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La Redazione

 

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IL MITO DEL PIANO MARSHALL

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A cura di Davide
Il 2 Febbraio 2008
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Con martellante ripetitività gli squilibri e i problemi economici attuali vengono da più parti attribuiti all’inefficienza del libero mercato. Siccome però è sempre buona norma, nell’analisi economica e non solo, risalire alle radici del problema, propongo questo articolo di Jeffrey Tucker pubblicato nel ’97 da Free Market, in cui l’autore esplica la vera natura del Piano Marshall, ovvero le fondamenta su cui il mercato globale attuale è stato costruito, e le cui conseguenze continuano ad alimentare ingiustizia e oppressione in tutto il mondo.

Come tutti i progetti governativi, il Piano Marshall presenta tutte le caratteristiche della cospirazione: per quanto belle siano le intenzioni dichiarate con cui i governi infiocchettano i loro pacchetti, potete star certi che il vero contenuto non vi sarà mai rivelato, se non quando saranno stati aperti e come il vaso di Pandora avranno liberato nel mondo i loro doni malefici.

La voce del Gongoro

DI JEFFREY TUCKER
Free Market

Il cinquantesimo anniversario del Piano Marshall ha fornito ai media un’altra occasione per celebrare le opere buone del governo. Il tuffo a capofitto degli Stati Uniti nello stato sociale globale (quasi 100 miliardi in dollari attuali), hanno detto, salvò le economie europee dopo la seconda guerra mondiale. Un reporter, Garrick Utley della NBC, ha persino teorizzato che gli aiuti di Marshall spiegano perché la Germania orientale era povera e quella occidentale ricca.

Come l’economista Tyler Cowen ha notato, i paesi che ricevettero la maggior parte dei soldi del Piano Marshall (le alleate Gran Bretagna, Svezia e Grecia) si svilupparono più lentamente fra il 1947 e il 1955, mentre quelli che ricevettero meno soldi (le potenze dell’asse Germania, Austria e Italia) si svilupparono di più. In termini di prosperità nel dopoguerra, quindi, alla fine pagò di più essere stati nemici politici degli Stati Uniti anziché “beneficiari” della carità internazionale.

Ma questa verità è una notizia soltanto se pensate che il Piano Marshall fosse stato genuinamente inteso per aiutare i paesi stranieri. Ma come con tutti i programmi di governo, conviene guardare sotto la superficie. Quindi, quale fu esattamente il senso del Piano Marshall, così chiamato dal nome del generale George Marshall? È stato ben descritto nei lavori degli storici William Appleman Williams, Gabriel Kolko, Stephen Ambrose ed Alan Milward.

Marshall stesso ha svolto il ruolo di un burattino, rilasciando discorsi preparati dai giocatori dietro al piano. Il suo lancio iniziale, avvenuto a Harvard, fu che il denaro avrebbe posto termine “alla fame, la povertà, la disperazione e il caos.” Ma il reale esito del Piano Marshall fu una manovra politica atta a saccheggiare i contribuenti americani per mantenere le influenti corporazioni americane con i sussidi di governo. L’eredità del programma fu lo spropositato e perpetuo utilizzo degli aiuti esteri per scopi politici ed economici interni.

Dopo la fine della guerra, la popolarità di Harry Truman nei sondaggi cominciò a scendere, così come il prestigio del governo in generale. Il popolo americano aveva fatto enormi sacrifici per combattere la guerra ed ora voleva un freno al governo, che stava amministrando un’economia centralmente pianificata. Soprattutto, volevano la politica estera raccomandata da George Washington e da Thomas Jefferson: commercio con tutti, intrighi con nessuno.

