DI FRANCO CARDINI
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Che cosa sta succedendo nel mondo musulmano? E’ la prova del fallimento – o dell’inesistenza – della “primavera araba”?
Noialtri “occidentali” abbiamo condannato la fatwa pronunziata nel 1989 dall’imam Khomeini contro il romanziere Salman Rushdie e le violenze perpetrate nel ’94 contro Taslima Naserren nel Bangladesh e Isioma Daniel in Nigeria nel 2002. Nessuno di noi ha dimenticato l’uccisione di Theo van Ghog e le minacce contro la sceneggiatrice Ayan Hirsi Ali nel 2004 in seguito al film Submission, né il clima che condusse nel 2005 alla rimozione dalla Tate Gallery di una scultura di John Latham considerata offensiva nei confronti della concezione musulmana di Dio. Per tacer nel 2006 della maglietta di Roberto Calderoli, che condusse a un assalto contro il consolato italiano a Bengasi al quale parteciparono probabilmente anche alcuni che hanno contribuito giorni fa all’assassinio del console statunitense nella stessa città.
Sia chiaro che, per quanto mi riguarda, non ho reticenze ad ammettere che, pur condannando fermamente quelle violenze, mi sento d’altro canto sempre un po’ a disagio quando penso che i cattolici sono continuamente costretti ad assistere senza reagire (o quasi) al frequente vilipendio, spesso gratuito, della loro fede religiosa: e credo che sarebbe opportuno imporre al mondo “laico” non certo a rinunziare alla sua libertà di critica e perfino di satire, ma tuttavia di trattare i credenti con maggiore rispetto. In Occidente bisogna convivere con queste spiacevoli realtà: ma crediamo che la convivenza avrebbe bisogno di un po’ di sforzo da entrambe le parti.
D’altronde, nel mondo musulmano la gente ragiona in altro modo e le cose vanno altrimenti. Piaccia o no, è così. E in questo momento, a parte la pietas religiosa islamica, c’è l’inquietante progresso dei movimenti fondamentalisti che si servono spregiudicatamente della fede religiosa per scopi politici e addirittura terroristici. Una ragione di più per essere prudenti, per non regalar loro pretesti per il loro gioco.
Sappiamo che le reazioni violente a quelle che vengono considerate provocazioni religiose non sono condivise da tutti i musulmani. Ma sappiamo anche che, nel mondo tanto cristiano quanto ebraico, i moventi di esse – i vari modi cioè di espressione di una volontà critica rivolta alla fede musulmana, anche in termini satirici – sono stati a loro volta condannati come espressione di una mancanza di sensibilità e di rispetto che non sono assolutamente considerabili come parte di un modo di pensare “laico”, ma che sottintendono un’insensibilità e un disprezzo per il senso religioso che è, a sua volta, una forma di violenza.
D’altronde, è un fatto che la pretesa occidentale di esportazione dei propri parametri mentali di libertà nella pregiudiziale convinzione che essi siano i migliori e “naturalmente” suscettibili di essere accettati dagli altri, e le reazioni al contrario violente di ripudio di tale pretesa, hanno già condotto a episodi drammatici. Non sarebbe opportuno coniugare la libertà con la discrezione?
Mi spiego meglio. Gran bella cosa, la libertà. Sacra, preziosa, irrinunziabile. Noialtri occidentali abbiamo combattuto e sofferto per guadagnarcela. Ma abbiamo anche imparato che essa va gestita con senso di misura, nel rispetto per gli altri e nei limiti dell’opportunità e della ragione. Anche la libertà, proprio come tale, è relativa: come tutte le cose della storia e del vivere civile. L’Assoluto appartiene alla teologia e alla filosofia, non alla vita quotidiana.
