DI CARLO BERTANI
Sarebbe un mondo meraviglioso, la terra dell’Eden, se una mattina Ariel ed Yits’aq non si fossero recati in centro, dopo la sbornia del Sabato sera…pardon…per festeggiare la fine dello Shabbat.
Dobbiamo riconoscere che nel Pianeta ci sono gravi problemi: c’è una devastante crisi economica, il futuro potrebbe riservarci nuove guerre, l’energia sarà più scarsa e cara, l’inquinamento ed il mutamento climatico potrebbero azzannarci all’improvviso…tutto sommato, però, potremmo trovare soluzioni, cercare con ostinazione di risolvere, di cambiare. Se Ariel ed Yits’aq non fossero scesi in centro, a Tel Aviv, quella Domenica mattina.
Non sappiamo se ci fosse il sole, ed un fresco vento proveniente dalla Galilea sospingesse i loro passi, oppure se le nubi giocassero a rimpiattino in cielo, scompagnate da quel vento di mare così carico d’aromi e d’umidità.
La sola cosa che sappiamo è che Ariel ed Yits’aq sono scesi in città dal loro sobborgo, magari per rivedere Sarah ed Esther – anche di questo non siamo certi – però lo hanno fatto.
Dove li ha condotti il Fato?
Gironzolando, hanno notato un negozietto d’abbigliamento: che male c’è, nel comprare una maglietta?
Ognuno di noi ha qualche maglietta ricordo – la cicloadunata di primavera o la festa della polenta – oppure quelle più serie, con il vecchio ponte di Mostar e tanti ricordi appesi ad ogni filo.
Ariel ed Yits’aq hanno appena partecipato ad un safari organizzato in terra di Gaza, e non vogliono privarsi di un ricordo, tanto per celebrare d’aver portato a casa la pelle.
Il proprietario del negozio offre, ovviamente, le migliori griffe, ma il prodotto “speciale” sono le magliette ricordo per i militari appena tornati da Gaza. Non potendo appendere alle pareti del salotto la testa imbalsamata di un bambino palestinese – con un safari “proibito” in Kenya ci potrebbe scappare anche la testa di un leone, ma a Gaza non offrono ancora quel servizio – il buon commerciate ha pensato di limitarsi all’icona.
E, per mostrare l’infallibilità dei cecchini con la stella di David, meglio sottolineare che con un sol colpo – risparmiare non è mai peccato nell’ebraismo – si riescono ad abbattere due prede. Come? Sparando ad una donna incinta: con un po’ di fortuna in aggiunta – le gravidanze gemellari non sono così frequenti – anche tre. Non vale ovviamente, prima di sparare, chiedere l’ecografia: ci si deve affidare alla “pancia” e basta, poiché un safari è un safari, ed ogni buon cacciatore deve fidare solo sulla prontezza e sull’istinto.
Potremmo fregarcene altamente di Ariel e di Yits’aq? Potremmo affermare che il nostro mondo necessità sì di profondi mutamenti, ma è ancora sano nei suoi fondamenti?
Prima che Ariel ed Yits’aq entrassero in quel negozio, potevamo avere dei dubbi: dopo, no. Per quale ragione?
Poiché entrare in quel negozio rappresenta il discrimine fra l’apologia della guerra e l’apologia della barbarie, che sono affari ben diversi – non tanto per i risultati sul campo, ahimé, poco dissimili – quanto per i segni, per i diversi imprinting che lasciano nella mente umana.
Una cosa è andare in guerra, altra invece è partecipare ad un safari con prede umane.
Non sappiamo se gli ufficiali selle SS che interravano vivi – fuori solo la testa – i bambini ebrei nei loro poligoni di tiro in alta Baviera, per provare la precisione sulla lunga distanza dei loro Männlicher, conservassero una sorta di ruolino, un carnet, come gli aviatori aggiungono in fusoliera una bandiera per ogni aereo nemico abbattuto. La Storia, a volte, è frugale nei particolari.
