IL CIRCOLO ROCKFELLER

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DI PAOLO PONTONIERE
L’Espresso

È il più elitario dei club: ospita solo membri delle 65 più ricche famiglie del mondo. Usano il loro network e il loro potere per imprese umanitarie planetarie. Perché essere buoni è diventato un buonissimo affare

Pochi ne hanno sentito parlare. Ed è naturale, perché con una quota d’iscrizione di 25 mila dollari il Global Philanthropists Club (GPC) non è precisamente l’associazione missionaria del Fatebenefratelli. Qui a iscriversi sono i membri delle famiglie più ricche del mondo, 65 per l’esattezza, sparse in 23 paesi. Gente nota come gli Hewlett – quelli della Hewlett Packard – e meno nota come i Gund, gli Hunt e i Goldberg. A livello internazionale il GPC include famiglie come quella dei Khema del gruppo Sun, i banchieri Benjelloun del Marocco, i Lopez delle filippine e i De Moraes, magnanti brasiliani dell’Internet. Per ‘Business Week’ sono il circolo più esclusivo del mondo. In pratica, è la cupola del filantropismo planetario.

Gli iscritti non possiedono solo i mezzi per fare del bene ma dispongono anche del potere e delle conoscenze per realizzare rapidamente i propri progetti, coinvolgendo i più grandi talenti a livello internazionale e incontrando la minor resistenza burocratica possibile. L’obiettivo dichiarato del club è quello di finanziare iniziative planetarie intese a risolvere i problemi più drammatici dell’umanità, assicurandosi che le somme devolute in beneficenza provochino l’impatto maggiore possibile. Qualche progetto?
Quello delle sorelle Helen e Swanee Hunt (figlie di H. L. Hunt, il petroliere texano noto per le sue posizioni ultraconservatrici), che cercano di convincere le donne più ricche d’America a donare almeno un milione di dollari a testa per sostenere la causa dei diritti femminili a livello internazionale. Le due sorelle hanno già investito sei milioni di tasca propria. Un altro dei progetti promossi dai membri del GPC è quello di Lara Lee e George Gund, eredi della Cleveland Trust Company, che hanno deciso di finanziare i film pacifisti del regista iraniano Bahman Qobadi. Invece Maria Eugenia Gracés-Campagna, erede di una importante famiglia di industriali colombiani della ceramica, sta cercando di organizzare un Tribunale per la riconciliazione nazionale, per porre fine alla guerra per bande che lacera la Colombia.

L’idea di fondare il GPC è stata di Peggy Dulany e di suo padre David Rockefeller, l’erede di John D. Rockefeller Sr., il fondatore della Standard Oil. Sessantenne, già fondatrice del Synergos Institute, un’associazione non profit che ha l’obiettivo di combattere la povertà e le inegueglianze sociali a livello internazionale, Peggy Dulany non amava la tradizionale concezione della filantropia, quella per cui è in fin di vita che i ricchi donano fortune ad alcune fondazioni, lasciando a manager specializzati la loro gestione e la decisione sui progetti da finanziare. Al contrario: Dulany ha concepito un nuovo modello organizzativo che non solo coinvolge i filantropi nella scelta dei problemi da affrontare e nella gestione degli interventi, ma consente loro di condividere le esperienze con altri benefattori. Ne emerse prima il Synergos Institute e poi, all’inizio del 2000, il Global Philanthropists Circle.

Non è stata la Dulany la prima a introdurre il modello cooperativo nel mondo della beneficienza. Prima di lei ci avevano pensato gruppi come il Rotary, i Knights of Columbus, i Kiwanis e gli Shriners, tutti fondati nel ventesimo secolo. Ma la Dulany è stata la prima che è riuscita a mettere assieme, in un solo club, le famiglie più facoltose del pianeta.

“Sono persone che già dirigono fondazioni di famiglia”, spiega Paula Johnson, analista di The Global Equity Initiative, gruppo di ricerca sulla filantropia della Harvard University: “Per loro donare è una tradizione. Con questa iniziativa cercano di ottimizzare gli investimenti e stabilire sinergie con altre persone o istituzioni che hanno una simile visione del futuro”.

Ed è probabile che ci riescano. In un viaggio all’estero, a un membro del GCP è facile che capiti di trovarsi a prendere un tè nella casa londinese del principe Carlo, o a trascorrere una giornata con i reali bhutanesi nella reggia di Thimphu, tra le montagne dell’Himalaya, o ancora che finiscano a cena con il miliardario messicano Carlos Slim Helú, nel suo museo privato messicano. L’anno prossimo si avventureranno nelle savane del Kenya guidati dal Nobel per la pace Wangari Maathai, la prima africana che abbia mai ricevuto l’ambito premio. Ma queste sono solo le iniziative straordinarie. Gli incontri ordinari del gruppo vengono organizzati negli Stati Uniti e di solito si tengono in una delle tenute dei Rockefeller. Nei saloni della loro penthouse di Park Avenue, a New York, recentemente è stato organizzato un incontro con Bill Gates e Glenn Close, amica personale della Dulany. Ogni estate, inoltre, i membri del GPC possono trascorrere una settimana in Montana presso il ranch (4 mila ettari di terreno) dei Rockefeller, dove i più coraggiosi si cimentano in un ‘campeggio di sopravvivenza’ che dura tre giorni, muniti del minimo necessario e cibandosi esclusivamente di noci. L’esperienza, sostengono al GPC, aiuta gli aderenti a mettere a fuoco i loro istinti filantropici. E l’estate prossima una quarantina di membri visiteranno l’isola privata che i Rockefeller possiedono al largo delle coste del Maine.

