IL LEAP, LA CRISI E I NOSTRI COMPITI

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DI GIANFRANCO LA GRASSA
ripensaremarx

Abbiamo quasi sempre pubblicato i bollettini del Leap (francese), cui va dato atto di aver preavvertito la crisi (e la sua gravità) prima di altri; anzi, l’hanno preannunciata mentre altri cercavano di esorcizzarla semplicemente non parlandone (atteggiamento cieco e particolarmente stupido, tipico di tanti economisti ed “esperti” del piffero). Il blog, o almeno il sottoscritto, non si pone come esperto e tecnico; cerco di avere un qualche “intuito” a partire da determinate posizioni teoriche, che mi sforzo di rendere più rigorose e definite, pur sapendo che non si può pretendere attualmente, con tutte le macerie ideologiche sussistenti, di arrivare al massimo nella direzione intrapresa.

So anche benissimo che non si possono far discendere immediatamente, senza mediazioni e “giravolte”, certe posizioni e previsioni precise dalla semplice teoria (per di più, lo ripeto, in via di ripensamento, per il quale si prospettano tempi lunghi). Tuttavia, noi non abbiamo istituti studi, équipes di specialisti – spesso del resto assai poco affidabili o che mentono artatamente – intenti a rac-cogliere ed elaborare dati su dati, magari sui cosiddetti “fondamentali” dell’economia (a quanto poco stiano servendo per studiare misure anticrisi comincia ad apparire chiaro anche ai più digiuni in materia). Dunque, in mancanza di preparazione “specifica” e non avendo a disposizione personale specializzato addetto a darci delle “dritte”, ci arrangiamo in base ai nostri parziali, ma continui e progressivi, chiarimenti e rettificazioni teorici.Secondo me, stando a quanto elaborato in passato dal Leap, dovremmo già essere in piena crisi. Invece, una volta tanto, credo abbia ragione il FMI a dire che, tutto sommato e malgrado ormai i morsi della stessa si facciano ampiamente sentire, la crisi “vera” non è ancora arrivata. Adesso, vedo che il Leap ha corretto il tiro, sostenendo che la fase di reale smembramento del sistema interna-zionale dovrebbe arrivare nella seconda metà del 2009, e soprattutto nel quarto trimestre. A “intuito” sono portato a concordare con questa previsione; del resto, se si realizzerà un po’ prima o un po’ dopo, non cambia la sostanza del problema. Vedo pure che una certa curvatura economicistica, a mio avviso caratterizzante i precedenti bollettini del Leap, viene corretta in quest’ultimo, in cui appare un più deciso riferimento alla politica.

Tuttavia, ho alcune perplessità su determinati punti, e preferisco esplicitarle. Non sostengo di essere sicuramente nel giusto, ma sono piuttosto seriamente convinto di quello che andrò a dire. Intanto, il bollettino afferma che la situazione, cui condurrà questa crisi, ha somiglianze con quella europea del 1913. D’accordissimo, se con questo si vuol dire che vi sarà un “salto” verso la situazione di policentrismo, di cui parlo spesso anch’io. Tuttavia, per il momento, e tale momento sussi-sterà anche dopo questa crisi, ci troviamo nel multipolarismo (policentrismo attenuato per la presenza di un polo predominante, pur se non più come nelle fasi monocentriche). Si ricordi che il 1913 fu la vigilia dell’aperto scontro militare mondiale per la supremazia (poi proseguito con varie fasi fino al 1945). Francamente, escluderei che per altri vent’anni almeno ci sia qualcuno in grado di affrontare militarmente gli Usa; e anche da un punto di vista bellico in senso ampio, le potenze attualmente in crescita (in specie “ad est”) dovranno attenersi a zone di influenza “regionale” (cioè attorno ai loro confini), altrimenti rischiano di arrestare questa loro crescita.

