Esplorando l’abisso fra morte e omicidi.
DI JOHN KAMINSKI
Lasciamo pure che la preoccupazione per la propria salute faccia il suo corso, grazie allo strano potere di poter vivere alla giornata, immersi nell’ignoranza e nell’oblio, fino a quando non comparirà, in tutta la sua cattiveria, il male che stava nascosto e di cui allora bisognerà preoccuparsi: un teschio che si affaccerà ghignando al banchetto. – William James, The Varieties of Religious Experience.
Per un lavoro vero non esiste la paga. La paga rovina sempre lo scopo di ogni attività. La gente non se ne rende conto. E’ capitato sia alla chiesa che al resto della società. Un lavoro vero è una attività che ci sentiamo di fare, e che niente e nessuno ci può impedire di fare. Se veniamo pagati è probabile che (anche se non necessario) la ricompensa non faccia il nostro interesse, nel senso che può compromettere i nostri sogni. E tutti abbiamo un sogno.
C’è gente che, ad un certo punto, si dà anima e corpo per assolvere i compiti di quello che ha scelto di fare per mantenersi a galla e, man mano che gli anni passano, si sintonizza sempre più sulle necessità di ciò che, almeno in teoria, lo dovrebbe far prosperare.
Certamente le nostre scelte sono state dettate dai nostri geni e dai nostri desideri e alla fine siamo diventati quello che volevamo. I nostri studi probabilmente ci hanno fatto deviare un po’ rispetto al magnetico pragmatismo dei giochi finanziari che ci avevano catturati o dalla professione che avevamo scelto e che poi ci siamo accorti che non ci piaceva più. Alla ricerca della sicurezza e del divertimento molto probabilmente non ci è mai venuta l’idea che la vita vada ben al di là di un conto bancario, oppure che quello che facciamo ha un effetto anche sugli altri.
Adesso che la società si trova a bordo di un battello che fa acqua da tutte le parti, con i suoi slogan semplicisti e i suoi inganni spensierati, è il momento buono per riflettere ai nostri fini ultimi. O forse è meglio aspettare che i nostri figli vengano arruolati e uccisi in Irak?
Tanto per cominciare che cosa stiamo a fare in questo mondo? Di sicuro ce lo saremo chiesti mille volte. E la risposta qual’è stata? Ripetiamola forte, conserviamola da parte come un pro-memoria perché guidi il nostro futuro. Molta gente lo ha già fatto. La soddisfazione nasce dal fatto che siamo alla ricerca degli obiettivi che ci eravamo proposti, diventare la persona che avevamo voluto essere, simpatica, onesta, la più utile che avremmo mai voluto incontrare.
Provo ancora meraviglia di fronte alla capacità di analisi della gente che incontro nel ciberspazio e che mi consente di conoscere i loro pensieri. Si tratta di gente che sa e conosce un sacco di cose. Al contrario rimango sempre colpito quando, sia pure raramente, abbandono il mio ciberspazio per uscire nell’umida atmosfera della vita commerciale a fianco di quella specie di bazar conosciuto col nome di Tamiami Trail che si trova vicino a casa mia. Il macchinario scassato di questa catena di montaggio di negozi, il cibo di plastica, e lo sguardo intontito della gente sono la rappresentazione più certa di quello che è diventata oggi l’America, un essere lobotomizzato, istupidito e confuso. E, a dare ascolto all’alluvione di allarmi che arrivano da internet, destinata a una rovina quasi immediata.
Come viviamo. Per prima cosa dobbiamo procurarci quello che ci serve, da soli, in quanto individui. Al mondo siamo venuti da soli e da soli lo lasceremo. Siamo grati ai nostri genitori per le possibilità che ci hanno dato. A nostra volta ci dedichiamo, talora in maniera insensata, ai nostri figli, e spesso troviamo in loro la nostra ragione di vivere.