Vorremmo però domandare a due “Riccardi” italiani – Pacifici e Di Segni, l’uno presidente della comunità ebraica romana, l’altro rabbino-capo e valente medico – cosa pensano del mondo dopo aver visto quelle magliette.
A Pacifici – che conquistò la presidenza con la sua lista “pro Israele” – vorremmo chiedere in quale articolo del diritto israeliano sia scritto che in guerra non è solo permesso trucidare le donne incinte, bensì ne sia permessa l’apologia. Dunque, non è possibile relegare l’evento ad un “danno collaterale”: dopo Abu Ghraib e le torture, siamo giunti alle magliette della vergogna?
E, per favore, non giri attorno al problema come una pianta di zucca – sostenendo “che i negazionisti hanno detto o che gli iraniani hanno fatto” – ma risponda alla domanda, perché una pianta di zucca gira sempre e solo in tondo, attorno ad un letamaio.
Da Di Segni, invece – visto che Israele è uno Stato confessionale – vorremmo sapere dove, nella Torah, sia prescritto di trucidare qualsiasi nemico, donne incinte comprese. E vogliamo aggiungere alla ricerca, affinché non rimangano dubbi, anche i due Talmud e, già che ci siamo, incorporiamo anche la letteratura religiosa cosiddetta “minore”. Di Segni saprà perfettamente a cosa ci riferiamo.
Anche al rabbino, domandiamo d’essere preciso e di non lasciarsi prendere la mano da vecchie e nuove polemiche con i cristiani ed i musulmani: chiediamo solo, da acclarato studioso delle Scritture, di conoscere il versetto dove sia prescritto l’assassinio delle donne incinte e la sua apologia.
Per essere precisi, ci risparmi le tante citazioni sulla potenza del “Dio degli Eserciti”, perché quelle già le conosciamo: le donne incinte, e basta.
Al Presidente della Camera Gianfranco Fini – che a suo tempo appoggiò la “crociata” contro Saddam Hussein – vorremmo chiedere, nella sua veste di “grande amico” d’Israele, a quale pena condannerebbe chi uccide volontariamente le donne incinte. C’è un cappio ancora caldo a Baghdad.
Infine, all’onorevole Fassino – fondatore dell’associazione “sinistra per Israele” – vorremmo domandare quanto, a suo giudizio, sia “sinistro” veder circolare esseri umani con quelle magliette indosso.
Si potrà affermare che la notizia non è nuova, ed è già passata su Internet – cogliamo dunque l’occasione per ringraziare chi lo ha fatto – ma, a nostro avviso, è stata “triturata” nel frullatore dei media troppo velocemente.
Torniamo dunque a riproporre la riflessione sulle due apologie, guerra/barbarie poiché, se la prima è disdicevole, la seconda è criminale: fulmineo veleno per le menti.
Perché, signori miei, non si tratta solo di ciò che avviene in Israele, bensì di ciò che passa sui media dell’intero Pianeta: avremmo desiderato almeno un afflato di condanna, e invece il silenzio delle istituzioni assorda.
A forza d’aggiungere vergogne e mistificazioni, c’è da chiedersi se questo Pianeta sia ancora un posto degno d’essere calpestato con piedi gentili, un luogo ove portar rispetto per gli antenati che c’hanno preceduto, oppure se certe macchie non insozzino definitivamente ogni orizzonte, rendendolo improponibile, e dunque solo da distruggere.
Di certo, sappiamo che due Sturmschützen circolano per Tel Aviv, dopo aver scambiato una stella gialla con le mostrine, nere, delle SS. E, questo, non potrà mai più essere – a dispetto dei nostri sforzi – il migliore dei mondi possibile: anche per noi che siamo lontani dai parchi-safari palestinesi, per tutti.
Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.com
Link: http://carlobertani.blogspot.com/2009/03/il-migliore-dei-mondi-possibile.html
29.03.2009