IL CRISTIANESIMO E L'EUROPA

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DANIELE SCALEA
Rinascita Nazionale

Il tema delle presunte “radici giudaico-cristiane” dell’Europa sembra ormai passato di moda (assieme alla relativa costituzione europea), ma non ha perduto la sua enorme importanza. La valenza di tale questione non è solamente storica: uniamola alla “scristianizzazione dell’Europa” denunciata dal Papa, ed avremo un quadro più completo della situazione. Il processo di “de-cristianizzazione” del nostro Continente ha radici molto profonde, e risale come minimo al 1600 ed alle idee illuministe (come minimo, perché in realtà la lotta contro il cristianesimo iniziò con la sua diffusione nei territori dell’allora Impero Romano).

Dopo il 1945, l’avvento dell’egemonia statunitense – cioè d’una cultura profondamente anticattolica – ha dato una nuova accelerata alla crisi del cristianesimo, anche se fondamentale è stato il 1968 – data che inaugurò ufficialmente l’era del “consumismo” in Europa. Dal ‘600 in poi il cristianesimo fu minacciato da una forma ideologica direttamente rivale, in quanto intimamente religiosa: il riferimento è alla sequenza illuminismo-positivismo-socialismo-marxismo.
Oggi queste ideologie sono morte e sepolte, ed i loro pochi resti sono confluiti nel capitalismo-consumismo che, a differenza del cristianesimo come del comunismo, è una forma non religiosa, o almeno non lo è a mio modesto parere (di ciò discussi in un articolo pubblicato da “Rinascita” l’anno scorso, intitolato “La politica tra il sacro e il profano”). Tale situazione assomiglia fortemente alla crisi della civiltà romana: a un certo punto la religione sopravviveva solo per abitudine, come forma rituale sulla cui aderenza alla realtà non credeva quasi più nessuno; tra la gente serpeggiava invece un’inquietudine (conscia o inconscia) dovuta all’apparente mancanza di significato della vita, ed i costumi andavano progressivamente depravandosi. Questa depravazione della società romana, attualizzata, corrisponderebbe forse al consumismo, così come la forma economica dell’epoca, lo schiavismo su larga scala, richiama diversi aspetti del sistema capitalista. Cosa successe allora? Che la società si rivelò permeabile all’influenza religiosa orientale, e molteplici culti esogeni giunsero a riempire quel vuoto “mistico” lasciato dalla crisi delle credenze tradizionali. Alcuni culti ebbero una fortuna grande ma effimera, un po’ come successo in Europa, negli anni ’90, con la “New Age”, cioè il buddismo occidentalizzato. Ma, alla fin fine, uno riuscì ad attecchire, pur tra mille fatiche: il cristianesimo. Eppure, per decenni i cristiani furono considerati dei paria, gente con cui non si poteva discutere. L’uomo comune riteneva che il semplice fatto di credere in Gesù come Cristo rendesse meritevoli di morire tra atroci sofferenze. Le masse plebee non avevano difficoltà ad incolpare d’ogni male i cristiani: Nerone ne sa qualcosa, dato che riuscì a sviare da sé i sospetti (probabilmente infondati) d’aver bruciato Roma, proprio prendendo quella setta quale capro espiatorio. Quale romano vissuto a metà del I secolo dopo Cristo avrebbe mai potuto immaginarsi che, di lì a breve, gli odiati cristiani avrebbero trionfato e dominato l’Impero? La condizione dei primi cristiani richiama quella dei musulmani europei oggi: disprezzati e temuti dalla gente, continuamente diffamati e perseguitati dallo Stato, appaiono quale ultima ruota del carro sociale. Ma chissà che fra uno o due secoli…

Non scrivo però per profetizzare cose che, in realtà, non mi è dato sapere. Non so se davvero il cristianesimo perderà la sua egemonia religiosa in Europa (sempre che ce l’abbia ancora), né chi, eventualmente, lo sostituirà. Quello su cui, invece, desideravo ragionare, è se si debba giudicare positivamente o negativamente la possibile sparizione del cristianesimo dal nostro Continente.

