IL LIMITE FOTO-SINTETICO: MITO E REALTA'

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DI DANIEL TANURO
Reseau Voltaire

Un nuovo concetto fa tendenza tra gli ambientalisti: il “limite foto-sintetico”.
L’espressione designa il fatto che l’umanità si approprierebbe di una parte, di volta in volta più importante e sproporzionata, della capacità foto-sintetica della Terra, al punto di stare per utilizzarne quasi tutta a breve termine. Nonostante poggi sui risultati di certi lavori di ricerca pubblicati in riviste scientifiche conosciute, questa affermazione è in realtà completamente fantasiosa e mistificatrice.

La tesi del “limite foto-sintetico” è stata resa popolare dall’autore americano Jared Diamond. Nel suo recente best seller, “Collapse” [collasso], Diamond presenta le cose nel modo seguente [1]: “potrebbe sembrare a prima vista” – scrive – “che l’offerta di luce solare sia infinita, in modo che si potrebbe dedurre che la capacità della Terra di produrre piante selvatiche e da coltura sia ugualmente infinita. Questi ultimi anni si è provato che non è così e non solo dal fatto che le piante crescono in modo ridotto nelle regioni artiche e nei deserti, se non gli si procurano calore o acqua. Più in generale, la quantità d’energia solare fissata nell’acro attraverso la fotosintesi delle piante, dunque la crescita delle piante nell’acro, dipende dalla temperatura e dalla piovosità. Ad una data temperatura e piovosità, la crescita della pianta che può essere sostenuta dalla luce del sole che cade su un acro, è limitata dalla geometria e dalla biochimica delle piante, anche se queste utilizzano la luce in quel punto in modo talmente efficace che nessun fotone attraversa le piante per raggiungere il suolo senza essere assorbito. La prima stima di questo limite foto-sintetico, nel 1986, concludeva che gli umani utilizzavano già allora ( per esempio, per le colture, le piantagioni degli alberi, i terreni da golf) o sottraevano o sprecavano ( per esempio la luce che cade sulle strade in cemento e sulle costruzioni) più o meno la metà della capacità foto-sintetica della terra. Considerato il tasso di crescita dal 1986 della popolazione umana, e specie dell’impatto di questa, si prevede che da adesso alla metà di questo secolo utilizzeremo la maggior parte della capacità foto-sintetica terrestre. Ciò implica che la maggior parte dell’energia fissata a partire dalla luce solare sarà utilizzata per scopi umani, ed una piccola parte sarà lasciata per permettere la crescita delle comunità vegetali naturali, come le foreste“.(p.491)
Perché semplificare quando si può complicare?

Biochimica delle piante, geometria del fogliame, fotoni che li attraversano, parametri di temperatura e di piovosità condizionanti la crescita vegetale, limiti di questa crescita nelle regioni desertiche: questo accumulo di considerazioni periferiche sul soggetto può dare al lettore la sensazione che Diamond lo inizi ad una materia di una temibile complessità. Ora, egli non fa che enunciare qualcosa di una banale evidenza.

E’ evidente che la quantità di piante che può nascere su una superficie finita x nel corso di un anno t non può essere che finita, e ciò resta evidente anche quando si aggiunge che il Sole continuerà ad emettere luce per un numero di anni quasi infinito per la scala umana ( 4,5 miliardi di anni). Non c’è né mistero, né paradosso.

Poiché la superficie del nostro globo è di 466 milioni di Kmq circa, esiste evidentemente un “limite foto-sintetico”, altrimenti detto tetto massimo della capacità delle piante verdi di fabbricare materia organica. C’è dunque anche un limite insormontabile allo sviluppo della vita sulla Terra, poiché la fotosintesi attraverso le piante verdi è alla base di ogni forma di vita. Non è stato necessario attendere “i calcoli degli ultimi anni” evocati da Diamond per rendersi conto che la produzione di biomassa ha un limite: i lavori di Vladimir Vernadsky sul concetto di biosfera, all’inizio del secolo scorso, non trattavano di nient’altro!

