DI BOB STILGER
Countercurrents
Il grande terremoto colpì la zona nord orientale del Giappone, precisamente la regione del Tohoku, l’11 marzo 2011, dando vita a uno tsunami che creò un’onda alta 60 metri, la quale si riversò nell’entroterra a oltre 80 km l’ora.
In meno di un giorno, circa 18.000 persone morirono o furono disperse e quasi 300.000 rimasero senza un tetto. La normale quotidianità è andata persa. Oggi le comunità della regione stanno tentando di reinventare le loro vite, ma come sarà il loro futuro in un tale contesto in continuo cambiamento?
Per molti non è solo una questione di riavere una proprietà o i mezzi di sussistenza, ma è una vera e propria questione profondamente spirituale, centrata sul significato della felicità e della qualità della vita.
Il terremoto – meglio conosciuto in Giapponese come “3/11” – ha fatto crollare gli edifici in tutta la regione, ma ha in particolar modo danneggiato le cittadine costiere. In molti posti il terreno si è sgretolato, scendendo di quasi un metro se non più. Il giorno seguente, tre dei sei reattori sono esplosi alla centrale nucleare Dai-Ichi di Fukushima, mentre un quarto ha riportato dei gravi danneggiamenti alle strutture di contenimento delle barre del combustibile nucleare usato. In poco tempo, le radiazioni hanno costretto altre 60.000 persone a lasciare le proprie case.
Il reattore Dai-Ichi Quattro, fa di questo luogo uno dei posti più pericolosi del mondo. Un ulteriore terremoto di grande portata potrebbe causare delle esplosioni nucleari che costringerebbero più di 20 milioni di persone a evacuare. L’acqua contaminata dei reattori a Dai-Ichi si sta riversando nell’Oceano Pacifico a una proporzione allarmante. Contenere le radiazioni e bonificare la zona in modo da renderla sicura va oltre la capacità delle attuali tecnologie. Ma se da un lato la gente in California si preoccupa delle scorie nucleari che raggiungono le loro coste a più di 80.000 km, dall’altro lato la gente che vive nelle zone colpite in Giappone ha problemi molto più immediati: vuole ritornare a casa.
Cosa è necessario fare affinché questa gente possa rinascere e ritornare alle loro vite? Il paesaggio è diventato irriconoscibile, con livelli continui di contaminazione, oltre a uno spopolamento su larga scala (in particolare di giovani) e alla scomparsa dell’energia nucleare, del turismo, dell’agricoltura e della pesca. I problemi a livello tecnico sono incalcolabili, Fukushima è un disastro – incompreso, oggetto di infinite paure e distorsioni, straordinariamente complesso. Il progetto di Fairewinds fornisce uno dei quadri generali più accurati sulla situazione nucleare.
Ma i problemi basilari che sta affrontando Fukushima non sono solamente a livello tecnico, sono umani: come reinventare le vite in una realtà nuova e sempre più difficile. Dopo un’assemblea che ho recentemente organizzato a Renshoan a Fukushima, mi si è avvicinato un anziano.
Esitando mi ha detto: “Non avrei mai pensato che il futuro fosse qualcosa di cui avrei dovuto preoccuparmi. Stanotte ho iniziato a farlo e credo che forse pensare al mio futuro equivale a preoccuparmi della mia felicità.” Un trauma segna l’inizio di cambiamenti molto profondi. Infatti in questo caso, la trasformazione può rappresentare l’unica opzione.
Dal disastro sono passati più di mille giorni. Ho passato metà del tempo lavorando con le comunità di tutta regione di Tohoku per creare un luogo sicuro per le persone, condividere la loro afflizione, cercare nuove possibilità e unirci per creare un futuro diverso. Per fare questo è stato necessario utilizzare un modello quale il Future Center model. Sviluppato originariamente in Europa, è stato adottato in questo contesto locale, insieme alle “tecniche di dialogo” dell’arte di ospitare come il “World Café”: spazio polifunzionale aperto a tutti, al dialogo e al confronto.
La gente a Fukushima vive in questa realtà: se da un lato alcuni sono ancora sopraffatti dalla disperazione dal momento che tutto quello che conoscevano e amavano è svanito, altri invece lascerebbero Fukushima in un attimo se solo avessero un altro posto dove andare. Mentre altri hanno dichiarato che “questo è casa nostra, quindi costruiremmo una nuova vita tutti qui insieme.” Sanno benissimo che il passato è passato e che li attende un futuro ignoto.
Ad esempio Kamada-san, una donna quasi trentenne che ha trovato un’organizzazione di supporto per altri giovani donne chiamata “Peach Heart”. “Alcuni miei amici se ne sono andati e insistono di raggiungerli”, mi ha detto, “ma io non posso andare. Non lascerò le altre giovani donne che non possono spostarsi. Il mio lavoro è supportarle dal momento che siamo davanti a molti quesiti…. Saremo sicure? Qualcuno ci sposerà? Possiamo avere figli? E se sì, saranno sani?”
