Uno Tsunami Tessuto dall’Uomo
Il Multi Fibre Agreement (MFA), che USA e UE adottarono trent’anni fa per frenare, con un meccanismo di quote di esportazione prefissate per ciascun paese, l’aggressività delle cosiddette “Tigri asiatiche” nell’esportazione del tessile, ha favorito l’ingresso nel mercato di paesi terzi come il Bangladesh, ma dall’inizio del 2005 il WTO ha decretato la fine di simili accordi, con conseguenze prevedibilmente devastanti*.
DI HUCK GUTMAN
La fine delle quote rende vulnerabile, per cominciare, il Pakistan, con un settore tessile che comprende i due terzi dei suoi 12 miliardi di dollari di esportazioni. Il tessile copre 1.400.000 posti di lavoro, e più dell’11% del PIL. Non c’è accordo sulle possibilità che il Pakistan, producendo cotone e possedendo porti, possa mantenere la sua autonomia, o se invece seguirà il destino del Bangladesh, che ha visto la sua industria tessile distrutta dalle maggiori efficenza e infrastrutture dell’India e specialmente della Cina. L’anno passato il Pakistan ha importato 1,9 milioni di balle di cotone, diventando così il terzo maggior importatore di cotone nel mondo. Quel cotone serve per la produzione tessile, ma potrebbe con facilità defluire altrove, ad esempio in Cina. E in effetti, come riferisce recentemente il South China Morning Post, “Il Bangladesh e la Cambogia sono i paesi più vulnerabili alla fine del sistema delle quote nel settore tessile, dato che i tessuti coprono più del 70& delle loro esportazioni, secondo il FMI e il WTO.”Nello Sri Lanka il tessile da’ lavoro a 450.000 persone, corrisponde al 15% di tutta l’economia, e il 65% dell’esportazione industriale. Secondo un articolo del Washington Post, il 93% di queste esportazioni va verso gli USA e la UE, dove l’MFA garantiva l’accesso. Secondo Jeyaraj Fernandopulle, ministro del commercio dello Sri Lanka, “Da 50 a 60 mila persone perderanno il lavoro. Da 50 a 100 fabbriche chiuderanno.”
Anche la Mongolia è esposta a questo rischio. Nel paese operano un centinaio di industrie tessili di proprietà straniera, 48 di esse di proprietà cinese. Il tessile copre il 12% delle esportazioni e il 30% della forza lavoro. In Cambogia e Laos il tessile vale il 90% delle esportazioni.
E non c’è solo l’Asia. Egitto e Salvador, Tunisia e Messico, Botswana e Guam: sono tutti a rischio. Lavoratori saranno licenziati, famiglie sprofonderanno al di sotto del livello di sussistenza, e i programmi sociali si fermeranno per mancanza di scambi con l’estero.
Dall’altro lato, la Cina trarrà grossi vantaggi dalla forza lavoro a buon mercato, infrastrutture efficienti, abbondanti investimenti, e un’economia di scala da capogiro. Consideriamo la città di Datang, legittima capitale mondiale dei calzini. L’anno scorso le sue 2.500 fabbriche hanno prodotto cinque miliardi di paia di calzini, un terzo del’intera produzione mondiale! Per quanto la gran parte venga assorbita dal mercato interno, anche prima della fine dell’MFA l’esportazione cinese verso gli USA è cresciuta da 11 a 260 milioni di dollari negli ultimi tre anni.
E’ prevedibile che la Cina aumenti in modo sensazionale la sua produzione, guadagnando ulteriore spazio nel mercato mondiale dell’abbigliamento, il 50% di quello statunitense, ad esempio. Ci saranno più posti di lavoro per gli operai cinesi, ma la ricchezza avrà una distribuzione disuguale, finendo piuttosto nelle tasche dei proprietari delle fabbriche che in quelle di chi ci lavora.
Per stemperare le preoccupazioni di parecchi paesi riguardo a tutta una serie di scorrettezze commerciali (grande accesso a capitali sia locali sia stranieri, sussidi governativi non dichiarati, uno yuan artificialmente basso incollato a un dollaro in caduta libera), la Cina ha detto che imporrà una tassa sui prodotti tessili. Ma sebbene questo possa portare a un aumento del prezzo dei prodotti cinesi certamente marginale, porterà altrettanto certamente nuove entrate alle casse dello stato, permettendo al governo cinese di spendere altro denaro nel miglioramento delle infrastrutture, l’allargamento del credito e il prolungamento dei sussidi alle imprese.