Innanzi tutto, adotterei un approccio puramente filosofico. Sotto questo punto di vista direi che il cristianesimo o, meglio, la dottrina cristiana, così come è andata configurandosi negli ultimi due millenni, è negativa per la nostra civiltà ed inaccettabile per una sensibilità schiettamente europea. Un’affermazione del genere è solo apparentemente “scandalosa” e “ad effetto”, considerando i tempi (materialismo ed ateismo non sono più considerati abomini, figuriamoci il semplice dissenso dottrinario) e le conoscenze culturali del lettore medio di questo giornale, che ritengo piuttosto elevate (è probabile che molti abbiano conosciuto i pensatori cosiddetti “tradizionalisti” – Guénon, Evola, ecc. – oppure che abbiano letto Nietzsche o, ancora, che abbiano avuto contatti con l’anticlericalismo di stampo socialista; pertanto, ciò che dico non sorgerà loro molto nuovo). Si potrebbero scrivere un milione di pagine sulla corretta interpretazione dell’insegnamento di Gesù (che io considero enormemente positivo), senza però portare alcuna prova filologicamente o teologicamente inconfutabile; dunque lasciamo semplicemente perdere. Veniamo piuttosto al punto dolens: ciò che davvero ritengo inaccettabile nel cristianesimo “ortodosso” (intendo quello cattolico e riformato – non conosco bene quello orientale, dunque soprassiederei) è l’Antico Testamento.

La Chiesa delle origini ha scelto d’inserire nel corpus del suo testo sacro i libri della tradizione giudaica, e probabilmente ciò fu inevitabile, se pensiamo che una forte corrente tra i primi cristiani reputava l’insegnamento di Gesù destinato ai soli Ebrei (poi ebbe la meglio la fazione “ecumenica” capeggiata da Paolo). Ma che ci raccontano questi testi sacri d’ascendenza giudaica? Pare che Dio – l’unico vero Dio creatore d’ogni cosa al mondo -, ad un certo punto della storia, abbia deciso “per motivi imperscrutabili” (cioè per capriccio) di “eleggere” gli Ebrei quale suo popolo prediletto. Quindi, preso da un raptus normativo, avrebbe riempito un paio di libri di regole minuziosissime, che spaziano dalla convivenza sociale alle misure degli arredi dei templi: si vedano il Levitico – dove Javeh arriva persino a fissare le tariffe per i voti soddisfatti (27, 1-7)! – i Numeri ed il Deuteronomio. Con gli Ebrei, Dio ha concluso un vero e proprio contratto, per cui, se quelli avessero rispettato tutti i suoi comandamenti, allora avrebbero primeggiato tra le nazioni mondiali (Esodo 23, 25-27; 34, 10; passim in questo libro e nei seguenti); noi la chiamiamo “alleanza”, ma gli Anglosassoni, che la sanno più lunga, hanno adottato il termine ben più opportuno di “covenant”, che significa proprio “contratto”. In ottemperanza di tale compromesso, Javeh guidò il suo “popolo eletto” alla conquista della “terra promessa”, cioè della Palestina, assicurandosi che sterminasse senza pietà tutti gli abitanti autoctoni. Ma, siccome gli Ebrei non seppero mantenersi fedeli, alla fine Dio li abbandonò. Da allora, essi attendono un “Messia”, destinato a rinnovare l’alleanza e portare Israele al di sopra di tutte le nazioni. I presunti messia finora non sono mancati, ma uno solo ha avuto un enorme successo, seppure post mortem: ovviamente, stiamo facendo riferimento a Gesù il Nazareno. I suoi primi seguaci, per lo più giudei, ritennero di doverne legare la figura alla tradizione nazionale espressa dalla Bibbia, e perciò Gesù fu il Cristo venuto a rinnovare l’alleanza con Dio: solo che, mercè il prevalere della corrente paolina, tale alleanza non riguardava più il solo popolo ebraico, ma tutte le genti del mondo.

