DI MASSIMO FINI
Il gazzettino
Una serie di episodi succedutisi un dietro l’altro nei giorni scorsi (il camionista ubriaco accusato di aver travolto e ucciso una sedicenne lasciato a piede libero, il presunto piromane arrestato e poi rilasciato – ma successivamente riarrestato – l’assassino della ragazza di Genova che era sotto inchiesta per un precedente omicidio) ha fatto scrivere a qualcuno che «l’Italia è il Paese dei presunti innocenti». È vero. Ma con qualche precisazione.
Una lunghissima presunzione di innocenza fino a condanna definitiva e anche oltre (si vedano i casi Sofri e Previti) vale per i personaggi “eccellenti” (si ricorderà la campagna contro la custodia cautelare, le “manette facili” e per lo “stato di diritto” seguito ai due primi anni di Mani Pulite), per gli uomini della strada prevale invece, almeno per l’opinione pubblica, i giornali, il mondo politico, una sorta di “presunzione di colpevolezza”, per cui li si vuole “in galera subito”, le manette non sono più “facili” e lo “stato di diritto” diventa uno sgradevole impiccio.
Ma le leggi sono, e devono essere, uguali per tutti e il magistrato, nell’applicarle, non può fare distinzioni fra i “very normal people” e gli imputati “eccellenti”. E le leggi le fanno il Parlamento e il Governo, cioè gli uomini politici che in questi anni, in un micidiale combinato disposto fra la necessità della destra di mettere al riparo dalla giustizia certi suoi illustri esponenti e lo storico “buonismo” della sinistra, hanno inzeppato il Codice di procedura penale di leggi dette “garantiste”, quasi sempre di carattere puramente formale, tali da rendere difficilissimo, oltre che arrivare a sentenze definitive, applicare la custodia cautelare ad indagati che sono, per definizione, “presunti innocenti”.
Ma quando un uomo della strada commette qualche fattaccio, o è sospettato di averlo commesso, e a causa di quelle leggi “garantiste” non lo si può restringere in carcere, i primi ad indignarsi e a scagliarsi contro i magistrati sono proprio gli uomini politici che quelle leggi han varato. Le loro capacità di strumentalizzazione e la loro sfacciataggine non conoscono limiti.
La forzista Isabella Bertolini ha dichiarato: «Voglio che lo Stato difenda i cittadini e mandi i criminali in galera e, soprattutto, ce li tenga». Si è dimenticata che il suo compagno di partito Cesare Previti, condannato in via definitiva, dopo un processo durato una vita, a sei anni e mezzo di reclusione per un reato gravissimo e, in un altro processo a un anno e mezzo, ha fatto in tutto, difeso compattamente da Forza Italia, un solo giorno di prigione e ancora si atteggia a vittima.
La questione della custodia cautelare è delicatissima perché vede contrapposti due diritti ugualmente fondamentali: quelli alla libertà e alla sicurezza dei cittadini. Ma è strettamente legato, come scrivo da 35 anni, al problema dei problemi della giustizia italiana: l’abnorme durata dei procedimenti. In Gran Bretagna, se c’è un imputato detenuto, le istruttorie durano mediamente da 28 a 32 giorni a seconda della diversa composizione del Giurì, cioè della gravità del reato.
Ora, farsi un mese di custodia cautelare, se poi al dibattimento, che segue subito dopo, si risulta innocenti, è un brutto incidente di percorso, ma lo si può superare. Fare due, tre, sei, nove anni di custodia cautelare, com’è possibile in Italia, è la distruzione di una vita.
Il nostro processo ha, storicamente, un iter bizantino ulteriormente aggravato, e di molto, dalle leggi “garantiste” varate dal 1994 in poi. I nostri parlamentari facciano uno stage a Londra per vedere come si fa, invece di scandalizzarsi, quando fa loro comodo, per li esiti perversi delle leggi che essi stessi hanno fatto.
Massimo Fini
Fonte: www.massimofini.it/
Uscito su “Il gazzettino” il 17/08/2007