Ma mentre siamo impegnati a cercare di ottenere quello che vogliamo ecco che spesso sul nostro cammino verso il successo incontriamo degli ostacoli. Qualche volta ci accorgiamo addirittura di trovarci sulla strada sbagliata. Allora siamo costretti a fare delle scelte ben meditate, o almeno di cercare di indovinare, come a scuola, in un certo senso.
Siamo prigionieri del mondo materiale, e nemmeno lo sappiamo. Tutta la vita la passiamo a collezionare cose materiali che crediamo ci faranno piacere, ma questo piacere cosa sarà diventato quando saremo vecchi, seduti su una carrozzella in un ospizio con un plaid sulle ginocchia? Riflettiamo. Saltiamo su. Quell’individuo cosa penserà di noi adesso? Se solo avessimo potuto…
Controlliamo il percorso che abbiamo fatto fino adesso. Riflettiamo sui segnali che ci sono sfuggiti. Che cosa stavamo facendo? Dove stavamo andando? Torniamo indietro. Ma, soprattutto, ci siamo ancora?
La risposta è chiaramente no. E non ci saremo mai. Per di più, dopo un certo punto, si comincia a sentire quel piccolo battito di tamburo che proviene dal ritmo del tempo che passa, come le pagine di un calendario che si sfogliano nel vento. Presto o tardi il mondo ci ucciderà. Non prendiamoci in giro.
La gente non ama parlare di ciò. Si tratta dell’argomento principale CHE, nelle conversazioni di gente bene educata, NON SI DEVE NOMINARE. Vi dice qualcosa, a proposito della nostra società, della nostra forma sociale, il fatto che la conversazione più importante che potremmo avere è UNA COSA di cui non possiamo parlare.
E così continuiamo per la nostra strada, ed è anche bello perché l’asfalto è ben tenuto e la macchina è nuova. Vorremmo viaggiare per sempre, perché è proprio divertente, però sappiamo che non è così. Veramente noi non SAPPIAMO che non è, perché solo i morti lo sanno, ammesso che sappiano qualcosa.
Così facendo, come fanno tutti su argomenti piuttosto “spinosi”, non si riesce a parlare dell’evento più importante della nostra vita, dal momento che, quale che sia il loro credo, pochissime persone aspettano con serenità il momento della loro fine, visto che qui si sta così bene e vorremmo che non finisse mai.
(Guardate un po’ là, sulla destra: c’è qualcuno che desidera l’arrivo della fine, dice che si unirà al suo Signore nei cieli, assieme agli altri prescelti. Forse questa non è la vostra prima occhiata al fantasma nella cappella.)
Però si sa che non può durare per sempre. Proprio qui, cari amici, si trova l’abisso, con tutto il suo grande terrore, visibile in ogni momento, a parte il fatto che facciamo di tutto per non vederlo. Adesso si capisce la necessità della repressione, perché non potremmo funzionare se stessimo a pensarci sopra tutto il tempo. Così ci inventiamo qualcosa per anestetizzare la paura che ci logora, cerchiamo di sedarla, di sopprimerla o di trovare un palliativo, così almeno possiamo funzionare, avere dei bambini, andare al cinema e così via.
Sono 5.000 anni che la razza umana sbanda lungo la strada che si è costruita da sola, non solo abbiamo arzigogolato elaborati e inesplicabili labirinti mentali allo scopo di spiegare perché non dobbiamo nemmeno volgere lo sguardo verso questo particolare impedimento, ma anzi ne fuggiamo pieni di paura e terrore. Abbiamo trovato soluzioni che non stanno in piedi, ingannevoli e distruttive allo scopo di impedirci persino di esplorare la natura di questa minaccia che si trova alla base della nostra coscienza in ogni momento della nostra vita. Che cosa ci ha prescritto il medico? Un antidolorifico. Nei secoli questo è stato l’unico rimedio. La gente ragionevole sa che se non si trova la causa di un problema il problema non potrà essere risolto.
La religione non risolve il problema. Semplicemente lo congela sotto una grottesca vernice di sadica e ristretta fantasia. Ci fornisce un’illusione che siamo costretti a credere, e noi scegliamo di credere perché pensiamo che l’alternativa sia peggiore. Ma lo è davvero? Ce lo siamo mai chiesti?
