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La Redazione

 

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IL GRANDE GOLPE

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A cura di Davide
Il 8 Aprile 2009
34 Views

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Ringrazio gli amici di Comedonchisciotte per avermi chiesto di tradurre questo pezzo: Non solo delinea chiaramente (per quanto sia possibile) la perversa complicazione degli strumenti finanziari che caratterizzano il capitalismo predatorio contemporaneo, ma fa i nomi e i cognomi degli autori di questi crimini. Perché i movimenti della storia e delle economie e delle nazioni trascendono l’individuo, ma c’è bisogno dell’azione dei singoli perché i singoli delitti vengano commessi.

Domenico D’Amico (doppiocieco.splinder.com/)

 

DI MATT TAIBBI
rollingstone.com/

La crisi economica globale non è una questione di soldi, ma di potere. Ecco come i referenti politici di Wall Street stanno usando i “salvataggi” economici per fare una rivoluzione

È finita – siamo ufficialmente fottuti, fottuti alla grande.

Nessun impero può sopravvivere se diventa lo zimbello universale, il che è precisamente quello che è successo qualche settimana fa, quando i buffoni che hanno governato questo paese alla fine sono andati troppo oltre. È accaduto quando il Segretario al Tesoro Timothy Geithner è stato costretto ad ammettere che sarebbe stato obbligato, ancora una volta, a imbottire di miliardi di dollari dei contribuenti un gigante assicurativo moribondo di nome AIG, esso stesso simbolo pregnante del nostro declino nazionale – una corporation che è diventata ricca assicurando il cemento e l’acciaio dell’industria americana nei suoi anni migliori, solo per autodistruggersi a caccia di tesori fantasma sul tavolo verde di Wall Street, come un nobiluomo dissoluto di un Impero Britannico al tramonto che sperperasse al gioco il patrimonio di famiglia.

L’ultimo salvataggio si è avuto quando la AIG ha ammesso di aver appena registrato le perdite quadrimestrali più ingenti della storia delle imprese americane – qualcosa come 61,7 miliardi di dollari. Negli ultimi tre mesi dello scorso anno, questa compagnia perdeva più di 27 milioni di dollari all’ora. Sarebbero 465.000 dollari al minuto, il reddito medio di una famiglia americana ogni sei secondi, e all’incirca 7.750 dollari al secondo. E questo succedeva alla fine di otto anni in cui l’America si era dedicata senza sosta alla caccia frenetica di una fantasmatica minaccia terroristica, una caccia senza costrutto, otto anni passati a bloccare ogni singolo cittadino in ogni singolo aeroporto, perquisendo ogni borsetta, borsa, tasca o valigetta in cerca di succhi di frutta e dentifrici esplosivi. Eppure, a quanto pare, il nostro governo non aveva gli strumenti per perquisire i libri contabili di compagnie che detenevano un potere di vita o di morte sulla nostra società, ed era incapace di individuare, nella nostra economia, buchi grandi come la Libia (il cui intero PIL dell’anno scorso è stato meno ingente delle perdite che l’AIG ha avuto nel 2008).

Quindi è il momento di riconoscerlo: siamo dei buffoni, protagonisti di una specie di commedia granguignolesca che narra delle nozze tra avidità e idiozia. E la cosa peggiore è che ci rifiutiamo ancora di ammetterlo – continuiamo a credere che questo sia un qualche sfortunato incidente, non la creazione di un gruppo di psicopatici di Wall Street a cui abbiamo permesso di stuprare in massa il Sogno Americano. Quando Geithner ha annunciato il nuovo salvataggio da 30 miliardi, la linea ufficiale era che la povera AIG fosse solo vittima di una sfortuna nera – una cattiva annata per gli affari, si sa, con tutta la crisi finanziaria e il resto. Edward Liddy, amministratore delegato della compagnia, ha in effetti usato come termine di paragone il raffreddore: “Il mercato, ora come ora, ha una certa febbre,” ha detto, “Quando il mondo si prende la polmonite, ce la prendiamo anche noi.” Nel patetico tentativo di intorbidare le acque citando un paio di nomi importanti, si è perfino lagnato che l’AIG stesse soffrendo degli “stessi problemi che fanno precipitare i prezzi degli immobili, abbattuto i rendimenti delle liquidazioni e il portafoglio di Warren Buffet [1].”

Liddy fa sembrare l’AIG come l’orfanello in fila per un po’ di zuppa, affamato e male in arnese a causa del clima finanziario creato da qualcun altro. Dimentica, molto convenientemente, di accennare che l’AIG ha passato più di dieci anni tramando per sfuggire ai controlli sia statunitensi sia internazionali, o anche che una delle cause della sua “polmonite” era data dalle mastodontiche scommesse da 500 miliardi di dollari, fatte con denaro che non aveva, in un mercato dei derivati tossico e del tutto privo di controlli.

Nessuno si è ricordato, inoltre, che quando l’AIG si è finalmente alzata dal tavolo del casinò di Wall Street, spennata e al verde nel livido mattino, doveva soldi a mezzo mondo – e che una grossa fetta del denaro dei contribuenti usato per questo particolare salvataggio truffaldino sarà usato per ripagare gli altri giocatori di quel tavolo. O che quello era un casinò davvero unico, un casinò in cui la classe media copre le puntate dei miliardari.

La gente è incazzata a causa della crisi e a causa di questi salvataggi, ma non è incazzata abbastanza. La realtà è che il tracollo economico mondiale e il salvataggio finanziario venuto dopo sono, messi insieme, una specie di rivoluzione, di colpo di stato. Concretizzano e rendono ufficiale una tendenza politica che si va affermando da decenni: la conquista graduale del potere di governo da parte di una piccola classe di insider ben ammanicati, che hanno usato il denaro per controllare le elezioni, acquistare influenza e indebolire sistematicamente i controlli sul sistema finanziario.

La crisi è stata il colpo di grazia. Avendo mano libera sull’economia, questi stessi insider hanno prima sfasciato il mondo della finanza, e poi si sono astutamente attribuiti poteri emergenziali quasi illimitati per ripulire lo scempio che avevano provocato. E così i giocatori patologici alla guida di compagnie come l’AIG non sono finiti al verde e in galera, bensì serrano la gola, con una stretta mortale tipo Alien, sia al Tesoro sia alla Federal Reserve – “i nostri partner nel governo,” come ha detto Liddy, con sconvolgente naturalezza, dopo l’ultimo salvataggio.

L’errore che in molti fanno guardando alla crisi finanziaria è vederla in termini di soldi, uno schema mentale che può portare a vedere lo sfacelo in corso come una grossa pillola ammazza-bonus per quelli di Wall Street. Ma se la si osserva in un’ottica puramente machiavellica, ciò che si vedrà è una fenomenale presa di potere che minaccia di trasformare il governo federale in una specie di Enron al cubo – un’immane, impenetrabile scatola nera affollata di insider che fanno affari tra loro, allo scopo di assicurarsi un profitto individuale a spese di una moltitudine di ignari e involontari azionisti, precedentemente noti come contribuenti.

I – IL PAZIENTE ZERO

Per comprendere la crisi finanziaria il modo migliore è comprendere il tracollo che ha travolto l’AIG. L’AIG mostra quello che succede quando tizi piccoletti e pelati, manager di tediose burocrazie finanziarie, cominciano a vedere nello specchio Brad Pitt. L’AIG è una compagnia che nel corso di più di un secolo si è costruita un’enorme fortuna scommettendo sugli assicurati coscienziosi – gente che allaccia la cintura di sicurezza e costruisce case su terreno rialzato – per dilapidarla in un anno o due, perché hanno affidato il loro intero bilancio nelle mani di un tizio che si comportava come se a fare grosse scommesse coi soldi degli altri gli venisse un uccello sempre più grande.

Joe CassanoQuel tizio – il Paziente Zero del crollo economico globale – era un certo Joseph Cassano [foto a fianco], dirigente di una piccola sezione (400 impiegati) all’interno di una compagnia di nome AIG Financial Products (AIGPF). Cassano, un laureato del Brooklyn College cicciottello e stempiato, dagli occhietti penetranti e la fronte fin troppo ampia, si era fatto le ossa negli anni 80 lavorando per Mike Milken, il nonno dei moderni alchimisti del debito di Wall Street. Milken, che fece da battistrada per l’uso creativo dei titoli spazzatura, contava sul suo genio messianico, insieme a un intero arsenale di trucchi da insider, per evitare di essere scoperto nella sua opera di devastazione finanziaria. Cassano, invece, era solo una piccola merda rapace con un’inclinazione per la contabilità creativa, che ha condotto la sua frode in piena luce, grazie alle deregulation del casinò di Wall Street fatte da Washington. “Riguarda tutto il contesto delle regolamentazioni,” ha detto un esponente del governo che si occupa del salvataggio dell’AIG. “Questi tizi cercano le falle nel sistema, modi per fare affari senza l’interferenza del governo. Se si trova un punto privo di regolamentazione, è lì che si ammucchiano.”