Se ho a casa mia un gatto, ho tutti i diritti di farlo stare nel mio giardinetto. Ma supponiamo che il mio vicino di casa possegga un cane irascibile e feroce, e lo porti a spasso una volta al giorno passando puntualmente ogni mattino, alle dieci, davanti al cancello di casa mia; e io so che la vista di un felino scatena i suoi peggiori istinti e lo rende pericoloso. E’ giusto, è opportuno, è ragionevole che io mi nasconda dietro l’alibi della mia sacrosanta libertà per portar il mio gatto a prendere un po’ d’aria in giardino proprio a quell’ora, sotto gli occhiacci della temibile bestiaccia? Non sarebbe più logico rinunziare a questa particella trascurabile del mio libero arbitrio in modo da vivere e da far vivere tutti più sereni e sicuri, e portare il micio a prender aria un’ora prima o un’ora dopo? Ma se invece agisco altrimenti, sarà arbitrario da parte del mio vicino – che non può o non vuole assolutamente rinunziare alla sua passeggiata delle dieci – sospettare che voglio provocarlo? E chi in un eventuale “braccio di ferro” dovrà cedere per primo: il più debole e pauroso o, invece, il più intelligente e responsabile?
Ma allora ci si chiede: premesso il sacrosanto diritto di tutti, nel nostro mondo, alla libertà di critica e anche di satira, è proprio inevitabile – in un momento delicato come il presente – non trovare mezzi migliori e più intelligenti per affermarla che l’ostentazione di una volontà ottusamente provocatoria? Grazie ai tecnici informatici della mia Università, ho visionato alcuni spezzoni del film su Muhammad che è stato causa dell’assalto all’ambasciata americana di Bengasi: è un film brutto e cretino, assolutamente privo di adesione rispetto alla realtà storica obiettiva. Ho visto le vignette relative al Profeta pubblicate in Francia da “Charlie Ebdo”: sono in generale stupide, di cattivo gusto, giustificabili solo alla luce di una pregiudiziale volontà di provocare. Valeva la pena di consentire la “libertà” di quel giornale mettendo a repentaglio la vita e la sicurezza di diplomatici e di cittadini francesi in tanti paesi musulmani? Valeva la pena di sacrificare a tale astratto culto della libertà il ragionevole sviluppo di buone relazioni diplomatiche?
E’ quindi inutile chiederci, alla luce di quel che sta succedendo, dove sia finita la “primavera araba”. Semmai, se proprio non vogliamo credere a un ottuso esercizio di un “diritto” inopportuno ma fine a se stesso, poniamoci la vecchia ma rivelatrice domanda del cui prodest. Perché, proprio in questo momento, gettar benzina sul fuoco? Niente complottismo, niente dietrologia, per carità: ci mancherebbe. Ma sta di fatto che negli Stati Uniti, in seguito alle violenze nei paesi musulmani, migliaia di “buoni americani” stanno criticando il presidente Obama per non aver tempestivamente risposto col pugno di ferro, come avrebbe senza dubbio fatto il “compianto” Bush e come il candidato repubblicano assicura che farà, se vincerà alle elezioni di novembre. E allora ci si chiede. Non è che films e vignette antimaometto non facciano indirettamente parte di una spregiudicata campagna elettorale? Come dice il Divo Giulio Andreotti, a pensar male si fa peccato: ma ci s’indovina.
D’altronde, è comprensibile che per molti di noi, dopo la lunga “illusione” (se era illusione) delle “primavere arabe”, lo scoppio d’ira e di ferocia che sembra ormai infiammare tutto il mondo musulmano dinanzi a eventi e ad oggetti che a noi paiono futili – un brutto film, una serie di vignette satiriche nemmeno tutte troppo felici e così via – sia la riprova che il “conflitto di civiltà” esiste realmente e che si è dinanzi a una profonda incomprensione reciproca la prevalente responsabilità della quale sta nell’incapacità dell’Islam di liberarsi dal suo fanatismo e dalla sua vocazione alla violenza, nella sua impossibilità di raggiungere un più alto livello di apprezzamento della libertà di pensiero.