La religione, con le sue chiese, è il fornitore commerciale di un tranquillizzante anestetico che, contemporaneamente, alimenta e intossica una dinamica psicologica universale, costituita dal senso di colpa e dalla necessità di essere redenti. Come si è giunti a questa scelta, e quale è la sua relazione con il benessere umano sono due cose che dopo tutto questo tempo, cinque mila anni, non sono mai state veramente messe in discussione e adeguatamente esplorate, almeno non nella mentalità pubblica.
Dio è semplicemente l’eco del pensiero che rimbalza sul muro della morte. Così mi sono detto una volta. Ma è stato inutile. Questa bestia amata chiamata Dio non può essere definita. Tutti se ne rendono conto. E ognuno si prende la porzione della torta che gli si adatta, che gli serve per sentirsi sicuro, o che utilizza per giustificare i propri imbrogli.
Questa è la vera faida! Partecipiamo al gioco! Ecco la categoria.
A che cosa serve l’idea di Dio?
Secondo le ricerche… la risposta numero uno è: immunizzarsi dalla paura della morte.
Numero due? Controllare la mente delle masse e costruire degli inganni per farci diventare i consumatori del mercato.
Numero tre? Avere una sanzione sovrannaturale, copertura perfetta per il crimine, con la scusa che alcune cose non si possono spiegare perché è così che vanno. Si può dire “Resurrezione”? Oppure, avete notato che nessuno è considerato colpevole per le atrocità commesse dagli americani mentre tutto il biasimo è indirizzato solo contro i mistici terroristi musulmani?
Quattro. Si tratta di un affare che rende. Le confraternite partecipano molto poco alle spese, sono esentasse, e molto spesso sono state sopraffatte, ammesso che non lo fossero state già dall’inizio, da agitatori dal sorriso di plastica che hanno calcolato a sangue freddo come possono catturare le nostre anime spingendo semplicemente il pulsante giusto. Per di più quel maniaco assassino chiamato imperatore Costantino che ha fondato il Cristianesimo, sembra si sia arricchito con la vendita di oggetti, di statue di santi, e soprattutto con le reliquie e gli ornamenti del corpo santo.
Quinto? Transfert. Il fanciullo solo, impaurito che è in noi ha bisogno di un padre, e questo bisogno ci fa disperare, proprio come quel vecchio fantasma che si trova nella cappella. Ne abbiamo bisogno e non importa se non ha significato. Ci deve confortare proprio quando ne abbiamo bisogno.
Ah, dovremmo dibattere più spesso questo argomento, invece di rappresentarlo nel mondo reale.
Ecco perché mi risento un po’ quando vedo degli stupidi bigotti storcere il naso quando si parla di civiltà dei druidi o dei Maya, i quali in qualche misteriosa maniera, fra le quali il loro sapersi orientare all’interno del sistema planetario, erano anni luce avanti a noi. Le persone timorose e dalla mente ristretta si lamentano: “Oooooh, ma facevano sacrifici umani.” La risposta più adatta è: “Per lo meno non hanno ammazzato 75.000 persone con un colpo solo come abbiamo fatto noi a Hiroshima!” Il seguito “.. o le 200.000 che abbiamo fatto fuori in Irak fino ad oggi.” non è facoltativo.
Lo so che cito Becker un po’ troppo spesso. Presto devo proprio fare una sua revisione completa.
Con le sue intuizioni originali segna il territorio dove è passato mediante citazioni sorprendenti. Per esempio:
“Siamo nati col desiderio dell’autorità e da liberi ci siamo costruiti la nostra prigione.” – Otto Rank, uno psichiatra che entrò in disaccordo con Freud.
“Il male nasce dall’uomo che cerca di negare la propria natura animale.” Wilhelm Reich, scopritore della energia orgone. (Doveva avere propria ragione perché il governo lo ha messo in galera e poi lo ha fatto morire.)