La questione non è sapere se esiste un “limite foto-sintetico”, ma sapere se ad esso ci stiamo velocemente avvicinando, come pretende Diamond.

Si potrebbe rispondere empiricamente che è necessario guardare attorno a sé per constatare che quantità di organismi viventi non sono assolutamente utilizzati dall’essere umano. Ma si possono anche anticipare delle cifre che, anche se approssimative, danno un criterio di misura affidabile. Così, secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, le terre emerse e gli oceani producono rispettivamente circa 140 miliardi e 32,6 miliardi di tonnellate di biomassa all’anno. Espressi in termini energetici, questi 172,6 miliardi di tonnellate equivalgono a 79,2 gigatoni di equivalente petrolio (Gtep), ovvero circa 8 volte il consumo mondiale annuale di energia.

Di questi 79,2 Gtep, la parte prelevata ogni anno dall’umanità ammonta a 3,8 Gtep (6% del totale), ripartito come segue: 2,1 Gtep in alimentazione, 0,4 Gtep in legno e carta, 1,3 Gtep in legno-energia. Da notare che lo studio del 1986, a cui “Collapse” allude e che esamineremo ora, propone anche una stima inferiore: 3,2%.

Da dove diamine ricava Diamond che “noi utilizziamo, sprechiamo o sottraiamo già nel 1986 circa la metà della capacità foto-sintetica della terra” e che ne utilizzeremo la maggior parte da qui al 2050?

Nei suoi consigli di lettura per un approfondimento (“Collapse“, propriamente parlando, non comporta altri riferimenti), egli rinvia ad una sola fonte: una pubblicazione apparsa nel 1997 nella rivista Science col titolo “Il dominio umano sugli ecosistemi terrestri” (p. 554): Gli autori di questo testo, P. Vitousek e altri, ci dicono che, delle terre emerse del globo, dal 10 al 15% sono occupate da colture o da zone urbane e industriali e dal 6 all’8% da pascoli permanenti, per un totale che và dal 16 al 23%. Ma qui si tratta di una stima delle superfici, non di una stima dell’impatto. Per passare dalla superficie occupata all’impatto umano sulla produzione biologica globale, conviene tener conto di due elementi supplementari, di cui l’uno agisce dall’alto e l’altro dal basso.

Il primo elemento è che l’impatto oltrepassa largamente i limiti della superficie occupata. Vitousek ed altri portano avanti sull’argomento un esempio assolutamente pertinente quando notano che “tutti gli ecosistemi sono influenzati dall’accrescimento di anidride carbonica nell’atmosfera“. Tutti gli ecosistemi sono probabilmente influenzati anche dagli agenti inquinanti organici persistenti (si trova del DDT e del PCB più o meno dappertutto), ma il caso dell’anidride carbonica è il più eloquente, poiché l’attività foto-sintetica aumenta su tutto il pianeta e, fino ad un certo punto, in funzione della concentrazione atmosferica in gas carbonico. Nella misura in cui la combustione dei combustibili fossili da due secoli e mezzo inietta nell’atmosfera quantità di carbonio che erano imprigionate nelle profondità della crosta terrestre da decine di milioni di anni e che non partecipavano alla circolazione atmosferica-biosferica-oceanica, non c’è alcun dubbio che l’attività umana, oggi, influisca sulla totalità degli ambienti naturali, su tutta la superficie del pianeta, senza alcuna eccezione.

Il secondo elemento da prendere in considerazione gioca nell’altro senso: la nostra specie è evidentemente ben lungi dal prelevare tutta la produzione biologica delle superfici che occupa. Non preleviamo né gli uccelli che vivono nei nostri campi, né i vermi di terra che scavano il suolo dei nostri pascoli, né le foglie dei meli dei nostri frutteti e non sfruttiamo che una minima parte della biomassa prodotta dagli ecosistemi forestali che manteniamo.