Il macello creato da Cassano ha le sue origini in un boom di investimenti scatenato in parte da un nuovo genere di strumento finanziario chiamato “obbligazione collateralizzata di debito” [collateralized-debt obligation] [2]. Una CDO [3] è come una scatola piena di un guazzabuglio di titoli. Ci può essere dentro di tutto: ipoteche, prestiti aziendali, mutui di compagnie aeree, prestiti sulle carte di credito, perfino altre CDO. Così, finché X paga la rata dell’ipoteca, finché Y paga il debito dell’azienda, e finché Z paga le rate della sua carta di credito, i soldi continueranno ad affluire nella scatola.

L’idea alla base delle CDO è che ci sarà sempre un po’ di denaro dentro la scatola, non importa quanto siano aleatori i titoli al suo interno. Ma non importa con che angolazione si guarda a uno scapolo, ex detenuto e disoccupato, che cerca di pagare una casa con sei camere da letto: sembrerà comunque un pessimo investimento. Ma scaricate il suo mutuo nella scatola, mischiandolo con uno spezzatino di rate dell’auto, debito di carte di credito, obbligazioni societarie e altra monnezza, e potrete essere ragionevolmente sicuri che qualcuno finirà per pagare. Diciamo che il flusso di denaro nella scatola debba essere di 100 dollari al mese. Anche se cascasse il mondo e il 90% dei pagamenti andasse in protesto, prendereste comunque il restante 10%. Quello che gli inventori della CDO hanno fatto è stato dividere la scatola tra gruppi di investitori e mettere quel 10% in un livello tutto suo, o “tranche” [4]. Poi hanno convinto le agenzie di rating come Moody’s e S&P ad attribuire a quella tranche (la migliore) la valutazione più alta (AAA) – implicando che fosse quasi a rischio zero.

Di colpo, grazie a questo sigillo finanziario di approvazione, le banche ebbero modo di trasformare i loro mutui più cessi, insieme ad altra monnezza finanziaria, in forme di investimento, e di venderli a investitori istituzionali come fondi pensione o compagnie assicurative, obbligati dalla legge a tenere il loro portafoglio titoli il più al sicuro possibile. Dato che le CDO offrivano tassi di rendimento più alti di titoli veramente sicuri come i buoni del tesoro, non c’era proprio partita. Le banche fecero una fortuna vendendo le CDO, e i grandi investitori ne fecero ancora di più detenendole.

Il problema era che tutto questo non aveva alla base niente di reale. “Le banche sapevano di vendere spazzatura,” dice un operatore londinese di una delle società salvate dal governo. Per ottenere un rating di classe AAA, le CDO non si basavano sui titoli che contenevano veramente, ma su formule matematiche demenziali che le banche si inventavano per far sembrare l’investimento più sicuro di quanto lo fosse in realtà. “Avevano da qualche parte un sottoscala dove un gruppo di indiani, che da dio sa quanti anni non facevano che calcoli matematici, ogni tanto veniva fuori con un qualche modello che diceva che questa o quella combinazione di debitori avrebbe dichiarato fallimento una volta ogni diecimila anni,” dice un giovane operatore che vendeva CDO per una grande banca d’investimento. “Era una follia.”

Ora che perfino i mutui più fetidi potevano essere venduti a investitori tra i più prudenti, le CDO incoraggiarono un’enorme esplosione di prestiti irresponsabili e predatorî. Di fatto, la ressa per sottoscrivere CDO era tale che divenne difficile reperire abbastanza mutui subprime – intendi: abbastanza spacciatori disoccupati desiderosi di comprare case da milioni di dollari senza anticipo – per accontentare tutti. Man mano che banche e investitori di ogni genere acquisivano sempre più CDO e strumenti analoghi, ebbero bisogno di una qualche maniera di proteggere le loro enormi scommesse – qualche tipo di polizza assicurativa, nel caso la bolla immobiliare scoppiasse e tutto quel debito migrasse in massa verso mercati più caldi. Questo valeva in particolar modo per le banche d’investimento, molte delle quali rimasero incastrate a fare da deposito per più CDO di quante riuscissero a venderne. Ed è qui che entra in scena Joe Cassano.

Noto per la sua sfacciataggine e arroganza, Cassano giunse a capo dell’AIGFP nel 2001. Era il favorito di Maurice “Hank” Greenberg, il capo dell’AIG, che ammirava i suoi modi decisi, anche se né lui né i suoi successori capivano completamente cosa facesse Cassano. Secondo una fonte che ha familiarità con le procedure interne all’AIG, quello che in sostanza Cassano disse ai soci anziani fu: “Voi conoscete le assicurazioni, io conosco gli investimenti, perciò voi fate quello che fate e io farò quello che faccio – lasciatemi lavorare.” Avuta mano libera da parte della compagnia, Cassano partì dal suo ufficio di Londra con l’obbiettivo di vendere una redditizia forma di “assicurazione” a tutti quegli investitori coi portafogli strapieni di CDO. Il suo strumento di elezione fu un ennesimo marchingegno finanziario conosciuto col nome di credit-default swap, o CDS [5].

Il CDS venne reso popolare dalla JP Morgan, in particolare da parte di un gruppo di giovani e creativi banchieri che in seguito divennero noti come la “Mafia di Morgan”, visto che molti di loro proseguirono nel conquistare posti di spicco nel mondo della finanza. Nel 1994, tra un cicchetto e una partita di tennis in uno stabilimento turistico di Boca Raton, in Florida, la gang di Morgan escogitò un sistema per incrementare gli introiti della loro banca. Uno degli obbiettivi era quello di trovare un sistema per fare più prestiti, aggirando i regolamenti che imponevano di accantonare un certo ammontare di contanti che facesse da garanzia per i mutui erogati. Quello con cui vennero fuori era una primitiva versione del credit-default swap.

Nella sua forma più semplice il CDO è la scommessa su un risultato. Diciamo che la Banca A concede un mutuo ipotecario di un milione di dollari al Papa, per una residenza nel West Village. La Banca A vuole ridurre il suo rischio, nel caso il Papa non ce la faccia a pagare tutti i mesi, così acquista un CDO a protezione dalla Banca B, nel quale accetta di pagare alla Banca B un premio di 1000 dollari al mese per cinque anni. In cambio, la banca B accetta di pagare alla Banca A l’intero milione a cui ammonta l’ipoteca del Papa, nel caso questi vada fallito. In teoria, se il Papa si abboffasse di crack e perdesse il lavoro, la Banca A sarebbe coperta.

Quando i banchieri della Morgan presentarono i loro piani per i credit swap alle autorità di controllo, argomentarono che se avessero acquistato abbastanza CDS a protezione per il loro portafoglio investimenti, avrebbero di fatto eliminato il rischio dai loro registri. Di conseguenza, affermavano, gli si sarebbe dovuto permettere di erogare più prestiti, senza dover accantonare altro denaro come riserva di garanzia. Un’intera schiera di istituzioni – dalla Federal Reserve all’Office of the Comptroller of the Currency – accettarono l’argomentazione, e la Morgan fu autorizzata a mettere in circolazione più denaro.

Quello che fece Cassano fu di trasformare il credit swap che la Morgan aveva reso popolare nella più cospicua scommessa sul boom immobiliare dell’intero pianeta. In teoria non c’è niente di sbagliato nell’acquistare un CDS per proteggere i propri investimenti. Gli investitori pagavano un premio alla AIGFP, e in cambio la compagnia prometteva di pagare il conto se per caso i CDO pieni di mutui fossero andati in malora. Ma nel momento in cui Cassano cominciò una frenetica campagna di vendita, i contratti che stipulava si differenziavano dalle tradizionali assicurazioni sotto parecchi aspetti importanti.

Per prima cosa, la parte che vendeva il CDS a protezione non doveva anticipare nemmeno un centesimo. Quando si vende un’obbligazione societaria da 100 dollari, ad esempio, qualcuno deve tirar fuori i 100 dollari e far vedere che ce li ha veramente. Ma se si vende una garanzia CDS da 100 dollari, non bisogna sventolare nemmeno un soldo. In questo modo Cassano poté vendere alle banche d’investimento miliardi in polizze, pur non avendo niente a copertura.

Seconda cosa, Cassano vendeva dei cosiddetti CDS “nudi” [6]. In un CDS “nudo” nessuno dei due contraenti detiene effettivamente le ipoteche in questione. In altre parole, la Banca B non solo vende CDS a protezione alla Banca A (per il mutuo concesso da quest’ultima al Papa), ma rivende la stessa polizza alla Banca C, per la stessissima ipoteca. La cosa può andare avanti ad nauseam: può succedere che la Banche dalla D alla Z scommettano anch’esse sul mutuo concesso dalla Banca A. Diversamente dalle assicurazioni tradizionali, Cassano stava offrendo agli investitori l’opportunità di scommettere che la casa di qualcun altro sarebbe andata a fuoco, o di stipulare una term life policy [polizza temporanea caso morte] [7] a nome di quel tizio con l’AIDS che vive in fondo alla strada. Praticamente era gioco d’azzardo, la versione di Wall Street di un’accozzaglia di giovinastri che scommette se Jay Feely riuscirà a fare un calcio centrato. Cassano piazzava scommesse per ogni banca che scommettesse sul breve periodo nel mercato immobiliare, ma non aveva il denaro per pagare nel caso il tiro fosse andato fuori.