Ernest Becker era un antropologo culturale che aveva coordinato alcuni dei migliori lavori relativi all’esplorazione dei territori sconosciuti della paura e della morte, dalla loro analisi ha tratto la conclusione che la natura dell’istinto di sopravvivenza presenta un lato oscuro collegato in modo spaventoso alla propensione umana di uccidere gli altri esseri umani e tutto ciò che è vivente. Ma ascoltiamo queste parole…
Secondo l’interpretazione generale di Kierkegaard riguardo al carattere dell’uomo, si tratterebbe di una struttura costruita in modo tale da evitare ogni percezione del “terrore, perdizione e annichilimento che alberga nel cuore di tutti gli uomini.” Egli è riuscito a comprendere la psicologia dell’uomo al punto in cui sono arrivati gli psicologi moderni: e cioè che la psicologia dell’essere umano ha lo scopo di inventarsi qualcosa che gli permetta di evitare l’ansia. Qual è lo stile di vita necessario per funzionare automaticamente e acriticamente nel mondo? E questo stile di vita in quale modo impedisce la vera crescita, la libertà di azione e di scelta dell’uomo? Oppure, con parole che sono quasi proprie di Kierkegaard: qual è la maniera con cui una persona viene imprigionata dalle proprie bugie caratteriali su sé stesso? (DOD, p. 70).
Conservo una serie di appunti con i miei aforismi favoriti di Becker:
“L’eroismo è una fantasia che si distrugge da sola.”
“Le religioni storiche sono tutte critiche di false percezioni.” e “La religione è una megalomania narcisistica.”
Quest’ultima forse è la migliore, perché si adatta al nostro contesto, perché noi tutti, in questo momento, ci troviamo di fronte al fatto che i nostri dirigenti sono diventati matti, assieme a gran parte della società, con la minaccia di far esplodere le armi nucleari, o, anche peggio, sulla testa di altre persone innocenti.
Così le citazioni di Becker di questi tempi hanno un significato ancora più grande del solito.
“L’uomo è un animale spaventato che per continuare a vivere deve continuare a mentire.”
Ecco un altro degno gemello: “Le società non sono altro che sistemi standardizzati per negare la morte, e fornire la struttura dei rituali per la trascendenza eroica.”
Quest’ultima nota, tutte parole di Becker ma prese dai miei appunti, comincia a dare una spiegazione al dilemma.
Noi diamo corpo alla morte al fine di poterla controllare. Il rituale ci consente il possesso dell’eternità. Anche a condizione di allontanarsi dalla verità della condizione umana. Gli uomini preparano la mancanza di libertà come una mancia per l’auto perpetuazione.
Ed è qui che iniziamo a incontrare il sentiero scivoloso che ci porta nell’abisso che si trova fra la morte e l’assassinio.
Becker, morto di cancro alla prostata nel 1974, quando aveva ricevuto il premio Pulitzer per le sue opere “The denial of the death” e “Escape from Evil” (MacMillan) era disperato di fronte all’autentico terrore che aveva provato nello scoprire, dopo avere indagato a fondo l’animo umano, qual’era l’inconfessabile realtà delle motivazioni umane: “Se gli uomini uccidono tanto per uccidere. quale sistema è possibile ideare?”
Quindi questo è il problema umano più spinoso, più importante di qualsiasi altro, perché minaccia e influenza tutti gli altri.
Nella sua opera “Escape from Evil” Becker si trova di fronte al classico dilemma esistenziale senza timore. Ancora una volta cito a memoria:
“La causa principale del male nell’uomo è rappresentato dal bisogno naturale e inevitabile di negare il suo essere mortale e di costruire una immagine eroica di se stesso. Il bisogno dell’uomo è di trascendere questo timore con un eroismo culturalmente costituito. Se l’uomo è malvagio come sembra allora lo dobbiamo costringere con la forza ad agire per il proprio bene oppure dobbiamo abbandonare la speranza di avere una scienza dell’uomo.”