Nella corrente predominante di pensiero c’era il senatore repubblicano Robert Taft, un eroe di tutti gli attivisti del libero-mercato del tempo. Chiedeva riduzioni di imposta, tagli di spesa e la fine “dell’interferenza in costante aumento nella vita delle famiglie e nel commercio dagli autocratici uffici governativi e capi sindacali.” Il partito repubblicano ottenne una vittoria travolgente nelle elezioni trimestrali del 1946, riprendendosi il congresso su una dura piattaforma contro l’estensione del governo.

Truman doveva fare qualcosa di grande e lo sapeva. Come riporta Charles Mee, aveva bisogno di “qualche grande programma che gli permettesse di riprendere l’iniziativa, qualcosa di abbastanza grande da permettergli di riunire tutte le fazioni tradizionali del partito democratico ed anche alcuni repubblicani a metà strada, ed allo stesso tempo, qualcosa che potesse ostacolare la falange repubblicana,” e lo facesse riconoscere come leader mondiale.

La soluzione era proprio davanti a lui: aiuti esteri, canalizzati attraverso le istituzioni corporative e mascherata dalla retorica dell’opposizione al comunismo straniero (ma non a quello domestico). Cinicamente, avrebbe fatto buon uso della Russia, che soltanto il giorno prima era stato il nostro gagliardo alleato in guerra, trasformandola in un mostro che doveva essere distrutto. Rubando la retorica anti-socialista dei repubblicani, Truman sperava di logorare i suoi avversari e di diventare un eroe sul palcoscenico mondiale.

Truman ebbe un’abbondanza di co-cospiratori, uomini che sono passati alla storia come gli architetti dell’originale Nuovo Ordine Mondiale. I leggendari istituzionalisti Averell Harriman e Charles Kindleberger erano figure centrali. Ma fu Dean Acheson, il sottosegretario di stato e lo statista più minaccioso dell’era dell’immediato dopoguerra, che inventò il programma per rendere permanente l’impero del tempo di guerra. Acheson persuase il segretario della Marina James Forrestal e l’intrallazzatore Clark Clifford a mostrare a Truman come si sarebbe potuta elevare una truffa politica come gli aiuti esteri ad una potente lotta ideologica su base globale.

Un poco noto gruppo di affari, fondato nel 1942 e chiamato Comitato per lo Sviluppo Economico, venne promosso a think-tank per un nuovo ordine internazionale – la controparte economica al Consiglio per le Relazioni Estere. I fondatori del comitato erano i capi delle maggiori industrie dell’acciaio, automobilistiche ed elettriche che avevano tratto beneficio dallo statalismo corporativo del New Deal. L’insieme dei suoi membri coincideva con l’Associazione per la Pianificazione Nazionale della sinistra più estrema, che era sfacciatamente nazional-socialista come orientamento ideologico.

Questi gruppi capirono chei loro margini di guadagno erano dovuti alle sovvenzioni di governo fornite dal New Deal ed ai contributi alla produzione del tempo di guerra. Dovendo affrontare la pace del dopoguerra, temevano un futuro in cui sarebbero stati costretti a competere su una base di libero mercato. La loro sicurezza personale ed istituzionale era in gioco, così si dettero da fare sognando strategie per sostenere un profittevole statalismo in un’economia pacifica.

Gli interessi economici corporativi, quindi, coincisero con gli interessi politici di Truman e fu così che nacque un’empia alleanza fra affaristi e governo. Avrebbero usato le miserie dell’Europa per riempirsi le tasche in nome della “ricostruzione” e della “sicurezza” contro le minacce fabbricate alla sicurezza americana.

Il caso utile venne nel 1947 con gli aiuti alla Grecia, dove il partito comunista stava facendo progressi elettorali. Truman vide la grande occasione e richiese 400 milioni di dollari in sussidi esteri, che il congresso approvò per colpire la Russia. Mentre ancora i soldi stavano venendo indirizzati a gruppi di interesse speciale, tuttavia, i membri del congresso appresero che il “collegamento russo” al partito comunista greco era stato fabbricato. Come si scoprì, la Grecia, come ogni paese europeo, semplicemente voleva i contanti.