In un intervallo di soli sette anni, Cassano vendette qualcosa come 500 miliardi di CDS a protezione, con almeno 64 di quei miliardi legati al mercato dei mutui subprime. L’AIG non aveva nemmeno una minima parte dei soldi necessari per coprire le sue scommesse, ma del resto non si aspettava nemmeno di averne mai bisogno. Finché l’insolvenza delle garanzie in questione restava un’eventualità altamente improbabile, l’AIG in definitiva stava riscuotendo premi sostanziosi e in continua crescita, vendendo assicurazioni contro un disastro che riteneva non sarebbe mai avvenuto.

All’inizio, almeno, i ricavi erano enormi: i profitti dell’AIGFP salirono dai 737 milioni del 1999 ai 3,2 miliardi del 2005. Nel corso degli ultimi sette anni, ai 400 impiegati di quella sussidiaria venne pagato un totale di 3,5 miliardi di dollari; lo stesso Cassano intascò almeno 280 milioni di compensi. C’erano quattrini per tutti – ma poi tutto andò a puttane.

II – I CUSTODI DELLE REGOLE

Phil GrammQuelle scommesse demenziali non sarebbero state possibili, se Cassano non avesse avuto la fortuna di arrivare a capo dell’AIGFP proprio nel periodo in cui il Senatore Phil Gramm [foto a fianco] – un ghignante ideologo del laissez-faire venuto dal Texas – finiva di architettare la più drammatica deregolamentazione del sistema finanziario da quando l’Imperatore Hien Tsung inventò la carta moneta nell’806 D.C. Per anni, Washington aveva tenuto accuratamente d’occhio le banche della nazione. Sin dalla Grande Depressione alle banche commerciali – quelle che tengono in deposito il denaro di individui e società – non veniva permesso di agire anche come banche d’investimento, quelle che raccolgono denaro emettendo e vendendo titoli. Il Glass-Steagall Act, varato durante la Depressione, impediva inoltre alle banche di qualsiasi genere di entrare nel settore assicurativo.

Ma alla fine degli anni 90, qualche anno prima che Cassano prendesse il comando all’AIGFP, tutto questo cambiò. I Democratici, stufi di fare da tappetino ai Repubblicani nell’arena delle raccolte fondi, decisero di sbarazzarsi della loro dipendenza da sindacati e gruppi di pressione, e diventare un po’ più business-friendly. Wall Street rispose sommergendo Washington di quattrini, comprandosi alleati in entrambi i partiti. Durante la decade iniziata col 1998, le compagnie finanziarie spesero 1,7 miliardi di dollari in contributi alle campagne elettorali, e altri 3,4 miliardi in azioni di lobbying.

Ben presto ottennero quello per cui avevano pagato.

Nel 1999, Gramm partecipò alla formulazione di una legge che abrogava alcuni punti chiave del Glass-Steagall Act, spianando la strada alla creazione di mega-gruppi finanziari come Citigroup. Questa mossa spazzava via i meccanismi di garanzia forniti dalle banche più piccole. Ai vecchi tempi, un banchiere locale conosceva personalmente gli intestatari dei mutui che aveva sui libri contabili. Non avrebbe mai concesso un mutuo milionario a un tossicodipendente senza fissa dimora, perché quel prestito se lo sarebbe ritrovato nei libri. Ma se un enorme conglomerato bancario avesse la possibilità di contabilizzare quel prestito e poi rivenderlo a qualche fesso in Cina, a chi importerebbe?

L’anno seguente, Gramm rese la situazione ancora più grave scrivendo una nuova, radicale proposta di legge chiamata Commodity Futures Modernization Act che rendeva impossibile imporre regole sui credit swap così come sul gioco d’azzardo sui titoli. Le banche commerciali – che grazie a Gramm ora andavano in cerca degli stessi clienti delle banche d’investimento – furono portate a allentare i cordoni della borsa in cerca di rendimenti più alti. “Decretando che i credit-default swap non erano né una forma di scommessa né una garanzia, si è aperta la strada a una crescita del mercato,” disse Eric Dinallo, capo del New York State Insurance Department.

Quella franchigia totale voleva dire che adesso Cassano avrebbe potuto vendere tutti i contratti di CDS che voleva, senza che nessuno nel governo potesse metterci becco. “Ricordate una cosa: le banche d’investimento non si occupano di fare grosse scommesse sull’andamento dei titoli,” dice una fonte governativa che opera al salvataggio dell’AIG. Quando le banche d’investimento sottoscrivono contratti di CDS, li coprono. Ma le compagnie assicurative non devono farlo. E così si comportò l’AIG. “Fecero un’enorme scommessa a lungo termine sul mercato immobiliare,” continua la fonte. “Miliardi e miliardi.”

Per aggiungere beffa a beffa, gli intrallazzi di Cassano erano sottoposti al controllo dell’Office of Thrift Supervision, un’agenzia che avrebbe dimostrato scarsissimo interesse nel controllare quelle operazioni. Come fosse possibile che un colosso come l’AIG finisse sotto la responsabilità di controllo di questo OTS, poco conosciuto e relativamente minuscolo, è l’ulteriore trionfo dello spirito deregolatorio. Secondo un’altra legge approvata nel 1999, un certo tipo di holding finanziaria avrebbe potuto scegliere l’OTS come proprio controllore, purché possedessero uno o più istituzioni di risparmio [thrift] (meglio note come casse di risparmio e credito [saving-and-loan]). Dato che l’OTS era ritenuta più accomodante della Federal Reserve o della Securities and Exchange Commission, le compagnie finanziarie fecero a gara per riclassificarsi come istituzioni di risparmio. Nel 1999, l’AIG acquisì un istituto di risparmio del Delaware, e riuscì a ottenere di avere l’OTS come controllore per l’insieme delle sue attività.

Aggiungendo ironia ad ironia, l’AIGFP – la sussidiaria londinese di una compagnia di assicurazioni americana – avrebbe dovutto essere sottoposta al controllo di uno degli organismi più rigidi d’Europa, come la britannica Financial Service Authority. Ma l’OTS riuscì a convincere gli europei di avere la capacità di controllare quelle compagnie gigantesche. Arrivati al 2007, l’Unione Europea aveva legittimato il controllo da parte dell’OTS su tre colossi finanziari – General Electric, AIG e Ameriprise.

Lo stesso anno, mentre la crisi dei subprime stava esplodendo, il Government Acccountability Office criticò l’OTS, sottolineando una “disparità tra le dimensioni dell’ufficio e delle varie ditte che supervisiona”. Tra le altre cose, il GAO riferiva che l’OTS aveva in organico un solo esperto di assicurazioni – a dispetto del fatto di essere l’organismo di controllo della più grande assicurazione del mondo!

“Circola l’idea che gli organismi di controllo non potessero fare nulla per bloccare l’AIG,” dice un funzionario che ha partecipato al salvataggio. “Cazzate. Dovete capire che questi organismi hanno un potere inappellabile. Possono mandarvi una lettera che dice ‘non esistete più’, e il gioco è fatto. Non devono nemmeno accampare una giusta causa. L’OTS avrebbe potuto dire [all’AIG] ‘ti revochiamo la concessione, ti ritiriamo la licenza, e i portiamo in tribunale…’ Ed essere citati dall’organismo che ti supervisiona è un vero bacio della morte”.

Quando alla fine l’AIG ha fatto crac, il funzionario ufficialmente incaricato di supervisionare il gigante assicurativo – un certo C. K. Lee – ammise in sostanza di aver combinato un casino. Il suo errore, disse Lee, era stato di credere che tutti quei credit swap nel portafoglio di Cassano fosse prodotti finanziari “piuttosto buoni”. Perché? Perché glielo aveva detto la compagnia. “A giudizio della compagnia non c’erano grossi rischi creditizi” spiegò Lee. (Lee adesso lavora come dirigente del settore Midwest dell’OTS; l’agenzia non lo ha reso disponibile per un’intervista)

All’inizio di marzo, dopo l’ultimo salvataggio dell’AIG, il Segretario al Tesoro Timothy Geithner diede quello che sembrava uno schiaffo appena trattenuto all’OTS, parlando dell’AIG come di “una enorme, complessa compagnia globale di assicurazioni connessa a un sistema molto complicato di investimenti in derivati, a cui è stato permesso di espandersi senza una supervisione responsabile [adult supervision].” Ma anche senza quella “supervisione responsabile” l’AIG avrebbe potuto godere di ottima salute, se non fosse stato per una complessa mancanza di controlli interni. Nei sei mesi prima del suo tracollo, secondo testimoni interni all’azienda, la compagni andò alla ricerca di un dirigente a tempo pieno per il settore finanziario e uno per il settore valutazione rischi, ma finì per non assumere nessuno. Significava che la diciottesima compagnia più grande del mondo non aveva nessuno che controllasse che i suoi bilanci fossero a posto e nessuno che verificasse quanti liquidi e titoli la ditta avesse a disposizione. La situazione era talmente grave che quando vennero chiamati dei consulenti esterni, poche settimane prima del salvataggio, i dirigenti anziani furono incapaci di rispondere perfino alle domande più semplici riguardo la loro compagnia – ad esempio, di quanto fosse esposta la ditta nel mercato dei mutui immobiliari.