Non so gli altri, ma io di fronte a tutto questo provo le stesse negative impressioni degl’illustri “pagani” – da Giuliano a Celso – che ai tempi contrastarono la diffusione del cristianesimo. Dovremmo forse adorare questo “Dio” che, se solo non fosse stato per le mancanze degli Ebrei, ancor oggi ci considererebbe esseri umani “di serie B”? Un “Dio” che ordinava al “suo popolo” di sterminare fino all’ultimo uomo, compresi donne e bambini, delle nazioni che si fossero frapposte tra sé ed i loro interessi? Il pensiero più spontaneo a sorgere è che questo “Dio” faccia a pugni con la Giustizia, e che non sia un “padre buono”, bensì una sorta di genio maligno esaltato dal sangue, umano o animale che sia (le carni bruciate sono per lui “odore soave”: vedi passim nell’Antico Testamento). Chi ha traviato le nostre genti, convincendole ad adorare un simile essere, ha venduto i loro spiriti al Male. Non a caso, i primi cristiani, nella propaganda verso i “gentili”, nascondevano con cura i contenuti della Bibbia, concentrandosi invece sulla più umana e rassicurante “buona novella” annunciata da Gesù. Tale situazione, per cui le masse cristiane ignoravano il contenuto delle più antiche Sacre Scritture, perdurò per oltre un millennio. Fu intorno al ‘400-‘500 che uomini colti – prevalentemente umanisti, ma pure teologi vecchio stampo come Martin Lutero – rivendicarono il diritto del cristiano di leggere i testi sacri, compreso l’Antico Testamento. I risultati di quest’esperienza furono vari. Per alcuni, come i luterani o i cattolici moderni, gli effetti sono stati scarsi. Ma altri, leggendo avidamente quelle pagine così diverse dal Vangelo, finirono per sviluppare idee strane ed inquietanti: anche così nacquero quei “puritani” inglesi che, emigrati in America, presero a sterminarne gli abitanti senza pietà, emulando le gesta dei massacratori biblici, convinti com’erano che Dio, dopo gli Ebrei, avesse scelto loro quale nuovo “popolo eletto”. Una simile concezione continua a permeare tutta la civiltà nordamericana, spesso a livello inconscio, determinando lo “spirito nazionale” degli USA, la loro visione del mondo ed il conseguente agire. Solo l’insegnamento vetero-testamentario, unito con l’idea calvinista della predestinazione per pochi (idea che, per inciso, considero teologicamente esatta, se si parte dai presupposti della fede giudaico-cristiana), può convincere un intero popolo d’essere “l’unica nazione indispensabile al mondo” (Bill Clinton), destinata ad edificare un “nuovo ordine mondiale” sotto la guida del suo Presidente che, al pari dei re biblici, decide come agire previa consultazione con Dio (la Costituzione statunitense gl’impone, prima di dichiarare guerra, di chiedere consiglio e conforto al Signore!).

Tuttavia, la verità è che il cristianesimo potrebbe camminare sulle proprie gambe, senza l’inaccettabile appendice xenofoba ed omicida della mitologia ebraica. Gesù era un ebreo che parlava agli Ebrei, ed è dunque ovvio che non potesse rompere totalmente i legami con la tradizione atavica del suo popolo; ma in cosa il Vangelo è simile alla Bibbia? Quale legame ha il Dio dell’amore di Gesù, con il “Dio degli eserciti” di Mosè? Da un lato abbiamo un Padre che ama i suoi figli, dall’altro un Signore vendicativo, ossessionato dalla promulgazione di leggi ed ossessionante con la sua gelosia, che manco una moglie insicura sarebbe tanto paranoico.

Prendiamo il celeberrimo e fondamentale “Discorso della montagna”. Gesù inizialmente si para dalle prevedibili accuse degli Ebrei ortodossi, precisando che lui non è «venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento» (Mt 5, 17); salvo poi, esaminando quella stessa legge punto per punto, mettersi a correggerla in modo spesso radicale (Mt 5, 33-48). Ho volutamente rimandato al solo Vangelo di Matteo perché, tra tutti, è quello che più strizza l’occhio alla tradizione ebraica: eppure non può nascondere questi enormi elementi d’innovazione. Gesù avrebbe potuto predicare le medesime cose anche se fosse stato romano o indiano o cinese, anziché ebreo. Imporre ai cristiani di credere anche nell’Antico Testamento quale espressione del “Verbo di Dio”, significa costringerli a credere d’essere la ruota di scorta cui Dio è ricorso dopo il tradimento degli Ebrei; significa anche confonderli descrivendo Dio una volta come un demone assettato di sangue innocente, un’altra come la quintessenza dell’Amore. Non solo la Bibbia, con i suoi contenuti, rende il cristianesimo inaccettabile per un vero europeo, ma persino palesa un’enorme incoerenza nella dottrina organica giudaico-cristiana. L’augurio è che, un giorno, il cristianesimo possa reggersi solo sull’impareggiabile insegnamento del suo profeta eponimo, senza ricorrere alle inutili ed anzi dannose stampelle della mitologia ebraica.

Daniele Scalea
Fonte: http://www.rinascita.info/
12.04.2007

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