Nondimeno, il successo politico della dottrina di Truman degli omaggi globali era stato dimostrato ed il copione per i miliardi in omaggi futuri era stato scritto. Nel corso dei cinque anni successivi, i “soldi di Marshall” avrebbero corrotto quasi ogni partito cristiano-democratico in Europa, trasformandoli in copie carbone del partito democratico degli Stati Uniti. Quei partiti politici a loro volta lavorarono per creare enormi stati sociali e piani regolatori che ancora oggi continuano ad ostacolare lo sviluppo economico europeo.

Sulle ali del successo in Grecia, Dean Acheson formò un comitato ad-hoc per trovare le “situazioni in altre parti del mondo” che “possano richiedere analogo sussidio tecnico e militare da parte nostra.” Senza il minimo sforzo, il comitato ad-hoc fu in grado di classificare la maggior parte dell’Europa come bisognosa di aiuto economico. Il comitato trovò scarsità praticamente di tutto e, in particolare, dei dollari per comprare le merci dell’America corporativa. Una mitica “scarsità di dollari” (come se il commercio fosse possibile soltanto in un mondo inondato di carta) era la crisi del momento.

Ma sotto la superficie, l’obiettivo vero era l’internazionalizzazione del New Deal, il sogno di ogni burocrate. Come disse nelle sue memorie Julius Krug, segretario dell’interno, il Piano Marshall, “essenziale alle nostre continue produttività e prosperità,” era una Tennessee Valley Authority su scala mondiale. “È come se stessimo costruendo un TVA ogni martedì.”

Tuttavia anche dopo il voto sulla Grecia, i sondaggi mostravano una tremenda opposizione pubblica a tutti gli omaggi all’estero. In un meeting, il repubblicano Charles Halleck, capo della maggioranza alla Camera, disse esplicitamente a Truman: “dovete capire che c’è una crescente resistenza a questi programmi. Sono stato fuori in campagna elettorale e lo so. Alla gente non piacciono.”

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Il gruppo di Truman ci aveva già pensato. Mesi prima del voto, riunì i direttori delle società più importanti per arruolarli alla causa. I membri di questo comitato organizzativo, raccolti dal Comitato per lo Sviluppo Economico, includevano, tra i principali, Hiland Vatcheller, presidente dell’Allegheny-Ludlum Steel Corporation; W. Randolph Burgess, vice presidente della Banca Nazionale della Città di New York; Paul G. Hoffmann, presidente di Studebaker Corp. (e più tardi amministratore dei fondi del Piano Marshall), così come i tesorieri della segreteria di AFL e CIO.

A guidare la carica corporativa per i profitti sicuri c’era Will Clayton, imprenditore del cotone del Texas il cui commercio stava per sperimentare un notevole boom sovvenzionato dalle tasse. L’ultima guerra mondiale aveva già reso la sua azienda la seconda maggiore azienda commerciale del cotone nel mondo. Diversamente dei suoi competitori durante il New Deal, mentre lavorava con il FDR per rovinare l’economia americana, era stato abbastanza astuto da spostare le sue operazioni in Brasile, Messico, Paraguay ed Egitto. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, era arrivato a vendere il 15 per cento di cotone del mondo.

A guerra conclusa, si riarruolò nella campagna per il fronte interno. Come sottosegretario di stato per gli affari economici nel 1947, anche Clayton vide la grande occasione. “Ammettiamolo apertamente,” disse in difesa dell’idea degli aiuti esteri: “abbiamo bisogno di mercati – grandi mercati – nei quali comprare e vendere.” Questa è la verità centrale di tutti questi aiuti. L’intenzione non è di aiutare i paesi stranieri; è di ricompensare le multinazionali di casa che effettivamente ottengono i contanti mentre il governo acquista influenza politica all’estero.