III – IL BOTTO

Ironicamente, quando alla fine la realtà ha riagguantato Cassano, non è successo per il crollo del mercato immobiliare, ma a causa della stessa AIG. Prima del 2005, il debito della compagnia aveva una valutazione AAA, il che vuol dire che non doveva mettere sul piatto molto denaro per vendere CDS a protezione: la salda credibilità del nome AIG come garanzia era sufficiente. Ma le pratiche contabili scadenti della compagnia alla fine causarono un abbassamento del rating del suo credito, il che rese operative clausole dei contratti CDS che costrinsero Cassano ad aggiungere altri titoli collaterali per puntellare i suoi contratti.

Entro l’autunno del 2007, era ormai evidente che il portafoglio dell’AIGFP era diventato tossico, ma come ogni buon ciarlatano di Wall Street, Cassano trafficò per mantenere la sua demente bisca apocalittica lontano dagli occhi del pubblico. Ad agosto, annunciò con l’uccello dritto, in una teleconferenza coi suoi investitori, che “per noi è difficile, senza sembrare irriverenti, perfino prevedere l’eventualità lontanamente attinente al mondo reale di poter perdere un solo dollaro nelle nostre transazioni”. Al momento in cui pronunciava queste parole, il suo portafoglio di CDS stava raggiungendo i 352 milioni di dollari di perdite. Quando il crollo creditizio sempre più grave costrinse i soci anziani dell’AIG a riesaminare i propri passivi, un contabile della compagnia, un certo Joseph St. Denis, si mostrò “estremamente preoccupato” riguardo ai contratti CDS e il loro potenziale di distruzione di massa. Cassano fece la sua contromossa, cacciando personalmente il povero ingenuo fuori dalla compagnia, dicendogli che veniva “prudenzialmente escluso” dalle revisioni finanziarie per timore che potesse “inquinare l’operazione”.

Il febbraio seguente, quando l’AIG registrò una perdita annuale di 11,5 miliardi, annunciò le dimissioni di Cassano da dirigente dell’AIGFP, riferendo che un revisore contabile aveva trovato dei “punti deboli sostanziali” [8]. Sorprendentemente la compagnia non solo permise a Cassano di tenersi 34 milioni in bonus, ma se lo tenne come consulente, pagandolo un milione al mese. Infatti Cassano restò sul libro paga e continuò a riscuotere il suo milione mensile fino a fine settembre 2008, perfino quando i contribuenti erano già stati costretti ad allungare all’AIG 85 miliardi di dollari per rimediare alle sue coglionate. Quando in ottobre gli venne chiesto perché la compagnia si tenesse ancora Cassano, al costo di un milione al mese, nonostante il suo ruolo nella probabile rovina della civiltà occidentale, l’amministratore delegato Martin Sullivan rispose al Congresso (restando serio) che l’AIG voleva “conservare l’esperienza ventennale che il signor Cassano possedeva”. (Cassano, che a quanto sembra si è rifugiato nella sua sontuosa residenza nei pressi di Harrods, non è stato raggiungibile per dare un proprio commento).

Quello che alla fine dei conti ha affossato l’AIG fu un altro declassamento del rating. Cassano aveva stipulato talmente tanti contratti CDS che quando, lo scorso settembre, l’AIG stava subendo un ulteriore declassamento, da AA ad A, la compagnia dovette mettere sui libri miliardi di dollari in garanzie collaterali – non solo più denaro di quanto avesse nei propri bilanci, ma anche più di quanto avrebbe potuto raggranellare se avesse venduto fino all’ultimo titolo monetizzabile in suo possesso. Ma anche così, la dirigenza cincischiò per diversi giorni, non riuscendo a credere che la compagnia fosse in guai così seri. L’AIG era ormai un limone spremuto, prosciugato di qualsiasi valore, e i suoi massimi dirigenti nemmeno lo sapevano .

Nel fine settimana intorno al 13 settembre, i soci anziani dell’AIG vennero convocati negli uffici della New York Federal Reserve. Erano presenti funzionari dell’ente di controllo di Dinallo [New York State Insurance Department] così come Geithner, allora a capo della New York Fed. Il Segretario al Tesoro Hank Paulson [il cui successore, oggi, è Geithner – ndt], che era anche occupato col tracollo della Lehman Brothers, faceva dentro e fuori per tutto il tempo. Altresì presente, per ragioni che sarebbero emerse in seguito, Lloyd Blankfen, amministratore delegato di Goldman Sachs. L’unico ufficio governativo di competenza che mancava all’appello era l’organo di controllo che avrebbe dovuto essere presente sin dall’inizio: l’OTS.

“Ci sedemmo insieme a Paulson, Geithner e Dinallo,” riferisce una persona presente alle discussioni. “L’OTS non si è mai vista, nemmeno una volta.”

Il 14 settembre, secondo un altro testimone, i funzionari del Tesoro fecero a Blankfen e ad altri banchieri lì presenti una proposta assurda: “Sostanzialmente chiesero loro di verificare, nel giro di un giorno, se potessero raccogliere il denaro da fonti private.” Il risibile lasso di tempo concesso per un tale immane compito rendeva la risposta scontata. Al termine della giornata i banchieri fecero ritorno, e dissero ai funzionari del governo, accipicchia, abbiamo verificato, ma tutti quei soldi non li possiamo trovare. Così il salvataggio [con denaro pubblico] era avviato.

Poco tempo dopo venne fuori che l’AIG progettava di pagare ad alcuni ex dirigenti circa 90 milioni in compensi posticipati, e di accelerare il pagamento di 227 milioni di bonus ad altri executive – una mossa che la compagnia riteneva indispensabile per “trattenere gli impiegati più preziosi”. Quando il Congresso mostrò la sua perplessità, l’AIG annullò il pagamento da 90 milioni.

Poi, nel gennaio del 2009, la compagnia ci ricascò. Dopo aver lasciato Cassano libero di fare il bello e il cattivo tempo per tutti quegli anni, e dopo essere già stati beccati a versare bonus pazzeschi mentre la compagnia era già a carico del governo, l’AIG decise di sganciare altri 450 milioni di dollari in bonus. E a chi? Ai circa 400 dipendenti della vecchia squadra di Cassano, l’AIGFP, che dovrebbe comunque essere liquidata di qui a poco! Sì, esatto, una media di 1,1 milioni di dollari garantiti dai contribuenti per ognuna delle medesime persone che hanno trascorso gli ultimi dieci anni o quasi ad aprire una falla nel tessuto dell’universo!

“Noi, ehm, avevamo bisogno di mantenere al loro posto questa gente dalle grandi capacità,” mi dice ai primi di febbraio Christina Pretto, portavoce dell’AIG.

“Ma non è stata sostanzialmente questa gente dalle grandi capacità a distruggere la vostra compagnia?” Domando.

Pretto protesta, dice che sono scorretto. I dipendenti dell’AIGFP hanno già subito tagli allo stipendio, mi dice. Lasciarli andare diminuirebbe il valore della compagnia ancora di più, e renderebbe più difficile concludere in maniera ordinata le operazioni di quella sezione.

I bonus costituiscono una pennellata di comicità che evidenzia una delle maggiori perversioni di quest’epoca di salvataggi finanziari, il fatto cioè che, anche mentre il mondo sta andando a fuoco, certi elementi della classe di Wall Street non riescono proprio ad abituarsi alla tragedia di viaggiare in classe turistica. “Questa gente ha bisogno dei suoi viaggi a Bahia [9], dei suoi soggiorni alle terme, della sua manicure [hand jobs: manicure ma soprattutto seghe, pippe – ndt],” dice un funzionario che ha partecipato al salvataggio dell’AIG, e lo dice con la faccia di uno che non sta facendo dell’umorismo. “Senza queste cose, non riescono a lavorare al meglio.”