Però Becker non ha perso ogni speranza. Coraggiosamente insiste: “Non c’è niente nell’uomo o nella natura che gli impedisca dal prendere il controllo del suo destino per rendere il mondo un posto più sicuro per i suoi figli. E, naturalmente, tutto dipende da chi sarà portato a effettuare la coercizione.
Il punto di vista di Becker sul mondo è uguale a quello di Mumford:
L’amalgama formato dai regnanti e dai poteri sacri, i sacrifici umani e le organizzazioni militari hanno scatenato nel mondo una mega macchina da incubo, iniziata con i Sumeri e continuata fino a oggi.
La sostanza centrale della tesi di Becker nell’opera “Denial of the death” è costituita dalla “bugia vitale”, e cioè da quello che gli esseri umani si raccontano per rendere le proprie vite un po’ più confortevoli. Le implicazioni psicologiche della esistenza della morte hanno richiesto questo tipo di strategia, dimostratasi alquanto efficace durante tutto il percorso dell’evoluzione, pur avendo creato anche un po’ di disordine sia fra gli uomini che nell’ ambiente, tanto che Bechker si è sentito costretto a dire:
“Gli uomini sfruttano gli altri uomini per ottenere la loro vittoria personale sulla morte.”, citando, a ragione, il grande maestro Otto Rank:
”La paura della morte di ogni ego viene diminuita con la soppressione della vita, con il sacrificio di un altro essere vivente; la morte di un altro essere libera sé stessi dalla punizione della morte, dell’esistenza.”
Tutto ciò, se avete la sfortuna di notare, assomiglia molto all’uso della eroina. Amico, distruggi una famiglia irachena e ti sentirai meglio!
Ancora una citazione di Becker, e potrei continuare per ore:
“La mega macchina è la sfida storica più grande che affronti l’uomo occidentale.”
Trenta anni dopo questa frase non può essere più vera.
Così questo è l’abisso che si trova fra la morte e l’assassinio. Piuttosto cinico, non è vero? Non vi volevo spaventare, perché è già abbastanza spaventoso da solo senza che aggiunga qualcosa alle vostre paure.
Ho iniziato questo articolo parlando del lavoro per un motivo. Adesso scommetto che qualcuno di voi penserà che voglio collegare il lavoro e la morte.
Se il vostro lavoro ha qualcosa a che fare con l’ammazzare le persone, allora non siete benvenuti in questo mondo. Semplicemente così. I nostri dirigenti più elevati. I nostri imprenditori più ricchi. I nostri teologi e filosofi più rispettati. In America, tutte queste persone, anche soltanto con il silenzio della loro indifferenza, sostengono l’orrore che si è scatenato in Irak. Ehi gente, stiamo parlando della peggiore opera di macelleria, e la responsabilità ricade su tutti gli americani, oltre che agli altri lemmings del primo mondo che fanno da sicofanti, come la Gran Bretagna, la Francia, la Germania, il Giappone e soprattutto Israele.
Voi che avete fatto queste scelte e messo in pratica queste politiche non siete più benvenuti in questo mondo.
Non sarà certo una sorpresa scoprire che la razza umana ha la mente malata. Il compito è quello di emettere la diagnosi e di pensare alla cura, e presto!
La religione è un sedativo come una pillola indorata che impedisce ai suoi aderenti di identificare con precisione i contorni veri, autentici del problema che ci affligge. Il problema non è la morte, che è il fatto più importante della vita. Il problema è quello che facciamo per nasconderci la vera natura esistenziale della vita e della morte, e non renderci conto dei danni causati dalle strategie artificiali, magiche e manipolatrici che ci impediscono di scoprire la vera natura del mondo.
Il nostro destino è la morte, dobbiamo smettere di pensare che non sia vero. Questo ci impedisce di vedere il mondo reale, oltre ad avvelenare il nostro destino in modo tale da farci estinguere.
I misteri che abbiamo deciso di adorare e l’infelicità che abbiamo scelto di causare in loro nome, sono collegati fra loro.