Niente venne lasciato al caso. Acheson lavorò con le elite corporative stabilite e lo State Department per creare una presunta organizzazione dal basso chiamata “Comitato dei Cittadini per il Piano Marshall.” Qualcosa come mille oratori che rappresentavano il gruppo girarono il paese per stimolare un supporto. Produsse inoltre testimonianze congressuali per conto di altre organizzazioni a sostegno del pacchetto di aiuti. Come Averell Harriman disse a parecchi ambasciatori europei durante una visita all’ambasciata britannica, non avevano mai visto niente di paragonabile al “diluvio di propaganda organizzata che l’amministrazione si prepara a liberare.”

Il compito di sostenere il caso economico venne lasciato a Will Clayton. Perversamente, egli pubblicizzò il Piano Marshall come il trionfo della “ libera impresa.” Inoltre, egli disse, se il comunismo arriva in Europa, “penso che la situazione che affronteremmo in questo paese sarà molto grave.” Dovremmo “riordinare e riadattare la nostra intera economia in questo paese se perdessimo il mercato europeo.”

Nei giorni prima del voto, i proclami diventarono più estremi e, con l’elite governo-media-corporativo-bancaria a bordo, la propaganda divenne sempre più isterica. Ci venne detto che sarebbe arrivata una depressione. Che gli Stati Uniti sarebbero stati bombardati. Saremmo entrati in una nuova guerra se il pacchetto di aiuti avesse fallito. La situazione è brutta come in Francia nel 1938. La vita americana come la conosciamo finirebbe immediatamente.

Quando il programma fu passato, cosa che avvenne facilmente (persino con il voto di Taft), l’inchiostro non si era ancora asciugato sulla legislazione che le navi cariche di merci già navigavano in alto mare. In ogni dato momento nei prossimi mesi, 150 navi trasportavano frumento, farina, cotone, gomme, borace, macchine per perforazioni, trattori, tabacco, parti di velivoli e qualsiasi altra cosa su cui i grandi fornitori domestici potevano mettere le loro mani.

Poiché per la maggior parte delle merci spedite nell’ambito del Piano Marshall, i produttori americani avevano il vantaggio: il 50 per cento doveva essere spedito su vascelli americani. Le esportazioni di petrolio verso l’Europa esplosero anche se le importazioni dall’Europa furono tagliate di un terzo. Nella distribuzione degli aiuti, c’era una preferenza per le merci finite, per impedire alle aziende europee di competere con i produttori americani sulla linea di produzione.

Prendendo una pagina dal manuale di Roosevelt, Truman escluse l’usuale burocrazia e stabilì un nuovo ufficio – l’Amministrazione per la Cooperazione Economica – per distribuire gli aiuti. Anch’essa era composta dai vertici dei maggiori interessi industrial-corporativi che beneficiarono a scapito del pubblico. Paul Hoffman dirigeva il gruppo e passò miliardi alle potenze corporative ben affermate. Come riassume lo storico Anthony Carew, il Piano Marshall “era in tutti gli aspetti principali un’organizzazione di affari guidata da uomini d’affari” (Hoffman più tardi divenne capo della Fondazione Ford, di estrema sinistra).

Soprattutto, gli aiuti vennero usati per acquisti a prezzi distorti per mezzo dei dollari delle tasse americane nelle mani dei governi europei. Il folle parapiglia per i dollari delle tasse fu una vergogna da ricordare, uno dei punti più bassi nella storia economica degli Stati Uniti. Ripetutamente, il congresso intervenne per assegnare all’America corporativa quello che realmente voleva: restrizioni che forzavano gli aiuti del Piano Marshall ad andare in acquisti di petrolio, alluminio, legno, tessile e macchinari americani.