IV – LA PRESA DEL POTERE

Questa è dunque il primo passo di Wall Street verso la conquista del potere [politico diretto]: inventarsi cose come i credit-default swap e le obbligazioni di debito collateralizzate, prodotti finanziari talmente complessi e imperscrutabili che l’idiota americano medio – per non parlare degli organismi di controllo federali e perfino degli amministratori delegati di colossi come l’AIG – a capirci qualcosa non ci prova neanche. Questo, unito a lungimiranti investimenti politici, ha permesso ai più importanti banchieri della nazione di eliminare fino all’ultimo residuo di controllo sull’industria finanziaria. Nel 1997 e 1998, gli anni che portarono all’approvazione della nefasta legge promossa da Phil Gramm, destinata a demolire il Glass-Steagall Act, i settori bancario, assicurativo e di brokeraggio spesero 350 milioni di dollari in contributi ai politici e in azione di lobby. Il solo Gramm – all’epoca presidente del Senate Bank Committee – rastrellò in soli cinque anni 2,6 milioni. La legge passò al Senato con un voto di 90 contro 8, col contributo di 38 Democratici, incluso qualche nome che potrebbe sorprendervi: Joe Biden, John Kerry, Tom Daschile, Dick Durbin, e perfino John Edwards.

Questa legge permise la creazione di mastodonti finanziari del genere “troppo grandi per fallire” come la Citigroup, o l’AIG o la Bank of America – e aiutò al contempo queste compagnie a schiacciare un po’ alla volta i loro concorrenti, donando a Wall Street ancora più denaro e potere per ottenere ulteriori deregulation. “Stiamo andando verso una situazione di oligopolio,” si lamentava Kenneth Guenther, amministratore delegato degli Indipendent Community Bankers of America, dopo il passaggio della legge di Gramm.

La situazione peggiorò nel 2004, con un’azione di deregulation che non fu nemmeno messa ai voti. In quel periodo l’Unione Europea minacciava di adottare misure di controllo più rigorose sulle operazioni estere delle banche di investimento americane, se gli Stati Uniti non avessero rinforzato i loro organismi di supervisione. Così, il 28 aprile di quell’anno le cinque maggiori banche del settore si riunirono – con l’ausilio dell’allora capo della Goldman-Sachs e futuro Segretario del Tesoro Hank Paulson – e lanciarono una proposta al capo della SEC di allora, William Donaldson (nominato da George Bush), lui stesso ex banchiere d’investimento. Le banche si sarebbero generosamente sottomesse a nuove norme che impedissero loro di intraprendere iniziative troppo rischiose. In cambio, chiesero la rimozione di qualsiasi limite alla quantità di prestiti che volessero effettuare. La discussione su queste nuove regole durò 55 minuti, e non c’era nemmeno un rappresentante dei media che registrasse quella decisione gravida di conseguenze.

Donaldson diede il suo assenso alla proposta, e le nuove norme furono sufficienti a far sì che l’Unione Europea ritirasse la minaccia di imporre proprie regole a quelle cinque società. L’inghippo era che né Donaldson né il suo successore, Christopher Cox, effettuarono il minimo controllo sulle banche. Nominarono una commissione di sette persone per supervisionare le cinque compagnie, il cui capitale, nell’insieme, ammontava a più di 4 mila miliardi di dollari. Ma nell’ultimo anno e mezzo dell’incarico di Cox, la commissione era priva di direttore, e non portò a termine nemmeno una singola ispezione. Un vero affare per le banche, che all’inizio si lamentavano di dover essere controllate sia dall’Europa sia dalla SEC, e che finirono per non essere controllate proprio da nessuno.

Una volta svanite le costrizioni relative al capitale [di garanzia], le cinque banche, con la bava alla bocca, si buttarono a corpo morto sull’allora rampante bolla immobiliare. Una di esse era la Bear Sterns, che utilizzò la propria libertà per affogarsi in un pantano di pessimi titoli ipotecari. Nel breve periodo intercorso tra la svolta del 2004 e il crollo della Bear Stearns, il rapporto debito-titoli si impennò da 12/1 fino a un pazzesco 33/1. Altra compagna di malefatte era la Goldman-Sachs, che ebbe anche la buona sorte di vedere il suo amministratore delegato, un balordo grottesco e spelacchiato di nome Hank Paulson ascendere alla carica di Segretario del Tesoro (e ottenere per questo una dilazione fiscale di 200 milioni).

Affrancata da ogni vincolo legato al capitale di garanzia, ormai in una botte di ferro col suo uomo alla guida del Tesoro, la Goldman-Sachs si buttò sulla moda del momento, quella immobiliare, come del resto faceva tutta Wall Street. Sebbene nel 2007 avesse messo a segno un colpo da 11 miliardi di dollari (quando una delle sue sezioni commerciali si era brillantemente avvantaggiata del mercato immobiliare), le cose non stavano proprio in quel modo. In realtà la Goldman-Sachs, con l’arrivo della fatidica estate del 2008, si sarebbe rivelata fortemente esposta – e con chi altri, se non con Joe Cassano?

Venne fuori che la Goldman-Sachs era il maggiore cliente di Cassano, sui cui libri lo scoperto della banca era di 20 miliardi. Il che potrebbe spiegare come mai il dirigente della Goldman, Lloyd Blankfein, fosse nella stessa stanza con l’ex goldmaniano Hank Paulson quel certo 13 settembre, quando il governo ufficialmente stava trattando il salvataggio dell’AIG.

Alla domanda di cosa ci facesse lì Blankfein, uno dei funzionari governativi presenti all’incontro alza le spalle. “Si potrebbe pensare che era presente perché la Goldman era enormemente esposta sul portafoglio dell’AIGFP,” dice. “Non si può certo provarlo, ma lo si può ipotizzare.”

L’analista Eric Salzman è più esplicito. “Se l’AIG fosse andata a fondo,” afferma, “è probabile che la Goldman non avrebbe potuto ricevere [il denaro per salvarsi].” Il salvataggio dell’AIG, in effetti, non era altro che Goldman al salvataggio di Goldman.

Alla fine Paulson si spinse ancora più in là, nominando un altro ex goldmaniano di nome Edward Liddy alla guida dell’AIG – una compagnia il cui salvataggio sarebbe stato realizzato con denaro proveniente, in parte, dal nuovo programma denominato TARP, diretto da un altro banchiere della Goldman, Neel Kashkari [10].

V – ARRIVA L’UFFICIALE GIUDIZIARIO

Sono in parecchi ad aver notato, negli ultimi anni, che se gli si pignorava la casa o venivano costretti a dichiarare fallimento a causa di un disastroso debito sulla carta di credito, non un singolo rappresentante del governo sia venuto in loro soccorso. Ma quando la Goldman-Sachs – una compagnia il cui impiegato tipo, perfino nelle secche di una depressione, guadagnava più di 350.000 dollari – si trovò davanti la possibilità di perdere denaro per colpa delle polizze assicurative prive di garanzia che aveva acquisito per le proprie folli scommesse immobiliari, in un lampo il governo era arrivato per metterci una pezza. È questa l’essenza del salvataggio finanziario [bailout]: ricchi banchieri che salvano ricchi banchieri, usando la carta di credito dei contribuenti.

La gente che ha trascorso la propria esistenza nell’ambiente protetto della comunità di Wall Street è poco disponibile a condividere informazioni con la massa dei pezzenti. Perché si tratta di stronzate complicatissime, perché la maggior parte di noi mortali non sa una mazza di cosa possa essere il LIBOR o di come funzioni un REIT o di come usare in una frase l’espressione “obbligazione senza cedola” senza sembrare deficienti – be’, allora quelli che questa lingua demente la parlano, nemmeno se cascasse il modo si prenderebbero la briga di spiegarcela, ma passeranno il tempo a far ruotare le palle degli occhi e a chiederci di fidarci di loro.

Hank PaulsonGli occhi roteanti sono parte essenziale del Paulsonismo. Quello che si chiede allo stato non è soltanto di mettere da parte i suoi organismi di controllo, o di concedere agevolazioni fiscali, o di convogliare qualche contratto a una compagnia amica; lo stato interviene direttamente nell’economia al solo scopo di preservare l’influenza delle mega-compagnie. In sostanza, Paulson [foto a fianco] ha utilizzato il salvataggio finanziario per trasformare il governo in un colosso burocratico di stronzaggine legalizzata, un governo che socializzi i titoli “tossici” ma che lasci in mani private sia i profitti sia la gestione delle compagnie “salvate”.

In aggiunta, tutta l’operazione avrebbe dovuto svolgersi in segreto, lontano dallo sguardo impiccione della classe medio-bassa [11], dei liberali spiantati che leggono romanzi francesi in traduzione, dei sottoscrittori di mutui subprime e altri perdenti del genere.

Certi particolari del salvataggio erano riservati fino all’assurdo. Infatti, se si da’ un’occhiata da vicino a certe righe delle relazioni settimanali della Federal Reserve, si può letteralmente vedere il preciso momento in cui una grossa fetta dei vostri soldi sparisce per sempre. Il rapporto H4 (intitolato “Fattori che influenzano i tassi di fine giornata” [12]) riepiloga settimanalmente le attività della FED. Lo si può trovare online, e costituisce praticamente l’unica cosa che la Fed dica al mondo riguardo quello che fa. Per la settimana uscente il 18 febbraio, la cifra sotto la voce “Repurchase Agreements” [Repo] [13] è zero.

