DI JOHN VIDAL
guardian.co.uk
Il disastro del Golfo è insolito solo per la sua vicinanza con gli Stati Uniti.
Altrove, i colossi del petrolio raramente puliscono i loro pasticci
I colossi del petrolio stanno trattenendo il fiato. Le azioni della BP stanno precipitando vertiginosamente dopo lo sfacelo nel Golfo del Messico. Barack Obama, gli americani e la comunità ambientalista internazionale sono indignati, e ora la compagnia rischia di perdere il proprio diritto ad estrarre petrolio nell’Artico e in altri luoghi ecologicamente delicati.
Il disastro del Golfo potrebbe costare qualche miliardo di dollari, e con questo? Quando i profitti annuali di una compagnia ammontano a decine di miliardi, il costo per il posizionamento di 5000 miglia di esplosivi, o per lo spargimento di milioni di litri di disperdenti per idrocarburi, o quello per dirimere centinaia di migliaia di casi giudiziari non è di molto superiore ad un paio di mesi di produzione andati in fumo. E’ strano, ma ci si può tranquillamente passare sopra.
L’immagine dell’industria petrolifera è gravemente danneggiata, ma essa può pagare profumatamente per ripulirsi, proprio come accadde in seguito a Exxon Valdez, Brent Spar e alle rivendicazioni di Ken Saro-Wiwa. Nel giro di pochi anni questo episodio sarà probabilmente dimenticato – solo una piccola interferenza nelle sorti dell’industria che rifornisce il mondo di carburante. Ma le compagnie petrolifere sono ora preoccupate, perché l’attenzione è stata portata sulla loro noncurante attitudine all’inquinamento, e sulla palese incompetenza di un’industria che normalmente è in una posizione di controllo.
Il vero timore delle Big Oil non è tanto la fuoriuscita di petrolio, che è una cosa abbastanza comune, ma il fatto che sia avvenuta così vicino agli Stati Uniti. Milioni di barili di petrolio vengono versati, gettati in mare o vengono sprecati ogni anno senza che nessuno ci presti molta attenzione.
Se questo incidente fosse accaduto in un paese in via di sviluppo, per esempio sulla costa occidentale dell’Africa o dell’Indonesia, la BP probabilmente avrebbe potuto evitare ogni pubblicità, e cavarsela cominciando una ripulitura di molti mesi. Non sarebbe stato necessario l’impiego di esplosivi o di disperdenti, e sarebbe stato ignorato l’effetto sulla salute delle persone e il danno alla pesca. Forse sarebbe stata portata in tribunale e sarebbe stata multata per qualche milione di dollari, ma più probabilmente avrebbe fatto appello e ritardato la decisione della corte per un’altra decina d’anni o più.
Una Big Oil è solitamente l’industria più forte di un paese povero, e generalmente ha il permesso di comportarsi come governo parallelo. In molti paesi si limita a prezzolare giudici, leader delle comunità, legislatori e i ministri, aspettandosi che ambientalisti e comunità locali restino impotenti. Di solito se la cavano così.
Ciò che l’industria teme più di ogni altra cosa è di dover render conto ai paesi in via di sviluppo per i disastri fatti e per il petrolio riversato nelle foreste, nelle insenature, nei mari e nei deserti del mondo.
Ci sono più di 2000 fuoriuscite di petrolio nella zona del delta del Niger che non sono mai state ripulite; ci sono vaste aree del Rio delle Amazzoni in Colombia, in Ecuador e in Perù che sono state devastate dalle fuoriuscite, dallo scarico di sostanze tossiche, dalle esplosioni. Fiumi e pozzi in Venezuela, Angola, Chad, Gabon, Guinea Equatoriale, Uganda e Sudan sono state pesantemente inquinate. La Occidental, la BP, la Chevron, la Shell, e la maggior parte delle altre compagnie petrolifere insieme sono al centro di centinaia di processi pendenti. Solo l’Ecuador sta cercando di ottenere 30 miliardi di dollari dalla Texaco.
L’unico motivo per cui il petrolio costa tra i 70 e i 100 dollari al barile oggi, e non 200, è che l’industria è riuscita a passare sopra ai reali costi per l’estrazione del petrolio. Se il mondo in via di sviluppo esercitasse sulle compagnie le stesse pressioni che Obama e i senatori degli Stati Uniti stanno facendo ora, e se l’industria fosse costretta a ripulire veramente la miriade di disastri che provoca, il prezzo farebbe un balzo, e il passaggio ad un’energia pulita sarebbe rapidissimo.
Se i miliardi di dollari dei sussidi annuali e delle agevolazioni fiscali che l’industria riceve venissero revocati, e fosse aggiunto il costo della protezione delle compagnie petrolifere nei paesi in via di sviluppo, allora quasi certamente la maggior parte del petrolio mondiale verrebbe lasciato nel sottosuolo.
John Vidal
Fonte: www.guardian.co.uk
Link: http://www.guardian.co.uk/commentisfree/cifamerica/2010/may/27/cheap-oil-cost-developing-countries
28.05.2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ARLEQUIN