E’ un ragionamento semplice e molto diffuso. Ma non bisogna mai dimenticare che, in realtà, per ogni fenomeno esiste sempre una spiegazione “semplice”: ch’ sempre e regolarmente quella sbagliata. La realtà è complessa. E qui, attenzione, non si tratta affatto di cedere a forme di “relativismo” che potrebbero condurci a pensare che in fondo tutte le civiltà sono ugualmente degne di considerazione e di rispetto; si tratta semmai di non abbandonare mai la fondamentale consapevolezza del fato che le cose storiche sono rette dalla relatività. L’assoluto è campo della teologia e della filosofia: la storia e la politica sono il regno del relativo, che a livello interculturale si riassume nel grande insegnamento che abbiamo ricevuto da decenni di studi antropologico-religiosi e in particolare dal magistero di Claude Lévi-Strauss: ogni civiltà ha i suoi princìpi e i suoi metodi d’approccio alla realtà, che vanno studiati e compresi dal loro interno alla ricerca della sua “ragione nascosta”. La pretesa che tutte le culture debbano per forza adeguarsi ai nostri parametri morali e comportamentali nella migliore delle ipotesi a una frettolosa e superficiale illusione; nella peggiore a una pretesa che è, a sua volta, prevaricatrice.
Né mi pare sia ragionevole obiettare che noialtri occidentali, al riguardo, siamo invece meritevoli di esser giunti a un alto livello di tolleranza dai quali i musulmani sono lontani. Si tratta, in effetti, di un problema di priorità. Certo, il mondo occidentale (e lo stesso mondo cattolico) non riterrebbe mai legittimo reagire con la violenza a un’offesa del suo senso religioso. Ma il punto è che, in seguito al “processo di secolarizzazione” che ha caratterizzato al nostra società civile negli ultimi cinque secoli, quella religiosa non è più una priorità paragonabile a quanto lo sia ad esempio nel mondo musulmano. Gli eventi degli ultimi anni hanno ulteriormente provato quel che già del resto sapevamo: se qualcuno ci tocca sulle cose che riteniamo sul serio prioritarie (gli interessi petroliferi, quelli legati alla speculazione economico-finanziaria e via discorrendo), noi siamo del tutto in grado di reagire con una violenza atteggiata in modo differente rispetto a quella delle folle musulmana, ma non meno inesorabile.
I francesi, che oggi si propongono all’avanguardia delle fiera e spregiudicata libertà riproponendo le vignette offensive contro il Profeta come ha fatto il “Charlie Ebdo”, che ritirano i loro ambasciatori dai paesi musulmani e che hanno dato prova mesi fa della loro paradossale capacità d’intolleranza nel nome della tolleranza proibendo il hijab, il velo delle donne musulmane (anche di quelle che lo portavano volontariamente), dovrebbero sapere meglio di chiunque altro che vi sono cose sacre e inviolabili che non si toccano. Mesi fa, il governo francese di allora – insieme con quello britannico – scoprirono che Gheddafi era un tiranno e fecero di tutto per determinarne la caduta. Eppure, Gheddafi era un tiranno da molti decenni: ma solo di recente si era messo di traverso agli interessi europei in genere e francesi e inglesi in particolare nel campo del petrolio (la minaccia ai privilegi della Total) nonché della telefonia e della gestione idrica in Africa. La Francia cristiana non avrebbe certo reagito con una crociata se qualche musulmano avesse dato fuoco a un crocifisso: siamo occidentali tolleranti, che diamine, mica siamo dei fanatici. Ma se ci toccate sui nostri veri dèi, rispondiamo sena indugio e senza pietà.
D’altro canto, appunto la libertà è una gran bella cosa: ma non si può né si deve usarla senza discernimento. Bene o male che ciò possa essere, sappiamo che nel mondo di oggi le provocazione contro l’Islam inducono a violenze. Che ciò accada in quanto l’islam è intrinsecamente una religione violenta o in quanto esistono centri musulmani di strumentalizzazione politica della fede, non è poi così indispensabile appurarlo. Il fenomeno esiste: ed è conosciuto. Stando così le cose, non sarebbe prudente sacrificare qualche trascurabile brandello della nostra “libertà di critica”? O c’è al contrario chi ne abusa proprio perché vuole far succedere quello che succede, per trarne un tornaconto politico? La questione delle elezioni americane non è poi così lontana come parrebbe dai possibili moventi dei provocatori.
Franco Cardini
Fonte: http://www.francocardini.net/
19.09.2012