È un numero che ci dice parecchio.

Perché? Nei giorni pre-crisi era normale che la Fed gestisse le scorte di liquidi attraverso la periodica compravendita di titoli mediante i cosiddetti Repurchase Agreement, o Repo. D’abitudine la Fed immetteva nel mercato più o meno 25 miliardi la settimana, comprando buoni del Tesoro, titoli di stato e perfino titoli con mutui a garanzia da istiuti come Goldman Sachs e JP Morgan, che li avrebbero riacquistati [repurchase] entro un breve lasso di tempo, di solito da uno a sette giorni. Si tratta del sistema principale col quale la Fed controllava i tassi di interesse: se la Fed rastrella titoli, alle banche resta più denaro da prestare, il che fa scendere i tassi di interesse. Se la Fed vende titoli alle banche, c’è meno denaro per i prestiti e i tassi di interesse salgono.

Esaminando il rapporto settimanale H4 a partire dall’estate 2007, si nota qualcosa di allarmante. Quando è cominciato il crac creditizio, verso l’agosto di quell’anno, la Fed aveva acquistato un po’ più Repo del solito – 33 milioni all’incirca. Arrivati a novembre, mentre le riserve bancarie si assottigliavano in maniera allarmante, la Fed cominciò a iniettare nel circuito economico ancora più liquidi del solito: 48 milioni. Alla fine di dicembre, la cifra era salita a 58 milioni; il marzo successivo, nel periodo delle manovre in soccorso della Bear Stearns, la cifra dei Repo balzò a 77 milioni. Il primo maggio 2008 i milioni erano 115 – “si è perso il controllo,” fu il parere di un portaborse del Congresso. Per il resto del 2008 le cifre veleggiarono altrettanto alte, con la Fed che pompava nell’economia altri 125 milioni di questi titoli a breve termine – finché di colpo, all’inizio di quest’anno, le cifre precipitarono.

A zero.

La ragione di quest’azzeramento era che la Fed aveva semplicemente smesso di utilizzare sistemi relativamente trasparenti come i Repo per far affluire denaro nelle mani delle compagnie private. All’inizio del 2009 era stata escogitata un’intera nuova serie di operazioni governative per immettere liquidi nell’economia, e molte di esse erano completamente occulte ed etichettate con nomi mai sentiti prima. Ecco la Term Auction Facility, la Term Securities Lending Facility, la Primary Dealer Credit Facility, la Commercial Paper Funding Facility, così come una mostruosità di nome Asset-Backed Commercial Paper Money Market Mutual Fund Liquidity Facility (che vanta un acronimo che farebbe sfigurare gli sgorbi da chat-room: ABCPMMMFLF). Per buona misura, c’è anche una cosa chiamata Money Market Investor Funding Facility, più altri tre servizi [facilities] di nome Maiden Lane I, II e III, il tutto per facilitare le operazioni di salvataggio di beneficiari come Bear Stearns e AIG.

Mentre il resto dell’America, e molti dei deputati al Congresso, si faceva venire le smanie per il programma di salvataggio da 700 miliardi chiamato TARP, tutti questi nuovi organismi arrivati a infoltire lo zoo della Federal Reserve hanno silenziosamente pompato non miliardi ma migliaia di miliardi nelle tasche delle compagnie private (finora almeno 3 mila miliardi in mutui, insieme ad altri 5,7 mila miliardi in garanzie di investimenti privati). Sebbene questo non sia tecnicamente denaro dei contribuenti, li coinvolge comunque direttamente, perché le attività della Fed influenza l’insieme dell’economia. E questa nuova, segreta attività della Fed eclissa del tutto il TARP, quanto a influenza sull’economia.

Nessuno sa a chi vada quel denaro, o quanto esattamente ne vada disperso attraverso queste nuove falle nello scafo delle valutazioni creditizie americane. In aggiunta, nessuno può dirsi sicuro che queste nuove istituzioni siano davvero temporanee – o se invece si stiano affermando come stampelle statali permanenti per Wall Street, progettate per accollarsi i cattivi investimenti fatti da banchieri irresponsabili.

“Si suppone siano temporanei,” afferma Paul-Martin Foss, assistente del Repubblicano Ron Paul. “Ma ogni sei mesi ci viene notificato il loro rinnovo. Ce lo dicono e basta.”

È stato il senatore inquisito Ted Steven il povero fesso a fare la sgradevole scoperta che se al Congresso non piaceva il fatto che la Fed desse migliaia di miliardi alle banche senza nessun tipo di controllo, be’, il Congresso poteva anche andare a fanculo – almeno secondo la legge. Quando Stevens ha chiesto al GAO [Government Accountability Office – la Corte dei Conti – ndt] quale autorità potesse avere il Congresso di monitorare la Fed, ha avuto come risposta una lettera che citava una legge di cui nessuno aveva mai sentito parlare prima: l’Accounting and Auditing Act del 1950. La sezione pertinente, la 31 USC 714(b), imponeva che le verifiche di conti della Fed da parte del Congresso non potevano includere “delibere, decisioni e azioni riguardo questioni di politica monetaria”. Questa esenzione, aggiunge Foss, “praticamente include tutto”. Secondo la legge, in altre parole, la Fed non può essere posta sotto esame dal Congresso. O da chiunque altro, se la cosa ha importanza.

VI – VINCITORI E PERDENTI

Stevens non è la sola persona al Congresso cui la Fed abbia fatto marameo. A gennaio, quando il repubblicano della Florida Alan Grayson domandò a Donald Kohn, vicepresidente della Federal Reserve, dove fosse andato a finire tutto quel denaro – fino ad allora erano svaniti 1,2 mila miliardi di dollari – Kohn mostrò a Grayson i classici occhi che roteano, dicendo che sarebbe stato restio a fare nomi, perché questo avrebbe potuto scoraggiare le banche dall’accettare i soldi.

“È mai successo?” Chiese Grayson. “Nessuno vi ha mai detto ‘non prenderemo i vostri cento miliardi, perché la gente se ne accorgerà?'”

“Be’, abbiamo detto che non avremmo Fatto i nomi dei beneficiari, quindi è una domanda senza risposta,” rispose Kohn, visibilmente infastidito da quell’impiccione di Grayson.

Grayson insistette, esigendo di sapere secondo quali termini la Fed stava erogando il denaro. Presumibilmente stava acquistando titoli e facendo prestiti, ma nessuno conosceva il valore assegnato a quei titoli – in altre parole, nessuno sapeva che tipo di accordo la Fed stava stringendo a nome dei contribuenti. Così quando Grayson domandò se i titoli acquisiti fossero mark-to-market – cioè valutati secondo una metodologia che assegna un valore reale ai titoli, basandosi sui tassi correnti del giorno in cui vengono scambiati – Kohn rispose, in tono misterioso, “Quelli che hanno un valore di mercato sono mark-to-market.” Il sottinteso era che la Fed stava acquistando derivati come i credit swap o altri tipi di strumenti finanziari il cui valore era praticamente impossibile da stabilire – pagando con soldi veri Dio solo sa cosa.

“Allora, quanti di loro non hanno valore di mercato?” Chiese Grayson. “Quanti di loro sono privi di valore?”

“Nessuno è privo di valore,” scattò Kohn.

“Perché quindi non li avete valutati sul mercato?” Insistette Grayson.

“Be’,” sospirò Kohn, “Stiamo valutando sul mercato quei titoli che hanno valore di mercato [we are marking the ones to market that have market values].”

In breve, la Fed stava dicendo al Congresso di non rompere e di lasciar fare agli esperti. “È come comprare un’auto usata senza nemmeno aprire il cofano, dicendo ‘secondo me è a posto’,” dice Dan Fuss, un analista che lavora nella compagnia di investimenti Loomis Sayles. “Il venditore dice ‘non vi preoccupate, fidatevi di me,’ E la macchina magari ci porterà fuori della rivendita, ma quanta altra strada farà? Nessuno può saperlo.”

Se si considera il relativamente massiccio sistema di pesi e contrappesi parlamentari coinvolti nella spesa di ogni singolo dollaro del bilancio nelle normali operazioni di finanziamento, quel che accade con la Fed è qualcosa di semplicemente rivoluzionario – una specie di governo ombra con a disposizione un budget parecchie volte più ingente della normale spesa federale, amministrato dittatorialmente da un solo uomo, il Presidente della Fed Ben Bernanke. “Al Senato passiamo ore e ore a discutere emendamenti da 10 milioni di dollari, ma non c’è stata nessuna discussione su chi abbia ricevuto questi 3 mila miliardi,” dice il Senatore Bernie Sanders. “È assolutamente incomprensibile.”