Solo un economicista, a mio avviso, si può fare abbagliare – come già accadde con il Giappone fino ai primi anni novanta, dopo di che tale paese è entrato in débacle – dall’espansione finanziaria o dall’esportazione di capitali di paesi quali la Cina, del resto adesso abbastanza in panne a tal riguardo. Le azioni più efficaci, per fare un esempio concreto, sono quelle comportanti il contenimento, e forse inversione di tendenza, della penetrazione americana in Ucraina e Georgia, in quanto basi per ulteriori espansioni nella zona d’influenza russa. Altro punto importante, e caldo, dove si gio-cherà la partita multipolare si trova nelle Repubbliche centroasiatiche e in Afghanistan (e dunque Pakistan), dove si svolgerà una complicata e poco lineare azione (non so quanto ben coordinata) di Russia, Cina e India, tesa comunque, almeno credo, a limitare l’influenza americana in quella zona. Assai complesso il confronto più a est, verso la vera area del Pacifico, dove un Giappone “decotto”, e difficile da sottrarre alla dipendenza verso gli Usa, fornirà ancora, per un tempo non facilmente determinabile, ottimi atouts alla presenza americana.

*****

Vi è poi, mi sembra, nel bollettino del Leap una concezione secondo cui è mancata l’azione co-sciente delle autorità politiche, le quali potevano forse limitare i danni cooperando; il bollettino afferma che certe impalcature messe in piedi (e da rifare) sono “costruzioni umane, le quali sopravvivono soltanto finché l’interesse dei più è garantito”. Qui ci andrei cauto. Non vi è dubbio che la politica è decisiva, che certi apparati sono “costruzioni umane”, ma come precipitato – transitorio, spesso però di una transitorietà assai lunga a seconda dei concreti svolgimenti storici – di conflitti per interessi “propri” (“egoistici”), che si sviluppano in un campo completamente pervaso da tali flussi conflittuali. Come ho spiegato anche nel recente Il carattere di “feticcio” della merce, l’andamento della contesa – la sua comprensione, controllo, regolazione e sbocco finale – non è nella piena disponibilità degli attori in lotta. Inoltre, ho sostenuto altrove, e ribadisco, che l’azione non cooperante, ma appunto “egoistica”, non è sempre la più irrazionale. Soprattutto, è praticamente d’obbligo, malgrado le ciance dei “bene intenzionati”, quando manchi – come manca in campo internazionale – un’autorità, dura e se necessario brutale, che sappia far rispettare un dato ordine di decisioni, anche “aprendo il fuoco” su chi non si attiene ad un certo comportamento rigorosamente disciplinato.
Le buone intenzioni non servono a un fico secco. Ecco perché certe decisioni vanno prese sul piano nazionale, sbattendosene finalmente degli organismi internazionali – in Europa questo ormai sarebbe urgente, visto lo stato indecente degli organi della UE – e anche di regole presunte democratiche, che diventano sempre più simili a quelle in voga nella Repubblica di Weimar; un eterno caos e indecisione (fatti passare per spirito di mediazione) nel mentre la crisi imperversava, e la cre-scente subordinazione agli Usa (e alla sua finanza) pure.
Sono poi abbastanza decisamente convinto che il Leap sbagli quando pensa che la crisi colpirà maggiormente “le entità politiche più monolitiche, le più ‘imperiali’ che saranno stravolte nel corso della [sua] quinta fase”. Anche in precedenti bollettini si sosteneva, con linguaggio più esplicito, che gli Usa si troveranno in condizioni peggiori di quelle dell’Europa. Intanto un chiarimento terminologico, forse pedante ma tuttavia non inutile a mio avviso. Parlerei di una sola entità “imperiale”, esistente quando la fase storica è monocentrica (mai perfettamente, ma con buona approssima-zione). In una fase pienamente policentrica (tipo quella tra gli ultimi decenni dell’800 e il 1945) parlerei semmai di entità (potenze) “imperialistiche”. Nella fase (in un certo senso di transizione) multipolare, la situazione è assai fluida; esiste ancora un polo dotato di buon predominio, tuttavia contrastato – non con andamento crescente in modo lineare e continuo, ma comunque come tendenza di medio (lungo) periodo – da altre potenze in via di rafforzamento (per il momento solo regionale).

