DI PIETRO CAMBI
Crisis
Risposta breve, sintetica e abbastanza ragionevole: Si.
E’ troppo grosso, ramificato, significativo per l’economia americana da non creare contraccolpi anche dalla nostra parte di mondo.
Stiamo parlando del colossale sconquasso che si sta verificando (per ora) oltre oceano, curiosamente proprio mentre è cominciato il processo per la nota vicenda Parmalat.
Dopo alcuni mesi di smentite sempre più flebili e segnali di debolezza misti ad ammissioni di nuove perdite sempre più consistenti, la Bear Stearns, la quinta banca d’investimento americana ha gettato la spugna, ammettendo, da un momento all’altro la propria totale incapacità a far fronte ai propri debiti, causa mancanza di liquidità irrecuperabile.
Il motivo è sempre lo stesso: la spaventosa voragine che si è aperta nella liquidità a disposizione delle banche con la crisi del mercato immobiliare americano e, sopratutto, con quella dei mutui che ormai sta coinvolgendo gradualmente anche quelli sostanzialmente “regolari” e non solo i cosidetti “subprime“.
Immediatamente la Federal Reserve si è mossa al salvataggio e, facendo leva su una legge del 1932, mai prima applicata, che permette di prestare denaro a breve termine senza garanzia, ha finanziato quella che molto rapidamente è diventata una vera e propria acquisizione della Bear & Stearns, da parte del quarto gruppo Americano, la JP Morgan. Le dimensioni del disastro si comprendono dalle cifre.
La Bear Stearns valeva 160 dollari ad azione l’anno scorso (circa 20 miliardi di dollari) 80 dollari due settimane fa, 70 dollari due giorni ( lavorativi) fa, 30 dollari Venerdi e 4 dollari e spiccioli oggi. La JP Morgan ha offerto 2 dollari ad azione, ovvero 200 milioni di dollari per tutta la Bear Stearns. Una cifra del tutto ridicola. Da confrontare con i miliardi di euro pagati recentemente dal Monte dei Paschi di Siena per l’aquisizione dell’Antonveneta, non esattamente una banca di rilevanza mondiale.
Purtroppo non è sola: la Chase Manhattan Bank, il secondo gruppo americano, ha perso il 20% in due sedute, la Bank of America, il terzo, ha perso il 20 % in due settimane, e consistenti perdite hanno subito anche Citicorp/Citibank, Wells Fargo e Bank-one.
Un salvataggio cosi eclatante e di emergenza, non si era mai verificato, né era mai stata utilizzata questa legge, non casualmente creata dopo il crack del 29.
E’ difficile rimanere freddi di fornte alla magnitudine di questi eventi e quasi impossibile non pronosticare l’allargamento all’intero sistema dei mutui americano e quindi, alla fine, all’intero sistema bancario e di investimenti.
Noi di crisi ne avevamo parlato mesi fa, addirittura a Settembre, ma siamo stupiti dalla subitaneità dell’accaduto e dalla sua magnitudo. Quello che a Settembre sembrava (quasi) allarmismo, ovvero un lento propagarsi del’infezione con un climax intorno a maggio giugno di quest’anno, seguito poi da una fase di miglioramento graduale, corrisponde ora ad una posizione anche troppo ottimista, visto che è stata fatta propria da Bush.
Tra gli addetti ai lavori serpeggia un sentimento, nemmeno tanto nascosto, di panico. Al solito i mezzi di comunicazione fanno il loro dovere solo a metà, dando l’informazione di base ma senza spiegare magnitudine, portata e conseguenze nella vita quotidiana.
Molti commentatori cominciano, sottovoce, a mormorare date remote per vedere la fine della crisi dei mutui, addirittura il 2010 ed oltre.
Da questo punto di vista possiamo stare tranquilli… si fa per dire: il sistema non reggerà tanto tempo allo stress.
Cosa fare?
Prepararsi: delle varie crisi, come ampiamente annunciato, quella finanziaria sarà la prima. Se avete un mutuo, convertitelo a tasso fisso e procurate di non avere clausole che consentano la ricontrattazione del mutuo se i beni messi a garanzia (l’immobile, di solito) perdono valore.
Se volete acquistare la casa: attendete; i prezzi stanno già calando e subiranno una batosta strepitosa in tempi non lunghi: ricordatevi che un affitto, anche in zone di pregio, corrisponde di solito a meno del 5 annuale % del valore dell’immobile. I prezzi REALI sono già calati di circa il 10% in molte zone d’Italia e il calo continua e si estende.
A buon intenditor…
Da ultimo è interessante osservare il crollo improvviso del prezzo del barile, (sempre oltre i 106 dollari, in ogni caso) probabilmente dovuto sia ad una crisi di liquidità (non ci sono, letteralmente, i soldi per investire nei futures petroliferi) sia dalle attese recessioniste, che sottintendono una compressione dei consumi a livello globale.
In un quadro cosi tetro questa è, forse, l’unica notizia positiva.
Finchè dura: perchè in realtà non vi sono, allo stato, evidenti surplus produttivi.