei problemi che non dovrebbero essere corretti e rende l’economia più fragile, e in un’economia fragile, anche i piccoli errori possono portare a profonde crisi e sprofondare tutto il sistema nel caos.
Questo è quello che è successo nel 2008. Più di quattro anni dopo l’inizio della crisi finanziaria, nulla è stato fatto per affrontare le vere cause alla radice.
Il nostro obiettivo invece dovrebbe essere un sistema anti-fragile – un sistema in cui gli errori non rimbalzino su tutta l’economia – e che possa essere manovrato per sostenere la crescita. Gli elementi chiave di un questo sistema sono il decentramento del processo decisionale e le garanzie che tutti gli attori economici e politici abbiano un loro “ruolo nel gioco.”
Due dei più grandi errori della politica degli ultimi dieci anni sono dovuti alla centralizzazione del processo decisionale. In primo luogo, la guerra in Iraq che, oltre alla sua drammaticità, è costata da 40 e 100 volte quanto si era stimato all’inizio. La seconda è stata la crisi del 2008, che a mio avviso è dovuta a una Federal Reserve fin troppo potente che ha messo sul mercato denaro a basso costo per soffocare la volatilità economica e con questa sua scelta ha fatto accumulare tanti dei rischi nascosti nel sistema economico e questi poi tutti insieme si sono gonfiati e alla fina hanno straripato.
Così come non abbiamo previsto questi due errori e il loro impatto reale, non ci siamo pronti ad affrontare nemmeno i prossimi, a meno che non ci confronteremo con il nostro attuale sistema: Molto incline agli errori . Fortunatamente, la soluzione può essere bipartisan, infatti acconteneterebbe sia quelli che condannano un governo federale troppo invadente, che quelli che non credono nel mercato.
Per prima cosa in un sistema decentrato, gli errori sono per natura più piccoli. La Svizzera è uno dei paesi più ricchi e stabili del mondo. E ‘anche altamente decentralizzata – con 26 Cantoni che sono autonomi e che prendono direttamente la maggior parte delle decisioni di bilancio. L’assenza di un monopolio in materia di tassazione centrale li mette in concorrenza sulle tasse e sull’efficienza burocratica. E se, ad esempio, il Cantone Giura dovesse fallire, questo fatto non destabilizzerebbe l’economia di tutta la Svizzera.
Nei sistemi decentrati, i problemi possono essere risolti prima, quando sono ancora piccoli e le parti interessate sono generalmente più disposte a pagare per risolvere i problemi locali (come la manutenzione di un ponte), che spesso li riguardano in modo diretto. E quando ci sono terribili crisi nella gestione economica – come uno stato che fallisce o uno stato incapace di adempiere ai propri obblighi pensionistici – questi casi locali non mettono necessariamente in ginocchio tutta l’economia nazionale. In realtà, gli stati e le municipalità che imparano dagli errori degli altri, di fatto rendono l’economia più forte.
E ‘un mito che la centralizzazione e i grandi volumi portino all’”efficienza”. Gli Stati centralizzati sono più inclini al deficit proprio perché tendono ad essere soggiogati dalle lobby e dalle grandi aziende, che crescono a dismisura con il fine di essere tutelate dai salvataggi dello stato. Nessuna grande azienda dovrebbe mai essere garantita perché questo crea un rischio morale.
Poviamo a considerare la differenza che esiste tra gli imprenditori della Silicon Valley, a cui viene insegnato che possono “fallire presto e spesso”, e le grandi aziende che succhiano soldi dai governi e, appena sono in difficoltà, chiedono di essere salvate con il pretesto che sono troppo grandi per fallire.
Gli imprenditori non chiedono salvataggi, ed i loro fallimenti non destabilizzare l’economia nel suo complesso.
In secondo luogo, tutti ci devono mettere la faccia su tutta la linea, in modo che nessuno possa far del male agli altri senza prima danneggiare anche se stesso. I Banchieri sono diventati ricchi – e sono ancora ricchi – trasferendo il loro rischio sui contribuenti (e non abbiamo ancora visto un crollo dei bonus per i dirigenti di aziende che sono state salvate dagli stati). Allo stesso modo, i burocrati di Washington non pagano mai per i loro errori, mentre i funzionari a livello comunale devono spesso affrontare l’ira degli elettori (e dei vicini di casa) che sono colpiti dagli effetti dei loro errori.
Se vogliamo che la nostra economia non sia solo resistente, ma che prosperi, dobbiamo lottare per una anti-fragilità, termine che vuole indicare la differenza che esiste tra una cosa che si rompe subito per un errore della politica, e una politica che dagli errori impara a non ripeterli. Dato che non possiamo smettere di fare né errori, né errori di previsione, facciamo in modo che il loro impatto sia limitato e localizzato, e che nel lungo termine possa contribuire a garantire prosperità e la crescita.
Nassim Nicholas Taleb, ex trader dei derivati, è professore al Polytechnic Institute of New York University. Autore del bestseller Il cigno nero (Il Saggiatore, 2008) e del recente “Antifragile: Things That Gain From Disorder.”
Fonte:http://www.nytimes.com
Link: http://www.nytimes.com/2012/12/24/opinion/stabilization-wont-save-us.html?_r=1&
24.12.2012
Traduzione per www.ComeDonChisciotte.org a cura di ERNESTO CELESTINI
Titolo originale “La stabilizzazione non ci salverà”