Gli aspetti sociali delle riunioni del circolo, la partecipazione di illustri personaggi internazionali, il sapore d’avventura che circonda molte delle loro missioni, fanno dubitare alcuni osservatori della bontà delle intenzioni. Si tratta di mettere insieme le forze per risolvere i problemi della Terra o, come suggeriscono i più critici, radunare le risorse per organizzare delle gran belle feste? Sui blog fioriscono interrogativi sul reale valore etico della nuova organizzazione filantropica.

“Nella migliore delle ipotesi il GPC, e altri network dello stesso tipo, offrono ai loro membri una buona occasione per riunirsi e celebrare i successi dei più fortunati, mentre quelli che hanno fallito fanno esperienza dalle esperienze altrui. Nel peggiore dei casi si tratta di una spesa deducibile dalle tasse”, sostiene Trent Stamp, presidente della Charity Navigator, azienda che valuta l’efficacia delle organizzazioni non profit: “Sono personaggi potenti: se fanno sul serio possono risolvere parecchi problemi sociali. Se invece si limitano a socializzare, è una perdita di tempo e denaro”.

Le inziative del GPC non sono le sole a finire sotto la lente di ingrandimento dei critici. Di recente anche la Bill & Melinda Gates Foundation e Bono sono stati bersagliati da critiche molto pesanti.

La Fondazione Gates, che con una dotazione di 30 miliardi di dollari è la più ricca organizzazione filantropica della storia, è stata accusata di tenere affari con società che creano disastri ambientali, per esempio nel Delta del Niger. Qui la fondazione promuove iniziative dirette a debellare polio e morbillo, mentre la Shell, la Chevron e la Exxon Mobil, aziende in cui la fondazione investe parte delle sue risorse, sono responsabili dell’inquinamento che causa le malattie respiratorie di cui soffrono i locali. Quanto a Bono, che si batte per ottenere la cancellazione dei debiti del Terzo Mondo, l’accusa è quella di investire negli Hedge Funds che traggono profitti dalla commercializzazione di questo debito.

“È naturale che la gente metta i soldi dove si focalizzano i suoi interessi. Ma nel caso di queste istituzioni filantropiche non credo si tratti di ingordigia. Si tratta, al contrario, di comportamenti illuminati”, commenta Peter Karoff, fondatore di The Philantropic Initiative e autore del best seller The World We Want: “Le grandi famiglie industriali si sono rese conto che il mondo è sull’orlo del disastro. E che rischia di svanire non solo la possibilità di fare affari ma anche quella di sopravvivere. La filantropia? È una scelta intelligente per far fronte all’emergenza”.

Nemmeno Adele Simmons, ex presidente della John D. and Catherine T. MacArthur Foundation, ha da ridire sul tipo di eventi organizzati dal GPC: “Che cosa c’è di male se organizzando attività filantropiche ci si riesce anche a divertire?”, domanda la Simmons, che è anche membro del circolo: “Opero nel campo degli investimenti filantropici da decenni e ho scoperto che incontrare persone di tutti i paesi del mondo che svolgono la mia stessa attività mi fa imparare moltissimo. Inoltre il GPC pone molta attenzione sul coinvolgimento familiare: non a caso anche i miei figli sono membri del GPC. Non lo facciamo per non pagare le tasse: con tutti i consulenti di cui disponiamo potremmo facilmente trovare altre strade”.

I fatti sembrano darle ragione. L’iniziativa della colombiana Maria Eugenia Gracés-Campagna nasce proprio dalle inizitiave socio-culturali del network. La Graces-Campagna, finalizzata alla riconciliazione nazionale, si incontrò con Tokyo Sexwale, magnate sudafricano delle miniere, ex prigioniero con Nelson Mandela a Robben Island e candidato alle presidenziali del suo paese. Insieme progettarono una serie di seminari ai quali intervennero il Nobel per la pace Desmond Tutu, che aveva presieduto ai lavori del tribunale sudafricano per la riconciliazione nazionale, il presidente della Colombia Alvaro Uribe e vari esponenti industriali. Dopo questi incontri il Congresso colombiano approvò una legge per permettere a gruppi indipendenti di fare da mediatori nei conflitti tra gli ex membri delle squadre della morte, le famiglie delle vittime e le comunità in cui vivono. Sull’onda del successo della loro iniziativa, la Gracés-Campagna e i suoi familiari hanno aperto otto centri per la formazione professionale dei rifugiati delle campagne e dei membri delle gang giovanili.

Paolo Pontoniere
Fonte: http://espresso.repubblica.it
Link: http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Il-circolo-Rockefeller/1929027&ref=hpsp
28.12.07

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