E sulle onde che incombono premono altre onde ancora. Grandi devastazioni in Bangladesh, ad esempio: un milione di lavoratori licenziati in una delle più fragili economie del mondo. Altri 15 milioni di posti a rischio. E niente più scambi con l’estero che permettano lo sviluppo di infrastrutture sostitutive, niente più aiuti per il riso quando il prossimo uragano distruggerà parte del raccolto.
La perdita degli scambi con l’estero, dato il crollo dell’esportazione del cotone in paesi come il Bangladesh, darà il via a provvedimenti sociali draconiani. Più la bilancia dei pagamenti di un paese è in passivo, meno denaro resta disponibile per gli scambi con l’estero e per gli investimenti interni, e quel paese si ritrova impotente di fronte a un’FMI che gli impone di tagliare le spese statali. Senza commercio con l’estero lo sviluppo si blocca. E senza scambi con l’estero l’FMI imporrà riduzioni ancora maggiori dei programmi sociali quali la concessione di nuovi prestiti e il consolidamento di quelli già effettuati. Privi di questi scambi, le nazioni più povere del mondo si ridurranno allo stato di orfani, di paria.
Ma anche nei paesi che otterranno dei vantaggi sono prevedibili devastazioni. Quella del mercato mondiale del lavoro, specialmente nel settore tessile, è da un bel po’ una corsa al ribasso. Appena i lavoratori chiedono più soldi, o un’economia agli inizi si sviluppa, i compratori si spostano alla ricerca di manodopera più a buon mercato. Sono le Multinazionali che vincono, non i lavoratori e le lavoratrici. Ann Chen, socia dello studio di consulenza finanziaria Bain & Co., ha di recente affermato: “Chi otterrà la vittoria, con i piani del WTO per l’eliminazione delle quote del tessile, saranno i colossi della vendita al dettaglio, come Wal-Mart, cui sarà dato un maggior potere di spremere dai fornitori prezzi ancora più bassi. Questi colossi ora potranno fare commissioni di volume praticamente illimitato alle fabbriche cinesi, soffocando ulteriormente la concorrenza globale. Tra i perdenti ci saranno i consumatori, visto che la varietà delle merci diminuirà.” Ci perderanno ancora di più i lavoratori tessili, il cui salario verrà dissanguato dall’abbattimento dei costi: si calcola che in questa prima fase dopo la fine dell’MFA, i prezzi del vestiario negli Stati Uniti scenderanno di cirrca il 20%. Ecco com’è possibile che perdano il lavoro in trenta milioni.
In un mondo governato dalla razionalità ci si renderebbe conto che l’intento dell’MFA, dare a ogni paese la possibilità di sviluppare una propria industria tessile e dare lavoro ai propri cittadini, era giusto e visionario assieme. Un simile mondo avrebbe protetto il sistema di quote che tiene a freno le Multinazionali, così che i valori umani, e non il puro profitto, determinassero come e dove i prodotti tessili debbano essere prodotti.
Ma viviamo in un mondo dove l’avidità non ha freni. Non per tutti noi, ma per i potenti. E i potenti faranno quello che vogliono, anche se il risultato è un silenzioso ma devastante tsunami. I ricchi e i potenti, dopotutto, posso andare in vacanza in luoghi ameni, e vivere in comunità blindate: possono tagliare fuori ogni segno dell’umana sventura. Ma per i lavoratori del mondo, per le nazioni sottosviluppate, la fine delle quote dell’MFA sarà tutta un’altra storia.
Huck Gutman
University of Vermont. E’ stato visiting professor di Inglese presso la Calcutta University, nell’ambito del programma Fulbright di scambi culturali.
Fonte:Fonte:www.commondreams.org/views05/0114-21.htm
14.01.05
*per altre notizie sull’MFA e la sua cancellazione, potete andare qui:
http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idc=0&idart=820
Traduzione per Comedonchisciotte.net a cura di Domenico D’Amico