Kanno-san è un altro leader del movimento per la rinascita. L’ho conosciuto qualche giorno prima di Natale nel 2013, mentre era occupato a organizzare una riunione nel complesso temporaneo abitativo di Fukushima che ospita diverse delle 1.500 persone che abitavano una volta non lontano dai reattori a Katsurao. “Siamo costretti a competere con le città vicine per avere dei fondi governativi sempre più limitati, dice, “perfino i contratti per i lavori di ricostruzione sono siglati a Tokyo e con termini che rendono impossibile alle imprese locali finire i lavori. Abbiamo forti dubbi e dobbiamo lavorare insieme per trovare una via per andare avanti”.
Come può una comunità rinascere sotto tali condizioni? La maggior parte della gente della regione che vorrebbe ritornare a casa ha più di 60 anni. Secondo un recente censimento del villaggio di Okuma, per esempio, circa il 20 per cento dei precedenti residenti vogliono ritornare, ma sono quasi tutti anziani. Certo c’è anche qualche bambino tra questi, ma in nessun modo si ripresenterà la densità di popolazione del passato. Il vecchio sistema scolastico non può essere ricreato e anche se si potesse, non permetterebbe di insegnare ciò di cui gli studenti hanno bisogno per vivere a Fukushima e creare una realtà diversa. Case, negozi e campi sono tutti vuoti. L’economia è collassata. E gli sforzi di ripulire quello che lo tsunami aveva lasciato sono stati fatti fuori dalla zona di radiazione lasciando Fukushima perlopiù intatta.
Inoltre, non tutte le parti della regione sono aperte al ripopolamento. I livelli di radiazione variano quasi da strada in strada. Ciononostante se il Governo giapponese decidesse che fosse sicuro ritornare, le persone colpite dalle radiazioni perderebbero il loro “risarcimento sulla radioattività”, i fondi che sono pagati dal governo a coloro i quali sono stati costretti a lasciare le loro case. In questo modo si lascerebbero queste persone, perlopiù contadini, con le sole pensioni che contano qualche centinaio di dollari al mese. L’ansia e la fatica di trovarsi senza una dimora fissa dagli ultimi tre anni sono esasperate dalle tensioni causate dai diversi livelli di aiuto finanziario che le persone ricevono in modo diverso. Con questa situazione è ancora più difficile sviluppare la fiducia richiesta per ricostruire una comunità.
Anche se le persone ritornassero, restano comunque aperte le questioni, come ad esempio cosa fare delle scorie radioattive che si sono accumulate durante il processo di decontaminazione. Gli appaltatori del governo sono attualmente a lavoro per rimuovere i sei centimetri di suolo in superficie che contengono radiazioni. Ma dove verranno immagazzinate queste scorie? In questo modo si rimuove anche terreno fertile dai campi. Perché non utilizzare il “biointervento”? Le ricerche suggeriscono che si tratti di una alternativa migliore – lasciando il suolo lì dov’è e utilizzare i funghi e altre piante che ‘mangiano’ le radiazioni a pranzo. Chi prende queste decisioni?
Qualcuno dice che davanti a tali questioni l’unica risposta ovvia è che tutti debbano andarsene da qualche altra parte per il loro bene. Ma dove si trova questa zona sicura? La gente a Fukushima probabilmente conosce le radiazioni meglio di chiunque altro sul pianeta, ciononostante ancora non hanno certezze. Le ricerche epidemiologiche di Hiroshima e Nagasaki sull’impatto di radiazioni di piccole quantità non mostrano un risultato convincente: non sappiamo perché alcune persone si ammalino mentre altre non sono affette.
Coloro i quali stanno tornando hanno fatto la loro scelta e sanno che la loro vita non sarà mai più la stessa. Se di certo ci sono complessi problemi tecnici collegati ai reattori nucleari, le questioni che si fanno avanti sono profondamente molto più ‘umane’. Come sarà questa nuova società? Cosa comporta avere una popolazione sempre più ‘anziana’? Che tipo di economia sosterrà la regione adesso che i precedenti mezzi di sostentamento sono scomparsi? Cos’è possibile adesso che non era possibile prima?
Queste domande stanno lentamente diventando più concrete, man mano che persone come Kamada-san e Kanno-san fanno un passo avanti, prendendo in mano il loro dolore e i loro sogni e affrontando insieme un futuro incerto. Ma di certo questo processo durerà decenni. Mi infastidisce in questi giorni quando la gente usa l’immagine di un bruco e di una farfalla come metafora per la trasformazione. C’è un qualcosa di affascinante in tutto ciò che si dissolve della fanghiglia, solo per la bellezza di riemergere.
La trasformazione delle vite delle persone a Fukushima è molto diversa. Questa trasformazione è per ogni persona tra quella gente comune che sta alzando la propria voce e usando le loro mani, una accanto all’altro, facendo un passo avanti e poi un altro, per costruire nuove vite in un posto che possono chiamare casa.
Bob Stilger
Fonte: www.countercurrents.org
Link: http://www.countercurrents.org/stilger070214.htm
07.02.2014
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SIMONE CATANIA