Con tutto il rigore scientifico, non si può dunque che dire questo: l’umanità preleva dai 3,2 al 6% della produzione biologica totale, l’attività umana occupa dal 16 al 23% delle terre emerse e tutti gli ecosistemi sul 100% della superficie del globo sono influenzati da questa attività, attraverso la produzione di CO2 fossile e di inquinanti chimici. Per evitare ogni malinteso, c’è da sottolineare che questa cifra del 100% di ecosistemi influenzati non significa in sé che staremmo per oltrepassare i limiti della biosfera. In effetti, altre specie, oltre la nostra, influenzano gli ecosistemi oltre la parte della produzione foto-sintetica che utilizzano, in modo che sommando tutte queste “influenze” si oltrepasserebbe allegramente il 100%….

Un nuovo concetto: la biomassa “dominata”

Vitousek ed altri, e Diamond con loro, non sono soddisfatti di questo stato di cose. Forse è troppo semplice e troppo chiaro per loro? E’ che, accanto ai concetti di “produzione biologica totale” e di “produzione biologica prelevata”, essi introducono, in più, il concetto di “produzione biologica dominata” dall’umanità, sommandolo al precedente, derivandolo da una stima della porzione di terre emerse, trasformate o degradate dall’umanità nel corso della sua storia: Citiamoli:”la parte delle terre emerse trasformata o degradata dall’umanità (o il suo corollario, la frazione della produzione biologica che è utilizzata o dominata) è compresa tra il 39% ed il 50%“.[2]

Facciamo notare di sfuggita che dieci anni prima, in un’altra pubblicazione sullo stesso argomento, firmata con Ehrlich ed altri autori, Vitousek, che ha in seguito sviluppato l’idea, anticipava la cifra del 30,7%. E’ senza dubbio questa progressione (dal 10 al 20% in dieci anni) che permette a Diamond di pronosticare che, con questo ritmo, nel 2050, l’umanità si sarà quasi completamente appropriata della capacità foto-sintetica della Terra. [Human Appropriation of the Products of Photosyntehsis » (P.M. Vitousek, P.R. Ehrilch, A.H. Ehrilch, P.A. Matson, 1986, Bioscience, 36:368-373)]

Ma questo ragionamento, semplicemente, non si regge in piedi. In effetti, bisogna muovere due importanti obiezioni: la prima è tecnica: riuscire a stimare la superficie delle terre immerse, trasformate o degradate dall’umanità nel corso della sua storia, costituisce una missione impossibile. Gli autori dello studio lo riconoscono: “la varietà degli effetti umani sul suolo fa si che ogni tentativo di riassumere globalmente le trasformazioni del suolo divenga materia astratta allo stesso tempo che un’incertezza sostanziale.” Tanto vale dire che anche le loro conclusioni rilevano astrattezza e sono di un’incertezza sostanziale….

Ma poco importa poiché la seconda obiezione è più importante: niente autorizza a dedurre “per corollario” che tutta la produzione biologica di questa terra, trasformata o degradata dall’attività umana, è “utilizzata o dominata” dalla nostra specie. Gli autori fanno, in questo caso, d’ogni erba un fascio: da una parte ciò che, della produzione biologica totale, preleviamo effettivamente ( e che è quantificabile con una certa precisione), e dall’altra parte ciò che, di questa produzione, non preleviamo assolutamente (e che riposa su stime “astratte di un’incertezza sostanziale”). Lo ripetiamo: tutta la produzione biologica realizzata sulle superfici trasformate dalle attività umane non è evidentemente “utilizzata o dominata” dall’umanità. La stessa cosa vale a maggior ragione per le terre degradate: supponendo anche che la formazione del Sahara sia stata favorita dagli eccessi dell’agricoltura a terreno debbiato, come pensano certi ricercatori, da ciò non deriva, evidentemente, che noi “utilizziamo o dominiamo” la vita dei fennec (volpi di sabbia del Sahara, n.d.t), degli scorpioni ed altre bestie, né che le loro capriole nella sabbia ci avvicinino al ” limite foto-sintetico”.