Mettete pure Sanders nel numero di coloro che non si bevono la storia che non si dovrebbe sapere quali sono le compagnie di Wall Street che beneficiano di soldi pubblici, perché se queste informazioni divenissero pubbliche gli investitori si farebbero prendere dal panico e si libererebbero di quei titoli. “Suppongo che se rendessimo pubbliche queste informazioni, [quelle compagnie] entrerebbero in sciopero, o qualcosa del genere,” riflette Sanders.

E la Fed non è la sola protagonista del salvataggio ad aver serrato i ranghi. Anche il Tesoro ha mantenuto una stupefacente segretezza perfino sulla realizzazione del piano TARP, che avveniva su mandato del Congresso. Fino ad oggi nessuno sa esattamente quali criteri abbia usato il Dipartimento del Tesoro per determinare quali banche possano ricevere i fondi del salvataggio e quali no – con particolare riguardo ai primi 350 miliardi, erogati sotto la presidenza di Hank Paulson, nominato da Bush.

La faccenda dei primi versamenti del TARP divenne talmente assurda che quando il Congressional Oversight Panel, incaricato di supervisionare le spese del salvataggio, mandò un’interrogazione a Paulson per sapere come aveva deciso a chi dare il denaro, il Tesoro rispose – e non sto scherzando – indicando alla commissione un suo sito web dove c’era una copia del modulo di richiesta [che le compagnie dovevano compilare per il] TARP. Elizabeth Warren, presidente del Congressional Oversight Panel, rimase letteralmente di stucco di fronte a quella risposta.

“C’è da non credersi,” affermò stupefatta. “Non è questa l’idea che abbiamo [del nostro lavoro].”

Un altro membro del Congresso, che chiede di restare anonimo, ha la sua teoria sul funzionamento del TARP: “Credo che le cose stiano sostanzialmente così: se conosci Paulson, allora ti arrivano i soldi.”

Quest’accordo, così comodo, ha creato per le grandi banche un’ulteriore opportunità di inglobare fette di mercato, a spese dei più piccoli concorrenti locali. Mentre i papaveri della Citi, della Goldman, della Bank of America, avendo un filo diretto con Paulson, ottenevano il salvataggio pronta cassa – ricordiamoci che il TARP venne varato perché il denaro bisognava erogarlo subito, quello stesso giorno, lo stesso minuto, per affrontare l’emergenza – molte piccole banche sono ancora in fila ad aspettare. A cinque mesi dall’avvio del TARP, alcune non solo non hanno ricevuto nessun fondo, ma non hanno nemmeno ricevuto un riscontro alla loro richiesta.

“Tra i banchieri locali c’è sicuramente la sensazione che a quelli più in alto non interessa affatto se se la caveranno o meno,” dice Tanya Wheeles, presidente della Arizona Bankers Association.

Il che è esattamente l’opposto di quello che dovrebbe succedere, dato che le piccole banche regionali sono le meno colpevoli del genere di attività predatoria che ha affossato l’economia. “Loro non distribuiscono mutui subprime o prestiti facili,” dice Wheeles. “Nel contesto delle comunità locali l’attività bancaria è più di base,”

Ciò nonostante, la parte del leone è andata alle banche più grandi, quelle “sistemicamente importanti”. “È come se il Tesoro stesse scegliendo chi vince e chi perde,” dice un funzionario di una banca di stato che ha chiesto di restare anonimo.

Già da solo questo è uno sviluppo politico importante. In poche parole, il salvataggio ha accelerato il declino degli istituti di credito regionali, perché ha incrementato il potere dei loro concorrenti, di taglia più grossa e di livello nazionale.

La qual cosa, se ci si pensa bene, è folle. L’elemento che più di ogni altro ci ha portato sull’orlo della catastrofe è stato l’irrefrenabile istinto di creare mega-compagnie sempre più grandi, tramite l’approvazione di misure di deregulation che hanno gradualmente dato i pesci piccoli in pasto a un branco sempre più esiguo di puzzolenti pesci grossissimi. Per sistemare le cose, il governo avrebbe dovuto liquidare con gradualità queste mostruose compagnie “troppo grandi per fallire”, spezzettandole in entità minori, molto più controllabili. Invece, gli organismi di controllo del governo hanno serrato i ranghi e hanno utilizzato un metodo di salvataggio quasi completamente coperto dal segreto, destinato a far proliferare il medesimo, fallace innamoramento per le fusioni che è il maggior responsabile della nostra situazione, e a creare una schiera di mega-compagnie sotto il controllo del governo che saranno ancora più grandi, ancora più ingestibili, e ancora più infestate da rischi sistemici.

In sintesi, Paulson e i suoi compari hanno trasformato il governo federale in un’unica, gigantesca, poco trasparente holding finanziaria, nei cui bilanci si insidia il più macroscopico e rischioso fondo speculativo del mondo, una partecipazione di maggioranza che resta nelle mani di un gigante assicurativo in agonia. enormi somme investite in un gruppo di vacillanti mega-banche, e quote disparate di compagnie di autofinanziamento, prestiti studenteschi e altre attività fallimentari. Come l’AIG, questa nuova holding finanziaria governativa è un’impresa priva di meccanismi per controllare i propri conti, e ha dirigenti che hanno solo un piccolo barlume di conoscenza delle operazioni quotidiane delle sue numerose sottosezioni.

In altre parole, è il modello orgiastico AIG di fare affari a cazzo, ma gonfiato fino all’indescrivibile – per parafrasare Geithner, una compagnia enorme e complessa associata a un’unione complicata di banche di investimento e fondi speculativi a cui è stato permesso di crescere senza una supervisione responsabile [adult supervision]. Quanta merda, e di che tipo, è effettivamente presente nei nostri bilanci, e quanto ci costa? Quando, di preciso, arriverà il conto, quand’è che finiranno i soldi? Qualcuno sa che diavolo sta succedendo? E nello spettro che spazia tra capitalismo e socialismo, adesso dove ci troviamo esattamente? Esiste una parola sul dizionario per quello che siamo diventati?

Ci sarebbe da ridere, se non vivessimo in un incubo.

VII – NON CI ARRIVATE

Timothy GeithnerA questo punto la vera domanda è se l’amministrazione Obama agirà per riportare il sistema finanziario in una posizione che veda reinstaurata la sanità mentale e un pubblico che abbia voce in capitolo, oppure se la nuova burocrazia finanziaria resterà oscura, segreta e inguaribilmente complicata. Potrebbe non essere buon segno che Geithner [foto a fianco], segretario al Tesoro di Obama, sia uno degli artefici dei salvataggi varato da Paulson; come capo della New York Fed ha contribuito a orchestrare il salvataggio dell’AIG che fu anche un favore per la Goldman, come anche a creare le oscure società di servizi Maiden Lane, utili a convogliare soldi nella compagnia agonizzante. Non fa nemmeno buona impressione che Geithner – pupillo di un noto veterano della Goldman, John Thain, il capo della Merrill Lynch che ha distribuito miliardi in bonus dopo che lo stato aveva speso miliardi per salvargli la compagnia – abbia scelto un ex lobbista della Goldman, Mark Patterson, come suo primo assistente.

Difatti, la maggior parte delle prime iniziative promosse da Geithner puzzano molto di paulsonismo. Ha parlato parecchio di collaborare con investitori privati alla creazione di una cosiddetta “bad bank” che liberasse progressivamente le banche private dai titoli “cattivi” – proprio il genere di enorme, opaco e semi-pubblico incubo finanziario in cui era specializzato Paulson. Geithner ha perfino ripescato la proposta di Paulson di usare il TALF, uno dei nuovi strumenti della Fed, per prestare soldi ai fondi speculativi perché investano nelle banche in difficoltà, con la garanzia di enormi profitti.

Dio solo sa che beneficio ne possano trarre i contribuenti, ma di certo agli amministratori dei fondi speculativi l’idea piace. “È proprio quello di cui ha bisogno il sistema finanziario,” ha detto Andrew Feldstein, amministratore delegato della Blue Mountain Capital, anche lui membro della Mafia di Morgan. Stranamente, tra chi non gestisce fondi speculativi c’è stato pochissimo entusiasmo per le idee di Geithner.

Per quanto la finanza sia una cosa complicata, le sue strategie politiche non sono difficili da capire. Creando una crisi pressante che può essere affrontata solo da chi parla fluentemente un linguaggio troppo complesso per la gente comune, la combriccola di Wall Street ha reso la gran maggioranza degli americani estranea al suo stesso futuro politico. C’era un motivo fondato per cui negli stati Confederati era vietato insegnare agli schiavi a leggere: l’alfabetizzazione è potere. Nell’epoca dei CD e dei CDO, molti di noi sono finanziariamente analfabeti. Rendendo un’economia già fin troppo complessa ancora più complicata, Wall Street ha utilizzato la crisi per effettuare un cambiamento storico, rivoluzionario, nel nostro sistema politico – trasformando una democrazia in uno stato con due caste, in alto i burocrati finanziari ammanicati, in basso gli ignari consumatori.