A parte questa precisazione di tipo definitorio, credo che persino ragionando in termini economici la crisi si presenti particolarmente complicata nella UE e nell’Eurozona. Intanto, per la sempre più manifesta inadeguatezza degli organismi comunitari: incapacità unita alla sudditanza agli Usa, con ben scarsa sensibilità invece nei confronti degli interessi dei paesi membri. Inoltre, l’intera Europa dell’est (ex “socialista”), dopo un periodo di buon sviluppo seguito allo sconquasso dei primi anni successivi al “crollo del muro”, è in condizioni di dissesto finanziario grave. L’Europa baltica sta ancor peggio. I tre quarti del debito complessivo del “blocco orientale” sono in mano agli “occidentali”, in particolare alle banche d’Austria (messe peggio di tutte), Italia, Grecia, Svezia e Belgio. L’insolvenza delle economie europee dell’est si rifletterebbe gravemente in pratica, direttamente o indirettamente, sull’intera UE.
Ci sono banche occidentali, fra cui la nostra Unicredit, che erano state ritenute lungimiranti avendo assorbito istituti finanziari dei paesi dell’est; adesso, con la labilità tipica degli “esperti” (che non sanno “esperire” un bel nulla), vengono trattate da azzardate e poco preveggenti. In ogni caso, una situazione molto grave, cui si aggiungono le pesanti situazioni di Inghilterra e Spagna. Leggo adesso su Ansa che la Polonia chiede di affrettare la sua entrata nell’Eurozona.
Atteggiamento che sarebbe poco comprensibile, se non ci fosse la speranza di “spalmare” la propria crisi sugli altri paesi (evidentemente i più forti) dell’area; speranza che mi permetto di pensare mal riposta.
Il mio “intuito” mi dice che gli Usa, pur dovendo passare con tutta probabilità per un periodo difficilissimo assai più a lungo di quanto dicano i soliti chiacchieroni (economisti, sia liberisti che keynesiani), alla fine se la caverà meglio (cioè meno peggio), proprio perché la politica (di un paese che è ancora il polo, cioè la potenza, decisamente più forte) farà premio sulla sola economia (reale e tanto più su quella finanziaria). Credo abbiano ragione i critici del piano di salvataggio deciso in questi giorni da Obama; senza però lo sperato atteggiamento bipartisan, poiché tutti i repubblicani alla Camera, e quasi tutti (salvo solo tre) senatori di quel partito, hanno votato contro. Tuttavia, re-sto convinto che, malgrado i dissesti che ci saranno, una politica sempre più protezionistica (e sempre meno velata in tal senso, man mano che passeranno i mesi) sarà più efficace (meno inefficace) di altre: non darà risultati ottimi, solo meno peggiori degli altri (in tale frangente, però, il “meno peggiore” è il “migliore”).

Così pure, malgrado le segrete speranze malevoli dei dominanti europei (l’establishment finan-ziario-industriale e i suoi “corifei” politico-ideologici), la Russia uscirà da questo periodo, che sarà anche per essa difficile, in condizioni migliori (meno peggiori) e con una dirigenza ulteriormente rafforzata a detrimento degli ormai agonizzanti filo-occidentali. Come mette in luce, fra molte altre cose, il bel libro di Jacques Sapir (Le nouveau XXI.e siècle) – mi dispiace di non avere proprio il tempo per farne un’adeguata recensione – l’ex seconda superpotenza, oggi in fase di rinascita, non ha al suo arco solo petrolio e gas, come molti pensano: sta rimettendo gradualmente a posto anche il suo apparato militare e rafforzando la ricerca scientifico-tecnica con tutti i settori avanzati della più moderna fase di industrializzazione. Certo, le entrate del petrolio – e anche qui, vogliamo ricordarci le balorde previsioni fatte non molti mesi fa dagli “esperti” circa il greggio a oltre 200, forse 250, forse perfino 300 dollari al barile? – sono fortemente cadute; questo crea difficoltà, ma non blocche-rà del tutto le decisioni strategiche russe, con i limiti che esse certo avranno dal nostro punto di vi-sta, poiché sono chiaramente quelle di un paese che si limita al tipico atteggiamento di una potenza. Tuttavia, se qualcuno continua solo a pensare alla “rivoluzione proletaria”, magari mondiale, è da manicomio o è un idiota elevato a potenza infinita. Per fortuna, sono ormai pochi questi scemi, e ci si può divertire come all’epoca di “Cochi e Renato” o addirittura della “banda dell’Ortica” di Jannacci (ve la ricordate? “Faceva il palo nella banda dell’Ortica, ma l’era sguercio, el ghe vedeva qua-si pù….”).