S’impiegherà un eufemismo per dire che il calcolo di Vitousek e colleghi è molto poco preciso e per di più assai poco utile agli ecologisti, poiché dà un’immagine doppiamente falsa del nostro impatto sulla biosfera. In effetti, da una parte amalgamando “utilizzazione” e “dominazione” tende ad esagerare l’appropriazione delle risorse naturali da parte dell’umanità; d’altra parte, paradossalmente, riduce la parte degli ecosistemi che in un modo o in un altro sono toccati dalla nostra attività. Questa parte, che è del 100% da svariati decenni, anche secoli, non può evidentemente crescere più e non diminuirà molto – o allora ( diminuirà, n.d.t.) molto lentamente e solamente se decidiamo saggiamente di non produrre più né CO2 fossile né inquinanti organici persistenti.

Scienza e ideologia

Conviene chiedersi perché ricercatori come Vitousek ed i suoi colleghi non si contentano del risultato riassunto sopra: 16-23% delle terre occupate, 3,2-6% di produzione prelevata, 100% di produzione influenzata?

La risposta è che sono alla ricerca d’indicatori che permettano di articolare la loro tesi: l’umanità è gentaglia che occupa troppo spazio e che si appropria di troppe risorse naturali sulla Terra, e questa gentaglia aumenta sempre più velocemente. Non è proibito a nessuno di condurre dei lavori di ricerca su questa base. Ma affinché questi lavori abbiano un valore scientifico, bisogna che il percorso intellettuale e gli strumenti utilizzati rispettino i criteri del rigore e della logica. Il concetto di “produzione biologica utilizzata e dominata” non risponde a questo criterio.

Quanto alla tesi che fonda questi lavori, essa non è scientifica ma filosofica. Poiché proprio di filosofia si tratta quando Vitousek ed altri pongono che l’Homo Sapiens “è solo una tra i 5 ed i 30 milioni di specie animali sulla Terra, che controlla una parte sproporzionata di risorse del pianeta“. Sproporzionata in rapporto a cosa? Non viene portato nessun argomento scientifico per affermare che esageriamo prelevando tra il 3,2 ed il 6% della produzione biologica del pianeta. Questa produzione costituisce, del resto, un flusso rinnovabile, e non un deposito esauribile, come l’ha fatto notare Michel Husson [3], a cui bisogna aggiungere che la parte prelevata dall’umanità non fuoriesce dai cicli naturali. Da un punto di vista strettamente quantitativo, il prelevamento che effettuiamo, in sé, non significa che saremmo in grado di “mangiare il capitale” delle risorse terrestri.

Si noterà senza dubbio che la sovra-pesca e la troppa caccia mettono in pericolo quantità di specie di pesci e di mammiferi. E’ assolutamente vero ed è un soggetto di preoccupazione maggiore che richiede misure energiche. Ma queste misure non sono supportate in nulla da un indicatore del prelevamento globale, nel complesso della produzione biologica ( soprattutto se questo indicatore confonde “prelevamento” e “dominazione”). In cosa la stima di un prelevamento da 3,2 a 6% sulla produzione biologica totale, o di una “dominazione” di più del 50% di tale produzione aiuterebbe chi di dovere a regolare la pesca di merluzzo nell’atlantico del Nord, o la caccia all’elefante in Africa? Per agire in questi campi, si ha bisogno d’indicatori esatti, non solo quantitativi, ma anche qualitativi, relativi alle popolazioni di merluzzi e di elefanti. Dire che un prelevamento globale da 3,2 a 6% è “sproporzionato” è un’opinione che si potrebbe qualificare di misantropia. Altre opinioni, umaniste, possono essergli confrontate in un dibattito politico. E questi dibattiti non si contrastano nel nome della Scienza, soprattutto quando la scienza consiste ad…inventare parametri ritagliati su misura per truccare opinioni su leggi naturali.