Gli aiuti erano anche usati per sovvenzionare direttamente particolari ditte in paesi beneficiari, che ci fossero o meno mercati potenziali per i loro prodotti. Invece, le ditte ricevevano i soldi perché la loro esistenza continuata avrebbe sostenuto artificialmente le politiche di “piena occupazione.” E poiché i sindacati americani erano intimamente coinvolti nella scelta di chi avrebbe ottenuto i soldi, la parte del leone spettò alle aziende con i contratti subordinati all’iscrizione al sindacato, limitando paradossalmente la capacità dei mercati del lavoro di riadattarsi alle nuove realtà economiche.

Da una prospettiva economica, il Piano Marshall è stato modellato su una visione statica dell’investimento. Ai paesi veniva chiesto quali fossero i loro bisogni attuali e gli Stati Uniti rispondevano. Nemmeno si pensava alla possibilità che il solo sviluppo economico avrebbe potuto provvedere. Alla fine lo fece, ma solo dopo che il welfare del Piano Marshall venne tagliato ed i fornitori domestici poterono trovare dei mercati per i loro prodotti.

Il risultato fu il più grande trasferimento di ricchezza in tempo di pace dai contribuenti alle corporazioni nella storia degli Stati Uniti. E non erano solo dollari ad essere esportati. Con un massiccio “programma di esperienza tecnica” finanziato dalle tasse, le aziende europee vennero negli Stati Uniti a prendere lezioni nelle pratiche di amministrazione, visitando principalmente aziende automobilistiche sindacalizzate, stabilimenti elettrici ed enormi operazioni delle aziende agricole – i settori più socialisti degli Stati Uniti.

In totale, il Piano Marshall ha buttato 13 miliardi di dollari, o quasi 100 miliardi in dollari odierni. Abbastanza per radicare saldamente le aziende americane nei mercati europei, particolarmente in Gran Bretagna, in Francia ed in Germania. Le aziende controllate dagli americani hanno dominato nelle industrie di calzature, latte, cereali, macchine, automobili, merci inscatolate, raffinazione del petrolio, serrature e chiavi, stampa, gomme, sapone, orologi, macchinari per agricoltura e molte altre ancora.

Queste erano pure bolle di prosperità, investimenti forzati generati da affari sottobanco della peggiore specie. Effettivamente, Hoffman lavorò sotto il costante timore che racket venisse scoperto. Temeva che se un qualche giornalista intraprendente avesse esposto l’intera faccenda, udienze ne sarebbero seguite ed il programma sarebbe stato screditato. Ma questo non mai è accaduto.

Un anno dopo che il Piano Marshall ebbe cominciato a succhiare il capitale privato dall’economia, gli Stati Uniti caddero in recessione, precisamente l’opposto di ciò che i suoi fautori avevano predetto. Nel frattempo, i sussidi non avevano aiutato l’Europa. A ricostruire l’Europa sono stati la liberizzazione dei prezzi controllati, il mantenimento dell’inflazione sotto controllo e la limitazione del potere del sindacato del post-Marshall – cioè il mercato libero. Come lo stesso Hoffman ha ammesso nelle sue memorie, gli aiuti non hanno in effetti aiutato le economie europee. Il beneficio primario era “psicologico.” Una terapia davvero costosa.

L’eredità reale del Piano Marshall fu un’ampia espansione del governo nel paese, l’inizio della retorica della guerra fredda che avrebbe sostenuto lo stato sociale-bellico per 40 anni, una presenza globale permanente delle truppe e un intera classe di affaristi dipendente da Washington. Ha inoltre generato nell’elite di governo a Washington la convinzione che avrebbe potuto ingannare il pubblico su qualsiasi cosa, compresa l’idea che il governo ed i suoi gruppi di interesse collegati debbano governare il mondo a spese del contribuente.

Versione originale:

Fonte: www.mises.org

Link: http://www.mises.org/freemarket_detail.aspx?control=120
Settembre 1997

Versione italiana:

Fonte: http://gongoro.blogspot.com/
Link: http://gongoro.blogspot.com/2008/01/il-buon-samericano.html
28.01.08

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