D’altra parte, il gasdotto Southstream – quello di Gazprom ed Eni, con estensione alla Sona-trach algerina e alla Noc libica – ha buone possibilità di battere quello denominato Nabucco: patro-cinato dagli Usa con l’appoggio di alcuni europei tipo la Merkel e gli organismi comunitari che vorrebbero finanziarlo per il 25%, oltre a cercare di coinvolgere le principali compagnie europee (E.on, Gaz de France, ecc.) in un “monopolio” europeo (leggi “suddito” degli Usa) dell’energia, cui si pre-tenderebbe entrasse anche l’Eni, al fine di opporsi alla Gazprom (partner importantissimo e affidabile della nostra azienda). D’altronde, incredibile ma vero, il progetto della Gazprom per l’Europa del nord (il Northstream), cui si oppongono con particolare violenza Polonia e paesi baltici (si meritano l’attuale prospettiva della bancarotta!), è stato bloccato dal Parlamento europeo su semplice richiesta di 30.000 cittadini (mi sembra proprio dei paesi baltici), per “motivi ambientali”, perché danneggerebbe certa fauna sottomarina. E’ stato chiesto di trovare “strade alternative” al percorso del gasdotto, cioè di fatto si chiede di rinunciarvi. Quanto ci possa essere, nel complesso dell’azione sostanzialmente anti-russa della UE, lo zampino di tedeschi (e forse anche francesi), a parte i paesi violentemente anti-russi, e per quali motivi reali lo si faccia – solo filo-americanismo spinto o volontà di restare predominanti in Europa, bloccando le aspirazioni del nostro paese? – non è facile da decifrare al momento.
Importante è che sta andando avanti con decisione e, penso, certezza di completamento il pro-getto Espo (Eastern Siberia Pacific Ocean), oleodotto lungo 4.000 km., che porterà il greggio sibe-riano a Kozmino, vicino al porto di Vladivostock. E’ stato in questi giorni raggiunto l’accordo tra russi e cinesi (tra Putin e Wen Jiabao) per costruire una derivazione di tale oleodotto che giungerà al complesso petrolchimico cinese di Daquing. Si tratta certo di decisioni che troveranno realizzazione a scadenza logicamente non breve. L’Espo sarà però poi duplicato, in tempi ancora più lunghi, da un progetto parallelo di gasdotto che trasporterà questa materia energetica dalla Russia alla Cina. In ogni caso, si profilano prospettive, e relativi accordi, che dovrebbero rafforzare i rapporti, per null’affatto basati su “amori reciproci” (su cui non nutrire alcuna fiducia), tra le due maggiori potenze previste quali possibili antagoniste degli Usa. Da quanto appena detto, si dovrebbe comprendere che simili progetti – e il Southstream di Eni-Gazprom (allargato a Libia e Algeria) appartiene a questa schiera – sono fondamentali per il multipolarismo, a sua volta decisivo nella fase di crisi en-trante ove si voglia giocare una multipla partita tra più poli, decisiva per meglio “sopravvivere”. Non si tratta solo di economia (e di fonti energetiche in specie), bensì di effettiva politica delle sfere d’influenza. Cerchiamo infine di capirlo!

*****

Data la situazione, mi sembra di un’ovvietà persino disarmante affermare che la nostra politica estera dovrebbe riprendere la strada in fondo già percorsa, a me sembra con eccessiva “timidezza”, dai vari Craxi, Andreotti, Moro. Una politica mediorientale, e più in generale sostanzialmente filo-araba, ma allargata ormai a paesi posti più ad est, primo fra tutti la Russia, ma anche l’Iran; e, oggi, mi sembra interessante la Turchia (comunque da seguire). La politica di un tempo era monca, per-ché era in pratica impossibile – in fondo, proprio in seguito agli accordi firmati a Yalta – svolgerla con atteggiamento decisamente amichevole nei confronti dell’Urss. Al crollo di questa, poi, sia gli Usa sia i nostri settori più parassitari – finanza, Confindustria dominata dalla Fiat, con politici “eu-ropeisti” di sinistra della “stoffa” (pessima) di Ciampi, Amato, Prodi, Draghi (con i giornali e catene editoriali che ben sappiamo); in fondo, insomma, “quelli dell’incontro sul Britannia”, pur se Prodi e Amato non vi erano di persona (secondo i “si dice”), ma lo era ad esempio Costamagna, “che diven-terà dirigente della Goldman quando sua moglie finanzierà l’ultima campagna elettorale di Prodi” (sempre secondo i “si dice”) – effettuarono un “colpo di mano”, mascherato da lotta alla corruzione; questa c’era, ben s’intende, ma era nulla in confronto ai danni procurati agli interessi del paese dall’annientamento della nostra minima indipendenza, disegno realizzato da settori detti “progressisti”.