Ora che conosciamo le fonti delle affermazioni di “Collapse” riguardo questo “limite foto-sintetico”, che sta per essere raggiunto, e che padroneggiamo meglio il dibattito al riguardo, non ci resta che fare notare che Diamond utilizza questa fonte trasformandola sottilmente, per renderla più affascinante. Dalla sua penna, in effetti, “la produzione biologica utilizzata o dominata” diventa una produzione “utilizzata, sprecata o sottratta”, che è ancora peggio. Ma a forza di tirare la corda, questa rischia di rompersi. Pochissime foreste in Europa, o nessuna, possono essere considerate primitive. Quasi tutte sono state trasformate dall’attività umana. Ciò non toglie che queste foreste, specie quando non sono gestite in funzione del profitto, giocano un ruolo essenziale nella protezione della biodiversità, nel mantenimento dei terreni, e nella gestione delle riserve d’acqua. Pretendere che la capacità foto-sintetica di questa vegetazione stia per essere interamente “utilizzata, sprecata, o raggirata” a profitto della nostra specie è un’esagerazione palese, che rischia di screditare la lotta ambientalista.

Ma il culmine dell’esagerazione è raggiunto quando Diamond cita i territori di golf come un esempio di “capacità foto-sintetica utilizzata” dall’uomo: “utilizzavamo già nel 1986 (per esempio, per le colture, le piantagioni di alberi, i terreni da golf), sottraiamo o sprechiamo ( per esempio, luce sulle strade, in cemento e costruzioni) circa la metà della capacità fotosintetica della Terra“. Qui, per usare un eufemismo, questa affermazione è semplicemente ridicola. La proliferazione di terreni di golf non ha la nostra simpatia, ma che l’autore di “Collapse” si rassicuri e cessi di seminare il panico nei lettori: quando mette i piedi in un campo da golf, utilizza uno spazio riservato ai privilegiati, non la capacità foto-sintetica delle piante che spingono sotto e la sua attività sportiva non ci avvicina di un briciolo al “limite foto-sintetico”.

La tesi del limite foto-sintetico distoglie l’attenzione dalle vere minacce – il cambiamento climatico, l’avvelenamento chimico, i rischi nucleare e genetico – e da quelli che ne sono responsabili. Allo stesso tempo, contribuisce a diffondere un’angoscia tanto più temibile, in quanto il suddetto problema, come è presentato, sarebbe di un’ampiezza tale che potrebbe essere risolto solo da una drastica riduzione della popolazione.

Ed è proprio lì, in effetti, che vogliono arrivare Jared Diamond ed i suoi amici: diffondere l’idea che ogni politica ambientale resterà votata al fallimento se misure demografiche severe non saranno imposte ai popoli del Sud e se l’immigrazione del Sud verso il Nord non sarà soffocata. In “Collapse” arriva a comparare gli immigrati cinesi in Australia e negli Stati Uniti alle specie invasive d’insetti e dei funghi nocivi che causano problemi nelle foreste americane.

In Francia, un’affermazione simile condurrebbe JM LePen davanti ai tribunali, ma l’ambientalista Jared Diamond, membro della direzione del WWF, premio Pulitzer, due volte fregiato del titolo di miglior autore di libro scientifico, sembra al di sopra di ogni sospetto. A torto: coloro che s’ingegnano così a imbrogliare le carte della crisi ecologica, puntando sulla cosiddetta responsabilità dei poveri piuttosto che su quella del capitalismo – fanno un gioco pericoloso, propizio all’ascesa del razzismo e dell’irrazionalità, e anche alla banalizzazione della barbarie.

Daniel Tanuro è ingegnere agronomo ed ecologista, specialista del cambiamento climatico, delle alternative energetiche e delle politiche ambientali dell’Unione Europea.

Note:

[1] Jared Diamond, Collapse. How Societies Choose to Fail or Survive, Penguin books, 2005. Esiste un’edizione francese dal titolo « L’effondrement » ma le citazioni sono in inglese.

[2] « Human Domination on Earth’s Ecosystems » (Vitousek et al., Science, vol. 277, 25/7/97)

[3] Michel Husson, « Six milliards sur la planète. Sommes-nous trop ? », Textuel, Paris, 2000.

Daniel Tanuro
Fonte: www.mondialisation.ca
Link : http://www.mondialisation.ca/index.php?context=va&aid=6706
7.09.07

Tradotto per www.comedonchisciotte.org da DRACULIA

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