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La cosa più irritante di questa crisi finanziaria è il fatto che tanti di questi personaggi di Wall Street pensino di meritare davvero non soltanto i loro succosi bonus e il loro dispendioso stile di vita, ma anche il portentoso potere politico che i loro stessi errori gli hanno messo nelle mani. Se li si contesta, parlano del loro duro lavoro, le settimane lavorative di 90 ore, lo stress, i matrimoni falliti, le emorroidi e i calcoli biliari che li colpiscono prima di arrivare ai 40.

“No, aspetta un attimo!” Vi verrebbe da dirgli. “Nessuno vi ha chiesto di stare in piedi otto notti a settimana, cercando di diventare straricchi facendo collassare quel che resta dell’industria automobilistica americana, o vendendo 600 miliardi di mutui tossici e inesigibili a spogliarelliste in permesso di lavoro dal carcere o a impiegati di fast food. In effetti, pensandoci meglio, perché diavolo vi stiamo dando i soldi dei contribuenti? Perché invece non vi schiaffiamo tutti in galera?

Ma ancor prima che finiate di parlare, loro stanno già facendo roteare le palle degli occhi, perché Voi Non Ci Arrivate.

Questa gente non ha mai fatto altro che fare soldi coi soldi, per fare sempre più soldi; sono esattamente come i dipendenti da crack, o i pervertiti ossessivi che si introducono nelle case per rubare biancheria intima. Eppure sono queste le persone nelle cui mani è affidato il nostro intero futuro politico.

Buona fortuna, America. E goditi la denuncia dei redditi.

Matt Taibbi
Fonte: www.rollingstone.com/
Link:http://www.rollingstone.com/politics/story/26793903/the_big_takeover
aprile 2009

 

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura DI DOMENICO D’AMICO

 

note del traduttore:

[1] Il secondo uomo più ricco del mondo (dopo Bill Gates).

[2] http://www.ilgiornaledelleconomia.it/first.html

[3] “Cosa sono i CDO – Questa sigla indica i “collateralized debt obligations”. Si tratta di prestiti obbligazionari creati, usando la tecnica della cartolarizzazione, impacchettando una serie di bond o di derivati. I Cdo sono emessi in varie tranche (con rating e rischiosità a scalare) da speciali società-veicolo: il loro rimborso e le loro cedole sono garantite dal portafoglio sottostante di obbligazioni o di prestiti o di derivati. I Cdo possono avere strutture molto complesse, che creano anche un effetto leva. Alcuni Cdo sono “gestiti”: l’emittente ha la facoltà di sostituire i titoli sottostanti posti in garanzia.

I rischi dei CDO – L’investimento in Cdo comporta vari rischi (e ovviamente pari rendimenti). C’è il rischio che il portafoglio sottostante posto in garanzia vada in default, almeno in parte. C’è poi un rischio di “concentrazione”: se i titoli sottostanti sono concentrati in settori simili o nello stesso settore. E c’è un rischio di “struttura”: un investitore può infatti acquistare la tranche migliore (con il rating più elevato) o quella peggiore. La tranche più rischiosa in un’emissione di Cdo è quella definita equity: quella che va ad assorbire le prime perdite del portafoglio sottostante.” [http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Finanza%20e%20Mercati/2008/12/cdo-definizione-rischi.shtml?uuid=f1e128fe-c696-11dd-b702-8dd43266bfb3]

[4] “Le banche di investimento riuscivano facilmente a collocare gli MBS investment grade, i migliori, presso investitori istituzionali che si accontentavano di un rendimento basso.
Altri gestori di fondi più aggressivi volevano ottenere rendimenti più elevati anche perché spesso il bonus era legato alla redditività.
Problema: come vendere gli MBS cattivi a questi signori senza che si noti troppo che stanno prendendo rischi eccessivi? Risposta: ottenere un “re-rating”, una riqualificazione, degli MBS.
Il re-rating è una invenzione studiata per fare salire il rating degli MBS cattivi. Consiste nel strutturarli in tranche per probabilità di default, e con l’impegno di dare priorità al pagamento dei meno cattivi.
In pratica: compro un pacchetto di MBS, di cui i primi tre sono relativamente buoni, i secondi tre così così e i terzi tre veramente cattivi.
L’idea è che se nella tranche più cattiva non paga nessuno, ma incasso qualcosa della tranche così così e abbastanza dalla tranche relativamente buona, tutto andrà a pagare le ipoteche della tranche relativamente buona, che quindi viene automaticamente qualificata come “investment grade”. Magia finanziaria.” [grassetto mio][http://www.mondointernet.biz/Net_economy/2008
/Storia_di_una_crisi_annunciata_Crollano_Lehman_Brothers_e_Merril_Linch._Ecco_com%27e_andata.html]
[5] “Uno swap è un baratto, e in questo caso il baratto consiste in questo: la parte A paga periodicamente una somma alla parte B, e la parte B in cambio si impegna a rifondere alla parte A il valore facciale di un titolo C, nel caso il debitore C vada in bancarotta. Insomma, A ha comprato l’obbligazione emessa da C, ma A vuole esser sicuro che C rimborsi il capitale alla scadenza. La finanza ha creato questo strumento di copertura del rischio, e il credit default swap è in effetti come una polizza di assicurazione. Se, per esempio, il valore dei titoli acquistati è di 100mila euro (facciali), e il cds è di 120 punti base, vuol dire che A deve pagare ogni anno 1200 euro per essere sicuro del rimborso. Questi cds sono quotati in mercati over the counter, e se il costo dovesse balzare, mettiamo, a 800 punti base, vuol dire che il mercato teme che il debitore C avrà difficoltà a far fronte ai propri impegni.” [http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/100-parole/Economia/C/Credit-default-swap-Cds.shtml?uuid=002b2ab8-5806-11dd-93cb-a54c5cfcd900&DocRulesView=Libero&correlato]
[6] “There is ongoing debate concerning the possibility of limiting so-called “naked” CDSs. A naked CDS is one where the buyer has no risk exposure to the underlying entity; hence naked CDSs do not hedge risk per se, but are mere speculative bets that actually create risk. Some suggest that buyers be required to have a “stake,” or element of risk exposure, in the underlying entity that the CDS pays out on. [21] Others suggest that a mere partial stake in the underlying risk is insufficient, and would insist that buyer protection be limited to insurable risk; that is, the actual value of the capital-at-risk in the underlying entity. This means the CDS buyer would have to own the bond or loan that triggers a pay out on default. Still others, also calling for the outright ban of naked CDSs, cite logic similar to that which prevailed in the call to ban markets for “terroristic events;” – namely, that it is poor public policy to provide financial incentive to one party which pay offs only when some other party suffers a loss – the argument being that it is foolish to incentivize the first party to nefariously intervene in the affairs of the second party so as to cause, or to contribute to cause, the second party loss event which has been speculated upon by the first party; such action, should it occur, is called “fomenting the loss”. Regardless of the intention of the buyers and sellers of “naked” contracts, it is the absence of ownership risk that is determinate.” [http://en.wikipedia.org/wiki/Credit_default_swap]
[7] “[Polizza] temporanea caso morte (premio in unica soluzione; garantisce il pagamento al beneficiario in caso di morte dell’assicurato entro un dato termine).” [grassetto mio] [http://www.studiobottero.it/b_polizze_vita.asp]
[8] A meno che nell’originale “material weakness” quest’ultimo termine non sia il soggetto, nel qual caso potremmo tradurre “carenza di documentazione”.
[9] L’originale riportza “Baja” (?).
[10] I nomi di questi finanzieri evocano le sagome di una satira swiftiana. Ad esempio quest’ultimo, col suo incidentale riferimento alla vendita dei grossisti a soggetti autorizzati, con la premessa del nome di battesimo: Neel Kashkarti = Kneel, Cash & Carry = Inginocchiati [per ringraziare], prendi e porta a casa.
[11] Nell’originale “NASCAR dads”. http://en.wikipedia.org/wiki/NASCAR_dad
[12] http://dep.eco.uniroma1.it/~ciccaron/Docs/EGPEI%20Lezione%201%20BC.pdf
[13] Repurchase Agreement: “La vendita di una security, spesso – ma non sempre – un titolo del tesoro degli Stati Uniti o altri titoli liquidi, ad uno specifico prezzo e un contestuale accordo per il riacquisto del titolo ad una specifica data e ad un prezzo determinato o determinabile. Un reverse repurchase agreement è l’acquisto di un titolo con un contestuale accordo per la rivendita.” [http://economia.tesionline.it/economia/glossario.jsp?GlossarioID=2955] Cioè A vende a B un titolo di stato, con l’accordo di ricomprarlo l’indomani, a un prezzo stabilito. Per A si tratta di un repurchase agreement (repo), per B di un reverse repurchase agreement. Il titolo del paragrafo (Repo Men) si riferisce a questo tipo di contratti, ma usa un’espressione che comunemente si riferisce al personale che si occupa di recuperare le automobili da pignorare agli insolventi.

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