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Un miracolo è semplicemente un’espressione di ignoranza quando non conosciamo i fatti reali.
Al nostro fianco c’era il Moloch, però nel corso dei secoli l’abbiamo trasformato in Yehova. Ma si può ancora pensare che quell’essere minorato, pervertito, omicida che domina nelle pagine del Levitico e del Deuteronomio possa veramente pensare di essere Dio, come se Dio avesse desiderio di uccidere tutti coloro che non lo pregano come vuole lui? Questa è la robaccia in cui credete, Cristiani e Ebrei. Pazzi pieni di paura.
Il mistero magico della resurrezione e il rito cannibalesco di mangiare il proprio salvatore si è svolto lungo tutta la storia, in ogni religione e in ogni cultura. Si tratta della manifestazione totale della nostra paura della morte, la descrizione necessariamente fraudolenta del deposito delle risposte immaginate alle domande che non saremo mai in grado di rispondere in modo utile fino a quando ci rifiuteremo di riconoscere che è la nostra paura più intima della morte che ha creato questi miti sacri. Non si tratta di racconti obiettivi del mondo. Nessuno si salva, amico, e il valore della vita consiste nel riconoscere ciò che questo significa, e nel ringraziare umilmente per i doni che ci sono stati fatti, e NON nel dire che la storia di fronte ai nostri occhi è sbagliata e inventarci qualche forma di paradiso al pistacchio per provare che non è vero.
Adesso una domanda per il nostro quiz sull’evoluzione: la religione è reale?
Risposta: Un attimo. Secondo voi dovremmo credere a queste stupidaggini? Non più. Si tratta di una strategia fatale per l’evoluzione.
La religione non è riuscita a riconoscere il fatto più importante della nostra vita, e cioè un tempo limitato per poter fornire il nostro contributo nel modo in cui ringraziare per i doni che ci sono stati dati. Nella vita non esiste un altro dovere o privilegio più importante. La religione vi promette una vita eterna, e se voi ci credete le grosse bugie scorrono via senza farsi notare.
E così se ci siamo imparati tutto questo e lo abbiamo inserito nel nostro cervello mentre cerchiamo di disintossicarci dai miti velenosi della religione, possiamo cercare di trovare un modo per poter vivere in pace? Trattiamo gli altri essere umani come membri di una stessa famiglia perché, Dio mi è testimone, essi lo sono.
La cosa più importante è riconoscere il legame, il pauroso collegamento, che lega il fanatismo religioso e l’assassinio di massa, e partendo da ciò, esplorare le profondità che Becker aveva sperato di trovare per un mondo più onesto e umano.
In particolare non bisogna pretendere di costringere gli altri popoli a pregare come volete voi. Essi lo sanno fare da soli. La lingua, la forma, le costruzioni, le scritture, il colore della pelle non hanno importanza. Tutti gli dei sono uguali. Pregate chi volete, se vi va. Qualunque cosa sia, il messaggio arriva al Big Kahuna. Questo proviene da fonte autorevole. L’ha detto Krishna. E si trattava proprio del vero affare, già da allora. Tutte le altre divinità sono semplici copie meno importanti. (Ed era anche nero, derivato dalla razza più bella, i Dravidian).
Ma la cosa importante da ricordare è che TUTTE le divinità sono delle immaginazioni, proiezioni delle nostre paure. Perché non è Dio che ha inventato l’uomo, è l’uomo che ha inventato Dio.
Adesso è il momento di studiare il legame perverso che partendo dalle idee magiche, che sono alla base delle nostre sicurezze, arriva alla devastazione e all’assassinio che siamo pronti a scatenare contro chi non ci assomiglia, o contro chi ha qualcosa che ci serve, e che ci sentiamo in diritto di prendere, forti della nostra certezza.
John Kaminski
Fonte: http://www.rense.com/
Link:http://www.rense.com/general67/prds.htm
15.08.05
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di VICHI
Nella Foto: “Piramide di teschi” di Paul Cezanne, olio su tela, 1901 (da http://www.artchive.com)