Qui si è ben vista la potenza della propaganda ideologica; altro che quella berlusconiana, che comunque ci salvò, in extremis, dal progetto di questi gruppi totalmente anti-nazionali (non a caso “europeisti”). Eppure, le “folle plaudenti” furono convinte che i “ladroni” avessero mangiato l’intera Italia; non capirono un acca di quell’operazione che avrebbe divorato veramente le nostre risorse, dando vita a privatizzazioni di autentica spoliazione (e non perché io creda alla superiorità, di principio, del “pubblico”; questo spero sia ben noto ai lettori), creando la situazione attuale che ci vede in grave pericolo di disfacimento, se la crisi fosse veramente di massimo livello. Per fortuna, malgrado tutto, la gran massa dell’elettorato diccì e piesseì non se la sentì – ma per puro conserva-torismo, non perché capisse il progetto reazionario e veramente “ladrone” dei sedicenti progressisti – di seguire i rinnegati (senza pudore) del Pci e i rimasugli democristiani e socialisti salvati, più o meno alla guisa del partito dei contadini in Polonia nell’era del “socialismo reale”, per fare da “gradito contorno” al “piatto forte” rappresentato da chi fu deputato a condurre il “colpo di mano” per scelta statunitense e dell’establishment parassita interno.

Dopo il crollo dell’Urss, sembrò che gli Usa restassero l’unica superpotenza, a questo punto ef-fettivamente “imperiale”. L’Italia si schierò supinamente, a sinistra non meno che a destra (mi scuso ma devo continuare al momento ad usare queste ingannevoli categorie), con la superpotenza; dal completo servaggio ad opera dei finti progressisti (e autentici reazionari leccapiedi) ci salvò, per non più del 10%, il conservatorismo sfociato, in mancanza di altri sfoghi, nel berlusconismo; subito denunciato come fascismo dai veri sicari e scherani degli Stati Uniti. La solita tecnica del ladro che grida “al ladro”. Non parlo nemmeno della sinistra “estrema”, ormai diretta da veri cialtroni che parlano in un modo, ma poi agiscono quale pieno supporto degli s-fascisti alla Di Pietro, uno dei protagonisti dei vecchi avvenimenti del ’92-’93, seguiti in definitiva al suddetto incontro sul panfilo Britannia (giugno 1992, se ricordo bene).
Passarono dieci-dodici anni e il progetto imperiale statunitense cominciò a far acqua da più par-ti; penso si possa ormai ritenerlo scongiurato per i prossimi tempi, e si spera per sempre. A questo punto, non esistendo nemmeno più l’Urss con il suo soltanto sedicente “socialismo” (che comunque era ben sfruttato ideologicamente a ovest; e si cerca ancora di sfruttarlo contro Russia e Cina!), sa-rebbe possibile riprendere con ben altra lena, e con netto rafforzamento verso oriente, la politica di certo centro-sinistra d’antan. La crisi attuale – la cui “verità” effettiva si saprà, e in ciò concordo con il Leap, molto a breve, al massimo entro la fine dell’anno – contiene tanti pericoli, ma è anche un’occasione se la si volesse sfruttare. I pericoli dipendono dallo sfacelo della “sinistra”, sempre più “cancro da asportare”, che può aprire la strada agli s-fascisti (guardate che non è mia intenzione giocare sul termine fascismo, perché “questi qui” non sono nemmeno rivoluzionari dentro il capita-le, ma puri demagoghi in cerca di ribadire il nostro servaggio; non sono quindi nazionalisti, ma an-tinazionali! Per questo recuperano anche gli scervellati dell’“estrema sinistra”).

Certe recenti posizioni berlusconiane possono essere ritenute un “barlume” di ripresa di una politica appena più indipendentista. Credo però si tratti di pura illusione, soprattutto perché il “fascista” Berlusconi non ha la capacità – o forse le “relazioni giuste” – per essere veramente decisioni-sta, andando senza più esitazioni nella direzione di una maggiore indipendenza. Nessuno pretende scontri frontali con gli Usa, oggi di non credibile effettuazione. E’ però necessario porre ben altre basi (forti, molto forti, sul piano interno, dove certe forze politiche andrebbero spazzate via, metten-do “a regime” i parassiti e servi finanziario-industriali che le utilizzano) il riorientamento della politica estera. Anche il management di certe grandi imprese, di possibile uso per una politica volta ai nostri interessi, non sembra così deciso e fattivo come fu, all’epoca, il gruppo stretto attorno a Mattei. Di conseguenza, è necessario che siano gli agenti della sfera politica a muoversi con energia in una determinata direzione. Per il momento, non ci siamo proprio; ma o si cambia o si “crepa” (per modo di dire, ma non tanto).
Mi fanno ridere, ad esempio, le critiche al taglio alla ricerca di un miliardo di euro (se la cifra corrisponde a verità) operato dalla legge Gelmini. Si ha la sfrontatezza, da parte degli universitari e dei ricercatori, di ignorare i contributi dati “a pioggia” senza alcuna selettività atta a veramente raf-forzare il nostro cosiddetto “sistema-paese” nei confronti degli altri. Crederò all’opposizione ai tagli quando, contemporaneamente, si chiederà ad alta voce lo sbaraccamento di questo apparato di non ricerca e di non insegnamento (salvo le solite rare “punte” da sbandierare a sproposito)! E poi, in una contingenza (non breve) di calo delle risorse per la crisi, occorrono “soldi” per altre azioni ver-so l’estero, che non sono certo da pubblicizzare in modo esplicito (o facciamo gli ingenui e i santa-rellini?). Infine, bisogna rinunciare ai sussidi, a fondo ormai perduto in partenza, a settori decotti, onde concentrarsi su quelli che potenziano la nostra politica estera nella direzione più sopra indica-ta; quindi bene, strabene, una politica di pieno appoggio ad Eni-Gazprom, con tutto quello che ne deve però seguire sul piano dei rapporti internazionali.

Certamente, l’attuale Governo non è per nulla adeguato a tal fine; basti vedere l’odierna dichia-razione congiunta di Berlusconi e Brown (tanto per “distinguere” destra e sinistra!) contro il “protezionismo” di Usa e Francia. Sarebbe quindi necessario un cambio di passo netto, che oggi non si vede all’orizzonte. Non però la bestiale alternativa “di sinistra”, in qualsiasi rancida salsa si presen-ti. Contro questa prospettiva bisogna “sparare ad alzo zero”; è il peggio del peggio. Occorrerebbe una forza nuova; e piuttosto cattiva, ma solo perché decisa a realizzare intanto, in attesa della palin-genesi totale perseguita dalla “Classe Universale”, un netto cambiamento d’indirizzo complessivo del paese. E’ evidentemente necessaria anche la formazione di nuovi blocchi sociali all’interno; ma di questo in altra occasione. In ogni caso, ciò che esiste attualmente sulla “sinistra”, e in una parte consistente della “destra”, può condurci verso una situazione disastrosa: diciamo con qualche possi-bile riferimento alla Repubblica di Weimar. Se si arrivasse a questo punto, malgrado i veri sbandati esistenti nella sinistra che si crede radicale (alcuni si autodefiniscono comicamente comunisti) non se ne rendano minimamente conto, la soluzione rischia di essere obbligata e poco piacevole. Noi del blog, che però siamo perfettamente consci di non avere alcuna incidenza politica, ci opponiamo in fondo proprio a questa soluzione con quelle poche indicazioni fornite in quanto semplice politica di fase. E ci prendiamo a volte dei “rosso-bruni”: per fortuna, da parte di emeriti idioti. A me comun-que non interessa nulla della provenienza di chi vuol ragionare con il cervello (non con altri organi, o parti del corpo, “meno nobili”), rendendosi conto dei pericoli attuali e delle occasioni, che sareb-bero da non perdere, se le previsioni fatte dal Leap si verificassero

Gianfranco La Grassa
Fonte: http://files.splinder.com
Link: http://files.splinder.com/9415e5102aa248e37cad78ae066da024.pdf
20.02.2009

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